Il soggetto che si trova in detenzione domiciliare non può beneficiare della liberazione anticipata speciale

Al detenuto sottoposto a detenzione domiciliare a norma dell’art. 16 nonies, l. n. 8/91, non è concesso di beneficiare dell’istituto della liberazione anticipata speciale disciplinata dal d.l. n. 146/13, convertito nella l. n. 10/14, introdotto allo scopo di risolvere nell’immediato il problema del sovraffollamento carcerario.

Così ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza numero 31421/15, depositata il 20 luglio. Il caso. Un uomo presentava un reclamo avverso il provvedimento del Magistrato di sorveglianza con cui rigettava la domanda di integrazione della liberazione anticipata già concessa con la liberazione anticipata speciale di cui all’articolo 4, comma 5, d.l. numero 146/2013, convertito nella l. numero 10/14. Il Tribunale di sorveglianza di Roma rigettava il reclamo, sul fondamento che il soggetto era stato ristretto in carcere in un periodo compreso tra il 2012 e il 2013 per uno dei delitti ostativi alla concessione della liberazione anticipata elencati all’articolo 4 – bis , l. numero 354/75 e che, successivamente a tale periodo, lo stesso era stato ammesso agli arresti domiciliari. Avverso tale ordinanza, l’imputato ricorre per cassazione, adducendo diversi motivi. Ambito di applicazione della liberazione anticipata speciale. Si tratta di accertare, per gli Ermellini, se l’istituto della liberazione anticipata speciale possa essere concesso per un soggetto che sia in regime di arresti domiciliari, o comunque nel periodo trascorso in carcere per uno dei delitti di cui al sopracitato articolo 4 bis . A tal proposito, la S.C. ricorda che il d.l. numero 146/13, poi convertito nella l. numero 10/14, all’articolo 4 Liberazione anticipata speciale esclude espressamente dal suo ambito di applicazione i condannati ammessi all’affidamento in prova e alla detenzione domiciliare, relativamente ai periodi trascorsi, in tutto o in parte, in esecuzione di tali misure alternative e i condannati che siano stati ammessi all’esecuzione della pena presso il domicilio o che si trovino agli arresti domiciliari ai sensi dell’articolo 656, comma 10, c.p.p. . Pertanto, e in linea con le finalità di riduzione della popolazione carceraria dell’istituto, l’attenzione dei giudici di legittimità si deve rivolgere al periodo passato in carcere dal soggetto. A tal proposito, non si riscontra alcuna irragionevolezza o disparità di trattamento tra soggetti ristretti in carcere e soggetti ammessi a beneficiare di misure extramurarie., dato che la detrazione della pena concessa con la liberazione anticipata è limitata a un periodo di due anni dall’entrata in vigore del suddetto decreto - legge, introdotto appositamente per risolvere nell’immediato il problema endemico del sovraffollamento carcerario, a seguito della condanna dell’Italia da parte della Corte di Strasburgo con la sentenza Torreggiani. Da tali considerazioni, il Collegio afferma il principio di diritto secondo cui il detenuto sottoposto a detenzione domiciliare ai sensi dell’articolo 16 – nonies , l. numero 8/91, non è ammesso a beneficiare della liberazione anticipata speciale. Natura processuale dell’istituto. Alla ritenuta natura sostanziale dell’istituto della liberazione anticipata speciale da parte della difesa, il Collegio, condividendo alcune precedenti decisioni delle Sezioni Unite Cass., sez. Unite, numero 24561/06 , ribadisce che le disposizioni relative all’esecuzione delle pene detentive e alle misure alternative non riguardano l’accertamento del reato o la comminazione della pena, ma solo le modalità di esecuzione della stessa. Di conseguenza, esse non hanno natura sostanziale e quindi soggiacciono al principio del tempus regit actum , e non alle regole dettate in materia di successione di norme penali nel tempo. Decreto – legge non convertito. Inoltre, la S.C. ritiene infondato il mezzo difensivo che si fondava sull’articolo 4 comma 4, d.l. numero 146/13, il quale ammetteva eccezionalmente al predetto istituto i condannati per uno dei delitti di cui all’articolo 4 – bis , a condizione che gli stessi dessero prova di un concreto recupero sociale. Questo poiché tale previsione non è stata recepita dalla legge di conversione numero 10/14 e quindi non può avere vigore ultrattivo per le condotte pregresse Cass., numero 1650/14 . Per questi motivi, e ritenendo infondati gli ulteriori mezzi di ricorso, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 12 maggio – 20 luglio 2015, n. 31421 Presidente Siotto - Relatore Cassano Ritenuto in fatto 1. Il 3 ottobre 2014 il Tribunale di sorveglianza di Roma rigettava il reclamo proposto da L.M. , avverso il provvedimento con il quale il Magistrato di sorveglianza di Roma aveva respinto la domanda di integrazione della liberazione anticipata già concessa con la liberazione anticipata speciale. Il Tribunale, dopo avere premesso che L. era stato detenuto in carcere dal 28 marzo 2012 al 28 giugno 2013 e che, pertanto la domanda poteva essere presa in esame solo limitatamente a tale periodo, in quanto successivamente era stato ammesso ad espiare la pena in regime di arresti domiciliari e, quindi, di detenzione domiciliare, osservava che l'istanza non era accoglibile, in quanto, nel periodo compreso tra il 28 marzo 2012 e il 28 giugno 2013, L. si trovava in espiazione della pena inflitta per uno dei delitti ostativi ricompresi nel catalogo di cui all'art. 4-bis l. n. 354 del 1975 e successive modifiche. 2. Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, L. , il quale, anche mediante una memoria difensiva, lamenta inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, atteso che il ravvedimento sotteso alla previsione di cui all'art. 16 nonies l. n. 82 del 1991 consente di superare la preclusione prevista dall'ari 4-bis la liberazione anticipata speciale è destinata a trovare applicazione anche nei confronti di persone non ristrette in carcere, ma ammesse ad espiare la pena in regime alternativo, e una diversa lettura, oltre a non trovare solidi agganci ermeneutici, è causa di ingiustificate disparità di trattamento l'istituto della liberazione anticipata non prevede alcuna distinzione tra il condannato in detenzione inframuraria e quello ammesso ad una misura alternativa non sono consentite arbitrarie e insostenibili distinzioni tra il comportamento post delictum del condannato per reati ordinati rispetto a quelli in esecuzione per reati speciali il ravvedimento sotteso alla previsione contenuta nell'art. 26 nonies della legge n. 82 del 1991 consente di superare la preclusione normativa in relazione ai delitti ricompresi nel catalogo di cui all'art. 4 bis della legge n. 354 del 1975 e successive modifiche. Una diversa lettura della disciplina, oltre a tradire lo spirito e le finalità perseguite dalla novella legislativa, finisce per riservare al Magistrato di sorveglianza la determinazione del quantum di pena da espiare e, quindi, l'applicazione di una norma dal chiaro contenuto sostanziale con evidente lesione del principio di ragionevolezza e di uguaglianza nel trattamento di situazioni analoghe. Osserva, infine, che non è di ostacolo all'applicazione della liberazione anticipata speciale nei confronti dei collaboratori di giustizia che si trovino ad espiare la pena per taluno dei delitti elencati nell'art. 4 bis ord. pen. la possibilità che essi possano usufruire anche di altri benefici penitenziari, tenuto conto dell'univoca elaborazione al riguardo della giurisprudenza costituzionale e di legittimità. Osserva in diritto Il ricorso non è fondato. 1. Il tenore letterale dell'art. 4, comma 5, del d.l. 23 dicembre 2013, n. 146, convertito nella legge 21 febbraio 2014 n. 10 esclude espressamente dall'ambito di applicabilità dell'istituto i condannati ammessi all'affidamento in prova e alla detenzione domiciliare, relativamente ai periodi trascorsi, in tutto o in parte, in esecuzione di tali misure alternative” e, inoltre, i condannati che siano stati ammessi all'esecuzione della pena presso il domicilio o che si trovino agli arresti domiciliari ai sensi dell'art. 656, comma 10, del codice di procedura penale”. In base all'inequivoco dato testuale della disposizione e in coerenza con le finalità di deflazione carceraria perseguite dalla nuova previsione, quindi, nel caso in esame la questione prospettata dalla difesa deve essere circoscritta al periodo 28 marzo 2012-28 giugno 2013. Sotto tale profilo non si ravvisa alcuna irragioncvolezza o disparità di trattamento tra persone detenute e soggetti ammessi ad espiare la pena extra moenia , considerato anche l'art. 4, comma 1, del d.l. n. 146 del 2013, convertito nella legge n. 10 del 2014, delimita l'operatività del beneficio ad un periodo di due anni, decorrente dall'entrata in vigore del d.l. n. 146 del 2013, al dichiarato fine di risolvere nell'immediato il problema del sovraffollamento carcerario e di adeguare l'ordinamento interno alla pronuncia della Corte Europea dei diritti dell'uomo sentenza dell'8 gennaio 2013 - ricorsi nn. 43517/09, 46882/09, 55400/09, 57875/09, 61535/09, 35315/10 e 37818/10 - Torreggiami e altri e. Italia . Significative circa le finalità deflattive e risarcitorie dell'istituto in esame, che presuppone l'effettiva permanenza del condannato in un istituto penitenziario, appaiono anche i seguenti ulteriori profili. Il preambolo del d.l. n. 146 del 2013 indica quale obiettivo di straordinaria necessità e urgenza perseguito dalla novella legislativa quello di ridurre con effetti immediati il sovraffollamento carcerario” e precisa che ad esso si è inteso far fronte attraverso misure straordinarie e temporanee” in tema di liberazione anticipata. La relazione al disegno di legge di conversione del d.l. nr. 146/2013 A.C. nr. 1921 chiarisce che quello previsto è un rimedio compensativo, secondo le indicazioni della Corte Europea di Strasburgo della violazione del diritti dei detenuti in conseguenza della situazione di sovraffollamento carcerario e, più in generale, del trattamento inumano e degradante che, per carenze strutturali, possono essersi trovati a subire”. Il Consiglio Superiore della Magistratura, nell'ambito del parere espresso, ai sensi dell'art. 10 della legge n. 195 del 1958, con deliberazione assunta nella seduta plenaria del 23 gennaio 2014, ha evidenziato che il diretto legame tra la negativa evoluzione delle condizioni di vita carcerarie ed il riconoscimento di una più consistente detrazione sulla pena da scontare spiega perché al comma 5 dell'art. 4 sia stata esclusa, con previsione difforme rispetto a quella che regola la liberazione anticipata ordinaria, l'applicazione dell'istituto eccezionale” ai condannati affidati in prova ed in regime domiciliare e che ha sollecitato l'estensione del divieto di accesso all'istituto anche a quanti si trovino in detenzione domiciliare ai sensi della legge n. 199 del 2010 ed agli arresti domiciliari esecutivi, indicazioni poi recepite nella legge di conversione cfr. punto a2 della citata delibera . La specialità del nuovo regime premiale si desume dal fatto che esso è stato introdotto non già nell'ambito dell'art. 54 ord. pen., che si occupa della liberazione anticipata ordinaria, bensì è stato regolato da una norma espressamente dedicata che, anche da un punto di vista logico-sistematico, ne evidenzia la natura di rimedio eccezionale e temporalmente delimitato nella sua applicazione in favore dei detenuti per il solo periodo di due anni dalla vigenza del provvedimento legislativo che l'ha disposto e di quanti abbiano già fruito della liberazione anticipata nel periodo decorso dal 1 gennaio 2010 Sez. 1, n. 16656 del 16/01/2015 . Per tutte queste ragioni deve affermarsi il principio di diritto che il detenuto sottoposto a detenzione domiciliare ai sensi dell'art. 16-nonies della legge n. 8 del 1991 non è ammesso a beneficiare della liberazione anticipata speciale introdotta dal d.l. n. 146 del 2013, convertito con modificazioni nella legge n. 10 del 2014. 2 . Le Sezioni Unite di questa Corte, con decisioni condivise dal Collegio, hanno stabilito che le disposizioni concernenti l'esecuzione delle pene detentive e le misure alternative alla detenzione, non riguardando l'accertamento del reato e l'irrogazione della pena, ma soltanto le modalità esecutive della stessa, non hanno carattere di norme penali sostanziali e pertanto in assenza di una specifica disciplina transitoria , soggiacciono al principio tempus regit actum , e non alle regole dettate in materia di successione di norme penali nel tempo dall'art. 2 c.p., e dall'art. 25 della Costituzione Sez. U., n. 24561 del 30 maggio 2006 Sez. U, n. 20 del 13 luglio 1998 . Principi analoghi sono stati affermati dalla Corte Costituzionale ord. n. 10 del 1981 sent. n. 376 del 1997 e dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo sentenza Grande Camera del 21 ottobre 2013, Del Rio Prada e/Spagna decisione della Commissione del 15 gennaio 1997 nel caso L.C.R. c/ Svezia Monne c/ Francia dell'I aprile 2008 Giza c/Polonia del 23 ottobre 2012 . In tale ottica i rilievi difensivi circa la natura sostanziale della disciplina in tema di liberazione anticipata speciale non appaiono fondati. 3. La norma contenuta in un decreto legge non convertito non ha attitudine, alla stregua del terzo e ultimo comma dell'art. 77 Cost., ad inserirsi in un fenomeno successorio, come quello descritto e regolato dai commi secondo e terzo dell'art. 2 c.p., ovverosia in un fenomeno successorio concernente norme penali sostanziali per le quali vale il principio di irretroattività delle disposizioni di sfavore limitatamente alla sancita applicabilità delle disposizioni di cui ai commi secondo e terzo dell'art. 2 c.p. al caso del decreto legge non convertito, e, quindi, alla sancita operatività della norma penale sfavorevole, se in essa contenuta, relativamente ai fatti pregressi. Di conseguenza, la disposizione contenuta nell'art. 4, comma 4, del d.l. n. 146 del 2013 che consentiva, a determinate condizioni, l'applicabilità del beneficio della liberazione anticipata speciale anche ai condannati per taluno dei delitti elencati nell'art. 4-bis l. n. 354 del 1975 e successive modifiche , non recepita dalla l. n. 10 del 2014, non è suscettibile di avere vigore ultrattivo per i comportamenti pregressi Sez. 1, n. 34073 del 27 giugno 2014 Sez. 1, n. 3130 del 19 dicembre 2014 Sez. 1, n. 1650 del 22 dicembre 2014 . Anche sotto questo profilo, quindi, le doglianze difensive non appaiono meritevoli di accoglimento. 4. Circa i prospettati dubbi di legittimità costituzionale, si osserva quanto segue. La disciplina introdotta dal d.l. n. 146 del 2013, convcrtito con modificazioni nella legge n. 10 del 2014, rappresenta, per espressa previsione del legislatore, una disciplina speciale che estende, salvo alcune eccezioni, i vantaggi conseguenti ad un beneficio penitenziario già previsto e applicabile indistintamente a tutti i condannati. Non si è, quindi, in presenza di una disposizione che vieta l'accesso del beneficio alla persona condannata per taluno dei delitti elencata nell'art. 4-bis 1. n. 354 del 1975, ma piuttosto di una norma che amplia, in presenza di certe condizioni, gli effetti di favore, escludendo da essi i condannati per determinate tipologie di reato, come quelle indicate dal suddetto art. 4-bis. Rispetto ad una disposizione speciale di favore, può porsi un problema di irragionevole diversità di trattamento solo qualora sia riservato un trattamento irragionevolmente diverso e deteriore rispetto a situazioni del tutto omologhe. Anche sotto questo aspetto, quindi, le censure difensive sono prive di pregio e la prospettata questione di legittimità costituzionale è manifestamente infondata. 5. Il ricorso non è fondato anche nella parte in cui delinea un improprio automatismo tra lo status di collaboratore e l'accesso a determinati benefici penitenziari. Con specifico riferimento al requisito del ravvedimento il Collegio osserva che lo stesso non può essere presunto sulla base dell'avvenuta collaborazione con la giustizia e dell'assenza di legami perduranti con la criminalità organizzata, ma presuppone una convinta revisione critica delle pregresse scelte criminali e la formulazione, quanto meno in termini di elevata e qualificata probabilità, di un serio, affidabile e ragionevole giudizio prognostico di pragmatica conformazione della futura condotta di vita del condannato alle regole dettate dall'ordinamento sulla base degli atteggiamenti concretamente tenuti ed esteriorizzati dalla persona durante l'esecuzione della pena. Di conseguenza, contrariamente a quanto prospettata nel ricorso, la condizione di collaboratore di giustizia non può comportare alcun automatismo ai fini della concessione della liberazione anticipata speciale, pur in presenza di reati ostativi ai sensi dell'art. 4 bis l. n. 354 del 1975 e successive modifiche, essendo sempre necessaria la valutazione, da parte del competente Tribunale, della sussistenza del ravvedimento, operata sulla base degli indici legislativamente predeterminati, oggetto dell'elaborazione della giurisprudenza di legittimità Sez. I, 16 gennaio 2007, n. 3675 Sez. I, 1 febbraio 2007, n. 9887 Sez. I, 19 febbraio 2009, n. 10421 . Non può neppure condividersi l'affermazione difensiva, fondata su di una non consentita presunzione generalizzante, che il soggetto ammesso alla detenzione domiciliare per effetto delle disposizioni di favore applicabili ai collaboratori di giustizia abbia conseguito un maggiore grado di recupero sociale rispetto a colui che sconti la pena in contesto carcerario, dipendendo tale effetto dal grado di adesione individuale al percorso trattamentale e dalle concrete opportunità rieducative di cui ci si è giovati. È da escludere, quindi, che la persona in detenzione domiciliare, pur se collaboratore di giustizia, sia, in virtù della predetta condizione e di tale status, di per sé più meritevole del detenuto che è in carcere. Non è fondata neppure la tesi difensiva che l'avere potuto beneficiare delle previsioni dell'art. 16-nonies della legge n. 82 del 1991 - e nella fattispecie di detenzione domiciliare che costituisce applicazione concreta dell'istituto omonimo più generale di cui all'art. 47-ter ord. pen. - esprima un'evoluzione maggiormente positiva e più significativa della personalità del condannato, posto che non sussiste coincidenza di presupposti tra quanto preteso da detta norma e ciò che è richiesto per concedere la liberazione anticipata. È sufficiente considerare al riguardo che la norma pretende quale condizione per la concessione dei benefici penitenziari ai collaboratori di giustizia, condannati per determinate tipologie di reato, la prestazione di collaborazione utile alla fruizione delle circostanze attenuanti previste dal sistema codicistico o dalla legislazione speciale, nonché la positiva verifica dell'assenza di collegamenti con la criminalità organizzata o eversiva, che in sé non assume significato di autentica revisione critica delle scelte delinquenziali pregresse e di sincero ravvedimento, atteggiamento che non può, invece, escludersi in assoluto nel detenuto, pur di analoga estrazione criminosa, intenzionato a cambiare vita, ma non ad accusare altri, meritando così l'attenuazione del proprio regime sanzionatorio. Anche il distinto profilo di contrasto tra la disciplina dell'art. 4, comma 5, della legge n. 10 del 2014 e la funzione rieducativa della pena non ha pregio se si considera che la persona ammessa al regime di detenzione domiciliare può, comunque, usufruire della liberazione anticipata ordinaria e, quindi di fruire dello stimolo incentivante alla fattiva partecipazione all'opera rieducativa Corte Cost., sentenza nr. 186 del 23/5/ 1995 . Il provvedimento impugnato non ha ravvisato la ragione dell'esclusione dalla maggiore detrazione di pena contemplata dalla liberazione anticipata speciale nell'impossibilità giuridica e fattuale di cumulare due benefici penitenziari, opportunità mai negata dal Tribunale di Sorveglianza, per la cui fruizione non sussiste nemmeno un ostacolo rinvenibile nella disciplina normativa in verifica. 6. L'ulteriore questione di legittimità costituzionale prospettata dalla difesa sulla base dei principi enunciati dalla Consulta a proposito della parificazione tra liberazione anticipata e liberazione condizionale quanto al regime di revoca dei benefici in caso di commissione durante la loro applicazione di fatto costituente reato sentenze nn. 186 del 1995 e 418 del 1998 è anch'essa manifestamente infondata. Le relative decisioni hanno, infatti, affermato l'irragionevolezza di meccanismi automatici di revoca delle misure a fronte della commissione di qualsiasi delitto o contravvenzione della stessa indole. Le pronunce di incostituzionalità si fondano, dunque, non sulla totale parificazione della detenzione carceraria rispetto a quella domiciliare, bensì sulla intrinseca inaccettabilità, all'interno del quadro costituzionale di riferimento, di criteri di revoca non selettivi, non commisurati all'effettiva gravità dell'infrazione commessa e non correlati all'entità della violazione accertata rispetto alla possibilità di prosecuzione della misura alternativa alla detenzione in carcere. 7. Sotto tutti questi profili, dunque, il ricorso non è meritevole di accoglimento e le dedotte questioni di legittimità costituzionale sono manifestamente infondate. Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.