Una condanna per cessione di stupefacenti non vale automaticamente l’espulsione dallo Stato

Spetta al giudice di merito valutare la sussistenza della pericolosità sociale del soggetto da condannare alla misura di sicurezza da eseguirsi a pena espiata, con valutazione discrezionale da effettuare con i principi indicati dall’art. 133 c.p., previo bilanciamento tra l’interesse generale alla sicurezza sociale e l’interesse del singolo a non essere perseguitato all’estero o a compromettere il rispetto alla vita familiare.

Così si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza n. 30493, depositata il 15 luglio 2015. Il caso. Ad essere sindacata davanti alla Corte è una pronuncia del gip di applicazione pena su richiesta delle parti per un caso di continuazione, in concorso tra imputato e altre persone sconosciute dei reati di cessione di sostanza stupefacente di tipo eroina per una complessiva quantità di 1000 grammi e il reato di acquisto o ricezione da terzi di sostanza stupefacente di tipo eroina, trasportata presso l’abitazione dell’imputato o in altri luoghi per poi essere spacciata a numerosi soggetti indicati nel capo di imputazione. La sentenza ex art. 444 c.p.p Per il gip vi erano elementi sufficienti che provavano i fatti contestati, la qualificazione giuridica data risultava corretta, così come l’attribuibilità delle contestazioni alla persona dell’imputato. Inoltre, vi era assenza di evidenti prove di innocenza, di talché non erano ipotizzabili cause di proscioglimento nel merito ai sensi dell’art. 129 c.p.p La sentenza, in concreto, poi, descriveva le prove l’attività svolta dalla Polizia giudiziaria, la dichiarazione di persona informata dei fatti dalla quale emergeva che l’imputato, in concorso con altri, aveva operato cessione di stupefacenti fungendo da intermediario con altri fornitori. Se c’è patteggiamento perché adire la Cassazione? Ricorrenti erano sia l’imputato che il Procuratore Generale presso la Corte d’appello. Il primo censurava il difetto di motivazione circa la non applicazione dell’art. 129 c.p.p. essendo, a suo dire, evidente ex actis l’innocenza rispetto alle contestazioni. Il ricorso è giudicato manifestamente infondato e il ricorrente condannato al pagamento di una somma alla Cassa delle Ammende. Invero, la Corte evidenzia che la motivazione del gip aveva evidenziato gli elementi da cui trarre il convincimento della responsabilità penale a fronte dell’inattività del ricorrente che non ha indicato alcun elemento che il gip avrebbe dovuto considerare al fine di applicare l’art. 129 c.p.p La motivazione è sufficiente. I giudici di legittimità ricordano che l’avvenuto accordo intervenuto tra le parti sulla pena da applicare esonera la pubblica accusa dall’onere della prova. La motivazione della sentenza recepisce l’accordo tra le parti ed è sufficiente se consta della descrizione del fatto attribuito, così come deducibile dall’imputazione. È sufficiente che il gip verifichi la qualificazione giuridica e che richiami l’art. 129 c.p.p. escludendo la ricorrenza delle ipotesi ivi previste di proscioglimento nel merito dovuto a cause che emergono dagli atti e se verifica la congruità della pena. E la misura di sicurezza? Il Procuratore Generale ha evidenziato la violazione dell’art. 86, comma 1, T.U. Stupefacenti che dispone che la sentenza che applica una pena superiore ai 2 anni di reclusione comporta, a pena espiata, la misura di sicurezza dell’espulsione dell’imputato straniero dallo Stato a condizione che dagli atti processuali risulti la sua pericolosità sociale. La giurisprudenza ha confermato che la misura è applicabile anche in caso di sentenza di applicazione della pena. Per questi motivi, il P.G. ha chiesto la rettifica con procedura ex art. 619 c.p.p L’espulsione dello straniero. La misura di sicurezza de qua prevede l’espulsione obbligatoria” da eseguirsi dopo l’espiazione della pena ma l’espulsione non è automatica” nel senso che non prescinde da qualsiasi giudizio sulla pericolosità dello straniero condannato. Tale principio è stato chiarito dalla Corte Costituzionale sent. n. 58/85 affermando che l’ordine di espulsione, pur se contestuale alla condanna, richiede pur sempre il preventivo accertamento della pericolosità sociale del colpevole è stata abrogata la norma del codice penale in tema di pericolosità presunta . Pertanto, il giudice di cognizione deve accertare il requisito della pericolosità sociale dello straniero condannato. In mancanza di valutazione del giudice, effettuata alla stregua degli indici ex art. 133 c.p., si frappone un ostacolo alla possibilità di sviluppo della personalità del condannato, nel senso del superamento della sua condizione di soggetto socialmente pericoloso. Il previo accertamento, per orientamento giurisprudenziale, è obbligatorio e incombe, prima ancora che sul giudice dell’esecuzione, già sul giudice di merito che sia chiamato a statuire sulla misura di sicurezza. Contestualmente alla sentenza di condanna o di patteggiamento c.d. allargato e previo accertamento in concreto dell’attuale pericolosità sociale del condannato, il giudice è obbligato ad emettere l’ordine di espulsione dello straniero dal territorio dello Stato da eseguire dopo l’espiazione della pena superiore a due anni di reclusione. L’espulsione è compatibile con i principi CEDU? L’espulsione, pur essendo esercizio del potere di sovranità dello Stato, non deve provocare ingerenze nella vita privata e familiare in altri termini, non deve porsi in violazione dell’art. 8 Convenzione EDU . La disposizione sull’espulsione deve essere interpretata nel senso che l’applicazione pratica non possa risolversi immotivatamente nella violazione del principio sancito dalla norma convenzionale. Esemplificando quando lo straniero possiede una famiglia in un Paese, l’esecuzione dell’espulsione costituisce ingerenza dell’autorità pubblica nell’esercizio del diritto al rispetto della vita familiare. La violazione di siffatto diritto deve risultare necessaria, altrimenti è contraria alla Convenzione. Altri divieti di espulsione per categorie vulnerabili art. 19 d.lgs. n. 268/1998 . È preclusa l’adozione della misura in parola per determinate categorie di soggetti. Non può essere disposta l’espulsione verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, sesso, lingua, cittadinanza, religione, opinioni politiche, condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso altro Stato dove non sia protetto dalla persecuzione. Inoltre, salvo che per motivi di ordine pubblico, non è consentita l’espulsione dei minori salvo il diritto di seguire il genitore o l’affidatario espulsi, di chi è in possesso della carta di soggiorno, degli stranieri conviventi con parenti entro il quarto grado o il coniuge di nazionalità italiana, delle donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio cui provvedono. Nessun automatismo, ma dovere di comparazione. L’espulsione è quindi consentita previo esame comparativo delle condizioni personali e familiari dell’imputato ove prospettate o altrimenti risultati dagli atti processuali con i criteri stabiliti dall’art. 133 c.p. Deve, in altri termini, essere bilanciato l’interesse generale alla sicurezza sociale e l’interesse del singolo alla vita familiare, sicché è al giudice di merito che spetta motivare adeguatamente sul punto. Escluso il ricorso alla procedura di rettificazione. Considerato che è obbligatoria la motivazione da parte del giudice di merito che deve ricorrere ai poteri discrezionali alla luce dell’art. 133 c.p. per statuire in ordine alla pericolosità deve escludersi il ricorso alla procedura di rettificazione. Infatti, quella ex art. 619 c.p.p. è procedura di correzione della sentenza attivabile quando le correzioni non comportino esercizio del potere discrezionale da parte del giudice in quanto si tratta di elementi che ex lege avrebbero dovuto far parte del provvedimento. Questi obblighi escludono che si possa disporre la misura con la procedura di rettificazione. La sentenza è stata, pertanto, annullata con rinvio.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 24 giugno – 15 luglio 2015, n. 30493 Presidente Franco – Relatore Di Nicola Ritenuto in fatto 1. Il Gip presso il tribunale di Milano, con la sentenza in epigrafe emessa a seguito di patteggiamento ex art. 444 cod. proc. pen., ha applicato, sull'accordo delle parti, a T.L. la pena di anni quattro e mesi due di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa per il reato previsto dall'art. 81 cpv. codice penale e dall'art. 73 T.U. 9 ottobre 1990, n. 309, perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso ed in concorso con altre persone rimaste sconosciute, cedeva sostanza stupefacente del tipo eroina in quantità pari 500 g il 30 settembre 2011 ed altri 500 g il 4 ottobre 2011 capo a nonché acquistava o comunque riceveva da terzi sostanza stupefacente del tipo eroina, trasportando i relativi quantitativi dai luoghi di acquisto presso la sua abitazione o in altri luoghi per poi successivamente spacciarla a numerosi soggetti indicati nel capo di imputazione. In Milano e comuni limitrofi nei mesi di settembre e ottobre 2011 capo b . Nel pervenire a tale conclusione, il gip osservava come esistessero sufficienti elementi circa la prova dei fatti contestati, la corrispondenza dei medesimi alle ipotesi di reato contestate e l'attribuibilità degli stessi all'imputato con esclusione, quindi, dell'evidenza di prove di innocenza senza che fossero ipotizzabili cause di proscioglimento ai sensi dell'articolo 129 codice di procedura penale. Più in dettaglio, il giudice dava conto, tra l'altro, come la prova di responsabilità fondasse sull'attività di polizia giudiziaria sulle dichiarazioni di Paolo Segala dalle quali emergeva come l'imputato, in concorso con un tale Aziz, avesse operato numerosissime cessioni di sostanza stupefacente, fungendo anche da intermediari con altri fornitori. 2. Per la cassazione dell'impugnata sentenza ricorre personalmente T.L. ed affida il gravame ad un unico motivo con il quale lamenta il difetto di motivazione in ordine alla mancata applicazione dell'art. 129 cod. proc. pen. essendo evidente ex actis l'innocenza dell'imputato, erroneamente non rilevata dal tribunale. Ricorre altresì il procuratore Generale presso la Corte di appello di Milano, il quale, con unico motivo, denuncia la violazione dell'articolo 86, comma 1, d.p.r. 309 del 1990 articolo 606, comma 1, lettere b ed e codice di procedura penale sul rilievo che, trattandosi di sentenza di patteggiamento che ha applicato una pena superiore ai due anni di reclusione, il gip avrebbe dovuto disporre l'espulsione dallo Stato dell'imputato posto che quest'ultimo fosse, sulla base degli atti processuali, socialmente pericoloso e chiede alla Corte di cassazione di rettificare la sentenza con la procedura prevista dall'articolo 619 codice di procedura penale, applicando la misura di sicurezza dell'espulsione dello straniero dal territorio dello Stato a pena espiata o, in subordine, annullare la sentenza impugnata con lo senza rinvio. Considerato in diritto 1. Il ricorso proposto da T.L. è inammissibile per manifesta infondatezza e per aspecificità del motivo dedotto. 2. Va precisato, in via preliminare, come il ricorrente, pur in presenza di una specifica motivazione vedi sub 1 del ritenuto in fatto circa gli elementi dai quali il giudice ha tratto il convincimento della penale responsabilità, non indichi alcun elemento che il giudice stesso avrebbe dovuto considerare e che invece non ha valutato per applicare la disposizione reclamata art. 129 cod. proc. pen. , con la conseguenza che, sotto tale profilo, il motivo non rispetta il requisito della specificità inderogabilmente richiesto dall'art. 581, comma 1, lett. c cod. proc. pen. per l'ammissibilità di qualsiasi gravame. 3. Questa Corte ha affermato che, in caso di patteggiamento ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen., l'accordo intervenuto esonera l'accusa dall'onere della prova e comporta che la sentenza che recepisce l'accordo fra le parti sia da considerare sufficientemente motivata con una succinta descrizione del fatto deducibile dal capo d'imputazione , con l'affermazione della correttezza della qualificazione giuridica di esso, con il richiamo all'art, 129 cod. proc. pen. per escludere la ricorrenza di alcuna delle ipotesi ivi previste, con la verifica della congruità della pena patteggiata ai fini e nei limiti di cui all'art. 27 Cost. Sez. 4, n. 34494 del 13/07/2006, P.G. in proc. Koumya, Rv. 234824 . Essendo la sentenza impugnata motivata con riferimento a tutti i suddetti requisiti e contenendo peraltro elementi specifici dai quali è stata desunta la prova della commissione dei fatti contestati, il vizio denunciato deve ritenersi insussistente. 4. Va precisato che, nel caso di specie, la decisione della Corte costituzionale sentenza n. 32 del 2014 con la quale il Giudice delle leggi ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 4-bis e 4-vicies ter, del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272 conv., in legge 21 febbraio 2006, n. 49 non ha prodotto e né può produrre effetti ex art. 2 cod. pen. sul trattamento sanzionatorio applicato nel caso specifico, essendo stata ripristinata, in quanto le violazioni concernono la cessione di droghe pesanti eroina , la disciplina di maggiore rigore nel minimo edittale previgente alla legge numero 49 del 2006. 5. Ne consegue l'inammissibilità del ricorso dell'imputato e, tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 136 della Corte costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, alla relativa declaratoria, segue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma, ritenuta congrua, di Euro 1.500,00 alla cassa delle ammende. 6. Il ricorso del Procuratore generale è invece fondato per quanto di ragione. Questa Corte ha affermato che la misura di sicurezza dell'espulsione dello straniero dal territorio dello Stato a pena espiata, prevista in ordine al reato di spaccio di sostanze stupefacenti dall'art. 86, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990, può essere applicata con la sentenza di patteggiamento quando la pena irrogata superi i due anni di pena detentiva sola o congiunta a pena pecuniaria Sez. 4, n. 42841 del 02/10/2008, P.G. in proc. Jara Salazar, Rv. 241333 . È stato anche ritenuto, con una pronuncia richiamata dal Procuratore ricorrente, che la sentenza di patteggiamento che abbia omesso di statuire in ordine alla misura di sicurezza dell'espulsione, a norma dell'art. 86, comma primo, d.P.R. n. 309 del 1990, è rettificabile in sede di legittimità con la procedura prevista dall'art. 619 cod. proc. pen. Sez. 6, n. 21384 del 21/05/2010, Pg in proc. Hamed, Rv. 247344 tanto sui rilievo che quest'ultima disposizione viene attivata nei casi in cui la procedura di correzione si risolva in aggiunte che non comportino esercizio di potere discrezionale da parte del giudice di merito, in quanto si tratta di elementi che avrebbero dovuto ex lege far parte del provvedimento invero, nel caso di specie si tratta di una misura di sicurezza, la cui concreta applicazione è sempre subordinata all'accertamento in concreto della pericolosità sociale dell'imputato straniero Corte cost. n. 58/1995 , accertamento che però è rimesso, alla fine, al giudice dell'esecuzione , con la conseguenza che, all'esito del giudizio di legittimità, può procedersi comunque alla rettifica, integrando la sentenza ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 86, spettando poi al giudice dell'esecuzione l'accertamento in concreto sulla pericolosità del soggetto . Nondimeno va osservato che l'art. 86, comma 1, legge stup. prevede un'ipotesi di espulsione obbligatoria da eseguirsi dopo l'espiazione della pena nei confronti dello straniero condannato per i reati di cui agli artt. 73, 74, 79 e 82 testo unico sugli stupefacenti, ma non perciò stesso implica un'applicazione automatica dell'espulsione, a prescindere cioè da qualsiasi giudizio sulla pericolosità dello straniero condannato. La Corte costituzionale - nel dichiarare con sent. n. 58 del 20-24.2.1995 l'illegittimità costituzionale dell'art. 86, primo comma, del testo unico 9 ottobre 1990, n. 309, nella parte in cui obbliga il giudice a emettere, senza l'accertamento della sussistenza in concreto della pericolosità sociale, contestualmente alla condanna, l'ordine di espulsione, eseguibile a pena espiata, nei confronti dello straniero condannato per uno dei reati previsti dagli artt. 73, 74, 79 e 82, commi 2 e 3, del medesimo testo unico - ha chiarito che siffatta misura va inquadrata nell'ambito dell'ordinamento penale, nel quale, in seguito all'adozione dell'art. 31 della legge 10 ottobre 1986, n. 663 che ha abrogato l'art. 204 cod. pen. , vige il principio che tutte le misure di sicurezza personali sono ordinate, previo accertamento che colui il quale ha commesso il fatto, è persona socialmente pericolosa . Ciò significa che nel giudizio di cognizione, deve essere in concreto accertata intanto la pericolosità sociale dello straniero condannato perché l'applicazione della misura di sicurezza della espulsione senza la valutazione del giudice alla stregua degli indici menzionati dall'art. 133 cod. pen., cui fa rinvio l'art. 203, cpv., cod. pen., frappone un ingiustificato ostacolo anche alle possibilità di sviluppo della personalità del condannato in vista dell'eventuale superamento della sua condizione come soggetto socialmente pericoloso Corte cost. n. 58 del 1995, cit. . Del resto, questa Corte, con orientamento risalente ma al quale occorre dare continuità, ha affermato che l'art. 31 della legge 10 ottobre 1986 n. 663 stabilisce l'obbligo del previo accertamento della pericolosità sociale del soggetto nei cui confronti deve essere ordinata una misura di sicurezza personale. L'obbligo di tale accertamento incombe, pertanto, al giudice di merito prima della statuizione relativa alla misura di sicurezza a nulla rilevando la possibilità di effettuare tale accertamento anche in sede di esecuzione Sez. 1, n. 485 del 30/06/1988, dep. 19/01/1989, Bartolacelli, Rv. 180181 . Ne consegue che, a seguito dell'intervento della Corte costituzionale, il giudice è obbligato ad emettere, contestualmente alla sentenza di condanna o di patteggiamento c.d. allargato e non semplice, posto che, per quest'ultimo, l'art. 445, comma 1, cod. proc. pen. esclude, tra l'altro, per le condanne non superiori ai due anni l'applicazione delle misure di sicurezza personali e previo accertamento della sussistenza in concreto della pericolosità del soggetto, l'ordine di espulsione dello straniero dal territorio dello Stato eseguibile dopo l'esecuzione della pena sicché l'obbligatorietà dell'espulsione disciplinata dall'art. 86, comma 1, dovrà intendersi nel senso che essa andrà disposta tutte le volte in cui sia accertata la pericolosità attuale dello straniero alla luce dei criteri stabiliti dall'art. 133 cod. pen., il che implica non soltanto un preciso obbligo di motivazione in tal senso da parte del giudice del merito ma anche il ricorso ai poteri discrezionali ex art. 133 cod. pen. che impediscono al giudice di legittimità di disporre la misura attraverso il procedimento di rettificazione ex art. 619 cod. proc. pen Tanto più che questa Corte ha ritenuto che l'espulsione ex art. 86 debba soggiacere ad un giudizio di compatibilità con i principi stabiliti dall'art. 8 CEDU, secondo cui l'espulsione - pur essendo espressione del potere di sovranità dello Stato - non deve comunque provocare ingiustificate ingerenze nella vita privata e famigliare perché la particolare forza di resistenza, rispetto alla normativa ordinaria successiva, della regola di cui all'art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, che tende a premunire l'individuo contro ingerenze arbitrarie da parte dei pubblici poteri, comporta che la disposizione di cui all'art. 86 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, relativa all'applicazione della misura di sicurezza dell'espulsione dello straniero dallo Stato, deve essere interpretata nel senso che l'applicazione pratica di questa ultima non può risolversi immotivatamente nella violazione del principio sancito nella norma convenzionale. Pertanto, poiché, quando uno straniero possiede una famiglia in un Paese determinato, l'esecuzione della misura di espulsione costituisce una ingerenza dell'autorità pubblica nell'esercizio del diritto al rispetto della vita familiare quale garantito al paragrafo 1 dell'art. 8 della predetta Convenzione, per ritenere giustificata la violazione di tale diritto, la misura di espulsione deve risultare necessaria in una società democratica Sez. 1, n. 2194 del 12/05/1993, Medrano, Rv. 195661 . Peraltro, un ulteriore limite alla praticabilità dell'espulsione ex art. 86 è sancito dall'art. 19, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, che preclude l'adozione della misura con riferimento a talune categorie di soggetti. In particolare, in nessun caso può essere disposta l'espulsione verso lo Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione. Inoltre, sempre in attuazione della suddetta norma, non è consentito disporre l'espulsione, salvo quella per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, nei confronti a degli stranieri minori di anni diciotto, salvo il diritto a seguire il genitore o l'affidatario espulsi b degli stranieri in possesso della carta di soggiorno c degli stranieri conviventi con parenti entro il quarto grado o con il coniuge, di nazionalità italiana d delle donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio cui provvedono. È pertanto ampiamente condivisibile il recente arresto Sez. 4, n. 50379 del 25/11/2014, Xhaferri, Rv. 261378 con il quale questa Corte ha precisato, con diffusi richiami anche alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che, ai fini dell'applicazione della misura di sicurezza dell'espulsione dello straniero ex art. 86 d.P.R. n. 309 del 1990, per la avvenuta commissione di reati in materia di stupefacenti, è necessario non solo il previo accertamento della sussistenza in concreto della pericolosità sociale del condannato, ma, in conformità all'art. 8 CEDU in relazione all'art. 117 Cost., anche l'esame comparativo della condizione personale e familiare dell'imputato stesso, ove ritualmente prospettata o comunque risultante dagli atti del processo, con gli altri criteri di vantazione indicati dall'art. 133 cod. pen., in una prospettiva di bilanciamento tra interesse generale alla sicurezza sociale ed interesse del singolo alla vita familiare, con la precisazione che la predetta misura di sicurezza deve essere disposta, a condizioni esatte, dal giudice del merito con adeguata motivazione a nulla rilevando la possibilità che l'accertamento della pericolosità possa essere eseguito anche in sede di esecuzione, sicché deve ritenersi escluso che il giudice di legittimità possa disporla attraverso il procedimento di rettificazione ex art. 619 cod. proc. pen 7. Il Giudice del merito, come fondatamente lamenta il ricorrente, non ha applicato la misura di sicurezza e neppure ha motivato circa l'assenza in concreto della pericolosità sociale o di altri elementi che, qualora ritualmente prospettati o emergenti dagli atti, ne precludono l'applicazione. La sentenza va perciò annullata con rinvio per nuovo esame sul punto ed il giudice di rinvio si atterrà ai principi di diritto in precedenza enunciati. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso dell'imputato e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende. In accoglimento del ricorso del Procuratore Generale, annulla la sentenza impugnata limitatamente all'applicabilità dell'ordine di espulsione, con rinvio al tribunale di Milano