Il giudice non può aderire alla relazione peritale in maniera acritica e passiva

Nel caso in cui il giudice condivida le conclusioni del perito, relativamente all’impossibilità assoluta di una madre ad assistere la figlia in tenera età, dalla motivazione del provvedimento adottato deve emergere un’adesione non passiva, ma una riflessione critica frutto di un ragionato studio della fattispecie normativa e del caso concreto cui essa si riferisce.

Così ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 35806/15, depositata il 1° settembre. Il caso. Un indagato chiedeva la revoca, o in subordine, la sostituzione della custodia cautelare in carcere con una misura meno grave, sul fondamento che la moglie si trovava nell’impossibilità di prestare adeguata assistenza e cura alla figlia di età inferiore ai sei anni. Negata l’istanza, l’uomo proponeva impugnazione dinanzi al Tribunale di Reggio Calabria, in funzione di giudice dell’appello cautelare de libertate , il quale a sua volta la rigettava, aderendo alla valutazione del consulente tecnico che aveva accertato che la moglie non si trovava nell’assoluta impossibilità di prestare un’accettabile assistenza alla prole. Avverso tale decisione l’uomo ricorre per cassazione. Esigenze cautelari da esaminare caso per caso. La Suprema Corte ritiene che il ricorso sia fondato. È ormai consolidato che le esigenze cautelari vanno valutate caso per caso, evitando ogni automatismo collegato al titolo dei reati per i quali la custodia in carcere è disposta, salvo le ipotesi tassative di presunzione, peraltro semplice Cass., n. 110/12 . Bilanciamento di valori. Il legislatore ha deciso di far prevalere sull’art. 275, comma 3 c.p.p. Criteri di scelta delle misure , che prevede la custodia cautelare in carcere laddove si proceda per determinati reati, la norma di cui al comma 4 del medesimo articolo, il quale esclude l’applicabilità della custodia cautelare in carcere nei confronti di chi si trovi in situazioni particolari, tassativamente indicate dalla disposizione stessa, fatte sempre salve esigenze cautelari eccezionalmente rilevanti, legate a un elevato pericolo di recidiva. La disposizione contenuta nel suddetto comma 4 sottende dunque un bilanciamento di valori, in quanto sull’esigenza processuale di custodia carceraria viene fatta prevalere la tutela di altri interessi collegati ai diritti fondamentali della persona. Tra le situazioni soggettive che coinvolgono la protezione dei diritti fondamentali vi rientra anche quella concernente il padre di prole di età inferiore ai sei anni, qualora la madre sia deceduta o, come nel caso in esame, sia assolutamente impossibilitata a dare assistenza ai figli . Ratio della norma. La ratio che sottende tale norma riguarda la necessità di salvaguardare l’integrità psicofisica di bambini in tenera età, facendo prevalere le esigenze genitoriali ed educative su quelle cautelari. Di conseguenza, l’assoluta impossibilità pretesa dalla norma va interpretata non solo in riferimento ai soggetti tenuti a prestare assistenza, ossia i genitori, ma anche e soprattutto ai suoi destinatari, ossia i figli in tenera età legalmente inferiore ad anni sei , per i quali il deficit potrebbe pregiudicare gravemente e irreversibilmente il processo evolutivo-educativo, a causa della mancata e valida presenza di entrami i genitori. Conferma di tale interpretazione è rinvenibile nel divieto della misura cautelare intramurale per il padre anche nel caso in cui i minori possano essere affidati a famigliari disponibili o a pubbliche strutture Cass., n. 29355/14 . Necessità di una riflessione critica della relazione peritale. Il riferimento alla tutela dei diritti fondamentali è volto a ribadire che il giudice non può considerare la perizia svolta dal consulente tecnico come una prova legale, limitandosi a conformarsi in maniera acritica alle conclusioni del perito. Infatti, in più occasioni, la Suprema Corte ha asserito che, anche nell’ipotesi in cui il giudice accolga le conclusioni del perito, sebbene non tenuto a dimostrarne l’esattezza, dalla motivazione del provvedimento emesso deve risultare un’adesione non acritica e passiva, bensì una riflessione frutto di attento e ragionato studio della fattispecie normativa e della situazione concreta cui essa fa riferimento . Nel caso di specie, risulta che il giudice di merito abbia condiviso senza alcuna riflessione critica la perizia svolta, tra l’altro non sufficiente per risolvere la dimensione giuridica della vicenda, essendo necessario un esame complessivo della stessa. Per questi motivi, la Corte di Cassazione annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Reggio Calabria.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 23 giugno – 1 settembre 2015, numero 35806 Presidente Ippolito – Relatore Carcano Ritenuto in fatto 1.L. P. impugna l'ordinanza del Tribunale di Reggio Calabria, in funzione di giudice dell'appello cautelare de libertate, ha rigettato l'impugnazione proposta dallo stesso P. contro l'ordinanza di diniego di revoca o, in subordine, di sostituzione della custodia cautelare in carcere con altra misura meno afflittiva. Il Tribunale ha ritenuto la sussistenza del pericolo di reiterazione, riproducendo le stesse ragioni poste a fondamento dell'ordinanza dì diniego resa dal giudice per le indagini preliminare. Il Tribunale, con riferimento alla richiesta di applicazione dell'art. 275, comma 4, c.p.p. - giustificata dalla situazione famigliare dedotta da P. e, in particolare, essenzialmente dovuta all'impossibilità per la mogie di prestare la necessaria assistenza e cura alla figlia minore di età inferiore ad anni sei - ha preso in esame la consulenza medica sulle condizioni di salute e sulle sintomatologie di E. G. volte anche ad accertare la sussistenza di situazioni sanitarie di tale importanza da escludere che la stessa fosse nell'impossibilità assoluta di prestare un livello di assistenza sufficientemente accettabile ai figli e in particolare a Serena di età inferiore ai sei anni. Il consulente tecnico ha risposto che non vi tale assoluta impossibilità, e il Tribunale dopo avere riportato le conclusione della perizia, ha ritenuto di farle proprie. 2. Il ricorrente, dopo avere descritto la vicenda cautelare, deduce - vizio di motivazione sotto il profilo della mancanza, illogicità e contraddittorietà nella parte in cui il giudice d'appello ha confermato la sussistenza delle esigenze cautelari, riguardanti il pericolo di reiterazione delle condotte. Per il ricorrente le consulenze mediche effettuate sono dei tutto contraddittorie e prive di ogni logica giustificazione a sostegno delle conclusioni raggiunte. Le patologie dalle quali è affetta il coniuge E. G. non sono tali da assicurare alla figlia Serena di quattro anni adeguata assistenza. -Illogicità e carenza di motivazione della perizia redatta dal dr. I., il quale dopo un'accurata e articolato esame della documentazione sanitaria si è espresso in termini contrari all'insussistenza di patologie tal che impedissero a Elisabetta L. di prestare la necessaria assistenza alla figlia Serena. Considerato in diritto 1.I1 ricorso è fondato, sotto il profilo della mancanza di motivazione e nei termini di seguito indicati. Come noto, specificità, concretezza e attualità delle esigenze cautelari costituiscono ormai elementi di valutazione incontrovertibili che la Corte costituzionale ha ritenuto essere irrinunciabile dovere del giudice descrivere e valutare, escludendo ogni automatismo collegato al titolo dei reati per i quali la custodia è disposta, tranne per ipotesi tassative di presunzione , peraltro non assoluta C. cost. 21 luglio 2010, numero 265 12 maggio 2011, numero 164 22 luglio 2011 numero 131 2012 numero 110 . Ne discende che il giudice, sia nel momento in cui è chiamato a emettere la misura che in quello in cui è chiamato di riesaminare la correttezza dell'ordinanza emessa ovvero a valutare se la misura cautelare ab origine applicata risulti ancora adeguate alle esigenze da tutelare deve sempre esprimersi con specifico riferimento al caso concreto e, anzitutto, valutare se ricorrano le condizioni per adottare la misura richiesta sulla base di specifici elementi concreti e attuali richiesti dalla fattispecie processuale da applicare. 2. Per ineludibile scelta del legislatore, prevale, sulla norma di cui all'art. 275 comma 3 c.p.p., per la quale è imposta la custodia cautelare in carcere là dove si proceda per determinati reati, la disposizione di cui al quarto comma dello stesso articolo art. 275 c.p.p. disposizione che - e ciò ne conferma il rigore argomentativo imposto al giudice - esclude l'applicabilità della custodia cautelare in carcere nei confronti di chi versi nelle particolari condizioni, tassativamente indicate dalla norma stessa, sempre che non ricorrano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, ravvisabili là dove il pericolo di recidiva sia elevatissimo e tale da formulare una prognosi di sostanziale certezza che l'indagato, se sottoposto a misure di carattere extramurale, continuerebbe a commettere delitti. In tal contesto, assume un significato di particolare importanza il divieto di applicazione del misura cautelare carceraria nell'ipotesi prevista dall'art. 275, comma 4, c.p.p. e il bilanciamento di valori a esso sotteso, nel senso che sulla esigenza processuale della coercizione intramuraria debba prevalere la tutela di altri interessi, correlati ai fondamentali diritti della persona, imposti dall'art. 2 e 31 della Costituzione e cioè nella particolare tutela che il costituente riconosce all'infanzia. Le situazioni soggettive, coinvolgenti la tutela di diritti fondamentali, sono quelle riguardanti la madre di prole in età non superiore a sei anni con lei convivente, ovvero quella del padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza ai figli . La ratio della norma è, dunque, individuabile nella necessità di salvaguardare l'integrità psicofisica di soggetti in tenera età , dando prevalenza alle esigenze genitoriali ed educative su quelle cautelari. Ne discende che l'assoluta impossibilità , richiesta dalla norma, va letta e interpretata nel senso che essa non riguarda solo il soggetto chiamato a provvedere a dare assistenza , ma anche, e soprattutto, i destinatari di essa, cioè i figli di età inferiore a sei anni, nei cui confronti il deficit potrebbe compromettere in termini irreversibili il processo evolutivo-educativo, dovuto alla mancata, valida e efficace presenza di entrambi i genitori. Una prima conferma di tale assunto interpretativo è nell'affermazione del principio secondo cui il divieto della custodia carceraria per il padre - nonostante prevista nel caso in cui la madre sia in condizioni tali da non poter prestare assistenza ai minori e cioè caratterizzate dalla assoluta impossibilità dì dare assistenza alla prole - anche nel caso in cui i minori possano essere affidati a congiunti disponibili o a strutture pubbliche Sez. VI, 30 aprile 2014, dep.4 luglio 2014, numero 29355 .E ancora dall'ulteriore regula juris per la quale sussiste il divieto di disporre o mantenere la custodia in carcere, ai sensi dell'art. 275, comma 4, c. p. p., nei confronti di un imputato padre convivente di prole di età inferiore ai sei anni, qualora la madre sia impossibilitata a dare assistenza al bambino, versando in precarie condizioni di salute e dovendo provvedere anche alle necessità di altro figlio minorenne, portatore di una grave malattia Sez. I, 12 dicembre 2013, dep. 31 gennaio 2014, numero 4748 . In questo contesto normativo, le valutazioni dei giudice, anche con l'ausilio del perito, devono necessariamente avere come riferimento situazione concreta nella sua interezza su cui la custodia cautelare in carcere dei padre di prole di età inferiore a sei anni va incidere e il deficit complessivo che la fattispecie processuale in esame è volto a tutelare. 2.La disamina del quadro normativo di riferimento e la tutela dei diritti fondamentali convolti si è imposta per riaffermare che il giudice non può far assumere alla perizia il significato di prova legale , limitandosi a riportare pressoché integralmente, o nelle parti più significative, la relazione peritale e adeguandosi acriticamente alle conclusioni dei perito. Questa Corte di legittimità ha più volte affermato che, anche nel caso in cui il giudice accolga le conclusioni del perito, pur se non tenuto a dimostrane l'esattezza, dalla motivazione del provvedimento adottato deve emergere un'adesione non acritica e passiva, bensì una riflessione frutto di attento e ragionato studio della fattispecie normativa e della situazione concreta cui essa fa riferimento. Nel nostro caso, la dimensione giuridica della vicenda non avrebbe potuto essere risolta solo con la perizia, peraltro condivisa senza alcuna riflessione del collegio, per le ragioni già esposte che avrebbero richiesto un esame complessivo della vicenda. In particolare, gli aspetti - ben posti in rilievo nella relazione peritale e sui quali il giudice avrebbe dovuto esprimere le proprie valutazioni sulla compromissione in termini irreversibili del processo evolutivo-educativo della minore , con riferimento alla situazione complessiva sulla quale andava a incidere la custodia carceraria - sono racchiusi nelle conclusioni peritali. Tra i quali, due appaiono particolarmente significativi L'uno, è quello secondo cui non vi è alcun dubbio che la signora G. sia molto provata sul versante psicologico dagli aspetti clinico-prognostici della patologia oncologica, tenuto conto comunque che l'ultima PET -TAC del 20 giugno u.s. non ha evidenziato recidive della malattia che rimane pertanto in una fase di remissione l'altro, è quello degli accadimenti successivi, relativi al compagno del figlio P. [ rivelazione del figlio di essere stato abusato sessualmente da un cugino, quattordicenne vicino di casa ], abbiano ulteriormente messo a dura prova la sua già precaria condizione psicologica . Di non secondaria importanza sono gli altri aspetti riferibili agli interventi di sostegno dei famigliari e delle strutture pubbliche, che potrebbero mettere in crisi l'affermazione secondo cui il citato principio affermato da questa Corte, circa la ritenuta ininfluenza ai fini dei divieto della custodia in carcere l'intervento di terzi strutture pubbliche e famigliari , per i quali va chiarito in che termini siano decisivi o meno per la conclusione raggiunta dalla perizia e acriticamente accettata dal collegio. In conclusione, l'ordinanza impugnata va annullata e disposto il rinvio per nuova deliberazione al Tribunale di Reggio Calabria P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Reggio Calabria sezione provvedimenti sulla libertà .