Riconoscono falsamente una firma, ma la perizia grafica li inchioda: oltre la pena, la condanna a risarcire la parte civile

Soggetto danneggiato da una falsa testimonianza resa in un procedimento civile, quindi legittimata a costituirsi parte civile nel processo penale, è la società convenuta nel giudizio civile che abbia dimostrato di aver subito, quale conseguenza eziologica, un danno patrimoniale o non patrimoniale.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione nella sentenza n. 33996, depositata il 3 agosto 2015. Il caso. I due imputati erano parenti ed erano stati condannati per falsa testimonianza dalla Corte d’appello investita dell’impugnazione avverso la sentenza di assoluzione di primo grado, come sollecitata dalla parte civile, dal Procuratore Generale e dal Procuratore della Repubblica. La Corte territoriale condannava i due imputati alla pena della reclusione un anno e quattro mesi e al risarcimento dei danni alla parte civile la società convenuta nel procedimento civile nel quale avevano reso testimonianza , rimettendone quantificazione e liquidazione al giudice civile. Testimoni in causa civile. Segnatamente gli imputati erano accusati di aver deposto il falso davanti al giudice civile, dove avevano affermato di riconoscere come propria la firma apposta in un contratto di affitto di fondo rustico. La consulenza grafica, disposta dal Tribunale, tuttavia, aveva dimostrato la falsità del riconoscimento, in quanto la grafia era riconducibile ad un’unica e diversa mano rispetto a quella dei testimoni. Diritto autonomo o interesse di fatto? La causa civile aveva ad oggetto il retratto agrario di un fondo. La cugina degli imputati, attrice nel suddetto procedimento, procedeva convenendo in giudizio una società a responsabilità limitata. Secondo la difesa degli imputati, questi erano titolari di un autonomo diritto di prendere parte alla causa, come interventori, e non di un mero interesse di fatto, sicché per tale via, avrebbero dovuto essere dichiarati incapaci”. In effetti, il primo giudice penale aveva assolto gli imputati perché giudicati non punibili ai sensi del comma 2 dell’art. 384 c.p., perché portatori di un interesse di fatto nella causa civile promossa dalla cugina. La non punibilità. In realtà, come evidenzia la Corte territoriale, la punibilità è esclusa se la falsa testimonianza” è resa da chi per legge non avrebbe dovuto essere richiesto di fornire informazioni ai fini delle indagini o assunto come testimonio, perito, consulente tecnico o interprete ovvero non avrebbe potuto essere obbligato a deporre o comunque a rispondere o avrebbe dovuto essere avvertito della facoltà di astenersi dal rendere informazioni, testimonianza, perizia, consulenza o interpretazione. La falsa testimonianza commessa in procedimento civile. La Corte di Cassazione, investita del ricorso da parte degli imputati avverso la sentenza di condanna pronunciata dalla Corte d’appello, precisa i confini interpretativi richiesti, con particolare riguardo alla testimonianza resa in procedimento civile. La Corte richiama il costante orientamento secondo cui la punibilità della falsa testimonianza commessa in procedimento civile non può essere esclusa in presenza di interesse di mero fatto non sorretto da posizione di diritto sostanziale giuridicamente tutelabile deve ricorrere l’interesse che rende il soggetto incapace” a deporre, e cioè un interesse giuridico, personale, concreto e attuale a proporre una domanda e a contraddire, sia sotto l’aspetto di una legittimazione primaria che secondaria, mediante intervento adesivo indipendente. Indimostrata la legittimazione autonoma. Gli imputati sostenevano che la cugina avrebbe agito contro la società in qualità di titolare dell’impresa agricola familiare e per questo ritenevano di essere titolari di autonomo diritto che li avrebbe legittimati ad intervenire nella procedura civile nella quale rendevano testimonianza, con l’effetto che non avrebbero potuto essere sentiti quali testimoni. Tuttavia – evidenzia la Corte di legittimità – gli imputati non avevano dimostrato né la titolarità da parte dell’attrice dell’impresa familiare né la circostanza della loro partecipazione all’impresa stessa. Risulta pertanto indimostrato che non avrebbero dovuto essere assunti come testimoni siccome legittimati in via autonoma o adesiva. Nessun richiamo alla facoltà di astensione dei prossimi congiunti nel processo civile. La norma del codice di procedura civile che richiama le disposizioni del codice di rito penale si riferisce unicamente alla facoltà di astensione per segreto professionale, segreto d’ufficio o segreto di Stato, non richiamando anche la facoltà di astensione dal rendere deposizione prevista dal codice di procedura penale per i prossimi congiunti dell’imputato pertanto, anche il motivo teso ad evidenziare questo errore in cui sarebbe incorso il giudice di merito è giudicato infondato. Chi è la parte civile del reato di falsa testimonianza? Il reato di falsa testimonianza si presta a chiarire le differenze tra persona offesa dal reato e danneggiato. Solo quest’ultimo, come noto, può costituirsi parte civile nel processo penale contro l’imputato. La persona offesa può farlo solo quando, contemporaneamente, ricopra anche tale qualità. Persona offesa del reato di falsa testimonianza è esclusivamente lo Stato il reato protegge il bene giuridico costituito dal corretto svolgimento dell’attività giudiziaria. Senonché, alla commissione del reato può conseguire un danno patrimoniale o non patrimoniale che obbliga il colpevole al risarcimento ai sensi dell’art. 185 c.p. Tale risarcimento spetta al soggetto danneggiato che abbia riportato un danno causalmente riferibile all’azione od omissione del soggetto attivo del reato, a condizione che il soggetto danneggiato abbia esercitato l’azione civile all’interno del processo penale. Pertanto, corretta è stata l’ammissione della società convenuta nel processo civile quale parte civile.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 24 giugno – 3 agosto 2015, n. 33996 Presidente Milo – Relatore Fidelbo Ritenuto in fatto 1. Con la decisione in epigrafe indicata la Corte d'appello dell'Aquila, in riforma della sentenza emessa il 25 maggio 2012 dal Tribunale di Teramo, appellata dalla parte civile, dal procuratore generale e dal procuratore della Repubblica, ha dichiarato L. e G.F. colpevoli del reato di falsa testimonianza, condannando entrambi alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita. Ai due imputati era stato contestato di avere deposto il falso nel corso del giudizio civile dinanzi al Tribunale di Teramo, affermando di riconoscere come propria la firma apposta in un contratto di affitto di fondo rustico, firme di cui la consulenza grafica disposta avrebbe dimostrato la falsità, in quanto riconducibili ad una unica e diversa mano. Il giudice di primo grado aveva assolto gli imputati perché non punibili a norma dell'art. 384 comma 2 c.p., mentre la Corte d'appello ha ritenuto insussistente la causa di non punibilità, in quanto portatori di un mero interesse di fatto nella causa civile promossa dalla cugina M. F., escludendo che potessero avere la facoltà di astenersi. 2. Entrambi gli imputati hanno proposto distinti ricorsi per cassazione, per mezzo del medesimo difensore di fiducia, deducendo gli stessi motivi che di seguito si riassumono. 2.1. Con il primo motivo si assume che nella causa civile di retratto agrario, l'attrice M. F. ha agito contro la società Pappafico s.r.l. in qualità di titolare di un'impresa agricola familiare, sicché gli imputati non erano titolari di un mero interesse di fatto, ma di un autonomo diritto a prendere parte alla causa, in quanto legittimati ai sensi dell'art. 203-bis c.c., con la conseguenza che ad essi deve essere riconosciuta l'esimente prevista dall'art. 384 comma 2 c.p. 2.2. Con il secondo motivo si deduce l'erronea applicazione dell'art. 249 c.p.c., nella formulazione vigente all'epoca della testimonianza, che richiama gli artt. 351 e 352 c.p.p. e, indirettamente, l'art. 199 c.p.p. secondo cui i prossimi congiunti non sono obbligati a deporre e il giudice deve avvisarli della facoltà di astenersi. Nella specie entrambi gli imputati erano prossimi congiunti della parte attrice L. F. è il cugino G.F. lo zio e nessuno dei due è stato avvisato della facoltà di potersi astenere, sicché, anche sotto questo profilo, avrebbe dovuto trovare applicazione l'esimente di cui al secondo comma dell'art. 384 c.p. 2.3. Con il terzo motivo si denuncia la illogicità della motivazione in relazione alla insussistenza dell'elemento soggettivo del reato. 2.4. Con l'ultimo motivo si reitera la richiesta di estromissione della parte civile, società Pappafico s.r.l., trattandosi di reato in cui persona offesa è solo lo Stato collettività e non anche il privato. Considerato in diritto 1. Con riferimento al primo motivo deve premettersi che questa Corte ha in più occasioni affermato che la punibilità della falsa testimonianza commessa in una causa civile non può essere esclusa, ai sensi dell'art. 384 comma 2 c.p. in presenza di un interesse di mero fatto, non sorretto da una posizione di diritto sostanziale giuridicamente tutelabile, ma solo quando ricorra l'interesse che rende una persona incapace a deporre a norma dell'art. 246 c.p.c. deve cioè trattarsi di un l'interesse giuridico personale, concreto e attuale a proporre una domanda e a contraddire, sia sotto l'aspetto di una legittimazione primaria, sia sotto quello di una legittimazione secondaria, mediante intervento adesivo indipendente Sez. 6, n. 45311 del 8/11/2011, Di Biase Sez. 6, n. 49542 del 11/11/2014, F. . Nel caso in esame, i ricorrenti hanno sostenuto che M. F. avrebbe agito in qualità di titolare di una impresa agricola familiare e per questo hanno affermato di essere titolari di un autonomo diritto che li avrebbe legittimati a prendere parte alla causa civile nella quale hanno reso testimonianza. Tuttavia, hanno omesso di dare dimostrazione sia della titolarità da parte della attrice dell'impresa familiare, sia del fatto, rilevante, della loro partecipazione all'impresa familiare, sicché non vi sono elementi per ritenere che non avrebbero dovuto essere assunti come testimoni ai sensi dell'art. 246 c.p.c. 2. Del tutto infondato è anche il secondo motivo di ricorso. Nel ricorso si sostiene, erroneamente, che il richiamo contenuto nell'art. 249 c.p.c. - nella formulazione precedente alle modifiche intervenute con la legge n. 69 del 2009 - agli artt. 351 e 352 si riferisca alle disposizioni del codice di procedura del 1988, aventi ad oggetto le sommarie informazioni assunte dalla polizia giudiziaria e le perquisizioni, sostenendo che attraverso tali richiami si possa giungere a ritenere che trovi applicazione anche la previsione di cui all'art. 199 c.p.p. Si tratta di una interpretazione che non trova alcuna giustificazione, in quanto l'art. 249 c.p.c., nella formulazione antecedente alle modifiche dei 2009, si riferiva agli artt. 351 e 352 c.p.p. del 1930, prevedendo che in materia di audizione dei testimoni si applicassero le disposizioni sulla facoltà di astensione previste in tali disposizioni, aventi ad oggetto il segreto professionale e di ufficio e il segreto di Stato. A seguito delle modifiche apportate all'art. 249 c.p.c. con la citata legge n. 69 del 2009, sono stati aggiornati i richiami alle disposizioni dei codice di procedura dei 1988, menzionando i nuovi artt. 200, 201 e 202 c.p.p., riproponendo le medesime ipotesi di astensione dei testimone, in quanto anche tali articoli hanno ad oggetto il segreto professionale, quello di ufficio e il segreto di Stato. Ciò premesso, deve osservarsi che la Corte d'appello dell'Aquila ha correttamente richiamato la giurisprudenza di legittimità secondo cui non può essere applicata l'esimente di cui all'art. 384 c.p. all'imputato del delitto di falsa testimonianza per dichiarazioni rese nell'ambito di un giudizio civile, in quanto nel giudizio civile l'art. 249 c.p.c. si riferisce solo alla facoltà di astensione per il segreto professionale, per il segreto d'ufficio e per il segreto di stato, non richiamando anche la disposizione di cui all'art. 199 c.p.p. che attiene alla facoltà di astenersi dal deporre dei prossimi congiunti dell'imputato Sez. 6, n. 49542, del 11/11/2014, F. . Peraltro, giova sottolineare come un tale orientamento sia stato affermato dalla giurisprudenza della Corte di cassazione anche prima delle modifiche apportate dalla legge n. 69 del 2009 all'art. 249 c.p.c. Sez. 6, n. 42977 del 29/9/2003, Regoli . 3. Con il terzo motivo si deducono, attraverso il vizio di motivazione, questioni che attengono al merito, in particolare alla valutazione dell'elemento soggettivo dei reato, su cui la sentenza ha offerto giustificazioni logiche e coerenti, che in quanto tali non possono essere censurate in sede di legittimità. 4. Manifestamente infondato è, infine, il quarto motivo con cui si lamenta la mancata estromissione della parte civile. I ricorrenti confondono la posizione della persona offesa con quella del danneggiato da reato. E' vero che nel reato di falsa testimonianza la parte offesa è esclusivamente lo Stato tuttavia ciò non toglie che da tale reato possa derivare un danno patrimoniale o non patrimoniale, che obblighi il colpevole al risarcimento a norma dell'art. 185 c.p. Infatti, legittimato all'esercizio dell'azione civile nel processo penale non è solo il soggetto passivo del reato, ma anche il danneggiato che abbia riportato un danno eziologicamente riferibile all'azione od omissione dei soggetto attivo del reato. Su queste basi la Corte d'appello ha riconosciuto la sussistenza di un danno cagionato alla parte civile costituita e ha, correttamente, rimesso la quantificazione e liquidazione del danno al giudice civile. 5. In conclusione, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla cassa delle ammende di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo quantificare nella misura di euro 1.000,00 inoltre, gli stessi imputati devono essere condannati anche alla rifusione delle spese sostenute in questo grado dalla parte civile, società Pappafico s.r.l., liquidate in complessivi euro 3.000 oltre I.V.A. e C.P.A. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quella della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute in questo grado dalla parte civile Pappafico s.r.l., liquidate in complessivi euro 3.000 oltre I.V.A. e C.P.A.