Il contributo alla condotta altrui: ultimissime sulla sua rilevanza

Vi è concorso di persone nel reato anche laddove il contributo causale offerto dal concorrente non sia preceduto da un accordo con altri e anche se non vi è reciproca consapevolezza della sua prestazione. E’ sufficiente, infatti, la consapevolezza unilaterale del contributo alla condotta di un altro soggetto, ancorché questi sia ignaro dell’aiuto prestatogli. Non ricorre la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza se ad una contestazione monosoggettiva, segua una condanna per lo stesso fatto a titolo di concorso con altri.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Quinta Penale, con la sentenza n. 36000 depositata il 4 settembre 2015. Un abbordaggio” finito male. Il termine marinaresco o meglio piratesco forse non è ancora passato di moda, nemmeno nella società del web e dei social. Resistono ancora gli instancabili seduttori del sabato sera, per i quali l’approccio con il gentil sesso obbedisce a schemi operativi vecchio stile”. Uno di questi consiste nell’avvicinamento – o, come a volte miseramente accade, nel conato di avvicinamento – all’interno di un esercizio pubblico pub, discoteca et similia in genere, dopo un gioco di sguardi sapientemente dosato, lui” chiede a lei” di declinare le generalità ci scusiamo per il burocratese, ma la colpa è dell’abitudine . Questo è il punto di svolta della storia, e dal suo esito dipende la sua collocazione nella cronaca rosa o in quella giudiziaria. Nel caso di specie un soggetto, reo di aver attaccato discorso con una giovane che egli credeva sola all’interno di un locale, veniva inseguito e spintonato la ragazza era in numerosa compagnia, c’era il fidanzato e una pattuglia di amici. Uno dei quali finisce imputato di lesioni personali. Una interessante pronuncia, sotto due diversi profili. Due questioni di grande rilievo vengono affrontate dalla Suprema Corte, con una motivazione concisa e di facile lettura. La prima, di carattere processuale, attiene alla possibilità che, ad una imputazione che inquadri l’imputato quale unico esecutore del fatto, ne segua una condanna a titolo di concorso con altri nel medesimo episodio criminale. Nel caso che ci occupa vi è stata una diversità di giudizio tra primo e secondo grado il Tribunale condannava il ricorrente quale unico esecutore del fatto lesivo, mentre la Corte di Appello lo dichiarava concorrente morale con altri. Sul punto, gli Ermellini sono netti non vi è alcuna lesione né del principio di correlazione tra accusa e sentenza, né del diritto di difesa. La decisione si appoggia anche su una recentissima pronuncia della Suprema Corte che, in un caso analogo, ha ritenuto che una modifica del genere non comporta una trasformazione essenziale del fatto addebitato”. Nel più sta il meno l’imputazione concorsuale presuppone quella al singolo autore. Nulla da eccepire, tanto più che il nostro sistema penale, in prima battuta, parifica” l’efficacia dei vari apporti causali in caso di concorso di persone nel reato, per poi distinguerne la rilevanza soltanto a livello circostanziale si pensi al contributo di minima importanza . Quindi, in effetti, l’accusa di aver commesso un determinato fatto non subisce alcuna rilevante modificazione – sotto il profilo delle facoltà difensive – dall’essere estesa anche ad altri soggetti. Quando scatta” il concorso? L’altra questione affrontata riguarda i requisiti minimi, oggettivi e soggettivi, del contributo concorsuale nel reato. E’ un argomento ricorrente nel diritto penale, ed è di consistenza piuttosto sfuggente. Si può facilmente intuirne la portata, in termini di affermazione di responsabilità è la linea di confine tra concorso di persone e connivenza” non punibile. Se il legislatore, sul punto, è rimasto probabilmente non a caso nel vago, limitandosi a stabilire che quando più persone concorrono nel medesimo reato”, ciascuna ne affronta le conseguenze sanzionatorie, a fare chiarezza ci ha pensato la giurisprudenza di legittimità anche delle Sezioni Unite , puntualmente richiamata nella sentenza in commento. In via di sintesi, ecco alcuni connotati del contributo concorsualmente” rilevante. Vi è concorso nel caso in cui un soggetto non sia casualmente presente sul luogo del delitto la presenza rafforzatrice” fornisce motivo di irrobustimento della risoluzione criminosa dell’esecutore materiale. Ancora, sul versante soggettivo, viene posto l’accento – e l’indirizzo giurisprudenziale, al riguardo, può dirsi ormai granitico – sul rilievo secondo cui per concorrere nel reato non occorre previamente accordarsi, né è indispensabile che i compartecipi siano reciprocamente consapevoli del contributo altrui. La consapevolezza di partecipare alla condotta d’altri può essere unilaterale, e gli altri concorrenti possono persino rimanere ignari dell’aiuto prestatogli. Come si vede, vi è una corrente rigoristica nella valutazione dei requisiti minimi per riconoscere il concorso di persone nel reato, pienamente giustificata dalla necessità di non aprire la strada a facili scappatoie. Una considerazione, a margine di questo orientamento, però si impone vada per la non indispensabilità della reciproca consapevolezza, e passi la concezione egualitaristica” dei vari contributi causali al reato. E’ evidente a questo punto che l’attenzione, di giudici e difensori, si dovrà spostare sulla dosimetria della pena giusto per non dimenticare che l’apporto causale, se qualitativamente diverso, non può mai generare appiattimenti quantificativi.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 18 marzo – 4 settembre, n. 36000 Presidente Bruno – Relatore Micheli Ritenuto in fatto M.G. ricorre avverso la pronuncia indicata in epigrafe, recante la parziale riforma della sentenza emessa nei suoi confronti, in data 16/07/2009, dal Tribunale di Teramo, sezione distaccata di Atri il G. risulta essere stato condannato a pena ritenuta di giustizia per il delitto di lesioni personali, in ipotesi commesso in danno di C.D.G. la parziale riforma riguarda l'esclusione di un aumento imputato a titolo di cumulo giuridico, con conseguente rideterminazione dei trattamento sanzionatorio . I fatti si riferiscono ad un alterco che il D.G. ebbe, presso un locale di Roseto degli Abruzzi, con alcuni amici di una ragazza - tale I.D.G. - alla quale si era avvicinato per attaccar discorso l'uomo era prima stato rimproverato dal fidanzato della sorella della giovane W.D.F. , il quale gli aveva fatto notare che un 40enne non avrebbe dovuto tentare un approccio con una 18enne, quindi vi era stato un diverbio sfociato con l'inseguimento del D.G. all'esterno del locale, conclusosi con una spinta che era stata inferta a quest'ultimo, determinandone la caduta a terra. A quell'inseguimento, secondo l'ipotesi accusatoria, aveva partecipato il ricorrente. Con l'odierno atto di impugnazione, il G. lamenta - inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 521 e 522 del codice di rito, nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione Secondo il ricorrente, vi sarebbe stata violazione delle norme processuali sopra indicate, dal momento che il capo d'imputazione lo indica come unico responsabile delle lesioni ivi descritte, secondo un'ipotesi accusatoria recepita dal giudice di primo grado, mentre la Corte territoriale ne avrebbe affermato il concorso con il ritenuto esecutore materiale il già menzionato D.F. . Contrariamente a quanto osservato dalla Corte abruzzese, secondo cui la rubrica non può subire modifiche rilevanti laddove una responsabilità a titolo concorsuale derivi da un'imputazione monosoggettiva, il G. sostiene - richiamando anche le indicazioni della Corte europea dei diritti dell'uomo - che i giudici di appello avrebbero dovuto comunque verificare se gli elementi di fatto previsti nel capo accusatorio erano contenuti nel fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza, [ ] soprattutto se una tale variazione avesse inciso sul diritto di difesa dell'imputato e cioè se egli si era trovato o meno nella condizione concreta di potersi difendere - inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 110 cod. pen. e 192 cod. proc. pen. nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione Il G. fa presente che la declaratoria di penale responsabilità deriverebbe dall'avere i giudici di merito posto in rilievo dati fattuali difformi rispetto a quelli emergenti dalle acquisizioni processuali , segnatamente a proposito della sua ritenuta partecipazione alla azione punitiva in danno della persona offesa. Premesso che le modalità con cui egli avrebbe partecipato alla consumazione del reato non risultano essere state chiarite, né appare provato come la sua condotta avrebbe in qualche modo agevolato la commissione dell'illecito e il dato da cui emergerebbe la volontà dell'imputato di realizzarlo , il G. sostiene che l'istruttoria dibattimentale aveva dimostrato la sua assenza nel momento iniziale in cui il D.F. aveva affrontato il D.G., e nessuno lo aveva indicato tra gli astanti quando, fuori dal locale, alcuni buttafuori avevano separato gli stessi D.F. e D.G. quanto al presunto inseguimento, la persona offesa aveva riferito di non essere in grado di precisare chi lo avesse colpito, aggiungendo però che in quel frangente aveva udito la voce dello stesso uomo con cui aveva avuto la precedente discussione. L'esecutore materiale della spinta, in definitiva, avrebbe dovuto individuarsi nel D.F. né avrebbe dovuto riconoscersi rilievo decisivo alla circostanza che un soggetto, qualificatosi per M.G., ebbe a contattare telefonicamente il D.G. manifestando la volontà di risarcirlo. Infatti, non corrisponde al vero che l'imputato non avrebbe mai smentito l'episodio, avendo anzi sostenuto nei motivi di appello che la telefonata in questione - in ordine alla quale la persona offesa non aveva precisato l'utenza chiamante - poteva essere stata opera di chiunque. Il ricorrente segnala infine che la Corte territoriale non avrebbe in ogni caso motivato sugli elementi strutturali della presunta condotta concorsuale ascrivibile al G., ricordando invece la giurisprudenza di legittimità che impone l'individuazione di un contributo concreto alla realizzazione dei delitto, sia pure secondario o marginale al contrario, nella fattispecie l'imputato si sarebbe limitato ad un mero inseguimento. Un simile comportamento non ebbe alcuna efficienza causale ai fini della produzione dell'evento, neppure in termini di agevolazione della condotta o del rafforzamento del proposito altrui, visto che il D.F. era già fermamente determinato a commettere l'illecito, tanto è vero che pochi attimi prima il contatto tra quest'ultimo e il D.G. era stato impedito solo dall'intervento dei buttafuori - inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 114 e 133 cod. pen. Non avendo la Corte di appello considerato il reale apporto dei G. nella causazione delle lesioni, sarebbe impossibile escludere la marginalità del suo contributo, atteso che la condotta del ricorrente, anche se eliminata da tutto il contesto non avrebbe comunque impedito il verificarsi dell'evento nel ricorso vengono richiamati plurimi riferimenti giurisprudenziali nell'interpretazione dell'art. 114 cod. pen. - inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 61, n. 1, cod. pen. Secondo la tesi difensiva, ai fini dell'applicazione della norma di cui all'art. 61, n. 1, cod. pen. il motivo è da intendersi futile quando la spinta del reato manca di quel minimo di consistenza che la coscienza collettiva esige per operare un collegamento accettabile sul piano logico con l'azione commessa in guisa da risultare assolutamente sproporzionato all'entità del fatto e rappresentare quindi un mero pretesto [ ]. Nel caso in esame non si rinvengono tali caratteristiche, atteso che spesso accade che in occasione di avances pressanti nei confronti di una ragazza si finisca poi in liti che degenerano sino ad arrivare alle mani, pertanto nella coscienza collettiva tale motivo non viene percepito come abnorme . Considerato in diritto 1. II ricorso non può trovare accoglimento. 1.1 II primo motivo di doglianza è infatti infondato, atteso che - per consolidata giurisprudenza di legittimità, correttamente richiamata dalla Corte abruzzese - non sussiste violazione del principio di necessaria correlazione tra accusa e sentenza quando, contestato a taluno un reato commesso uti singulus, se ne affermi la responsabilità in concorso con altri Cass., Sez. VI, n. 21358 del 05/05/2011, Cella, Rv 250072 . Né il vizio formale lamentato dalla difesa potrebbe sussistere qualora, contestato al G. di essere l'autore materiale della condotta, il giudice di merito lo abbia invece ritenuto un concorrente morale si è, infatti, recentemente ribadito che anche tale modifica non comporta una trasformazione essenziale del fatto addebitato, né può provocare menomazioni dei diritto di difesa, ponendosi in rapporto di continenza e non di eterogeneità rispetto alla originaria contestazione Cass., Sez. II, n. 12207 del 17/03/2015, Abruzzese, Rv 263017 . La difesa formula, a riguardo, alcuni interrogativi dei quali i giudici di merito avrebbero dovuto farsi carico, ma si tratta di quesiti che non spostano in alcun modo i termini formali della questione processuale sollevata, e che pertanto la Corte aquilana non aveva alcun obbligo di sottoporre a compiuta disamina. In vero, viste le peculiarità della fattispecie concreta, che vedevano il Dei Gaone contrapposto ad un gruppo di amici della ragazza che egli aveva in ipotesi insidiato, era del tutto prevedibile che dall'esame della regiudicanda emergesse il coinvolgimento nei fatti di persone diverse ed ulteriori rispetto al G., mentre l'accusa formulata a carico di quest'ultimo muovendo da un addebito che lo vedeva come unico responsabile ed autore materiale della condotta contestata era tale da determinarlo ad apprestare i più ampi mezzi di difesa, certamente comprensivi di quelli che gli sarebbero stati utili per negare la sua responsabilità a titolo di concorso con altri. Né risultano conseguenze, in ragione della - peraltro non differente, ma più approfondita - ricostruzione operata dalla Corte di appello sulla dinamica dell'episodio, sulla determinazione dei trattamento sanzionatorio, comunque operata su una pena base prossima al minimo edittale già per il primo giudice. 1.2 In ordine alla lamentata incertezza sul contributo arrecato dal G. alla presunta fattispecie concorsuale, deve rilevarsi che la responsabilità ex art. 110 cod. pen. appare facilmente ravvisabile anche nell'ipotesi che l'imputato - pure ammettendo che non fu lui a sferrare la spinta da cui derivò la caduta a terra del D.G. - partecipò all'inseguimento della persona offesa. Da molto tempo, in vero, la giurisprudenza di legittimità afferma che ricorre il concorso di persone nel reato nell'ipotesi di presenza, non casuale, di un soggetto sul luogo dei delitto da cui la risoluzione criminosa dell'esecutore materiale abbia tratto motivo di rafforzamento Cass., Sez. I, n. 6211 del 31/03/1994, Corsi, Rv 198662 , e che è sufficiente ad integrare la compartecipazione non solo l'accordo, inteso quale previo concerto oppure quale concorde azione dei vari partecipanti, ma anche la semplice adesione di volontà, estrinsecantesi nel caldeggiare e rafforzare il proposito delittuoso altrui. Pertanto, potendo il concorso concretarsi in atteggiamenti ed in comportamenti che costituiscano, comunque, contributi causali alla realizzazione dell'evento, anche la semplice presenza sul luogo del delitto, sia essa attiva o semplicemente passiva, costituisce concorso quando l'agente ha la coscienza e la volontà dell'evento Cass., Sez. II, n. 3748 del 23/05/1990, Cappai, Rv 186773 . Le Sezioni Unite di questa Corte hanno poi precisato che in tema di concorso di persone nel reato, la volontà di concorrere non presuppone necessariamente un previo accordo o, comunque, la reciproca consapevolezza del concorso altrui, essendo sufficiente che la coscienza dei contributo fornito all'altrui condotta esista unilateralmente, con la conseguenza che essa può indifferentemente manifestarsi o come previo concerto o come intesa istantanea ovvero come semplice adesione all'opera di un altro che rimane ignaro Cass., Sez. U, n. 31 del 22/11/2000, Sormani, Rv 218525 principio che risulta costantemente ribadito nelle pronunce degli anni successivi, sino all'affermazione che ai fini della individuazione della portata applicativa dell'art. 110 cod. pen. l'attività costitutiva del concorso può essere rappresentata da qualsiasi comportamento esteriore che fornisca un apprezzabile contributo, in tutte o alcune fasi di ideazione, organizzazione od esecuzione, alla realizzazione dell'altrui proposito criminoso. Ne deriva che a tal fine assume carattere decisivo l'unitarietà del fatto collettivo realizzato che si verifica quando le condotte dei concorrenti risultino, alla fine, con giudizio di prognosi postuma, integrate in unico obiettivo, perseguito in varia e diversa misura dagli imputati, sicché è sufficiente che ciascun agente abbia conoscenza, anche unilaterale, del contributo recato alla condotta altrui Cass., Sez. V, n. 25894 del 15/05/2009, Catanzaro, Rv 243901 v. anche, nello stesso senso, Cass., Sez. VI, n. 46309 del 09/10/2012, Angotti, nonché Cass., Sez. II, n. 18745 del 15/01/2013, Ambrosanio . Coerentemente, si è altresì precisato che ai fini della configurabilità del concorso di persone nel reato, il contributo concorsuale assume rilevanza non solo quando abbia efficacia causale, ponendosi come condizione dell'evento lesivo, ma anche quando assuma la forma di un contributo agevolatore, e cioè quando il reato, senza la condotta di agevolazione, sarebbe ugualmente commesso, ma con maggiori incertezze di riuscita o difficoltà. Ne deriva che, a tal fine, è sufficiente che la condotta di partecipazione si manifesti in un comportamento esteriore idoneo ad arrecare un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento dei proposito criminoso o l'agevolazione dell'opera degli altri concorrenti, e che il partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l'esecuzione, abbia aumentato la possibilità della produzione del reato, poiché in forza del rapporto associativo diventano sue anche le condotte degli altri concorrenti Cass., Sez. VI, n. 36818 del 22/05/2012, Amato, Rv 253347 . Mutuando tali indicazioni ai fini della valutazione della fattispecie concreta, non è chi non veda come - il G. ammise di avere comunque partecipato alla condotta violenta che costituì fattore causale delle lesioni riportate dal soggetto passivo l'assunto che la telefonata al D.G. poté provenire da altri, che spesero il nome dell'imputato, è puramente allegato, tanto più che la stessa D.G., amica dei G. e non certo della persona offesa, si dichiarò a conoscenza di quel particolare - a tutto voler concedere, pure ipotizzando che egli si limitò ad inseguire il D.G. assieme al D.F. e/o altri, la sua presenza fu certamente attiva, e tale da costituire obiettiva ragione di rafforzamento della volontà dei complici, i quali avevano immanente consapevolezza della partecipazione alla loro condotta di qualcuno che manifestava adesione ad un comune proposito aggressivo - un comportamento siffatto, proprio per le immediate ed inevitabili implicazioni che ebbe sull'agire di chi sferrò la spinta al D.G., non potrebbe in ogni caso costituire un contributo marginale, ai sensi dell'art. 114 cod. pen. 1.3 Manifestamente infondato è infine l'ultimo motivo il rilievo che, come argomenta il difensore del G., si verifichino frequentemente liti con ricorso a vie di fatto quando un uomo è autore di avances verso una ragazza, non vale affatto a dimostrare che tra quest'ultima condotta ed i successivi sfoghi di violenza vi sia un collegamento normalmente accettato dalla coscienza collettiva, sì da rendere non futili i motivi dell'aggressione. Tanto più che, nel caso di specie, il D.G. fu autore di un banale tentativo di approccio alla D.G., immaginando il primo che la ragazza si trovasse da sola nel locale, e limitandosi lo stesso a chiederle di dove fosse ed altre domande non personali v. la motivazione della sentenza impugnata, a pag. 4, dove si dà contezza delle dichiarazioni della giovane . 2. II rigetto dei ricorso comporta la condanna del G. al pagamento delle spese dei presente giudizio di legittimità. P.Q.M. Rigetta il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.