Rapporto sentimentale duraturo ma non stabile: le aggressioni non sono maltrattamenti contro familiari

Un rapporto sentimentale duraturo, ma non caratterizzato da stabilità e affidamento reciproco, non risulta riconducibile alla figura normativa prevista dall’art. 572 c.p. e perciò non integra il reato di maltrattamenti contro familiari o conviventi.

Così ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 32156/15, depositata il 22 luglio. Il caso. La Corte d’appello di Milano confermava la responsabilità di un uomo per una serie di reati, tra cui quello di maltrattamenti contro familiari o conviventi, disciplinato dall’art. 572 c.p Il condannato proponeva ricorso in Cassazione sostenendo l’insussistenza del reato di cui all’art. 572 c.p. a causa dell’assenza di un vincolo matrimoniale, o di convivenza o di comunione di vita dell’interessato con la parte offesa, nonostante la comune attività economica, che non aveva comunque la struttura dell’impresa familiare. Rapporto sentimentale duraturo, ma non stabile. La Corte conferma il fatto che siano avvenuti atti aggressivi, fisici e verbali, ma sostiene che non siano qualificabili come condotte punibili ai sensi dell’art. 572 c.p Infatti, tra il ricorrente e la parte lesa non si è mai instaurata una convivenza, sussistendo esclusivamente un legame sentimentale, con carattere non continuativo. Tale rapporto ha portato i due soggetti a condividere alcuni episodi della loro vita e a prestarsi assistenza, ma in episodi dal carattere accidentale e che non possono considerarsi programmati. Non hanno mai condiviso l’abitazione e la comunanza di interessi di maggior stabilità derivava da un rapporto di affari, in cui la donna si era offerta come legale rappresentante della società costituita insieme. La maggior parte degli atti aggressivi di natura sia verbale che fisica, sono avvenuti proprio a causa di contrasti relativi alle modalità di gestione dell’attività e ciò non consente di correlarli univocamente a quell’atteggiamento di costante prevaricazione e squalificazione del componente del nucleo familiare, che connota di tipicità il reato contestato. Maltrattamenti concezione di famiglia. La fattispecie prevista dall’art. 572 c.p. è circoscritta ad attività di natura abituale che maturino nell’ambito di una comunità consolidata – famiglia, piccola azienda, contesti nei quali si realizza un affidamento di natura precettiva o di accudimento, con caratteri di tendenziale stabilità – la cui specifica elencazione, oltre a porre all’interprete dei rigidi criteri ermeneutici, connessi all’esigenza della necessaria tipicità della fattispecie penale, impone di ricercare le caratteristiche tipiche di tali condotte anche nelle situazioni ad esse assimilabili. Il concetto di famiglia si è infatti ampliato ora, prendendo atto dell’evoluzione sociale e delle nuove modalità di organizzazione della vita personale, comprende anche la famiglia di fatto. Fondamentale, per la Corte, è che in tali formazioni vi siano quei caratteri di sostanziale stabilità derivanti da manifestazioni concrete, quali, per l’appunto la scelta di condividere un’abitazione o la costanza nella prestazione della mutua assistenza, idonee ad evidenziare una stabile scelta di assunzione di responsabilità dell’uno nei confronti dell’altro. Questa condizione, generando affidamento tra le parti, può indurre a creare rapporti di forza che trasmodino nell’esercizio di violenza fisica o verbale e portino alla minore reazione della vittima, che, proprio a causa della stabilità del vincolo o della materiale costante assistenza, non ritenga opportuno reagire, o non sia in grado di farlo v. sez. VI, n. 22915/2013 . Il legislatore è stato spinto proprio dalla considerazione di tali circostanze la facile incubazione, nei nuclei sociali ristretti, di gravi forme di prevaricazione e la maggiore difficolta di reazione della vittima ad assicurare una forma di tutela rafforzata, tanto più essenziale in ragione della riconosciuta valenza costituzionale delle formazioni sociali. Alla luce di queste considerazioni, la Corte non ritiene che il rapporto descritto sia riconducibile alla figura normativa e pertanto annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di maltrattamenti contro familiari o conviventi perché il fatto, così qualificato, non sussiste.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 7 – 22 luglio 2015, n. 32156 Presidente Agrò – Relatore Petruzzellis Ritenuto in fatto 1. La Corte d'appello di Milano, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di quella città del 13/12/2013 emessa nei confronti di P.R., confermata l'affermazione di responsabilità in relazione ai reati di cui agli artt. 572, 635, 582, 585 cod. pen, ed esclusa la recidiva, ha rideterminato la pena in anni tre e mesi sei di reclusione, con conferma delle statuizioni civili. 2. La difesa di P. contesta con un primo motivo la sussistenza del reato di cui all'art. 572 cod. pen, attesa l'assenza di un vincolo matrimoniale, e di convivenza o comunione di vita dell'interessato con la parte offesa, situazione non emersa nel corso del giudizio, neppure attraverso la comune attività economica, che non aveva la struttura dell'impresa familiare. 3. Con ulteriore motivo contesta l'elemento oggettivo del reato, assumendo la mancata emersione del dato dell'abitualità dei fatti sulla base delle testimonianze acquisite, alcune delle quali apoditticamente valutate inattendibili ed a tal fine il ricorso ripercorre le testimonianze acquisite, sovrapponendo proprie considerazioni al riguardo alla valutazione operata nelle pronunce di merito ed operando una diversa valutazione del materiale probatorio che sottopone all'esame di questa Corte. 4. Si eccepisce violazione di cui all'art. 606 comma 1 lett. e cod. proc. pen. sulla mancata applicazione dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 4 cod. pen, in relazione al delitto di danneggiamento, stante l'oggettiva ridotta gravità dei danni provocati. 5. Il medesimo vizio viene contestato con riferimento alla mancata applicazione delle attenuanti generiche, con giudizio di prevalenza o equivalenza, di cui l'interessato si ritiene meritevole per la rimeditazione di quanto realizzato, il buon comportamento processuale, la minima entità dei danni in relazione ai reati di danneggiamento e lesioni di cui al capo C elementi tutti ingiustamente ignorati nel provvedimento impugnato. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato, limitatamente all'insussistenza degli elementi costitutivi del delitto di maltrattamenti in famiglia. 2. Preliminarmente si deve escludere la fondatezza delle censure mosse nell'impugnazione sull'attività di valutazione delle prove svolta dalla Corte, poiché queste prescindono dalle argomentazioni offerte sul punto e si limitano a riversare in questa sede proprie opposte considerazioni di merito, ignorando l'ambito valutativo rimesso al giudizio di legittimità sul punto, che è circoscritto alla verifica della completezza dell'esame e della sua linearità e tenuta logica, esame che non può che concludersi positivamente, sia sulla base del complesso argomentativo sviluppato, che in rapporto alla mancata evidenziazione di tali vizi all'interno del tessuto argomentativo. 3. Pacifica su tali basi la sussistenza degli specifici atti aggressivi, fisici e verbali, non appare possibile qualificare il complesso di tali condotte ai sensi dell'art. 572 cod. pen. contestato. Come osservato dalla difesa l'istruttoria svolta, per come richiamata ed analiticamente esaminata nelle due sentenza di merito, ha chiarito che tra il ricorrente e la parte lesa non si è mai instaurata una convivenza, sussistendo esclusivamente un legame sentimentale, con carattere non continuativo, la cui stabilità era rimessa alla determinazione emozionale dei due nei vari momenti della sua persistenza tale legame li ha portati a condividere alcuni episodi della loro vita, ed a prestarsi assistenza, in concomitanza con episodi difficili, quali i postumi invalidanti di un incidente stradale, che sono caratterizzati da accidentalità, ed in quanto tale non possono considerarsi programmati. Non emerge dalle prove esaminate, di cui si è dato conto in entrambe le sentenze di merito, che neppure la sopravvenienza infausta li abbia indotti, anche solo per periodi limitati, a condividere l'abitazione, risultando per ciascuno dei due la decisione di fermarsi a casa dell'uno o dell'altro, rimessa alla determinazione del momento. È emerso inoltre che una condivisione di interessi con carattere di maggiore stabilità è derivata da un rapporto di affari, generata dalla scelta della donna di offrirsi quale legale rappresentante della società costituita con il P., compagine in cui quest'ultimo era titolare delle quote maggiori, per superare l'impossibilità personale dello stesso ad una intestazione diretta della licenza d'esercizio, per la presenza di precedenti a suo carico. Emerge dalla narrativa che la maggior parte degli atti aggressivi, di natura fisica e verbale, sono maturati proprio in conseguenza dei contrasti insorti nelle modalità di gestione di tale attività, il che ulteriormente non consente di correlarli univocamente a quell'atteggiamento di costante prevaricazione e squalificazione dei componente nel nucleo familiare, che connota di tipicità il reato contestato. Sulla base di tali elementi deve escludersi che la condotta qualificata come maltrattamenti al capo A possa ricondursi alla fattispecie di cui all'art. 572 cod. pen. la cui applicazione, per espressa disposizione normativa, è circoscritta ad attività di natura abituale che maturino nell'ambito di una comunità consolidata -famiglia, piccola azienda, contesti nei quali si realizza un affidamento di natura precettiva o di accudimento, anch'essi con carattere di tendenziale stabilità- la cui specifica elencazione, oltre a porre all'interprete dei rigidi criteri ermeneutici, connessi all'esigenza della necessaria tipicità della fattispecie penale, impone di ricercare le caratteristiche tipiche di tali condotte anche nelle situazioni ad esse assimilabili. Così, se si è ampliato il concetto di famiglia, estendendolo alla famiglia di fatto, prendendo atto dell'evoluzione sociale e delle nuove modalità di organizzazione di vita personale, ciò è stato fatto ricercando in tali formazioni quei caratteri di sostanziale stabilità derivanti da manifestazioni concrete, quali, per l'appunto, la scelta di condividere un'abitazione, o la costanza nella prestazione della mutua assistenza, idonee ad evidenziare una stabile scelta di assunzione di responsabilità dell'uno nei confronti dell'altro che, generando affidamento tra le parti, privo del carattere della precarietà od occasionalità Sez. 6, n. 22915 del 07/05/2013, I., Rv. 255628 può indurre, da un canto, alla creazione di rapporti di forza che trasmodino nell'esercizio di violenza fisica e verbale, e dall'altro alla minore reazione della vittima, che, proprio in conseguenza della stabilità del vincolo o della materiale costante assistenza, non ritenga opportuno reagire, o non sia in grado di farlo. La considerazione di tali circostanze - facile incubazione nelle formazioni sociali ristrette di gravi forme di prevaricazione, correlate alla maggiore difficoltà di reazione della vittima - ha condotto il legislatore ad assicurare una forma di tutela rafforzata, tanto più essenziale in ragione della riconosciuta valenza costituzionale delle formazioni sociali, la cui giustificazione esige il rinvenimento nel caso concreto degli elementi tipici di tali convergenza di interessi personali, organizzati in forma stabile. Dall'esame di entrambe le sentenze di merito quel che è dato ricavare è la presenza di un rapporto sentimentale di una certa durata, che ha avuto numerosi momenti di crisi, non è mai sfociato nella determinazione di una condivisione dell'abitazione, la cui stabilità risulta dimostrata esclusivamente, oltre che dal perdurare dei legame nel tempo, dalla dichiarata profondità dei sentimenti di entrambi. Tale situazione di fatto non risulta riconducibile alla figura normativa, non realizzando neppure in nuce gli estremi della famiglia di fatto, poiché è mancata qualsiasi manifestazione tangibile di stabilità, circostanza che non consente di ritenere creatasi neppure quella situazione di minore reattività nella vittima, generata dall'affidamento. In tal senso, conseguentemente, nelle condotte contestate deve escludersi la configurabilità del reato di maltrattamenti, dovendosi annullare sul punto la sentenza impugnata, in ragione dell'accertamento di insussistenza del fatto, come qualificato. In ragione di quanto esposto deve disporsi il rinvio del procedimento alla cognizione di altra sezione della Corte d'appello di Milano affinché determini la pena con riferimento agli episodi specifici riguardanti gli ulteriori reati contestati, in riferimento ai quali sull'affermazione di responsabilità non è stata proposta impugnazione. 4. Risultano manifestamente infondati i rilievi sul mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, e dell'attenuante della minima entità del danno in relazione al delitto di danneggiamento. Quanto al primo profilo la sentenza ha argomentato in maniera approfondita i motivi per i quali non ha ritenuto di accedere alla richiesta, ravvisando elementi di gravità nella condotta criminosa, che al di là della sua corretta valutazione giuridica risulta gravemente aggressiva, oltre che nell'atteggiamento nutrito dall'interessato in epoca successiva al reato, ed ha evidenziato inoltre i precedenti risultanti a suo carico, con valutazione che risulta completa e coerente, ed insuscettibile di censure in questa sede, alla luce delle diverse allegazioni di fatto della parte, con le quali si sollecitano non consentite nuove valutazioni di merito. Si deve infatti ricordare in argomento che la decisione sul punto è rimessa al giudice di merito, la cui discrezionalità è limitata esclusivamente dall'onere di argomentazione, pienamente assolto nella specie, con deduzioni complete e coerenti, con il quale devono intendersi implicitamente superare tutte le allegazioni favorevoli esposte nel ricorso. Nello stesso senso deve concludersi anche con riguardo all'attenuante del valore lieve, invocata in relazione al delitto di danneggiamento, poiché le osservazioni svolte al riguardo nel ricorso non risultano pertinenti a quanto valutato dal giudice di merito, che ha operato un vaglio di oggettiva gravità economica del danno prodotto, in nulla condizionata dalla determinazione delle condizioni della parte lesa, cui si riferisce il ricorso con rilievo non pertinente rispetto alla motivazione espressa nella sentenza impugnata. 5. Per l'effetto il ricorso va rigettato nel resto. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di maltrattamenti perché il fatto non sussiste e rinvia per la determinazione della pena in ordine agli altri reati ad altra sezione della Corte d'appello di Milano. Rigetta nel resto il ricorso.