La Cassazione indica gli indici per procedere alla ricusazione del giudice. Quando è indebito il convincimento espresso?

È legittima la declaratoria di inammissibilità de plano dell’istanza di ricusazione, laddove essa sia manifestamente infondata.

L’esistenza di una causa di incompatibilità, non incidendo sulla capacità del giudice, non determina la nullità del provvedimento adottato ma costituisce esclusivamente motivo di astensione e ricusazione. Come tale detto motivo deve essere fatto valutare tempestivamente con la procedura di cui all’articolo 37 c.p.p. L’indebita manifestazione, da parte del giudice del proprio convincimento, deve concretizzarsi in un vero e proprio giudizio che deve riguardare i fatti oggetto dell’imputazione esso non può che risolversi esclusivamente in una valutazione di merito circa la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato in ordini ai reati lui contestati. Il tenore letterale dell’articolo 37 c.p.p., in cui compare l’avverbio indebitamente” richiede che l’opinione sulla colpevolezza o sull’innocenza dell’imputato sia espresso senza che ne esista necessità ai fini della decisione adottata e fuori da ogni collegamento o legame con l’esercizio delle funzioni giurisdizionali inerenti al fatto esaminato. La mera connessione probatoria tra due procedimenti che non comporti una valutazione di merito svolta da uno stesso giudice sul medesimo fatto nei confronti di identico soggetto, non determina la sussistenza di ipotesi di ricusazione non potendosi ritenere pregiudicante l’attività dei giudici ricusati che abbiano partecipato al collegio che ha valutato, in altro e diverso procedimento a carico dello stesso imputato, le stesse fonti di prova in relazione ad un diverso reato o comunque a diversi fatti. Tutti questi sono i principi espressi dalla Suprema Corte di Cassazione nella pronuncia n. 32455/15, depositata il 23 luglio. Nelle due pagine destinate alla motivazione del provvedimento, essa fissa, scolpendoli nella pietra, i principi cui debbono attenersi gli avvocati, e gli imputati, ai fini di poter presentare, con qualche speranza di accoglimento, le proprie istanze di ricusazione del giudicante che abbia espresso il proprio convincimento sui fatti oggetto di imputazione, anteriormente alla pronuncia della sentenza. Ora, a ben vedere, possiamo suddividere detti principi in tre distinte sottocategorie. La prima attiene ai poteri del giudice ad quem , ovvero del giudice cui è rivolta l’istanza di ricusazione. La manifesta inammissibilità e la declaratoria de plano” . La Cassazione giudica possibile, e dunque legittima, la declaratoria di inammissibilità della ricusazione pronunciata de plano , ovvero immediatamente e senza attività alcuna differente rispetto alla mera ricezione dell’istanza stessa da parte del richiedente. Ove detto giudice valuti quale manifestamente inammissibile l’istanza, potrà dichiararlo senza formalità alcuna facendo leva e sulla scorta del disposto dell’art. 41 c.p.p., che fa riferimento ad una declaratoria da effettuarsi senza ritardo. L’equiparazione tra il significato da attribuirsi all’allocuzione senza ritardo” e quello connesso alla declaratoria de plano , appare essere operazione interpretativa non del tutto pacifica ma assolutamente piana e priva d’ostacoli per la Corte che, nel disegnare attraverso la propria interpretazione la norma procedurale, indica e benedice” la scelta prescelta dal giudice ad quem quale non solo legittima, ma doverosa. L’articolo 37 del codice di rito. La Corte rileva come la causa di incompatibilità del giudice debba essere sollevata con la procedura dell’art. 37 c.p.p Trattasi di refuso, poiché i termini per sollevare la questione sono dettati e contenuti nell’articolo 38 del medesimo codice. Sotto questo profilo, corretto il refuso, credo che non si possa che osservare come la norma indica specificamente tempi, casi e modi di sollevare e proporre la questione e, quindi, come l’indicazione del Supremo Collegio sia perfettamente congrua e condivisibile. L’indebito convincimento. La Corte identifica quale indebito convincimento quella opinione sulla colpevolezza o sull’innocenza dell’imputato espressa senza che ne esista necessità ai fini della decisione adottata e fuori da ogni collegamento o legame con l’esercizio delle funzioni giurisdizionali inerenti al fatto esaminato . Dunque ne discenderebbe che sarebbero da considerarsi debite, dunque legittime, quelle opinioni espresse durante il procedimento penale anteriormente alla pronuncia della sentenza, poiché indubitabilmente collegate con l’esercizio delle funzioni giurisdizionali inerenti al fatto esaminato . Il che francamente non convince né sotto un profilo ermeneutico, rispetto al tenore della norma, né sotto un profilo sistemico. Proprio questo secondo aspetto pare meritevole di alcune considerazioni che non possono che trarre le mosse da quella necessaria, poiché imposta ex lege dalla norma Costituzionale e dalle norme di rango Costituzionali contenute nelle Convenzioni e nella legislazione di terzo pilastro, terzietà del giudice. Terzietà che non può che connettersi e collegarsi con quell’indispensabile riserbo nel far emergere le proprie opinioni che è richiesto al giudice. Anzi, a quella necessaria condizione mentale che il giudice dovrebbe possedere, costituita dalla capacità di mantenersi il più possibile neutrale osservatore di fatti costituiti dalle prove che si dispiegano dinnanzi ai propri occhi senza restarne influenzato sino al momento di una loro complessiva e simultanea rilettura. Evidente che un simile atteggiamento possa essere richiesto e considerato quale effettivo esclusivamente in via tendenziale. Ciascuno di noi si influenza” e lascia influenzare” sulla scorta delle proprie caratteristiche personologiche e sulla base della capacità seduttiva connessa all’esposizione dei fatti, dalla capacità euristica, vera o presunta, delle prove ed anche dalla techne ” delle parti. Del resto, avvocati e pubblici ministeri accolti passano più di qualche ora ad interrogarsi circa i metodi e le forme di convincimento da adottarsi ed è ben nota la indelebile traccia lasciata dai grandi retori del periodo greco classico e dell’età della Roma repubblicana. Ma dal conoscere l’esistenza nell’animo umano di queste debolezze” a consentirne la sfacciata emissione con la pronuncia di espressioni atte a dimostrare il proprio convincimento circa una vicenda prima dell’emissione del provvedimento definitorio della stessa, mi pare possa dirsi, con grande tranquillità, che corra moltissimo spazio. L’espressione del convincimento del giudice nell’ambito del procedimento finisce con il manifestarsi sulla stessa genuinità delle prove e sull’atteggiamento dei contraddittori che, da detta manifestazione, trarranno benefico o disagio e che, quindi, dovranno affrontare il procedimento o parte di esso, con difficoltà impreviste o facilities non richieste. Il giudice terzo deve sapersi mantenere tale e combattere, prima di tutto, contro le proprie convinzioni e contro il padre di ogni vizio processuale il pre giudizio”. La mera connessione probatoria. L’ultimo dei principi espressi dalla Corte è una specificazione, meglio sarebbe dire un’interpretazione analogica, del principio appena commentato. Non c’è indebita espressione del proprio convincimento se esso è stato espresso nei confronti del medesimo imputato, sulle stesse fonti di prova ma in diverso procedimento. Ovvero il secondo giudizio avrebbe, espresso una prima volta un convincimento da parte del medesimo giudice, possibilità d’avere esito differente. Il che, francamente, forse è in astratto possibile ma concretamente impossibile a verificarsi, posto che il giudice dovrebbe smentire se stesso o dichiararsi incapace di leggere, nell’uno o nell’altro procedimento, correttamente e logicamente la prova. Impossibile non già per un giudice ma per un qualsiasi soggetto appartenente al genere umano non sottoposto a tortura od a coartante auto –critica.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 10 marzo - 23 luglio 2015, n. 32455 Presidente Giordano – Relatore Cavallo Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Catanzaro, con l'ordinanza indicata in epigrafe, ha dichiarato de plano l'inammissibilità dell’istanza di ricusazione proposta nell'interesse di G.A.N., G.A.E., M.V., e N.S. nei confronti della dott.ssa P.T., presidente della Corte di Assise di Appello di Catanzaro nel procedimento n. 2221/03 RGNR, basata sul presupposto che la dott.ssa T. - che aveva fatto parte, in qualità di presidente estensore, del collegio che aveva deliberato, in sede di rinvio, la sentenza della Corte di Assise d'Appello di Catanzaro n. 14 dei 17 febbraio 2014 nel procedimento promosso nei confronti di A.G. in relazione all'omicidio di D.A., avvenuto in Cutro il 10 maggio 2004 - nell'ambio dello stesso 1 avrebbe espresso valutazioni di merito su fatti e circostanze poste a fondamento della tesi accusatoria prospettata nel procedimento in corso a carico degli istanti, con riferimento in particolare all’inquadramento dei fatti omicidiari oggetto di quel procedimento come commessi nell'ambito di un'associazione per delinquere di tipo mafioso al cui vertice era stato riconosciuto, con sentenza definitiva, G.A.N. 2 avrebbe valutato positivamente le propalazioni di un collaboratore di giustizia, che costituivano fonte di prova anche nel provvedimento di rinvio a giudizio degli istanti per i fatti omicidiari ad essi ascritti. 1.1 Secondo la Corte territoriale l'istanza era manifestamente infondata in quanto i motivi addotti a sostegno della dichiarazione di ricusazione, per costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità, non evidenziavano alcuna effettiva situazione di incompatibilità della dott.ssa T., anche perché 1 l'oggetto del procedimento a carico degli istanti in corso di svolgimento era costituto da una serie di omicidi commessi, nell’ambito dei contesto associativo sopra delineato, prima dell’omicidio di D.A., oggetto del procedimento definito con la sentenza e 14/2014 della Corte di Assise d'Appello di Catanzaro, trattandosi quindi di fatti diversi da quelli sui quali si era pronunciata la Corte presieduta dal magistrato ricusato 2 la sentenza richiamata aveva fatto riferimento ai fatti omicidiari oggetto dai procedimento in cono, solo per descrivere il contesto in cui gli stessi erano maturati, senza operare alcuna valutazione in merito alla responsabilità degli odierni imputati. 2. Avverso l'indicato provvedimento hanno proposto distinti ricorsi per cassazione, gli avvocati A.D., G.P., S.S., S.R. e G.V., congiuntamente, quali difensori di G.A.N., G.A.E., M.V., e N.S. nonché il solo G.A.N., chiedendone l'annullamento per violazione di legge - sostanziale e processuale - e per vizi logici e giuridici della motivazione. 2.1 In entrambi i ricorsi si deduce in estrema sintesi - che nella sentenza pregiudicante, la dott.ssa T. quale presidente del collegio, ha reiteratamente espresso valutazioni di merito su dati fattuali ed emergenze probatorie poste a fondamento della tesi accusatoria prospettata nel procedimento in corso a carico degli istanti, definendo, in particolare, come coerenti e riscontrate da numerose captazioni le dichiarazioni del collaboratore C., secondo cui G.A.N. sarebbe il mandante dell'omicidio di D.R. omettendo di precisare che lo stesso risulta assolto da tale reato, in primo grado, con sentenza n. 6/2012 della Corte di Assise di Catanzaro precisando, altresì, che immediatamente dopo l'omicidio di D.R., venivano uccisi M.A. e S.R., gli unici rimasti fedeli a D.A. anche rispetto o detti delitti risulta imputato G.A.N. , sicché risultava di tutta evidenza che il magistrato ricusato ha chiaramente espresso una valutazione di merito sullo stesso fatto omicidi D.R., M.A. e S.R. - che tali considerazioni rendono l'istanza di ricusazione tutt'altro che manifestamente infondata sicché la Corte territoriale avrebbe dovuto fissare ex art. 127 cod. proc. pen. l’udienza camerale per trattare dell'istanza di ricusazione, in entrambi i ricorsi evidenziandosi, altresì, che il presidente del collegio che ha dichiarato l'inammissibilità dell'istanza la dottoressa M.V.M. , verserebbe, a sua volta, in una situazione di incompatibilità, in quanto avrebbe svolto funzioni di giudice delle indagini preliminari, in relazione ad alcuni dei fatti omicidiari oggetto dei procedimento in corso ricorso G.A.N. avrebbe presieduto la Corte di Assise di Appello che aveva emesso la sentenza annullata dalla Corte di Cassazione determinando il giudizio di rinvio nel quale è poi intervenuta la sentenza n. 4/2014 ritenuta la sentenza pregiudicante ricorso dei difensori Denicolò, Pittelli, Staiano, Rotundo e Viscomi . Con memoria in data 2 gennaio 2015 i difensori di G.A.N., avvocati S.V.V. e B.S., hanno ribadito la fondatezza della dichiarazione di ricusazione, evidenziando come nella sentenza pregiudicante relativa al procedimento a carico di A.G. la dott.ssa T. quale presidente del collegio ed estensore ha espresso valutazioni di merito su dati fattuali ed emergenze probatorie, accreditando una precisa ricostruzione, secondo cui l’omicidio di D.A. è inquadrabile nell'ambito della guerra tra clan sviluppatasi nel territorio di Cutro e che vede G.A.N. ed il suo clan quale autore di diversi omicidi, sicché, in applicazione della dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale dell'art. 37 cod. proc. pen., lett. b , di cui alla sentenza 203/2000 e dei principi di terzietà ed imparzialità del giudice, ricorre una causa giustificativa della ricusazione, essendosi il giudice del processo pregiudicante espresso sui fatti oggetto del giudizio pregiudicato, fatti sulla cui ricostruzione si controverte decisivamente in tale ultimo processo. Considerato in diritto 1. L'impugnazione proposta nell'interesse di G.A.N., M.V., e N.S. si basa su motivi manifestamente infondati e parzialmente ripetitivi dei motivi addotti nell'istanza di ricusazione e ne va quindi dichiarata l'inammissibilità. 1.1 Al riguardo, con riferimento al motivo d'impugnazione in rito, con il quale si censura l'adozione da parte dei giudici di merito della procedura de plano, va infatti evidenziato, come precisato anche dal Procuratore Generale presso questa Corte nella sua perspicua requisitoria in atti, che la declaratoria di inammissibilità dell'istanza di ricusazione risulta legittimamente adottata con procedimento de plano, posto che l'art. 41 cod. proc. pen., comma 1, stabilisce che la declaratoria di inammissibilità per manifesta infondatezza deve essere emessa senza ritardo , ossia senza alcun preventivo adempimento processuale conformi, ex multis, Sez. 1, n. 409 del 20/01/2000 - dep. 04/03/2000, Balla, Rv. 215372 Sez. 1^, n. 6621 del 28/01/2010, Bontempo Scavo, Rv. 246575, alla cui articolata motivazione espressamente si rinvia . 1.2 Per quanto attiene poi la dedotta situazione di incompatibilità in cui versava asseritannente il presidente del collegio che ha emesso il provvedimento impugnato, risulta preliminare ed assorbente il rilievo che per costante giurisprudenza di questa Corte in termini, ex multis, Sez. 1, n. 10075 dei 25/06/2014 - dep. 10/03/2015, Condore!li, Rv. 263179 l'esistenza di una causa d'incompatibilità, non incidendo sulla capacità del giudice, non determina la nullità del provvedimento adottato, ma costituisce esclusivamente motivo di astensione e ricusazione, da far valutare tempestivamente con la procedura di cui all’art. 37 cod. proc. pen. , il che non risulta sia avvenuto. 1.3 Quanto poi ai motivi di merito addotti a sostegno dell'istanza e riproposti in tutti gli atti difensivi presentati in sede di legittimità, è agevole rilevare come le ragioni di inammissibilità della stessa devono ritenersi effettivamente di palmare evidenza , sol che si consideri che costituisce principio ormai consolidato nella giurisprudenza A questa Corte, e ben noto agli odierni ricorrenti le cui istanze di ricusazione hanno già formato oggetto di negativo scrutinio da parte di questa Corte con le sentenza n. 32022/2009 e n. 38300/2008 che l'indebita manifestazione, da parte del giudice dei proprio convincimento debba concretizzarsi in un vero e proprio giudizio che, dovendo riguardare i fatti oggetto dell'imputazione, non può che risolversi esclusivamente in una valutazione di merito circa la colpevolezza o l'innocenza dell'imputato in ordine ai reati a lui contestati in termini, ex multis, Sez. 3, n. 5658 del 13/12/2001 - dep. 13/02/2002, Acampora, Rv. 221109, e più di recente, Sez. 4, n. 18669 del 31/01/2013 - dep. 26/04/2013, Pacitto, Rv. 255926 . In particolare come questa Corte di legittimità ha già avuto occasione di precisare Sez. 5 n. 7792 del 16/12/2005 - dep. 06/03/2006, Assinnata, Rv. 233394 , l’avverbio indebitamente , che compare nella formulazione della norma di cui all’art. 37 cod. proc. pen., richiede che l'opinione sulla colpevolezza o sull’innocenza dell'imputato sia espressa senza che ne esista necessità ai fini della decisione adottata e fuori da ogni collegamento o legame con l'esercizio delle funzioni giurisdizionali inerenti al fatto esaminato, laddove, nel caso in esame, il magistrato di cui si richiede la ricusazione, non ha espresso alcuna opinione sulla colpevolezza o innocenza di G.A.N., G.A.E., M.V., e N S., in quanto il procedimento definito con la sentenza n. 14 del 17 febbraio 2014, emessa in sede di rinvio dalla Corte di Assise di Appello di Catanzaro, riguardava altre imputazioni ed altri imputati e nessun motivo d’impugnazione, per altro, concerneva direttamente la responsabilità degli odierni ricorrenti. 1.4 Quanto infine alla dedotta stretta connessione probatoria esistente tra i diversi procedimenti trattati dalla dott.ssa P.T., va rilevato, per completezza di esposizione, che questa Corte Sez. 6, n. 14 del 18/09/2013 - dep. 02/01/2014, Mancuso, Rv. 258449 , in un recente arresto, relativo per altro ad una fattispecie significativamente difforme rispetto a quella in esame, ha affermato il principio secondo cui la mera connessione probatoria tra due procedimenti che non comporti una valutazione di merito svolta da uno stesso giudice sul medesimo fatto e nei confronti di identico soggetto, non determina la sussistenza di una ipotesi di ricusazione, non potendosi ritenere pregiudicante l'attività dei giudici ricusati che abbiano partecipato ai collegio che ha valutato, in altro e diverso procedimento a carico dello stesso imputato, le stesse fonti di prova in relazione ad un diverso reato o comunque a diversi fatti . 2. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, congruamente determinabile in euro 1000,00, non ricorrendo ipotesi di esonero. P.Q.M. dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di euro 1000,00 alla Cassa delle ammende.