La confisca per equivalente può estendersi anche ai beni futuri

In tema di confisca per equivalente, non è necessaria la specifica individuazione dei beni oggetto di ablazione. Accertato il profitto o il prezzo del reato per il quale essa è consentita, la confisca potrà avere ad oggetto non solo beni già individuati nella disponibilità dell’imputato, ma anche beni che in detta disponibilità si rinvengano o comunque entrino successivamente al provvedimento di confisca, fino alla concorrenza dell’importo determinato.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con sentenza n. 33765/15, depositata il 30 luglio. Il caso. Il gip del Tribunale di Venezia applicava ad un uomo, ai sensi degli artt. 444 e ss. c.p.p., la pena concordata tra le parti in relazione ai reati a lui ascritti di corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio e abuso d’ufficio, disponendo contestualmente la confisca del denaro, dei beni e di ogni altra utilità di cui l’imputato risulti titolare anche per interposta persona fino alla concorrenza di 2 milioni di euro, quale prezzo dei reati previsti dall’art. 319 c.p. Corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio . Avverso la sentenza, propone ricorso per cassazione l’imputato, con due distinti atti di ricorso. Ai primi quattro motivi di ciascuno dei due distinti atti di ricorso il ricorrente ha rinunciato, Il quinto motivo di ricorso di entrambi gli atti di ricorso, invece, verte sulla confisca ex art. 322 ter c.p. avente ad oggetto denaro, beni ed altre utilità fino alla concorrenza dell’importo di 2 milioni di euro pari al prezzo del reato di cui all’art. 319 c.p. Denaro si tratta di confisca diretta. Gli Ermellini precisano innanzitutto che con riferimento al denaro, si tratta di confisca diretta. La recente giurisprudenza delle Sezioni Unite, infatti, ha chiarito che se il prezzo o il profitto del reato è costituito da denaro, la confisca delle somme di cui il soggetto abbia comunque la disponibilità deve essere qualificata come confisca diretta a fronte della particolare natura del bene, infatti, non occorre la prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della confisca e il reato. Pertanto, secondo i Giudici di Piazza Cavour, se il profitto o il prezzo del reato è rappresentato da una somma di denaro, questa si confonde automaticamente con le altre disponibilità economiche dell’autore del fatto, per il solo fatto di essere divenuta un’appartenenza del reo. Non avrebbe alcun senso, né economicamente né giuridicamente, accertare se la massa monetaria percepita quale profitto o prezzo dell’illecito sia stata spesa, occultata o investita, poiché il solo fatto che le disponibilità monetarie del percipiente siano accresciute di quella somma legittima la confisca in forma diretta del relativo importo, ovunque o presso chiunque custodito nell’interesse del reo. Non serve la dimostrazione del nesso di pertinenzialità per la confisca per equivalente. La confisca per equivalente, invece, applicata nel caso di specie in relazione ai beni ed altre utilità, è una misura sanzionatoria alternativa alla confisca diretta del profitto del reato, che consente l’ablazione di beni di cui il colpevole ha la disponibilità, per un valore corrispondente a detto profitto, qualora i beni che costituiscono tale profitto non siano direttamente confiscabili, affinché il pubblico agente non possa trarre un indebito vantaggio dalle difficoltà che l’autorità dovesse incontrare nell’individuare i beni che sarebbero destinati alla confisca diretta. Sul punto, il Supremo Collegio ha ricordato che costituisce ius receptum che la confisca obbligatoria prevista dall’art. 322 ter c.p. anche per equivalente non necessita di alcuna dimostrazione sul nesso di pertinenzialità tra delitto e cose da confiscare, essendo sufficiente la perpetrazione del reato. Le Sezioni Unite n. 31617/2015 , infatti, hanno chiarito che la natura sanzionatoria della confisca di valore deriva dal fatto che è l’imputato, in quanto autore dell’illecito, che viene ad essere direttamente colpito nelle proprie diponibilità economiche, e non la cosa in quanto derivante dal reato, cosicché il collegamento tra la confisca ed il prezzo o profitto del reato viene ad essere misurato solo da un meccanismo di equivalenza economica proprio tale natura esclude qualsiasi nesso di pertinenzialità col reato, rappresentandone, per l’appunto, soltanto la conseguenza sanzionatoria. La confisca può riguardare anche i beni futuri. Pertanto, prosegue il Supremo Collegio, per delineare i confini patrimoniali all’interno del quale deve essere soddisfatto il debito sanzionatorio, va affermato il principio di diritto secondo il quale in tema di confisca per equivalente non è necessaria la specifica individuazione dei beni oggetto di ablazione. Accertato il profitto o il prezzo del reato per il quale essa è consentita, la confisca potrà avere ad oggetto non solo beni già individuati nella disponibilità dell’imputato, ma anche quelli che in detta disponibilità si rinvengano o comunque entrino successivamente al provvedimento di confisca, fino alla concorrenza dell’importo determinato . Alla luce del principio sopra enunciato, la Corte ha ritenuto le censure mosse alla confisca dall’imputato prive di fondamento, e, pertanto, ha rigettato il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 23 – 30 luglio 2015, n. 33765 Presidente Agrò – Relatore Capozzi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 28.11.2014 il G.I.P. del Tribunale di Venezia ha applicato a C.R. , ai sensi dell'art. 444 e ss. cod. proc. pen. la pena concordata tra le parti in relazione ai reati a lui ascritti di cui ai capi 5 , 6 e 8 artt. 81 cpv., 110, 319 e 321 cod. pen. del procedimento originariamente con n. 12236/12 NR nonché al capo 20 artt. 323 commi 1 e 2, 81, comma 2, 110 cod. pen. di quello n. 3677/12, disponendo contestualmente la confisca del denaro, dei beni, ed ogni altra utilità di cui l'imputato risulti titolare anche per interposta persona fino alla concorrenza di Euro 2.000.000,00 quale prezzo dei reati previsti dall'art. 319 cod. pen 2. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo dei difensori, con due distinti atti di ricorso. 3. Con atto a firma dell'avv. Luigi STORIONI si deduce 3.1. Violazione ai sensi dell'art. 606 lett. b cod. proc. pen. in relazione alla qualificazione dei fatti nell'ambito della fattispecie di cui all'art. 319 cod. pen. in assenza di collegamento tra le dazioni di denaro al C. con uno specifico atto di ufficio del medesimo essendo, invece, le prime destinate al fine di poter contare - alla bisogna - sul predetto Assessore. Né potendo, ovviamente, rientrare nel novello art. 318 cod. pen., successivo a tutti i fatti per i quali si procede o, almeno, per quelli anteriori alla entrata in vigore della legge 190/2012. 3.2. Violazione ed erronea applicazione dell'art. 319 cod. pen. e 129 cod. proc. pen. carenza e contraddittorietà della motivazione sul punto. La sentenza ometterebbe totalmente di motivare sia in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi dei reati di corruzione contestati agli imputati come pure rivelerebbe evidenti contraddizioni a proposito ed alla loro riferibilità al ricorrente. Quanto al primo aspetto, il rinvio per relationem alla ordinanza applicativa della misura cautelare emessa dal GIP di Venezia il 31.5.2014 è censurabile in quanto esprime la rinuncia ad una autonoma doverosa valutazione e motivazione da parte del Giudice e non tenendo conto dei rilievi formulati dalla difesa. Né tale censurabile lacuna può ritenersi superata dai successivi riferimenti alle attività intercettive e dalla menzione di talune dichiarazioni che prescinde dal loro contenuto e dalle censure difensive circa la loro inaffidabilità ed inconcludenza. Inoltre, nessuna motivata indicazione degli atti di ufficio o contrari ai doveri di ufficio e del nesso sinallagmatico tra dazioni e atti si rinviene nella sentenza, essendo - a fronte dell'addebito correlato alla carica di assessore a partire dal 2005 - gli unici atti individuati i pareri della commissione di salvaguardia già presieduta da GALAN e della commissione VIA la cui ultima decisione intervenne il 28 gennaio 2005. Dal che ne sarebbe dovuto discendere una pronunzia liberatoria ai sensi dell'art. 129 cod. proc. pen 3.3. Violazione ed erronea applicazione degli artt. 318, 319 e 157 e ss. cod. pen. e 129 cod. proc. pen. carenza di motivazione sul punto. I fatti commessi fino al 31 maggio/4 giugno 2008 dovevano essere dichiarati estinti per intervenuta prescrizione, essendo il primo atto interruttivo costituito dalla ordinanza di custodia cautelare che ha attinto il ricorrente emessa il 31.5.2014, eseguita il 4.6.2014 . 3.4. Violazione ed erronea applicazione degli artt. 110, 323 cod. pen. e 129 cod. proc. pen. carenza e contraddittorietà della motivazione sul punto, essendo stato affermato in relazione al capo 20 il concorso del C. nel comportamento illegittimo altrui sulla base di una copertura politica” che non individua né una condotta né una efficienza causale rispetto al fatto tipico. Inoltre, non risulterebbe specificata quale norma di legge sia stata violata, pur necessaria ai fini della configurabilità del reato in questione. 3.5. Violazione dell'art. 322ter cod. proc. pen. nonché 157 cod. pen. e 129 cod. proc. pen. carenza e contraddittorietà della motivazione sul punto. Il profitto stimato è frutto di una valutazione dichiaratamente sommaria ed approssimativa, che già vizia la motivazione della sentenza. Inoltre, il Giudice non ha considerato che gran parte dei reati sono estinti per prescrizione, dei quali non può tenersi conto ai fini della determinazione dell'importo da sottoporre a confisca per equivalente. 4. Con atto a firma dell'avv. Antonio FORZA si deduce 4.1. Violazione dell'art. 444 comma 2 cod. proc. pen., contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla qualificazione giuridica dei fatti ai sensi dell'art. 319 cod. pen Il richiamo del Giudice alla sentenza della Corte di cassazione del 25.9.2014 sostanzia una motivazione apparente rispetto all'obbligo di controllo demandatogli dall'ordinamento circa la correttezza della imputazione rispetto ai fatti ai quali si riferisce, non essendo stati individuati gli atti ai quali l'esercizio delle funzioni del C. si riferivano ed ai quali le dazioni di denaro erano correlate. Donde il C. sarebbe responsabile solo secondo il novellato art. 318 c.p., successivo ai fatti per i quali si procede. In ogni caso, il C. - quale assessore della Regione Veneto - non avrebbe esercitato alcuna funzione o poteri ascrivibili ad un assessore in favore del Consorzio Venezia Nuova e l'ultimo atto amministrativo collegiale reso dalla Regione vento nell'ambito della progettazione del MOSE risale al 28.1.2005, quando il ricorrente non era ancora assessore, e risultando tutte le altre determinazioni in ordine al progetto assunte dalle amministrazioni dello Stato, a livello centrale. Cosicché le pretese dazioni, al più, integrerebbero altre fattispecie di reato e, più precisamente, a quelle di finanziamento illecito. 4.2. Violazione degli artt. 444 e ss., 125, 129 e 533 comma 1 cod. proc. pen. vizio della motivazione per contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione sotto il profilo dell'assenza dei presupposti di proscioglimento ai sensi dell'art. 129 cod. proc. pen. con particolare riferimento al capo 5 della imputazione. Il rinvio per relationem alle precedenti decisioni in sede cautelare sarebbe fallace in quanto non terrebbe conto delle ulteriori allegazioni dell'accusa e della difesa, del tutto ignorate dal Giudice, non considerando che diverso è lo standard probatorio richiesto in sede cautelare rispetto a quello che può fondare una pronuncia di responsabilità. 4.3. Violazione degli artt. 125, 546 e 192 comma 3 cod. proc. pen., vizio della motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità del ricorrente al di là di ogni ragionevole dubbio. Travisamento delle fonti di prova con riferimento alle dichiarazioni accusatorie di M.C. , B.P. e MA.Gi. , la cui attendibilità è sorretta da censurabili motivazioni in diritto, laddove non illogica e contraddittoria, quando non carente rispetto ai rilievi difensivi. Inoltre, insussistenti sarebbero i riscontri esterni individualizzanti. 4.4. Violazione dell'art. 323 c.p. in relazione all'art. 444 comma 2 c.p.p. mancanza, contraddittorietà ovvero manifesta illogicità della motivazione delle fonti di prova. 4.5. Violazione dell'art. 322 ter cod. proc. pen., mancanza, contraddittorietà ovvero manifesta illogicità della motivazione in ordine alla quantificazione del valore dei beni confiscati. Non si comprenderebbe attraverso quale ragionamento il Giudice sia pervenuto alla quantificazione dell'importo del profitto, né su quali beni la misura sia da eseguire, al di là dell'importo sul conto corrente sequestrato. La prospettiva secondo la quale la confisca sarebbe destinata a beni dei quali il ricorrente acquisirà la disponibilità disattende il parametro della pertinenzialità al reato del profitto. Rimarrebbe, infine, vaga ed incerta l'effettività applicativa della misura, apparendo una sorta di delega in bianco al soggetto che dovrà eseguirla. 5. Con requisitoria scritta il P.G. ha chiesto il rigetto del ricorso in relazione alle questioni relative alla qualificazione giuridica dei fatti, richiamando la conclusione della vicenda cautelare. Si è rimesso alla Corte quanto alla questione relativa alla prescrizione di parte della condotta contestata con ogni conseguenza in punto di determinazione del quantum soggetto a confisca. 6. I difensori del ricorrente con memoria depositata il 13.7.2015 replicano alla requisitoria del P.G. osservando che nessuna considerazione ha avuto la proposizione del quinto motivo di entrambi i ricorsi relativo alla violazione dell'art. 322ter cod. pen. e al difetto di motivazione in ordine alla quantificazione del valore sul quale operare la confisca che si atteggerebbe, nella specie, come misura applicabile anche a beni futuri dei quali il ricorrente venisse a maturare la disponibilità e ben oltre quello sottoposto a sequestro, in violazione dell'obbligo di analitica indicazione dei beni da sottoporre a confisca. 7. Con successivo atto depositato il 16.7.2015 lo stesso ricorrente dichiara di rinunciare ai primi quattro motivi di entrambi gli atti di ricorso, insistendo in ordine al solo rispettivo quinto motivo relativo alla violazione ed erronea applicazione dell'art. 322ter cod. pen Considerato in diritto Il ricorso è infondato. 1. I primi quattro motivi di ciascuno dei due distinti atti di ricorso sono inammissibili per la intervenuta rinuncia ai medesimi da parte del ricorrente. 2. Il quinto motivo di entrambi gli atti di ricorso è infondato. 3. Si verte, nella specie, sulla confisca ex art. 322 ter cod. pen. avente ad oggetto denaro, beni ed altre utilità fino alla concorrenza dell'importo di 2.000.000,00 di Euro pari al prezzo del reato di cui all'art. 319 cod. pen 4. Quanto al denaro si tratta di confisca diretta. Come ha chiarito la recentissima sentenza emessa da S.U. n. 31617/2015, Lucci qualora il prezzo o il profitto derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme di cui il soggetto abbia comunque la disponibilità deve essere qualificata come confisca diretta in tal caso, tenuto conto della particolare natura del bene, non occorre la prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della confisca e il reato”. Le S.U. hanno chiarito che, ove il profitto o il prezzo del reato sia rappresentato da una somma di denaro, questa, non soltanto si confonde automaticamente con le altre disponibilità economiche dell'autore del fatto, ma perde - per il fatto stesso di essere ormai divenuta una appartenenza del reo - qualsiasi connotato di autonomia quanto alla identificabilità fisica, Non avrebbe - secondo il massimo consesso di legittimità - alcuna ragion d'essere - né sul piano economico né su quello giuridico - la necessità di accertare se la massa monetaria percepita quale profitto o prezzo dell'illecito sia stata spesa, occultata o investita ciò che rileva è che la disponibilità monetarie del percipiente siano accresciute di quella somma, legittimando, dunque, la confisca in forma diretta del relativo importo, ovunque o presso chiunque custodito nell'interesse del reo. 5. La confisca per equivalente di cui all'art. 322 ter, comma 1, c.p. - applicata nella specie in relazione ai beni ed altre utilità - è una misura sanzionatoria - alternativa alla confisca diretta del profitto del reato - che consente, in relazione alla condanna per il reato di cui all'art. 319 c.p., l'ablazione, in danno del colpevole, di beni di cui lo stesso ha la disponibilità, per un valore corrispondente a detto profitto, ove i beni che costituiscono tale profitto non siano direttamente confiscabili, dovendosi evitare che il pubblico agente possa indebitamente avvantaggiarsi delle difficoltà che l'autorità dovesse incontrare nell'individuare i beni che, costituenti il profitto o il prezzo del reato, sarebbero destinati alla confisca diretta. 6. Costituisce jus receptum che la confisca obbligatoria prevista dall'art. 322 ter cod. pen. anche per equivalente , ossia anche nei confronti di beni dei quali il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente al prezzo o al profitto del reato, non necessita di alcuna dimostrazione sul nesso di pertinenzialità tra delitto e cose da confiscare, essendo sufficiente la perpetrazione del reato Sez. 6, n. 7250 del 19/01/2005, Nocco, Rv. 231604 . Come è stato autorevolissimamente osservato da S.U. n. 31617/2015, Lucci, la natura strutturalmente sanzionatoria della confisca di valore deriva dal fatto che è l'imputato che viene ad essere direttamente colpito nelle sue disponibilità economiche e non la cosa in quanto derivante dal reato e ciò proprio perché autore dell'illecito, restando il collegamento tra la confisca, da un lato, ed il prezzo o profitto del reato, dall'altro, misurato solo da un meccanismo di equivalenza economica” e detta natura esclude qualsiasi nesso di pertinenzialità col reato, rappresentandone soltanto la conseguenza sanzionatoria né più né meno, dunque, della pena applicata con la sentenza di condanna”. 7. Ebbene, già in relazione al sequestro preventivo prodromico alla confisca in esame è orientamento consolidato quello secondo il quale il giudice che emette il provvedimento ablativo è tenuto soltanto ad indicare l'importo complessivo da sequestrare, mentre l'individuazione specifica dei beni da apprendere e la verifica della corrispondenza del loro valore al quantum indicato nel sequestro è riservata alla fase esecutiva demandata al pubblico ministero Sez. 3, n. 10567 del 12/07/2012, Falcherò, Rv. 254918 Sez. 3, n. 37848 del 07/05/2014, Chidichimo, Rv. 260148 Sez. 3, Sentenza n. 12580 del 25/02/2010, Baruffa, Rv. 246444 Sez. 2, n. 6974 del 27/01/2010, Liguori, Rv. 246478 , essendosi spiegato nella citata sentenza n. 10567 del 12/07/2012 che la necessità di una specifica indicazione troverebbe la sua giustificazione nell'esistenza di un rapporto strumentale fra il bene da sequestrare, come profitto o prezzo dell'attività criminosa, e il reato. Invece, proprio perché la confisca per equivalente non ha natura di misura di sicurezza patrimoniale, non è necessaria, ai fini del sequestro preventivo funzionale alla confisca, la sussistenza di un rapporto di pertinenzialità fra la res e il reato difatti la confisca per equivalente non ricade direttamente sui beni costituenti il profitto del reato, ma ha per oggetto il controvalore di essi nei casi in cui non sia possibile agire direttamente sui beni costituenti il profitto o il prezzo del reato, a causa del loro mancato reperimento, è consentito, attraverso il trasferimento del vincolo dall'oggetto diretto all'equivalente, di apprendere utilità patrimoniali di valore corrispondente, di cui il reo abbia la disponibilità. Ed, infine, va aggiunto che le Sezioni unite hanno recentemente chiarito che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente può essere disposto anche quando l'impossibilità del reperimento dei beni, costituenti il profitto del reato, sia transitoria e reversibile, purché sussistente al momento della richiesta e dell'adozione della misura, non essendo necessaria la loro preventiva ricerca generalizzata Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, Gubert, Rv. 258648 . 8. Nel richiamato alveo ermeneutico e sul versante della confisca alla quale il sequestro è finalizzato, è stato affermato - in fattispecie analoga a quella in esame - che il giudice della cognizione, nei limiti del valore corrispondente al profitto del reato, può disporre il provvedimento ablatorio anche in mancanza di un precedente provvedimento cautelare di sequestro e senza necessità di individuare i beni da apprendere, potendo il destinatario ricorrere al giudice dell'esecuzione qualora si ritenga pregiudicato dai criteri adottati dal P.M. nella selezione dei cespiti da confiscare Sez. 5, n. 9738 del 02/12/2014, Giallombardo, Rv. 262893 conf. Sez. 3, n. 20776 del 06/03/2014, Hong, Rv. 259661 Sez. 3, n. 17066 del 04/02/2013, Volpe e altri, Rv. 255113 . 9. Pertanto, nel definire il perimetro patrimoniale all'interno del quale deve essere soddisfatto il debito sanzionatorio - che non può essere vanificato dalla momentanea incapienza del debitore - va affermato il principio di diritto secondo il quale in tema di confisca per equivalente non è necessaria la specifica individuazione dei beni oggetto di ablazione. Accertato il profitto o il prezzo del reato per il quale essa è consentita, la confisca potrà avere ad oggetto non solo beni già individuati nella disponibilità dell'imputato, ma anche quelli che in detta disponibilità si rinvengano o comunque entrino successivamente al provvedimento di confisca, fino alla concorrenza dell'importo determinato”. Ogni questione che dovesse sorgere, all'atto della apprensione dei beni ivi compresi i frutti derivanti da essi , sulla disponibilità di essi in capo all'imputato o sul rispetto del limite costituito dall'importo individuato come prezzo o profitto, sarà demandata alla cognizione del giudice dell'esecuzione. 10. Nella specie, la sentenza ha individuato il prezzo dei reati di corruzione commessi dal C. , condotta protrattasi per nove anni, secondo le indicazioni provenienti dal M.C. e MA.Gi. , nella dazione al predetto pari a duecentomila Euro per anno, oltre a quelle anche prossime al milione di Euro dichiarazioni d B.P. , ovvero cessioni ed acquisti in plusvalenza di quote di società. E - sul rilievo che il sequestro disposto in corso di indagini era stato limitato al vincolo di soli 1.500,00 Euro rinvenuti sul conto corrente dell'imputato - ha stimato in via prudenziale l'importo del prezzo del reato di corruzione in Euro due milioni, disponendo - fino alla concorrenza di tale importo - la confisca del denaro, beni ed ogni altra utilità di cui l'imputato risulti titolare anche per interposta persona sino alla concorrenza di detto importo. 11. Quanto all'importo al quale è commisurata la confisca, la doglianza è generica rispetto alla motivazione - priva di vizi logici e giuridici - in ordine alle utilità illecite percepite nel tempo dal ricorrente ed alla conseguente determinazione del prezzo del reato. 12. Quanto alla dedotta prescrizione di parte delle condotte, il ricorso non tiene conto delle indicazioni provenienti dalla sentenza n. 49226 del 25.9.2014 emessa da questa Corte nella vicenda cautelare che ha riguardato il ricorrente in relazione alle medesime vicende oggetto di giudizio - puntualmente richiamata nella sentenza impugnata in relazione ai capi 5 , 6 e 8 . Nella specie, si tratta di un unico reato corruttivo permanente avente ad oggetto lo stabile asservimento delle funzioni pubbliche svolte dal ricorrente e che comprende tutti i pagamenti illeciti intervenuti nel corso del tempo e fino al febbraio 2013. Pertanto, manifestamente infondata è la doglianza in esame. 13. Quanto, infine, all'oggetto del provvedimento di confisca tanto per il denaro confiscato in via diretta che per i beni ed alle utilità confiscati per equivalente, in base alle regulae juris richiamate, nessuna censura merita la assenza di precedente corrispondente sequestro e la mancata specifica individuazione, fermi restando il legame di disponibilità in capo all'imputato ed il limite della concorrenza dell'importo individuato che costituiscono il parametro di legittimità del disposto vincolo. 14. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.