Niente condanna se manca la prova dello stato di soggezione della vittima

Nel reato di maltrattamenti in famiglia deve escludersi che la compromissione del bene giuridico protetto si verifichi in presenza di semplici fatti che ledono ovvero mettono in pericolo l’incolumità personale, la libertà o l’onore di una persona della famiglia. È infatti necessario, per la configurabilità del reato, che tali fatti siano la componente di una più ampia e unitaria condotta abituale, idonea ad imporre un regime di vita vessatorio, mortificante e insostenibile, caratterizzato da uno stato di soggezione e inferiorità psicologica della vittima.

Affermando tale principio di diritto, la VI sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30903, depositata il 16 luglio 2015, ha annullato con rinvio la sentenza impugnata, accogliendo il ricorso dell’imputato. Il nesso di abitualità del delitto di maltrattamenti. La Corte d’appello di Palermo confermava la sentenza di condanna emessa dal gup del capoluogo siciliano per i delitti di maltrattamenti e danneggiamento che sarebbero stati perpetrati da un uomo ai danni della moglie. Il difensore dell’imputato ricorreva in Cassazione sostenendo che la Corte di merito aveva erroneamente ritenuto integrato il delitto di cui all’art. 572 c.p. unicamente sulla base dell’abitualità criminosa della condotta, prescindendo dal necessario accertamento dello stato di soggezione e inferiorità psicologica del soggetto passivo. La Suprema Corte accoglie il ricorso proprio su tale punto, ricordando innanzitutto il consolidato orientamento di legittimità per il quale la materialità del reato di maltrattamenti deve consistere in una condotta abituale che si estrinsechi con più atti che determinano sofferenze fisiche o morali, collegati da un nesso di abitualità e avvinti nel loro svolgimento da un’unica intenzione criminosa di ledere l’integrità fisica o morale della vittima infliggendogli abitualmente tali sofferenze. Il delitto di maltrattamenti integra quindi un reato necessariamente abituale che si caratterizza per una pluralità di condotte, commissive ma anche omissive, le quali, se isolatamente considerate, possono non costituire reato atti di infedeltà, mobbing familiare , ovvero non sono perseguibili ingiurie, percosse o minacce lievi, procedibili solo a querela di parte , ma acquistano rilevanza penale per effetto della loro reiterazione nel tempo. Stretto collegamento con il dolo. Con riferimento all’elemento psicologico, poi, il dolo nel delitto di maltrattamenti in famiglia è unitario e programmatico, nel senso che esso funge da elemento unificatore della pluralità di atti lesivi della personalità della vittima e si concretizza nell'inclinazione della volontà ad una condotta oppressiva e prevaricatoria che, nella reiterazione dei maltrattamenti, si va via via realizzando e confermando, in modo che il colpevole accetti di compiere le singole sopraffazioni con la consapevolezza di persistere in una attività illecita, posta in essere già altre volte da ultimo, Cass., n. 30432/15 . In questo quadro, essendo sufficiente il dolo generico, non è necessario che l'agente abbia perseguito particolari finalità, né assume rilievo l'assenza di un plausibile motivo atto a giustificare l'intenzione di infliggere alla vittima sofferenze fisiche o morali piuttosto, occorre la coscienza e volontà di sottoporre il soggetto passivo a tali sofferenze in modo continuo e abituale, rappresentando il dolo un momento unificatore dei singoli episodi, tale da abbracciare e fondere le diverse azioni, siano esse autonomamente delittuose o meno, purché vessatorie nei termini sopra rassegnati. Unitarietà che non va intesa in termini di specifico programma criminoso rigorosamente finalizzato alla realizzazione del risultato effettivamente raggiunto non occorre, cioè, che debba essere fin dall'inizio presente una rappresentazione della serie degli episodi quel che la legge impone, infatti, è che sussista la coscienza e volontà di commettere una serie di fatti lesivi della integrità fisica e della libertà o dei decoro della persona offesa in modo abituale Cass., n. 24727/15 . Lo stato di soggezione, diretto o indiretto, della vittima. Il reato di maltrattamenti in famiglia può sussistere solo in quanto espressione di una condotta che richiede l'attribuibilità al suo autore di una posizione di abituale prevaricante supremazia alla quale la vittima soggiace. La giurisprudenza di legittimità ricorda inoltre che ai fini della configurabilità del delitto di cui all'art. 572 c.p., lo stato di sofferenza e di umiliazione delle vittime non deve necessariamente collegarsi a specifici comportamenti vessatori posti in essere nei confronti di un determinato soggetto passivo, ma può derivare anche da un clima generalmente instaurato all'interno di una comunità in conseguenza di atti di sopraffazione indistintamente e variamente commessi a carico delle persone sottoposte al potere dei soggetti attivi, i quali ne siano tutti consapevoli, a prescindere dall'entità numerica degli atti vessatori e dalla loro riferibilità ad uno qualsiasi dei soggetti passivi Cass., n. 41142/10 . Tale pronuncia ha aperto le porte alla punibilità dei maltrattamenti indiretti”, ossia compiuti verso il coniuge, ma che estendono i loro effetti verso i figli. La violenza assistita”, prima frutto della elaborazione della scienza psicologica e medica, è stata, tra l’altro, positivizzata con l'aggravante di cui all'art. 61 n. 1 quinquies c.p. introdotta con la l. n. 119/13, di conversione del d.l. n. 93/13, sulla violenza di genere . Tuttavia, qualora la materialità della condotta di uno dei coniugi, quale espressa nei confronti dell’altro coniuge, abbia assunto connotazioni occasionali ossia siano state poche le volte in cui i figli erano testimoni-spettatori dei comportamenti illeciti del padre , vanno esclusi i maltrattamenti ai danni dei figli proprio perché mancano l’abitualità e lo stato di soggezione delle condotte vessatorie Cass., n. 4332/15 . Non è delimitata l’abitualità e manca la prova dello stato di soggezione. Alla luce della richiamata e pacifica giurisprudenza, secondo gli Ermellini difettano nel caso di specie, sia le ragioni giustificatrici della ritenuta abitualità, la cui estensione temporale doveva essere specificamente perimetrata temporalmente , sia lo stato di soggezione e inferiorità psicologica che si sarebbe venuto a determinare nella vittima a seguito delle condotte maltrattanti poste in atto dall’imputato. Per tali ragioni hanno annullato con rinvio la sentenza impugnata, ove il giudice sarà tenuto ad uniformarsi ai principi di diritto stabiliti dalla Suprema Corte.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 4 giugno – 16 luglio 2015, n. 30903 Presidente Conti – Relatore De Amicis Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa in data 11 aprile 2014 la Corte d'appello di Palermo ha confermato la sentenza del G.u.p. presso il Tribunale di Palermo del 6 giugno 2013, che all'esito di giudizio abbreviato condannava F.M. alla pena di anno uno, mesi quattro e giorni venti di reclusione, oltre al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile, ritenendolo responsabile dei reati, tra loro unificati sotto il vincolo della continuazione, di cui agli artt. 572 e 635 c.p., commessi in Palermo fino al 27 febbraio 2013 in danno della moglie D.B.C. . 2. Avverso la su indicata pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, deducendo cinque motivi di doglianza il cui contenuto viene qui di seguito sinteticamente illustrato. 2.1. Erronea applicazione dell'art. 572 c.p., per avere la Corte di merito ritenuto integrata la fattispecie incriminatrice unicamente sulla base dell'abitualità criminosa della condotta, prescindendo del tutto dal necessario accertamento dello stato di soggezione e inferiorità psicologica del soggetto passivo. 2.2. Vizi motivazionali in relazione allo stato di soggezione della persona offesa, per non avere considerato le dichiarazioni rese dalla teste F.F. ex art. 391 bis c.p.p., che aveva riferito in merito all'esistenza di incontri e di continui contatti telefonici intercorsi fra l'imputato e la persona offesa, che di recente, peraltro, aveva espresso l'intenzione di tornare a vivere con il coniuge circostanze, queste, idonee ad escludere la presenza di una condizione di subordinazione psicologica, di timore o paura verso l'imputato. 2.3. Inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa in sede processuale, dopo che la stessa aveva revocato la costituzione di parte civile e non era più parte del rapporto processuale. L'art. 90 c.p.p., a tale proposito, esclude che la stessa possa rendere dichiarazioni, che i Giudici hanno invece utilizzato al fine di motivare la mancata concessione delle attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena. 2.4. Erroneo diniego delle attenuanti generiche, avuto riguardo, in particolare, ai dati rappresentati dalla lontananza temporale del precedente penale a carico dell'imputato, all'accordo di separazione consensuale intervenuto con la moglie dinanzi al Tribunale di Palermo il 27 giugno 2013, alla revoca della costituzione di parte civile ed al fatto che gli stessi Giudici d'appello avevano espresso una prognosi negativa di ricaduta criminosa nell'ordinanza di revoca della misura cautelare dell'obbligo di presentazione alla P.G., emessa il 14 marzo 2014, ossia un mese prima della decisione di merito. 2.5. Erroneo diniego del beneficio della sospensione condizionale della pena, richiamandosi, al riguardo, le medesime considerazioni già espresse a sostegno del precedente motivo di doglianza. Considerato in diritto 1. Le prime due doglianze in ricorso prospettate sono fondate e vanno accolte per le ragioni qui di seguito indicate, rimanendo logicamente assorbiti, allo stato, gli ulteriori motivi, siccome attinenti alla determinazione del trattamento sanzionatorio e alla concessione dei relativi benefici di legge. 2. Secondo il costante insegnamento giurisprudenziale di questa Suprema Corte Sez. 1, n. 8618 del 12/02/1996, dep. 24/09/1996, Rv. 205754 , ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 572 cod. pen. la materialità del fatto deve consistere in una condotta abituale che si estrinsechi con più atti che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, collegati da un nesso di abitualità ed avvinti nel loro svolgimento da un'unica intenzione criminosa di ledere l'integrità fisica o morale del soggetto passivo infliggendogli abitualmente tali sofferenze. Per ritenere raggiunta la prova dell'elemento materiale di tale reato, dunque, non possono essere presi in considerazione singoli e sporadici episodi di percosse o lesioni, né un eventuale precedente specifico, che può valere soltanto per la valutazione della personalità dell'imputato agli effetti della determinazione della pena da infliggere in concreto. Il reato di maltrattamenti in famiglia, infatti, integra una ipotesi di reato necessariamente abituale, che si caratterizza per la sussistenza di una serie di fatti, per lo più commissivi, ma anche omissivi, i quali isolatamente considerati potrebbero anche essere non punibili atti di infedeltà, di umiliazione generica, etc. , ovvero non perseguibili ingiurie, percosse o minacce lievi, procedibili solo a querela , ma acquistano rilevanza penale per effetto della loro reiterazione nel tempo esso si perfeziona allorché si realizza un minimo di tali condotte delittuose o meno collegate da un nesso di abitualità e può formare oggetto anche di continuazione ex art. 81, cpv., cod. pen., come nel caso in cui la serie reiterativa sia interrotta da una sentenza di condanna, ovvero da un notevole intervallo di tempo tra una serie di episodi e l'altra Sez. 6, n. 4636 del 28/02/1995, dep. 27/04/1995, Rv. 201148 . Ne discende che il reato in esame, configurando un'ipotesi di reato abituale che si caratterizza per la sussistenza di una serie di fatti che isolatamente considerati potrebbero anche essere non punibili, si consuma nel momento e nel luogo in cui le condotte poste in essere divengono complessivamente riconoscibili e qualificabili come maltrattamenti Sez. 6, n. 43221 del 25/09/2013, dep. 22/10/2013, Rv. 257461 . Sotto altro, ma connesso profilo, deve altresì ribadirsi che nel reato di cui all'art. 572 cod. pen. deve escludersi che la compromissione del bene giuridico protetto si verifichi in presenza di semplici fatti che ledono ovvero mettono in pericolo l'incolumità personale, la libertà o l'onore di una persona della famiglia, essendo necessario, per la configurabilità del reato, che tali fatti siano la componente di una più ampia ed unitaria condotta abituale, idonea ad imporre un regime di vita vessatorio, mortificante e insostenibile Sez. 6, n. 37019 del 27/05/2003, dep. 26/09/2003, Rv. 226794, che in motivazione ha precisato che fatti episodici lesivi di diritti fondamentali della persona, derivanti da situazioni contingenti e particolari, che possono verificarsi nei rapporti interpersonali di una convivenza familiare, non integrano il delitto di maltrattamenti, ma conservano la propria autonomia di reati contro la persona v., inoltre, Sez. 6, n. 7192 del 04/12/2003, dep. 19/02/2004, Rv. 228461 Sez. 6, n. 3570 del 01/02/1999, dep. 18/03/1999, Rv. 213516 . 3. A tale quadro di principii non si è uniformata l'impugnata sentenza, che, nel rilevare che nessuna censura difensiva è stata mossa in ordine all'ulteriore reato di danneggiamento dell'autovettura della moglie, dall'imputato commesso in Palermo il 26 febbraio 2013, ha genericamente fondato il giudizio di responsabilità per il delitto di maltrattamenti sulla prospettazione di una pluralità di condotte persecutorie e vessatorie poste in essere dal F. nei confronti della moglie, e da quest'ultima fatte oggetto di denunzia in data 29 settembre 2012 e in data 27 febbraio 2013, a seguito del suo allontanamento dall'abitazione coniugale decisione cui la persona offesa, peraltro, si sarebbe risolta solo nel maggio 2012. Dalla sequenza dei correlativi passaggi motivazionali, infatti, non emerge una precisa delineazione delle ragioni giustificative della ritenuta abitualità della condotta delittuosa, la cui estensione temporale dovrebbe a tal fine essere compiutamente individuata e specificata, chiarendo altresì le note modali e la effettiva consistenza dei comportamenti nel tempo assunti dall'imputato, unitamente ai tratti caratterizzanti lo stato di soggezione ed inferiorità psicologica che si sarebbe venuto a determinare nella vittima quale effetto degli atti di prevaricazione sistematicamente commessi dal soggetto attivo. 4. Sulla base delle su esposte considerazioni, conclusivamente, l'impugnata sentenza deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d'appello in dispositivo indicata, che dovrà porre rimedio ai vizi rilevati con riferimento al reato di cui a. capo sub A , uniformandosi al quadro dei principi di diritto in questa Sede stabiliti. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo A e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Palermo.