L’inammissibilità della richiesta può essere dichiarata “de plano”, ma solo se…

In tema di procedimento di sorveglianza, il decreto di inammissibilità per manifesta infondatezza può essere emesso de plano , ai sensi dell'art. 666, comma 2, c.p.p., soltanto quando la richiesta sia identica, per oggetto e per elementi giustificativi, ad altra già rigettata ovvero difetti delle condizioni poste direttamente dalla legge, e sempre che la relativa statuizione non implichi alcun giudizio di merito e apprezzamento discrezionale.

Lo ha ribadito la sez. I Penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 34256, depositata il 5 agosto 2015. I principi generali in tema di impugnazioni La giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente stabilito che è ammissibile l'impugnazione, pur irritualmente proposta presso la cancelleria del giudice ad quem anziché presso la cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, come disposto dall'art. 582 c.p.p. , allorquando venga poi rimessa nei termini di legge presso la cancelleria dell'ufficio del giudice competente a riceverla. La Suprema Corte ha altresì precisato che il giudice che proceda alla conversione di un mezzo di impugnazione non consentito, in mezzo di impugnazione consentito, ai sensi dell'art. 568, comma 5, c.p.p., non ha anche il potere di dichiarare la inammissibilità del mezzo stesso, spettante, invece, al solo giudice competente per l'impugnazione. ed i reclami al magistrato di sorveglianza. Recentemente il d.l. n. 146/2013, recante Misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria G.U. n. 300 del 23 dicembre 2013 ha innovato la materia dei reclami al magistrato di sorveglianza, sia per quanto riguarda il reclamo c.d. generico art. 35 ord. pen. che soprattutto per quanto concerne il reclamo giurisdizionale art. 35- bis sino ad ora privo di riconoscimento normativo ma operante nella prassi per effetto degli interventi della Corte costituzionale cfr. Corte Cost. n. 26/1999 . Tale reclamo è oggi proponibile sia contro i provvedimenti di natura disciplinare adottati dall'amministrazione penitenziaria, sia in caso di inosservanza da parte dell'amministrazione di disposizioni penitenziarie dalla quale derivi al detenuto o all'internato un attuale e grave pregiudizio all'esercizio dei diritti . Ove sia accertata la sussistenza del pregiudizio e la sua attualità, il giudice ordina all'amministrazione penitenziaria di porre rimedio” spostamento del detenuto in altra cella o trasferimento in altro istituto , con possibilità di attivare un giudizio di ottemperanza presso lo stesso magistrato, nel caso di mancata esecuzione del provvedimento . Il giudice ha il potere di nominare un commissario ad acta dichiarare nulli gli eventuali atti dell'amministrazione che si pongano in violazione o elusione del provvedimento rimasto ineseguito determinare la somma dovuta al detenuto a titolo di riparazione, con il limite massimo di 100 euro per giorno. Con la sentenza in esame, la sez. I Penale ha condivisibilmente stabilito che il provvedimento che il giudice dell'esecuzione assume de plano , senza fissazione dell'udienza in camera di consiglio, fuori dei casi espressamente stabiliti dalla legge, è affetto da nullità di ordine generale e a carattere assoluto, rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento, che, se accertata in sede di legittimità, comporta l'annullamento senza rinvio della decisione impugnata. La fattispecie rilevante nella giurisprudenza della CEDU. La sentenza in commento richiama, seppur marginalmente, anche la violazione dell'art. 3 CEDU, e dunque i trattamenti degradanti dei detenuti nelle carceri italiane. In una delle proprie decisioni, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha ritenuto che, per il ricorrente, detenuto nel carcere romano di Rebibbia, avere a disposizione solo 2,70 metri quadrati aveva causato disagi e inconvenienti quotidiani, costringendolo a vivere in uno spazio molto esiguo, di gran lunga inferiore alla superficie minima ritenuta auspicabile dal CPT Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti . Sebbene non sia possibile fissare in maniera certa e definitiva lo spazio personale che deve essere riconosciuto all'interno delle singole celle a ciascun detenuto ai termini della Convenzione – aveva affermato la Corte – la mancanza evidente di spazio personale costituisce violazione dell'art. 3 CEDU. In una decisione del 2013, la CEDU ha invece avuto modo di accertare il carattere strutturale e sistemico della situazione carceraria italiana, ed ha adottato una sentenza ‘pilota', sospendendo tutti i ricorsi dei detenuti italiani aventi ad oggetto il riconoscimento di analoga violazione e concedendo allo Stato italiano un anno dal passaggio in giudicato della decisione per adottare le misure necessarie ossia istituire un ricorso o un insieme di ricorsi interni effettivi ed idonei ad offrire una riparazione del danno adeguata e sufficiente in caso di sovraffollamento carcerario.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 12 giugno – 5 agosto 2015, n. 34256 Presidente Cortese – Relatore Mazzei Ritenuto in fatto 1. Con provvedimento del 14 aprile 2014 il Magistrato di sorveglianza di Alessandria ha dichiarato inammissibile il reclamo proposto, ai sensi degli artt. 35-bis e 69, comma 6, legge 26 luglio 1975, n. 354, da O.N. , detenuto nella casa di reclusione di Alessandria. A ragione della decisione il Magistrato ha sostenuto O. , con atto manoscritto del 2 aprile 2014, aveva lamentato l'inosservanza da parte dell'amministrazione penitenziaria delle disposizioni previste dalla legge di ordinamento penitenziario e relativo regolamento, per insufficienti dimensioni della cella di allocazione, carenza di servizi igienici, inadeguate condizioni di aerazione e illuminazione, mancanza di offerta trattamentale funzionale al reinserimento sociale e inidoneità del servizio sanitario a presidio delle sue compromesse condizioni di salute. Le prime tre doglianze erano manifestamente infondate nel merito la cella, avente una superficie lorda di 10,80 mq., al netto dell'ingombro dei soli arredi fissi come precisato dalla giurisprudenza di legittimità citata sentenza n. 5728 del 2014 , garantiva a ciascuno dei due occupanti uno spazio di 4,76 mq. ben superiore alla misura di 3 mq. prò capite, ritenuta dalla giurisprudenza della Cedu causa Torreggiani contro Italia la soglia al di sotto della quale il trattamento deve ritenersi inumano le disposizioni in tema di servizi igienici, di cui all'articolo 7 del regolamento penitenziario supponevano un bagno collocato in un vano annesso alla camera di detenzione e non erano, perciò, riferibili ai bagni sistemati all'interno della cella, come quello del reclamante, con riguardo ai quali l'articolo 134, comma 2, del medesimo regolamento prevede soltanto che essi, fino alla loro soppressione, debbano comunque consentire un'utilizzazione rispettosa delle esigenze di riservatezza le condizioni di aerazione e illuminazione della cella rispettavano la disposizione di cui all'articolo 6, comma 2, del regolamento poiché la finestra esistente, larga circa 1 m. e alta circa 1,20 m., consentiva il passaggio diretto di luce ed aria naturali tenuto conto della superficie della cella 10,80 mq. e del limitato numero dei suoi occupanti due persone . Le ultime due doglianze, poi, in tema di inadeguatezza del trattamento rieducativo e del servizio sanitario, erano assolutamente indeterminate e generiche e, quindi, manifestamente infondate per motivi formali. In diritto, la disposizione di cui all'articolo 666, comma 2, cod. proc. pen., espressamente richiamata in tema di reclamo giurisdizionale per il rinvio agli artt. 666 e 678 cod. proc. pen. operato dall'articolo 35-bis, comma 1, Ord. Pen., deve essere interpretata, secondo il Magistrato di sorveglianza, come comprensiva di tutti i casi in cui il reclamo proposto ai sensi dell'articolo 69, comma 6, Ord. Pen., sia manifestamente infondato non solo per ragioni formali ma anche per ragioni di merito, come nel caso di specie. Tale interpretazione, pur non condivisa dalla giurisprudenza di legittimità, deve ritenersi più conforme alla lettera e alla finalità della norma di cui all'articolo 666, comma 2, cod. proc. pen., che è quella di evitare il procedimento in contraddittorio, con dispendio di tempi e mezzi, in tutti i casi in cui le domande si profilino immediatamente, anche nel merito, prive di fondamento, ed è più rispettosa del valore costituzionale della ragionevole durata del processo, sancito dall'articolo 111, comma secondo, Cost In sintesi, secondo il Magistrato di sorveglianza, in tutti i casi nei quali l'infondatezza della domanda si palesi immediatamente, sia per difetto delle condizioni di forma sia per mancanza delle condizioni di merito, senza richiedere valutazioni discrezionali o approfondimenti istruttori, è legittima la dichiarazione de plano di inammissibilità, come del resto previsto dalla giurisprudenza processuale civile e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione Europea citata sentenza n. 309 del 1988, caso Barra contro Belgio . 2. Avverso tale provvedimento ha proposto reclamo al Tribunale di sorveglianza di Torino il detenuto O. personalmente, il quale ha lamentato che il Magistrato, con riguardo ai pretesi vizi di merito, non avrebbe dovuto pronunciarsi senza esperire previamente le necessarie verifiche ed accertamenti, all'esito dei quali sarebbe emerso che i letti presenti nella cella sono fissi e, conseguentemente, il loro ingombro avrebbe dovuto essere scomputato dalla superficie minima disponibile per ciascun detenuto, in conformità della citata giurisprudenza di legittimità sentenze n. 5728 del 2014 e n. 42901 del 2013 . Le condizioni di detenzione, contrariamente all'assunto del Magistrato, non rispetterebbero le disposizioni dell'Ord. Pen. articolo 6 e del Reg. Pen. artt. 6 e 7 e, neppure, le norme penitenziarie Europee di cui agli artt. 18.1 e 18.2 della Raccomandazione REC 2006 2 del Comitato dei Ministri agli Stati membri, oltre ad essere in contrasto con il divieto di trattamenti inumani e degradanti sancito dall'articolo 3 della Cedu. 3. Il Presidente del Tribunale di sorveglianza adito, con decreto del 27 agosto 2014, rilevato che O. aveva proposto un mezzo di gravame diverso da quello prescritto, giacché contro il provvedimento di inammissibilità del Magistrato di sorveglianza, l'articolo 666, comma 2, cod. proc. pen. prevede solo il ricorso per cassazione, mentre il reclamante aveva esplicitamente manifestato la volontà di esperire un rimedio non consentito dalla legge, ha dichiarato l'inammissibilità del reclamo. 4. Avverso il decreto presidenziale ha proposto ricorso per cassazione O. personalmente, il quale lamenta l'illegittimità del provvedimento, richiamando la disciplina del reclamo in materia di sovraffollamento delle carceri di cui al recente d.l. 26 giugno 2014, n. 92, e lamentando il vizio di motivazione della dichiarata inammissibilità. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato, al di là del richiamo al ius superveniens rispetto all'originario reclamo proposto, costituito dal d.l. 26 giugno 2014, n. 92, convertito, con modificazioni, nella legge 11 agosto 2014, n. 117, recante disposizioni urgenti in materia di rimedi risarcitori in favore dei detenuti e degli internati che hanno subito un trattamento in violazione dell'articolo 3 della convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Il Presidente del Tribunale di sorveglianza, limitandosi ad un generico rinvio alla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale è inammissibile l'impugnazione proposta con un mezzo di gravame diverso da quello prescritto, quando dall'esame dell'atto si tragga la conclusione che la parte impugnante abbia effettivamente voluto ed esattamente denominato il mezzo di impugnazione non consentito dalla legge Sez. 2, n. 47051 del 25/09/2013, Ercolano, Rv. 257481 Sez. 6, Sentenza n. 7182 del 02/02/2011 Beltrami Rv. 249452, Sez. U, n. 16 del 26/11/1997, dep. 1998, Nexhi, Rv. 209336 , ne ha dichiarato illegittimamente l'inammissibilità. E, invero, non avendo l'interessato manifestato alcuna volontà di investire esclusivamente il Tribunale di sorveglianza della sua impugnazione avverso il provvedimento di inammissibilità emesso dal Magistrato di sorveglianza, come si ricava dalla lettura dell'originario atto di impugnazione completamente trascurata nel provvedimento presidenziale, il medesimo atto avrebbe dovuto essere riqualificato come ricorso per cassazione, ai sensi dell'articolo 35-bis legge 26 luglio 1975, n. 354 abbreviata in Ord. Pen. , aggiunto dall'articolo 3, comma 1, lett. b , d.l. 23 dicembre 2013, n. 146, convertito, con modificazioni, nella legge 21 febbraio 2014, n. 10. Tale articolo, rubricato come reclamo giurisdizionale , in tema di procedimento relativo al reclamo di cui all'articolo 69 Ord. Pen., comma 6, lett. a e b , come sostituito dall'articolo 3, comma 1, lett. i , n. 2 , d.l. n. 146 del 2013, cit., dispone che esso si svolge ai sensi degli artt. 666 e 678 cod. proc. pen In particolare, salvi i casi di manifesta inammissibilità della richiesta a norma dell'articolo 666, comma 2, cod. proc. pen., il Magistrato decide all'esito di udienza in contraddittorio delle parti ricorrente, difensore e amministrazione interessata , ai sensi dell'articolo 35-bis, commi 1 e 3, Ord. Pen., e avverso la sua decisione è ammesso reclamo al Tribunale di sorveglianza, come previsto dal successivo comma 4 del medesimo articolo. Ove, invece, il Magistrato di sorveglianza dichiari l'inammissibilità della richiesta ai sensi dell'articolo 666, comma 2, cod. proc. pen., il rinvio a quest'ultima norma operato dall'articolo 35-bis, comma 1, Ord. Pen. impone come rimedio impugnatorio il ricorso per cassazione e non il reclamo al Tribunale di sorveglianza. Conseguentemente, nel caso di specie, l'impugnazione proposta dal detenuto contro il provvedimento di inammissibilità del Magistrato di sorveglianza avrebbe dovuto essere riqualificata come ricorso per cassazione, in adesione all'insegnamento giurisprudenziale secondo il quale, allorché un provvedimento giurisdizionale sia impugnato dalla parte interessata con un mezzo di gravame diverso da quello legislativamente prescritto, il giudice che riceve l'atto deve limitarsi, a norma dell'articolo 568, comma 5, cod. proc. pen., a verificare l'oggettiva impugnabilità del provvedimento, nonché l'esistenza di una voluntas impugnationis , consistente nell'intento di sottoporre l'atto impugnato a sindacato giurisdizionale, e quindi trasmettere gli atti, non necessariamente previa adozione di un provvedimento giurisdizionale, al giudice competente Sez. U, n. 45371 del 31/10/2001, Bonaventura, Rv. 220221 conformi Sez. 5, n. 21581 del 28/04/2009, Mare, Rv. 243888 Sez. 1, n. 33782 del 08/04/2013, Arena, Rv. 257117 Sez. 5, n. 7403 del 26/09/2013, dep. 2014, Bergantini Rv. 259532 . Ciò significa che il giudice ha il potere-dovere di provvedere all'appropriata qualificazione del gravame, privilegiando rispetto alla formale apparenza la volontà della parte di attivare il rimedio all'uopo predisposto dall'ordinamento giuridico ed eventualmente, se si tratta della Corte di cassazione, ritenere il giudizio qualificando l'impugnazione come ricorso, a norma degli artt. 620, lett. i , e 621 cod. proc. pen. Sez. 4, n. 5291 del 22/12/2003, dep. 2004, Stanzani, Rv. 227092 . Nel caso in esame, quindi, va annullato senza rinvio il provvedimento del Tribunale che si è limitato a dichiarare inammissibile l'impugnazione del detenuto O. avverso il provvedimento del Magistrato di sorveglianza dichiarativo di inammissibilità del reclamo da lui proposto, a norma dell'articolo 69, comma 6, lett. b , Ord. Pen., in tema di inosservanza da parte dell'amministrazione delle disposizioni previste dalla legge di ordinamento penitenziario e relativo regolamento con riguardo alle condizioni generali di detenzione e la medesima impugnazione, ai sensi dell'articolo 35-bis, comma 1, Ord. Pen. che espressamente richiama l'articolo 666, comma 2, cod. proc. pen., va riqualificata come ricorso per cassazione e subito esaminata in questa sede. Viene, dunque, all'attenzione della Corte l'iniziale provvedimento di inammissibilità del Magistrato di sorveglianza, che, come si è anticipato, postula l'equiparazione tra condizioni di inammissibilità formali e condizioni di inammissibilità sostanziali del reclamo. Ritiene, in proposito, la Corte che il criterio discretivo della legittima declaratoria di inammissibilità de plano, a norma dell'articolo 666, comma 2, cod. proc. pen., espressamente richiamato dall'articolo 35-bis, comma 2, Ord. Pen., non risieda nella distinzione, osteggiata nel provvedimento impugnato, tra manifesta infondatezza per difetto dei presupposti formali della domanda e manifesta infondatezza per insussistenza dei requisiti sostanziali di essa, essendo le une e le altre condizioni previste dalla legge, che, ove palesemente carenti, giustificano l'inammissibilità della domanda, quanto piuttosto nella palmare evidenza di tali difetti nel senso che il loro accertamento non deve richiedere alcun giudizio di merito e apprezzamento discrezionale, né implicare la soluzione di questioni controverse si confrontino, in linea con l'orientamento qui espresso Sez. 1, n. 35045 del 18/04/2013, Giuffrida, Rv. 257017 Sez. 1, n. 277 del 13/01/2000, Angemi, Rv. 215368 Sez. 1, n. 2058 del 29/03/1996, Silvestri, Rv. 204688 Sez. 3, n. 2886 del 3/11/1994, Sforza, Rv. 200724 . Laddove, invece, non sia rilevabile ictu oculi l'infondatezza della domanda, il decreto di inammissibilità rischierebbe di soppiantare l'ordinanza camerale di rigetto in tutti i casi, anche complessi e delicati, di mancato accoglimento della richiesta, con evidente violazione dei diritti di contraddittorio e di difesa previsti dai commi terzo e quarto dell'articolo 666 cod. proc. pen Nel caso in esame, ferma l'assoluta genericità, immediatamente rilevabile, della denuncia di inadeguatezza dell'offerta trattamentale e di inidoneità del servizio sanitario interno, dallo stesso testo del provvedimento del Magistrato di sorveglianza risulta che la declaratoria di inammissibilità del reclamo, in tema di condizioni generali di detenzione per insufficienza delle dimensioni della cella, inadeguatezza dei servizi igienici e delle condizioni di aerazione ed illuminazione, non procede dall'immediata evidenza dell'infondatezza delle doglianze del detenuto. Il Magistrato di sorveglianza, infatti, per confutare l'assunto del reclamante, adotta un diverso calcolo della superficie utile della cella rispetto a quello proposto dal detenuto, considerando lo spazio disponibile al netto solo di determinati arredi armadio a muro, cucina et similia , e non anche al netto dell'ingombro dei letti da ritenersi inamovibili secondo il ricorrente e non annoverati, invece, nel mobilio fisso da parte del Magistrato ancora, l'assenza di servizi igienici collocati in un vano separato annesso alla camera di detenzione, in violazione dell'articolo 7 d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230 regolamento penitenziario , non è negata dal Magistrato di sorveglianza, ma superata col richiamo a disposizione transitoria del regolamento articolo 134 , che, dopo aver disposto nel termine di cinque anni dall'entrata in vigore del medesimo regolamento, già ampiamente decorso, la ristrutturazione dei servizi igienici sistemati all'interno della camera di detenzione, quale è quello fruito dal detenuto, prescrive nel frattempo la loro utilizzazione con le opportune condizioni di riservatezza, che il Magistrato, peraltro implicitamente non avendolo espressamente rilevato, ritiene assicurate infine, anche l'affermata manifesta infondatezza dell'inadeguatezza delle condizioni di aereazione e illuminazione della cella è fondata, nel provvedimento impugnato, sulla valutazione del Magistrato circa la congruità delle dimensioni della finestra rispetto alla superficie totale della cella e al numero dei suoi occupanti. Si tratta, con ogni evidenza, di considerazioni implicanti giudizi di merito e apprezzamenti discrezionali non consentiti nel provvedimento di inammissibilità, emesso ai sensi dell'articolo 666, comma 2, cod. proc. pen., senza fissare l'udienza camerale e, quindi, eludendo il procedimento in contraddittorio previsto dall'articolo 666, commi 3 e 4, cod. proc. pen., interamente richiamato dall'articolo 35-bis Ord. Pen. in tema di reclamo proposto a norma dell'articolo 69, comma 6, Ord. Pen Ciò determina la nullità di ordine generale e assoluto, rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del procedimento, del provvedimento del Magistrato di sorveglianza assunto de plano, senza fissazione dell'udienza in camera di consiglio, fuori dei casi espressamente stabiliti dalla legge tale nullità, accertata in sede di legittimità, comporta l'annullamento senza rinvio della decisione impugnata Sez. 1, n. 41754 del 16/09/2014, Cherni, Rv. 260524 Sez. 3, n. 11421 del 29/01/2013, Prediletto, Rv. 254939 Sez. 1, n. 37527 del 07/10/2010, Casile, Rv. 248694 . 2. In accoglimento del ricorso, va dunque disposto un doppio annullamento senza rinvio il primo con riguardo al decreto del Presidente del Tribunale di sorveglianza di Torino, ex articolo 666, comma 2, cod. proc. pen., di inammissibilità dell'atto di impugnazione proposto dal detenuto, riqualificato come ricorso per cassazione e immediatamente deciso in questa sede il secondo con riguardo al provvedimento di inammissibilità del Magistrato di sorveglianza di Alessandria sull'originario reclamo proposto dal detenuto a norma dell'articolo 69, comma 6, lett. b , Ord. Pen., con la conseguente trasmissione degli atti allo stesso Magistrato di sorveglianza per l'ulteriore corso, nel rispetto del procedimento in contraddittorio delle parti previsto dall'articolo 666, commi 3 e 4, cod. proc. pen P.Q.M. Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato nella parte in cui ha omesso di riqualificare il reclamo come ricorso per cassazione e, per l'effetto opera tale riqualificazione e, decidendo sul ricorso così riqualificato, annulla senza rinvio il provvedimento 14/04/2014 del Magistrato di sorveglianza di Alessandria, cui dispone trasmettersi gli atti per l'ulteriore corso, previa fissazione dell'udienza camerale.