Membro di un gruppo criminale, scisso in due clan e poi disintegratosi: vacilla la custodia in carcere

A uno straniero viene contestato di far parte di un’associazione di stampo mafioso, dedita, tra l’altro, al favoreggiamento e allo sfruttamento della prostituzione. Ma l’evoluzione dei rapporti all’interno del gruppo, spaccatosi in due clan, a loro volta dissoltisi, rende meno solide le fondamenta della misura cautelare applicata nei confronti dell’uomo.

Gruppo criminale imploso. Spaccatosi in due ‘clan’, poi, a loro volta, dissoltisi. ‘Fuggi fuggi’ generale, quindi, per i diversi componenti. Tale stato di cose giova proprio a uno degli ex membri dell’organizzazione, il quale vede messa in discussione la legittimità della misura cautelare – custodia in carcere, per la precisione – applicata nei suoi confronti Cassazione, sentenza n. 35776, sez. Feriale Penale, depositata oggi . Criminalità. Accuse pesanti nei confronti di un giovane straniero quest’ultimo è ritenuto componente di una associazione di stampo mafioso , finalizzata, tra l’altro, ai reati di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione . Consequenziale è la scelta del Tribunale del riesame di applicare la misura cautelare della custodia in carcere . Tale scelta viene duramente contestata dal legale del giovane. Chiara la linea difensiva sono fragili le esigenze cautelari – poggiate sulla relazione con il gruppo di stampo mafioso –, alla luce della disgregazione del gruppo e della rescissione di qualsiasi legame tra i diversi sodali . Scissione. Ebbene, ora, nel contesto della Cassazione, le obiezioni mosse dal legale vengono ritenute plausibili, anche tenendo presente una memoria ad hoc della Procura della Repubblica centrata sulla carenza degli elementi caratterizzanti l’associazione alla luce dell’art. 416 bis c.p Troppo generica, in sostanza, l’affermazione dei giudici del Tribunale del riesame, secondo cui, pur a fronte dello scioglimento del gruppo criminoso , era intatta la possibilità di un ripristino del sodalizio . Riferimento decisivo, per i giudici del ‘Palazzaccio’, è la memoria con cui viene evidenziato che le stesse fazioni sorte dalla scissione dell’associazione, risalente al novembre del 2012, si erano presto smembrate per conflitti interni . Evidente, quindi, la sostanziale disgregazione del gruppo . Ciò rende assai discutibile l’applicazione della custodia cautelare in carcere nei confronti del giovane straniero. Per questo, la vicenda viene riaffidata al Tribunale del riesame, laddove si dovrà tener conto delle visioni tracciate in Cassazione.

Corte di Cassazione, sez. Feriale Penale, sentenza 20– 28 agosto 2015, n. 35776 Presidente Fiandanese – Relatore Caputo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza n. 12528/15, la Sesta Sezione penale di questa Corte ha annullato l'ordinanza del 28/10/2014 con la quale il Tribunale di Ancona aveva respinto l'appello della difesa di S. I. L. e accolto quello del P.M. avverso l'ordinanza del Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Ancona in data 23/09/2014 con la quale era stata sostituita la misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari. In precedenza, con ordinanza del 24/02/2014, il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Ancona aveva disposto l'applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di S. I. L. in relazione alle imputazioni provvisorie di partecipazione ad associazione di stampo mafioso finalizzata, tra gli altri, ai reati di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione capo 1 , di lesioni capo 2 , di violazione di domicilio capi 4 e 5 , di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione di più donne capi 9 e 10 . Investito del giudizio di rinvio a seguito dell'annullamento disposto dalla citata sentenza n. 12528/15, il Tribunale del riesame di Ancona, con ordinanza deliberata il 21/04/2015, ha rigettato l'appello della difesa e ha accolto l'appello del P.M. ripristinando nei confronti di S. I. L. la misura cautelare della custodia in carcere. 2. Avverso l'indicata ordinanza dei 21/04/2015 dei Tribunale dei riesame di Ancona, ha proposto ricorso per cassazione S. I. L., attraverso il difensore avv. G. G., denunciando - nei termini di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen. - violazione di legge e difetto di motivazione in relazione agli artt. 274 e 275, comma 3, cod. proc. pen., 110, 416 bis cod. pen. e 7 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, nella l. 12 luglio 1991, n. 203 in relazione alla ritenuta permanenza e alla valutazione delle esigenze cautelare e alla sussistenza della presunzione di adeguatezza della custodia in carcere, risultando la motivazione dell'ordinanza impugnata incentrata sulla persistenza della relazione con il gruppo di stampo mafioso, senza tener conto della disgregazione del gruppo stesso, della rescissione di qualsiasi legame con i sodali, allontanatisi l'uno dall'altro, nonché alla analoga omissione di indicazioni in ordine ad elementi concreti e attuali giustificativi dell'intensità dell'esigenza cautelare , alla qualificazione del reato associativo e all'attribuibilità dello stesso al ricorrente e agli altri reati per analoga omissione di motivazione. L'ordinanza si dilunga sulle caratteristiche dell'organizzazione criminale di cui S. risulterebbe partecipe, ma è gravemente carente quanto alle condotte specificamente contestate al ricorrente, non indicando, anche con riferimento alla configurabilità dell'ipotesi associativa, le fonti di prova, facendo rinvio ad altri provvedimenti non conosciuti o conoscibili dalla difesa. L'ordinanza impugnata ha fatto riferimento all'accoglimento della prospettazione accusatoria da parte del G.U.P. di Ancona in una sentenza emessa nei confronti di coindagati, ma non si è confrontata adeguatamente con il contenuto della memoria della Procura della Repubblica quanto alla carenza degli elementi caratterizzanti l'associazione ex art. 416 bis cod. pen. L'ordinanza impugnata non ha motivato specificamente in ordine al superamento della presunzione di cui all'art. 275, comma 3, cod. proc. pen. in relazione allo scioglimento del gruppo criminoso, evidenziato dalla citata memoria, deducendo apoditticamente la possibilità di un ripristino del sodalizio. L'ordinanza impugnata non ha adeguatamente valutato gli ulteriori elementi addotti dalla difesa a sostegno del prospettato superamento della presunzione di pericolosità, pur dando atto dell'aspetto positivo rappresentato dal cambiamento dello stile di vita improntato al lavoro e alla famiglia, ed è viziata anche per il rinvio al contenuto dell'ordinanza del 24/03/2015, non coerente rispetto alle sue decisioni. Con riguardo alle esigenze cautelare connesse agli altri reati, l'ordinanza impugnata non ha dato risposta specifica alla richiesta di revoca o sostituzione limitandosi ad affermare immotivatamente che l'inclinazione a delinquere non può essere superata dai dati offerti dalla difesa. 3. Con memoria in data 01/08/2015, il difensore del ricorrente ha insistito nella richiesta di annullamento del provvedimento impugnato la valutazione compiuta dal Tribunale circa la qualificazione del fatto secondo l'originaria contestazione rinvia alle argomentazioni svolte in altri provvedimenti, laddove, in ordine alla presunzione ex art. 275, comma 3, cod. proc. pen., lo scioglimento dei vincolo associativo è stato dedotto dallo stesso p.m. e da pronunce di legittimità, mentre il provvedimento impugnato è in contrasto con la precedente ordinanza del 24/03/2015. Considerato in diritto Il ricorso deve essere accolto, nei termini di seguito indicati. La sentenza di annullamento aveva ad oggetto esclusivo il punto relativo all'adeguatezza della misura cautelare, sicché risultano infondate le censure riferibili alla sussistenza dei gravi indizi ex art. 273 cod. proc. pen. e delle esigenze cautelare. Sono invece fondate, nei termini di seguito indicati, le censure attinenti all'adeguatezza della misura coercitiva. La memoria dei P.M. diffusamente richiamata dalla sentenza di annullamento n. 12528/15, evidenzia che le stesse fazioni sorte dalla scissione dell'associazione risalente al novembre del 2012 si erano presto smembrate per conflitti interni, evidenziando quindi la sostanziale disgregazione dei gruppo. Il Tribunale del riesame registra la scissione in due fazioni, rilevando, tuttavia, come ciascuna di esse fosse composta da sodali rimasti a lungo uniti i quali, pertanto, potrebbero ricostituire un sodalizio autonomo, anche considerato che l'attività di cui si occupava il sodalizio si presta particolarmente allo svolgimento in forma associata, in quanto un organizzato controllo del territorio ne agevola lo svolgimento indisturbato. Nei termini indicati, sussiste il denunciato vizio di motivazione per un verso, infatti, l'ordinanza impugnata omette il puntuale confronto con la memoria indicata e, in particolare, con il rilievo in essa contenuto circa lo smembramento non solo dell'originaria associazione, ma anche delle due fazioni nate dalla scissione dei novembre del 2012 per altro verso, il giudizio sul quale fa leva il riferimento alla presunzione di cui all'art. 275, comma 3, cod. proc. pen. risulta ancorato a valutazioni meramente ipotetiche, prive, quindi, della necessaria correlazione con elementi specificamente afferenti al caso concreto. Pertanto, assorbite le ulteriori doglianze sul punto in questione, l'ordinanza impugnata deve essere nuovamente annullata quanto all'adeguatezza della misura cautelare, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Ancona. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame, con integrale trasmissione degli atti, al Tribunale di Ancona, sezione per il riesame delle misure coercitive.