Le “nuove” forme di schiavitù al vaglio della Suprema Corte

La condotta di riduzione in schiavitù” consiste nell'esercitare sulla persona altrui poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà senza che rilevi il precedente stato di libertà della vittima, né che questa abbia percezione del suo status. La condotta di riduzione in servitù”, invece, corrisponde alla condotta di colui che riduce o mantiene altri in uno stato di soggezione continuativa.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, sez. IV Penale, con la sentenza n. 30988 depositata il 16 luglio 2015. Schiavitù e servitù come si è evoluta nel tempo la tutela della libertà umana ? Dalle righe della sentenza in commento emerge ben poco del fatto storico che la sottende sembra di capire che – alla base della decisione – vi sia una delle solite storie, niente affatto nuove e purtroppo nemmeno rare, in cui alcuni cittadini stranieri sono rimasti vittima di una qualche forma di sfruttamento. Lo si comprende dalle contestazioni questa sentenza è resa al culmine di una vicenda cautelare, e perciò non possiamo parlare di imputazioni vere e proprie tratta di persone e riduzione in schiavitù. La schiavitù, che per gli antichi Romani era legittima e non osiamo inoltrarci nemmeno per cenni in quel mondo, affascinante sì, ma per questi aspetti fortunatamente molto lontano nel tempo è in realtà un gravissimo delitto. Il nostro codice penale, che per gioventù non brilla - essendo un arzillo ottantacinquenne - ha subito nel tempo ci scusiamo per il linguaggio da chirurgia estetica un consistente lifting il testo originario della norma incriminava con una sanzione nemmeno troppo severa da cinque a quindici anni di reclusione chiunque riduce una persona in schiavitù, o in una condizione analoga alla schiavitù”. Nel 2003 la norma veniva riformulata, e il testo assumeva la connotazione molto articolata attualmente vigente nel 2014 la norma subiva un’ulteriore novella. Ed è proprio di questa evoluzione – e del connesso mutamento di significato che la norma ha assunto oggi - che la Cassazione ci dà puntualmente conto nella sentenza in esame. Schiavitù di diritto” quando la persona diventa un oggetto . Anche se questa fattispecie non rientrava nemmeno tra quelle contestate ad alcuno degli indagati sotto processo, la Suprema Corte non si lascia sfuggire l'occasione per fare un poco di chiarezza le fattispecie oggi punite sono due, ben distinte. La prima delle due è quella che incrimina la condotta di chi esercita su una persona un potere pari a quello del diritto di proprietà. Si parla, per l'appunto, di reificazione” dell'essere umano. Tra i presupposti di questa odiosa forma criminale non vi è il precedente status libertatis della vittima del reato non occorre, in altre parole, che quest'ultima sia libera” per poter punire colui che la tratta come un oggetto ciò perché la fattispecie non prende più in considerazione la fase dinamica della riduzione in schiavitù”. Né assume rilievo dirimente il fatto che la vittima abbia piena consapevolezza di essere diventata una cosa” nelle mani del proprio padrone”. e schiavitù di fatto la soggezione continuativa nelle recenti evoluzioni normative. La norma del codice penale, però, tratteggia un'altra fattispecie criminosa, sicuramente dotata di un più ampio spettro applicativo e di una tecnica di tipizzazione maggiormente moderna” è sicuramente difficile – anche e soprattutto sul piano probatorio – dimostrare che vi sia l'esercizio di un diritto di proprietà” su una persona. Assai più spesso, ed a questo adesso ci riferiamo, si verifica che taluno soggioghi continuativamente altre persone, tenendole sotto il proprio tallone anche in forme diverse da quelle tipiche della disposizione in modo pieno ed esclusivo dell'altrui persona”. Questa fattispecie di reato, appartenente al novero dei reati permanenti lo stato di soggezione corrisponde ad una compressione significativamente lunga della libertà necessita, per la sua consumazione, che sia posta in essere una condotta violenta, minacciosa, ingannevole, eccetera vanno in altri termini rispettate le modalità di lesione” previste dal codice. L'approfittamento della vulnerabilità . Il nostro legislatore, nel 2014, ha dato attuazione ad una direttiva europea di tre anni antecedente in materia di prevenzione della tratta di esseri umani. Questo provvedimento sovranazionale si inquadra nella più generale tendenza a dare risalto ed a tutelare la vittima da reato. Ecco che, quindi, il testo della norma incriminatrice oggi prevede che il mantenimento nello stato di soggezione possa avvenire anche quando l'agente faccia leva, approfittandosene, sulla situazione di vulnerabilità in cui si trova la vittima. Vulnerabile è chi non ha scampo deve per forza accettare di sottomettersi ad un padrone”. È allora da salutare con favore il rimodellamento della norma penale sulla riduzione in servitù le scelte obbligate” sono imposizioni mascherate. E la mente corre ai tanti stranieri che clandestinamente vengono radunati per andare a lavorare in nero. O alle giovani avviate verso la prostituzione. Ecco perché è importante che queste norme a tutela della libertà dell'uomo abbiano un range applicativo quanto mai ampio. Confinarle entro spazi operativi angusti equivarrebbe a ridurne l'efficacia deterrente e, soprattutto, a diminuirne la forza tutelativa.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 17 giugno – 16 luglio 2015, n. 30988 Presidente Marasca – Relatore Pistorelli Ritenuto in fatto 1. Con l'ordinanza impugnata il Tribunale di Salerno in funzione di giudice del riesame, in parziale riforma del provvedimento con cui erano stati applicati dal locale G.i.p. nei confronti di B.L. , R.M.L. , V.E. , E.O.F. , D.E. e M.G. la custodia cautelare in carcere o gli arresti domiciliari, ha annullato lo stesso, per quanto qui di interesse, con riguardo ai reati di cui agli artt. 600 e 601 c.p. contestati al capo B e nei confronti di M.G. , ritenendo quanto alla posizione di quest'ultimo insussistenti i gravi indizi della sua partecipazione all'associazione configurata nel capo A anche nei confronti degli altri indagati e le esigenze cautelari per il reato di corruzione continuata di cui al capo D-bis . Con riguardo alla posizione del V. , a parte il menzionato annullamento in relazione ai reati di cui al capo B , il Tribunale ha confermato l'ordinanza genetica con riguardo ai reati di cui ai menzionati capi A e D-bis , provvedendo però a sostituire la custodia carceraria con gli arresti domiciliari. 2. Avverso l'ordinanza ricorrono il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Salerno e il V. . 2.1 Il ricorso del pubblico ministero articola tre motivi. 2.1.1 Con il primo deduce l'errata applicazione della legge penale non avendo il Tribunale considerato come per la configurabilità del reato di tratta di persone sia sufficiente che la persona offesa sia fatta espatriare con l'inganno, mentre per quella del delitto di riduzione in schiavitù non è necessaria una assoluta privazione della libertà personale. 2.1.2 Con il secondo motivo lamenta vizi della motivazione in ordine alla ritenuta insussistenza dei gravi indizi della partecipazione del M. all'associazione di cui al capo A , rilevando come i giudici del riesame, nell'argomentare dal mancato coinvolgimento dell'indagato nel reato di cui al capo B , non abbiano in realtà tenuto conto del principio di autonomia tra reato associativo e reati fine del sodalizio, né del fatto che allo stesso è contestato il concorso nel reato di caporalato , da considerarsi in ogni caso reato fine dell'associazione. 2.1.3 Con il terzo motivo infine denuncia violazione di legge in ordine all'esclusione del pericolo di reiterazione, non avendo il Tribunale tenuto conto né dei consolidati principi in tema di indipendenza tra carica pubblica e sussistenza dell'esigenza cautelare, né delle risultanze investigative costituite dalle dichiarazioni rese dallo stesso indagato in merito alla sua frequentazione dell'Ufficio Anagrafe del Comune di Eboli anche dopo il suo pensionamento e dal rinvenimento presso la sua abitazione di numerose carte d'identità rumene. 2.2 Il ricorso del V. deduce violazione di legge in relazione al difetto assoluto di motivazione dell'ordinanza impugnata in merito alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari. Con riguardo al primo profilo il ricorrente osserva come il Tribunale si sia limitato sul punto ad escludere la verosimiglianza dell'alternativa versione dei fatti offerta dall'indagato, accogliendo per il resto in maniera acritica le valutazioni contenute nel provvedimento genetico e soprattutto omettendo di confutare gli articolati rilievi contenuti nella memoria presentata dalla difesa. Analogamente, quanto alle esigenze cautelari, i giudici del riesame non si sarebbero confrontati con le obiezioni difensive e avrebbero omesso di tenere conto altresì del ridimensionamento del quadro cautelare conseguente alla loro stessa decisione di escludere la sussistenza dei reati contestati al capo B . 3. Con memoria trasmessa il 16 giugno 2015 con la quale ha richiesto il rigetto del ricorso del pubblico ministero. Considerato in diritto 1. Il ricorso del pubblico ministero è fondato nei limiti che di seguito verranno esposti. 1.1 In particolare fondato è il primo motivo, con cui si censura la ritenuta in configurabilità dei reati di cui agli artt. 600 e 601 c.p 1.1.1 In proposito, quanto alla prima fattispecie, va ricordato come, abbandonata l'originaria e generica formulazione, l'art. 600, primo comma, nel testo rimodulato dal legislatore nel 2003, descrive in maniera più analitica e senza mai ricorrere al termine schiavitù , conservato solo nella rubrica dell'articolo due autonome fattispecie alternative in questo senso Sez. 3, n. 24269 del 27 maggio 2010, K., Rv. 247704 , le quali, ampliando in maniera esplicita l'ambito di applicazione dell'incriminazione, abbracciano tanto le residuali situazioni di schiavitù di diritto, che quelle di schiavitù di fatto ovvero di assoggettamento materiale di una persona ad un'altra. 1.1.2 La prima ipotesi delittuosa - qui non contestata - come accennato, rimane integrata dall'esercizio su altri di poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà. La condotta è dunque quella di chi esercita su di un essere umano un dominio equivalente a quello che la titolarità del diritto dominicale consente di esercitare su di una cosa, evidenziando in tal modo come l'essenza dell'incriminazione risieda, per l'appunto, nella repressione dei comportamenti di reificazione della persona. La norma richiede che il potere esercitato su altri corrisponda a quello del diritto di proprietà, circostanza che consente di ritenere che la fattispecie si riferisca non solo alla condizione di schiavitù di diritto, ma altresì alle situazioni nelle quali di fatto venga esercitata su di un altro essere umano una signoria così pervasiva da risultare equivalente nel suo contenuto alle forme di manifestazione del diritto di proprietà. La condotta tipica ha ad oggetto esclusivamente l'esercizio dei poteri come sopra descritti e dunque, a differenza da quanto prevedeva l'art. 600 nella sua originaria formulazione, non presuppone che la persona che lo subisce fosse in precedenza libera, giacché la fattispecie, in realtà, non prende più in considerazione la fase dinamica della riduzione in schiavitù che può essere imputabile anche ad altri , ma fotografa in maniera statica la relazione tra l'autore del reato e colui che ne rappresenta l'oggetto materiale. Non è nemmeno richiesto, infine, che la vittima del reato abbia effettiva percezione della situazione in cui è costretto. 1.1.3 La seconda ipotesi configurata nel primo comma dell'art. 600 è invece più articolata della precedente e concerne quelle forme di assoggettamento di fatto diverse dalla disposizione in modo pieno ed esclusivo dell'altrui persona, che il legislatore ha sintetizzato, nella rubrica della norma, con il termine servitù . La fattispecie è integrata dalla condotta di chi, alternativamente, riduca o mantenga altri in uno stato di soggezione continuativa. Nel primo caso presupposto del reato è lo stato di libertà della persona assoggettata, nel secondo che la stessa lo abbia già perduto per mano di soggetto diverso dall'autore del reato. 1.1.4 Il secondo comma dell'art. 600 definisce ulteriormente la tipicità delle due condotte, imponendo loro una forma vincolata e cioè richiedendo che le stesse debbano necessariamente essere realizzate, alternativamente Sez. 3, n. 13734 del 12 marzo 2009, D. J., Rv. 243434 , mediante violenza, minaccia, inganno, abuso di autorità, approfittamento di una situazione di inferiorità fisica o psichica o di necessità, ovvero, infine, mediante la promessa o la dazione di somme di danaro o di altri vantaggi a chi sulla persona assoggettata esercita la propria autorità. 1.1.5 Le connotazioni modali della condotta descritte dal secondo comma dell'art. 600 in alcuni casi evocano nozioni ricorrenti nell'ordinamento penale, come quelle di violenza, minaccia o abuso di autorità. Quanto alle altre, è intuitivo che per inganno si intende l'induzione in errore della vittima del reato, come nel caso del reclutamento di soggetti stranieri attirati nel nostro paese con false promesse di matrimonio o di lavoro e successivamente avviate alla prostituzione. L'approfittamento della situazione di necessità, come questa Corte ha già avuto modo di precisare, consiste nella situazione di debolezza o mancanza materiale o morale atta a condizionare la volontà della persona ed è equiparabile non già allo stato di necessità di cui all'art. 54 c.p., quanto, piuttosto, allo stato di bisogno evocato dall'art. 1448 e.e. ovvero nella fattispecie di usura aggravata di cui all'art. 644, comma quinto, n. 3 c.p. ex multis Sez. 3, n. 21630 del 6 maggio 2010, E. e altro, Rv. 247641 . Stato di bisogno che la stessa giurisprudenza ha ritenuto, ad esempio, ricorrere nell'ipotesi della mancanza di alternative esistenziali in cui versa un immigrato clandestino privo di risorse e che risulta onerato dal debito contratto con il suo sfruttatore per l'agevolazione del suo ingresso illegale nel territorio italiano Sez. 5, n. 46128 del 13 novembre 2008, I., Rv. 241999 . 1.1.6 È poi richiesto per la sussistenza del reato una sorta di duplice evento. Innanzi tutto risulta necessario che la condotta sia causa alternativamente procurandolo o perpetrandolo dello stato di soggezione continuativa della vittima e cioè di un asservimento non episodico, ma protratto nel tempo, talché quello in esame deve considerarsi reato permanente. Ciò peraltro non significa che l'assoggettamento debba protrarsi in maniera assoluta per tutto il tempo della consumazione del reato, sussistendo quest'ultimo anche nell'ipotesi in cui la soggezione all'altrui potere venisse temporaneamente allentato. In secondo luogo tale stato di soggezione deve estrinsecarsi nella costrizione della stessa vittima a prestazioni lavorative o sessuali ovvero all'accattonaggio o comunque a prestazioni che ne comportino lo sfruttamento. A differenza dello stato di soggezione, che come detto deve protrarsi con continuità, questo secondo evento si realizza - segnando l'effettivo momento consumativo del reato - anche in caso di effettuazione di una sola delle prestazioni elencate dalla norma incriminatrice. 1.1.7 Il d.lgs. n. 34/2014 - al fine di corrispondere alla specifica previsione in tal senso contenuta nell'art. 2.3 della direttiva 2011/36/UE cui ha inteso dare attuazione - è più di recente intervenuto sul secondo comma dell'art. 600, specificando ulteriormente le connotazioni modali della condotta tipica. In tal senso quella dell'approfittamento è stata riferita, oltre che alle situazioni di inferiorità fisica o psichica o di necessità della persona offesa, anche a quella di vulnerabilità” della medesima. La relativa nozione si ricava dall'art. 2.2 della citata direttiva, secondo cui per posizione di vulnerabilità si intende una situazione in cui la persona non ha altra scelta effettiva ed accettabile se non cedere all'abuso di cui è vittima”. Modifica che in realtà non sembra aver ampliato l'ambito applicativo della norma incriminatrice, soprattutto se per l'appunto messa in relazione con la nozione contenuta nella direttiva, ma specificato contenuti sostanzialmente già ricavabili dal dato normativo previgente. Non di meno deve evidenziarsi come, trattandosi di reato permanente, l'eventuale natura estensiva della modifica non è discriminante nel caso di specie, atteso che una porzione della condotta è stata posta in essere successivamente all'entrata in vigore della menzionata novella sulla disciplina della successione di leggi in caso di reati permanenti ex multis Sez. 1, n. 40203 del 29 settembre 2010, Lo Sicco, Rv. 248461 . 1.1.8 Ricostruita in questi termini la fattispecie contestata agli indagati, deve convenirsi con il pubblico ministero circa l'inadeguatezza delle conclusioni assunte dal Tribunale in ordine all'inconfigurabilità del reato, sostanzialmente fondate sul ritenuto difetto di una effettiva limitazione della libertà personale, elemento che come detto non è richiesto dalla norma incriminatrice che tutela altro bene giuridico. Più in generale i giudici territoriali dimostrano di non aver metabolizzato l'evoluzione di quest'ultima, il cui orizzonte applicativo più importante trascende la dimensione della segregazione e della reificazione dell'essere umano, tanto che ad apparire forse obsoleta è la rubrica dell'art. 600. La descrizione del fatto svolta nel provvedimento impugnata invero fa emergere l'apparente sussistenza di tutti gli elementi integrativi della fattispecie di servitù sostanziale o quantomeno non pare che il Tribunale abbia compiutamente espresso le ragioni della loro inidoneità nella prospettiva dell'accettazione volontaria della situazione accertata. 1.1.9 Sul punto l'ordinanza deve dunque essere annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Salerno. L'accoglimento delle doglianze relative al reato di cui all'art. 600 comportano l'assorbimento di quelle relative all'art. 601, attesa la stretta correlazione esistente tra le due fattispecie alla luce del dolo specifico che caratterizza la seconda. 1.1.10 È invece inammissibile il secondo motivo, atteso che il Tribunale, con articolata motivazione, ha spiegato le ragioni per cui ha ritenuto sostanzialmente insussistente l’ affectio societatis del M. . Solo a tal fine i giudici del riesame hanno argomentato in merito al mancato coinvolgimento dell'indagato nei reati fine del sodalizio, che, in difetto di elementi ulteriori rispetto alla sua corruzione in grado di evidenziare il suo effettivo inserimento nella compagine criminale, in maniera non manifestamente illogica è stato ritenuto descrivere un quadro indiziario non sufficientemente grave. 1.1.11 Con tale apparato giustificativo il ricorso sostanzialmente non si confronta, rivelando la sua intrinseca genericità, invocando invece una, come detto inesistente, errata applicazione della legge penale. Quanto poi all'obiezione per cui il M. sarebbe indagato per i reati di cui al capo C , parimenti il pubblico ministero ricorrente ha omesso di confutare la puntuale replica contenuta nel provvedimento impugnato. 1.1.12 Ed inammissibile è anche il terzo motivo. Ancora una volta il Tribunale non ha voluto affermare il principio contestato con il ricorso, atteso che la motivazione relativa all'insussistenza delle esigenze cautelari non può essere interpretata nel senso per cui l'avvenuto pensionamento del M. automaticamente farebbe decadere qualsiasi pericolo di reiterazione del reato. In realtà i giudici del riesame, tenendo conto di tutte le circostanze del fatto - e dunque anche del pensionamento - hanno ritenuto tale pericolo non più effettivo e concreto, sostenendo tale valutazione con motivazione non illogica e dunque insindacabile in questa sede. 1.1.13 Quanto invece al dedotto travisamento per omessa valutazione di risultanze probatorie, il ricorso si rivela generico nella misura in cui queste ultime sono state solo evocate nel suo svolgimento, ma non allegate o riportate integralmente nel loro contenuto come necessario secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, non consentendo in tal modo di apprezzare l'effettiva rilevanza del vizio denunciato ex multis Sez. 6, n. 45036 del 2 dicembre 2010, Damiano, Rv. 249035 Sez. 4 n. 37982 del 26 giugno 2008, Buzi, rv 241023 Sez. F., n. 32362 del 19 agosto 2010, Scuto ed altri, Rv. 248141 . 2. Venendo al ricorso del V. , lo stesso deve ritenersi fondato nella misura in cui effettivamente il Tribunale non si è sostanzialmente confrontato con le specifiche obiezioni svolte nella memoria depositata dalla difesa nell'incidente cautelare e che richiedevano altrettanto specifica confutazione ai fini della tenuta argomentativa della motivazione del provvedimento impugnato ex multis Sez. 1, n. 37531 del 7 ottobre 2010, Pirozzi, Rv. 248551 . Fondata è altresì la doglianza sollevata con riguardo alle esigenze cautelari, atteso che anche sul punto i giudici del riesame non si sono confrontati con i rilievi contenuti nella memoria difensiva, ma soprattutto con gli esiti della propria decisione, non argomentando in merito alla rilevanza dell'esclusione della sussistenza di gravi indizi dei più gravi tra i reati contestati all'indagato. 3. Conseguentemente il provvedimento impugnato deve essere annullato, accoglimento del ricorso del pubblico ministero, limitatamente ai reati di cui ai capi B , nonché, in accoglimento del ricorso dell'indagato, alla posizione di V.E. con rinvio al Tribunale di Salerno per nuovo esame sui punti sopra evidenziati. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata limitatamente al capo B , nonché alla posizione del V. con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Salerno, sezione misure coercitive. Rigetta nel resto il ricorso del pubblico ministero.