Per dimostrare l’intestazione fittizia non basta la sproporzione tra reddito percepito e beni intestati

Spetta all’accusa di provare l’esistenza di situazioni che avallino concretamente l’ipotesi di divergenza tra intestazione formale e disponibilità effettiva del bene, in modo che si possa affermare con certezza che il terzo intestatario si sia prestato alla titolarità apparente al solo fine di favorire la permanenza dell’acquisizione del bene in capo al condannato per uno dei reati elencati dall’art. 12 sexies d.l. n. 306/1992 e salvaguardarlo dal pericolo della confisca. Ai fini della dimostrazione della fittizietà dell’intestazione, non basta la sola sproporzione fra il valore dei beni intestati al terzo ed il reddito da quest’ultimo percepito.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 35972/15, depositata il 4 settembre. Il caso. Il tribunale in funzione di giudice del riesame rigettava il ricorso col quale un uomo, in qualità di rappresentante di una società a responsabilità limitata, aveva impugnato il decreto di sequestro preventivo emesso dal gip avente ad oggetto diversi apparecchi videoslot formalmente intestati alla società ed ubicati in tre sale giochi, una delle quali a sua volta sottoposta a sequestro col medesimo provvedimento impugnato. Presupposto del provvedimento cautelare reale, eseguito ai sensi dell’art. 12 sexies d.l. n. 306/1992, era che l’acquisto degli apparecchi e l’allestimento della sala giochi fossero avvenuti con i proventi dell’attività illecita realizzata da un terzo indagato per reati, anche associativi, connesso allo spaccio di stupefacenti, e che, pertanto, la titolarità di tali beni in capo rappresentante della società fosse solo fittizia. Avverso tale pronuncia ricorre per cassazione l’uomo, lamentando che né il gip né il tribunale avevano considerato che la scoeità era presente sul mercato delle video lotterie da anni con ricavi esponenziali, cosicché aveva potuto investire nel tempo ingenti somme che avevano consentito alla società l’acquisizione dei macchinari in sequestro aggiungeva il ricorrente che lo scarto fra i ricavi ed i profitti delle slot machines era frutto del mancato calcolo di taluni cespiti produttivi. La divergenza fra intestazione formale e disponibilità effettiva va provata dall’accusa. La Corte ha ritenuto il ricorso infondato. Gli Ermellini, infatti, hanno osservato che il sequestro oggetto del ricorso era stato disposto ai sensi dell’art. 12 sexies d.l. n. 306/1992, che prevede che è sempre disposta la confisca del danaro, dei beni e della altre utilità di cui il soggetto che sia stato condannato, fra l’altro, per reati di cui agli artt. 73 e 74 d.lgs. n. 309/1990 inerenti al traffico illecito di stupefacenti non possa giustificare la provenienza e di cui egli, anche per interposta persona sia fisica che giuridica , risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato rispetto al reddito dichiarato o comunque alla propria attività economica. In relazione alla possibilità di operare la confisca e il sequestro preventivo, su beni che, sebbene formalmente intestati a soggetti terzi rispetto all’autore di uno dei reati elencati nel citato art. 12 sexie s, siano tuttavia riferibili a costui, la giurisprudenza del Supremo Collegio ha in più occasioni riaffermato che grava sull’accusa l’onere di provare l’esistenza di situazioni che avallino concretamente l’ipotesi di divergenza tra intestazione formale e disponibilità effettiva del bene, in modo che si possa affermare con certezza che il terzo intestatario si sia prestato alla titolarità apparente al solo fine di favorire la permanenza dell’acquisizione del bene in capo al condannato e salvaguardarlo dal pericolo della confisca”. Non basta la sproporzione fra il valore dei beni intestati e il reddito. Non solo la giurisprudenza di legittimità ha altresì precisato che ai fini della dimostrazione della fittizietà dell’intestazione, non basta la sola sproporzione fra il valore dei beni intestati al terzo ed il reddito da quest’ultimo percepito, ma va dimostrata l’esistenza di circostanze obbiettive che avallino in modo concreto l’esistenza di una divergenza fra l’intestazione formale dei beni e la oro disponibilità effettiva. Alla luce di tale ricostruzione, i Giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto che, con riferimento al caso in esame, il gip ed il tribunale del riesame avessero correttamente ritenuto sussistenti i presupposti richiamati, di talché deve ritenersi giustificabile la permanenza del sequestro operato sui beni formalmente intestati alla società a responsabilità limitata. Per tutte le ragioni sovraesposte, la Corte ha rigettato il ricorso condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 5 febbraio – 4 settembre 2015, n. 35972 Presidente Squassoni – Relatore Gentili Ritenuto in fatto Con ordinanza del 16 giugno 2014 il Tribunale di Bari, in funzione di giudice del riesame, ha rigettato il ricorso col quale Z.S. , in qualità di legale rappresentante della Italia Giochi Srl, aveva impugnato il decreto di sequestro preventivo emesso dal locale Gip il precedente 9 maggio 2014 ed avente ad oggetto diversi apparecchi videoslot formalmente intestati alla Italia Giochi ubicati in tre sale giochi, una delle quali, denominata New gaming, è stata a sua volta sottoposta a sequestro col medesimo provvedimento allora impugnato. Il presupposto dei provvedimento cautelare reale, eseguito ai sensi dell'art. 12-sexies della legge n. 356 del 1992, era che l'acquisto di detti apparecchi e l'allestimento della predetta sala giochi fossero il frutto della messa a disposizione dello Z. dei proventi della attività illecita realizzata da tale F.A., indagato per reati, anche associativi, connessi allo spaccio di stupefacenti, e che, pertanto, la titolarità di tali beni in capo allo Z. fosse solo fittizia. Ai fini della dimostrazione di tale solo formale interposizione dello Z. , il Tribunale si è in particolare avvalso, sulla scorta delle indagini compiute a carico del F., delle numerose intercettazioni telefoniche ed ambientali eseguite, le quali hanno evidenziato, secondo il Tribunale di Bari, la posizione di preminenza del F. nelle gestione delle dette sale giochi. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per cassazione lo Z. , tramite il proprio difensore munito di procura speciale, deducendo quaie unico ma articolato motivo di impugnazione la carenza assoluta di motivazione della ordinanza impugnata, carenza ridondante nel vizio di violazione di legge. In particolare il ricorrente rilevava che né il Gip né il Tribunale avevano considerato che la Italia Giochi Srl era presente sul mercato delle video lotterie sin dal 2007 con ricavi esponenziali, cosicché aveva potuto investire nel tempo ingenti somme che avevano consentito alla società l'acquisizione dei macchinari in sequestro aggiungeva il ricorrente che lo scarto fra i ricavi ed i profitti delle slot machines riscontrato dal perito del Pm era frutto del mancato calcolo di taluni cespiti produttivi. A fronte di tali elementi, trascurati in sede di riesame, il Tribunale aveva esclusivamente tenuto conto delle intercettazioni, attribuendo valenza probatoria a dati tutt'al più indizianti in modo solo generico. Il Tribunale, ad avviso del ricorrente, avrebbe altresì omesso di esaminare le argomentazioni difensive riguardanti il fatto che il F. , in quanto esponente della criminalità organizzata, aveva imposto il suo ruolo sulla attività imprenditoriale svolta dallo Z. . Considerato in diritto Il ricorso, risultato infondato, non è, pertanto meritevole di accoglimento. Osserva, infatti, la Corte che il sequestro del quale si discute è stato adottato dal Gip del Tribunale di Bari e successivamente confermato, con l'ordinanza ora in scrutinio, dal Tribunale di tale medesima città in sede di riesame, ai sensi dell'art. 12-sexies del decreto legge n. 306 del 1992,convertito con modificazioni, con legge n. 356 del 1992. Detta disposizione, come è noto, prevede che è sempre disposta la confisca del danaro, dei beni e delle altre utilità di cui il soggetto che sia stato condannato, fra l'altro, per reati di cui agli artt. 73 e 74 del dlgs n. 309 del 1990, non possa giustificare la provenienza e di cui egli, anche per interposta persona sia fisica che giuridica , risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato rispetto al reddito dichiarato o comunque alla propria attività economica. Evidentemente la previsione della confiscabilità di detti beni legittima, in pendenza di procedimento penale avente ad oggetto taluna delle imputazioni previste dal ricordato art. 12-sexies del di n, 306 dei 1992, la assoggettabilità dei medesimi a sequestro preventivo. In particolare con riferimento alla possibilità di operare la confisca e, prime di questa, il sequestro preventivo, in relazione a beni che, sebbene formalmente intestati a soggetti terzi rispetto all'autore di uno dei reati elencati nel ricordato art. 12-sexiesr siano tuttavia riferibili a costui, questa Corte ha in più occasioni riaffermato che ai fini dell'operatività, nei confronti del terzo, del sequestro preventivo a norma dell'art. 12-sexies e della successiva confisca, grava sull'accusa l'onere di provare l'esistenza di situazioni che avallino concretamente l'ipotesi di divergenza tra intestazione formale e disponibilità effettiva del bene, in modo che si possa affermare con certezza che il terzo intestatario si sia prestato alla titolarità apparente al solo fine di favorire la permanenza dell'acquisizione del bene in capo al condannato e salvaguardarlo dal pericolo della confisca Corte di cassazione, Sezione I penale, 15 luglio 2010, n. 27556 . Ha, in particolare, precisato questa Corte che ai fini della dimostrazione della fittizietà della intestazione non è elemento sufficiente la sola sproporzione fra il valore dei beni intestati al terzo ed il reddito da quest'ultimo percepito, essendo, invece, necessario che, per assolvere all'onere probatorio su di essa gravante l'accusa dimostri l'esistenza di circostanze obbiettive che avallino in modo concreto l'esistenza di una divergeva fra l'intestazione formale dei beni e la loro disponibilità effettiva Corte di cassazione, Sezione I penale, 15 novembre 2012, n. 44534 . Ritiene questa Corte che, con riferimento al caso in esame il Tribunale di Bari, con valutazione non implausibile, ha ritenuto che la prova della mera fittizetà della intestazione dei beni sequestrati alla società Italia Giochi, amministrata dall'odierno ricorrente, sia desumibile, oltre che dallo scarto fra il loro valore e l'ammontare dei redditi prodotti dalla predetta società, dalla circostanza, desunta dalle numerose intercettazioni ambientali e telefoniche, dal contenuto inequivocabile, eseguite a carico del F. , da cui emerge la posizione di effettiva direzione da parte di quest'ultimo in relazione alla gestione di tali beni. Né è risultata, dal tenore di tali intercettazioni, denotante invece una cordiale collaborazione fra i due, l'esistenza di quella posizione di sudditanza dello Z. nei confronti del F. , la cui mancata considerazione da parte del Tribunale di Bari forma oggetto del secondo motivo di impugnazione, tale da potere fare ritenere che la rilevata posizione di preminenza di quest'ultimo non sia frutto di un accordo esistente fra gli stessi in merito alla effettiva direzione della attività imprenditoriale ma derivi invece da indebite pressioni che lo stesso F. avrebbe esercitato, avvalendosi della sua posizione di esponente della criminalità organizzata, sull'odierno ricorrente. Questa Corte ritiene, pertanto, che, quanto meno nella presente fase cautelare, i predetti elementi, evidenziando una divergenza fra la titolarità formale dei beni in questione e la loro disponibilità sostanziale, escludono la assenza di motivazione della ordinanza impugnata e consentono certamente di giustificare la permanenza del sequestro operato sui beni formalmente intestati alla Italia Giochi srl, posto che, per converso, gli argomenti spesi dallo Z. in sede di ricorso per cassazione non mostrano affatto nel provvedimento cautelare stesso l'esistenza dei vizi motivazionali dedotti dai ricorrente, tali, secondo la prospettazione di questo, da determinare la mera apparenza della motivazione del provvedimento impugnato e, quindi, la sua adozione in violazione del principio, sancito dall'art. 125, comma 3, cod. proc. pen., secondo il quale i provvedimenti giurisdizionali aventi la forma della sentenza e della ordinanza debbono, a pena di nullità, essere motivati. Deve, in definitiva e per i motivi sopra illustrati, essere rigettata la impugnazione della ordinanza emessa dal Tribunale di Bari, con la derivante condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.