Il VPO può avanzare richieste cautelari anche in assenza di specifica delega

I giudici di legittimità hanno ribadito un principio da tempo consolidato in materia, e affermato dalle Sezioni Unite nel 2011, secondo cui in tema di delega conferita dal procuratore della Repubblica al vice procuratore onorario e al magistrato ordinario in tirocinio per lo svolgimento delle funzioni di Pubblico Ministero, devono considerarsi come non apposte le condizioni o restrizioni non previste dalla legge ivi eventualmente inserite, delle quali, quindi, il giudice non deve tenere alcun conto.

Questo è quanto emerso nella sentenza della Corte di Cassazione n. 33914, depositata il 3 agosto 2015. Richiesta di applicazione di una misura cautelare personale. Da tale principio, com’è noto, si è così dedotto che la delega conferita dal procuratore della Repubblica al vice procuratore onorario e al magistrato ordinario in tirocinio per lo svolgimento delle funzioni di Pubblico Ministero nella udienza di convalida dell’arresto o del fermo comprende la facoltà di richiedere l’applicazione di una misura cautelare personale Cass. SSUU n. 13716/2011 . La ragione di tale impostazione, ribadita nella sentenza de qua , è stata sostanzialmente fondata sul fatto che l’atto di delega non crea un rapporto di dipendenza tra delegato e delegante, di modo che il delegato può sempre agire in piena autonomia non solo esterna ma anche interna all’ufficio ex art. 53 comma 1 c.p.p. con la possibilità di avere le medesime prerogative processuali proprie della funzione del pubblico ministero, tra le quali vi rientra quella di avanzare istanze cautelari. Alla luce di tali principi la Corte non ha potuto che dichiarare inammissibile il ricorso averso il provvedimento di conferma dell’ordinanza cautelare emessa a seguito di direttissimo sulla scorta di una domanda avanzata in udienza da un VPO, posto che ogni lamentela in merito ai poteri cautelari di quest’ultimo doveva ritenersi come del tutto priva di fondamento alla stregua della giurisprudenza appena citata. Se la decisione in questione appare, dunque, quasi del tutto scontata, non pare inutile, tuttavia, vista la particolarità della materia, comprendere le ragioni delle lagnanze sul punto, lagnanze non del tutto improprie visto che in ogni caso è stato necessario un intervento delle Sezioni Unite per decidere la questione di diritto di cui si tratta. Chi può chiedere un provvedimento restrittivo? Il tutto verte sulla natura della delega in questione, ma più di tutto sulla possibilità che i provvedimenti restrittivi della libertà personale possano essere stimolati da soggetti che non fanno a pieno titolo parte dell’autorità giudiziaria. Nel conflitto tra i due interessi pubblici tutelati dalle norme processuali penali, quando la volontà della legge non imponga espressamente la prevalenza dell’uno sull’altro, questa deve essere riconosciuta all’interesse relativo alla libertà individuale V. Manzini, Trattato di diritto processuale penale, ed. 1931 . Così si scriveva in tempi in cui vigevano idee buie per i diritti umani e per le libertà fondamentali. Un tale assunto non può non valere ed a maggior ragione in contesti costituzionali fondati sul rispetto della dignità e libertà dell’uomo. Nella sentenza qui in commento, si comprendono le ragioni pratiche del principio di diritto enunciato. Non si condividono, tuttavia, né le implicazioni di sistema né il pericolosissimo iter argomentativo. Il VPO è organo ausiliario del pm e come tale va trattato. Si può discutere se a tale figura devono essergli attribuiti maggiori poteri di iniziativa. Ma tutto ciò non autorizza lassismi in tema di tutela della libertà personale. Dubbi sulla delega. E’ di solare evidenza che la delega generica e generalizzata al VPO a partecipare ad udienze anche di convalida, se può semplificare la procedura amministrativa d’investitura e può giustificarsi nei confronti di soggetti che hanno fornito adeguate prove di affidabilità”, mal si concilia con le necessità di garanzia che ancora sussistono nel nostro sistema processuale penale. Quando si chiede l’applicazione di una sofferenza, anche se nei confronti di soggetti miserabili, vi è necessità di ponderazione e critica e, soprattutto, di analisi specifica del caso. Il contesto normativo sul punto autorizza, seppur indirettamente, prassi lassiste, laddove le indicazioni di cui all’art. 121 disp. att. c.p.p. non vengano rispettate. L’arrestato è portato spesse volte innanzi al giudice in stato di ristrettezza, senza che il pm sappia compiutamente del caso o, per meglio dire, senza che lo conosca nei minimi dettagli, tanto da non potersi determinare, in tutta scienza e coscienza, sulla necessità della custodia cautelare o di altra misura coercitiva. Non potendo o volendo comparire in udienza e non avendo liberato il ristretto, il pubblico ministero dovrebbe comunque dare indicazioni sulla libertà di quello arg. ex art. 390, comma 3 bis , c.p.p. . Date le formalità richieste, le strette tempistiche, il carico di lavoro dell’ufficio e la conoscenza non sempre approfondita del caso è del tutto ovvio che convenga inviare il VPO di turno affinché consideri la situazione mediante l’audizione degli operanti e dell’indagato, magari alla luce di una non banale arringa difensiva. Non è impropria, quindi, la partecipazione del VPO all’udienza di convalida né è di per sé censurabile che questi abbia la possibilità di richiedere, con una certa discrezionalità, l’applicazione di misure cautelari, espressamente auspicata dal pubblico ministero. Ma se tutto ciò è inevitabile, vista l’attuale situazione ordinamentale ed organizzativa della giustizia italiana, è pur vero che il tutto va comunque incanalato entro margini di legalità e soprattutto di responsabilità istituzionale. Il pm è il solo soggetto che può avanzare in via autonoma istanze cautelari. Egli può delegare tale suo potere, ma non in senso generico, implicito e in via generale ed astratta. La delega cautelare, insomma, può esserci ma va data chiaramente per il singolo procedimento e a quello specifico VPO. Qui deleghe in bianco, oltre ad inquietare gli animi amanti delle libertà, sono un vero non senso costituzionale. In fondo, quel che maggiormente rattrista è il prendere atto dell’emergere dell’idea, purtroppo sempre più presente e forte nel nostro ordinamento processuale penale, secondo cui, benché tutto sia forma, le forme sono per lo più inutili, sicché si deve procedere sempre più alla loro semplificazione. Ma una tale aspirazione, applicata alle limitazioni della libertà, alla lunga conduce all’annientamento delle garanzie. Si può, anzi si deve semplificare, ma senza compromettere valori e principi. Ammessa l’autonomia cautelare del VPO, sol perché vi è una delega generica per partecipare ad udienza non solo di convalida, considerato altresì che la sua applicazione, in violazione dell’art. 72, comma 3, ord. giud., a procedimenti diversi da quelli semplici” a citazione diretta non determina alcuna nullità vedi, tra le tante, Cass. Pen. n. 21350/2007 , sarà giocoforza ammettere che il VPO potrà in qualunque processo avanzare istanze cautelari, purché in udienza, in aggiunta a quelle già eventualmente proposte, fuori udienza, dal pubblico ministero oppure in contrasto con le determinazioni di quest’ultimo. Il che pone delicati profili per eventuali conflitti tra poteri o competenze con il pm. Essendo il tutto frutto di considerazioni giurisprudenziali, nell’epoca nostra sempre più instabili, non è improprio auspicare un salutare ripensamento, anche se una tale speranza è allo stato alquanto vana e non prossima al realizzarsi. Ma il punto non sconforta. Dopo tutto, non avvilire valori non è mai inutile, seppur costi tanta fatica non solo intellettuale difenderli a spada tratta.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 23 giugno – 3 agosto 2015, n. 33914 Presidente Siotto – Relatore Centonze Rilevato in fatto 1. Con ordinanza emessa il 16/02/2015 il Tribunale del riesame di Bari confermava l'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Tribunale di Bari, in composizione monocratica, nei confronti di P.O. il 31/01/2015, per la detenzione di una pistola con matricola abrasa marca CZ modello 83 calibro 9 browning, con un caricatore completo di tre cartucce e ulteriori ventidue cartucce del medesimo calibro, che gli veniva contestata ai capi A , B e C , che si assumeva accertata a omissis . Questi accertamenti conseguivano alla perquisizione eseguita, ai sensi dell'art. 41 T.U.L.P.S., presso l'abitazione del P. , ubicata a omissis , dove l'arma veniva trovata occultata all'interno di scatola di scarpe appartenente all'indagato, che si trovava posizionato dentro un armadietto. Al momento del rinvenimento il P. riferiva testualmente Quella pistola è mia, l'ho rinvenuta per strada e l'ho riposta in quello scatolo senza che i miei familiari sapessero nulla”. A seguito di tale ritrovamento, il pubblico ministero titolare del fascicolo processuale chiedeva la convalida dell'arresto in flagranza di reato eseguito dalla Squadra Mobile di Bari, richiedendo contestualmente la celebrazione del giudizio direttissimo e l'applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti dell'arrestato il tribunale emittente il provvedimento di convalida, invece, applicava al P. la misura della custodia in carcere, su conforme richiesta del vice procuratore onorario di udienza, che chiedeva la più grave misura effettivamente applicata. Nelle more, il giudizio di primo grado, celebrato in conseguenza del giudizio direttissimo con il quale si procedeva nei confronti del P. , veniva definito con la condanna dell'imputato. Sulla base di tali elementi processuali il provvedimento impugnato veniva confermato. 2. Avverso tale ordinanza P.O. , a mezzo dell'avv. Vito Giulitto, ricorreva per cassazione, deducendo violazione di legge, in relazione agli artt. 291 cod. proc. pen. e 162, disp. att., cod. proc. pen Si deduceva, in particolare, che il Tribunale di Bari, in composizione monocratica, aveva emesso un provvedimento eccedente, per gravità, la misura cautelare richiesta dal pubblico ministero, violando in tal modo il principio consolidato in seno alla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale, in sede di convalida dell'arresto in flagranza di reato con contestuale richiesta di giudizio direttissimo, il vice procuratore onorario di udienza dispone di un'autonomia valutativa limitata ed esclusivamente rilevante in senso favorevole all'indagato, in una direzione processuale speculare e inversa a quella riscontrabile nel caso di specie. Nel caso in esame, inoltre, non erano ravvisabile elementi probatori, nuovi o differenti, rispetto a quelli posti a fondamento della richiesta di convalida e contestuale giudizio direttissimo, dal quale traeva origine il presente procedimento penale. Queste ragioni processuali imponevano l'annullamento dell'ordinanza impugnata. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. In via preliminare, deve rilevarsi che il vice procuratore onorario svolge funzioni di carattere sussidiario rispetto all'esercizio delle funzioni giurisdizionali requirenti, così come stabilito dall'art. 7 del d.lgs. 20 febbraio 2006, n. 106, che ha modificato l'art. 72 Ord. Giud In questa cornice normativa, occorre ulteriormente evidenziare che l'art. 71 Ord. Giud. prevede che la delega possa essere rilasciata al vice procuratore onorario soltanto per le funzioni giurisdizionali espressamente menzionate nel successivo art. 72, il quale, a sua volta, indica che tale atto debba essere conferito nominativamente. Sulle modalità di conferimento della delega, inoltre, l'art. 162, comma 1, disp. att. cod. proc. pen. prevede che tale atto sia conferito per iscritto, con annotazione su un apposito registro e che sia esibita in dibattimento. Infine, da quando sono state ampliate le funzioni giurisdizionali del vice procuratore onorario, si deve intendere che tale soggetto processuale debba esibire la delega in tutte le udienze alle quali partecipa, allo scopo di consentire al giudice procedente di verificarne la regolarità. Il comma 2 del citato art. 162 stabilisce ulteriormente che la delega nel giudizio direttissimo può essere conferita anche per la partecipazione alla contestuale convalida, analogamente a quanto avveniva per l'udienza di convalida del 31/01/2015, della cui celebrazione si controverte. 2. Fatta questa indispensabile premessa deve rilevarsi che la questione dell'autonomia del vice procuratore onorario che partecipa all'udienza di convalida dell'arresto in flagranza di reato con contestuale richiesta di giudizio direttissimo, che costituisce l'oggetto della doglianza sollevata nell'interesse del P. , deve essere risolta alla luce dall'orientamento di legittimità consolidatosi sul punto, a seguito dell'intervento delle Sezioni unite, che hanno affermato, con specifico riferimento al contenuto della delega di funzioni prevista dall'art. 162 bis, disp. att. cod. proc. pen., il seguente principio di diritto In tema di delega conferita dal procuratore della Repubblica al vice procuratore onorario e al magistrato ordinario in tirocinio per lo svolgimento delle funzioni di Pubblico Ministero, devono considerarsi come non apposte le condizioni o restrizioni non previste dalla legge ivi eventualmente inserite, delle quali, quindi, il giudice non deve tenere alcun conto” cfr. Sez. U, n. 13716 del 24/02/2011, Faithi, Rv. 249032 . Tale posizione ermeneutica deve essere integrata dal riferimento all'ulteriore principio di diritto affermato dalle stesse Sezioni unite nell'ambito interpretativo sottoposto alla sua cognizione, secondo cui La delega conferita dal procuratore della Repubblica al vice procuratore onorario e al magistrato ordinario in tirocinio da almeno sei mesi per lo svolgimento delle funzioni di Pubblico Ministero nella udienza di convalida dell'arresto o del fermo, nei rispettivi ambiti stabiliti dall'art. 72, comma secondo, lett. b , ord. giud., comprende la facoltà di richiedere l'applicazione di una misura cautelare personale” cfr. Sez. U, n. 13716 del 24/02/2011, Faithi, Rv. 249031 . Ne discende che, nelle ipotesi che si stanno considerando, il vice procuratore onorario di udienza, anche quando deve assumere posizioni processuali di particolare rilevanza, non ha il dovere di confrontarsi preventivamente con il pubblico ministero togato che ha richiesto la convalida dell'arresto e che le eventuali indicazioni del soggetto delegante non possono ritenersi vincolanti nei confronti del soggetto delegato. Né potrebbe essere diversamente, atteso che il rappresentante del pubblico ministero deve essere indipendente non solo verso l'esterno, ma anche all'interno del suo ufficio, con la conseguenza che deve potersi determinare liberamente sulla base degli sviluppi e delle risultanze acquisite nel corso dell'udienza alla quale prende parte. Questa autonomia, non essendo riscontrabile alcuna previsione di segno contrario, dunque, trova applicazione anche rispetto al magistrato onorario e la circostanza che l'atto di delega non crei un rapporto di dipendenza tra delegato e delegante e che anche il primo agisca in piena autonomia in udienza secondo il disposto dell'art. 53, comma 1, cod. proc. pen., è stata ribadita dalla Corte costituzionale con la sentenza 26 giugno 1990, n. 333. Ne consegue che la funzione del pubblico ministero - indipendentemente dal fatto che si riferisca a un magistrato togato ovvero a un magistrato onorario - non può che implicare le medesime prerogative processuale di autonomia e indipendenza nella partecipazione all'udienza. Ne discende conclusivamente che il Tribunale del riesame di Bari, rigettando la richiesta di riesame presentata nell'interesse del P. , ha fatto buon governo dei principi applicabili in relazione alle prerogative processuali che dovevano essere riconosciute al vice procuratore onorario che aveva partecipato all'udienza di convalida del 31/01/2015, della cui sola legittimità si doleva la difesa del ricorrente. 3. Per queste ragioni, il ricorso proposto nell'interesse di P.O. deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in 1.000,00 Euro, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di 1.000,00 Euro alla Cassa delle Ammende. Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell'istituto penitenziario, ai sensi dell'art. 94, comma 1 ter, disp. att., cod. proc. pen