Stalking, il reato non è contro la Costituzione

Con la sentenza n. 172/2014, la Corte Costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 612 bis c.p. atti persecutori .

Lo ha ricordato la Corte di Cassazione nella sentenza n. 28703, depositata il 6 luglio 2015. Il caso. La Corte d’appello di Cagliari condannava un imputato per il reato di atti persecutori. L’uomo ricorreva in Cassazione, proponendo questione di legittimità costituzionale dell’art. 612 bis c.p., per assenza di tipicità della fattispecie penale e violazione dei principi di materialità e determinatezza del reato e della riserva di legge assoluta in materia penale. Elementi da valutare insieme. La Corte di Cassazione richiama la pronuncia n. 172/2014 della Consulta, che aveva già dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 612 bis c.p. per verificare il rispetto del principio di determinatezza, non bisogna valutare isolatamente il singolo elemento descrittivo dell’illecito, ma collegarlo con gli altri elementi costitutivi della fattispecie e con la disciplina in cui questa si inserisce. Perciò, la valutazione è da condurre con un metodo di interpretazione integrato e sistemico e dovrà essere volta ad accertare, da una parte, l’intelligibilità del precetto in base alla sua formulazione linguistica e, dall’altra, la verificabilità del fatto, descritto dalla norma incriminatrice, nella realtà dei comportamenti sociali. In riferimento al reato di atti persecutori, la Corte Costituzionale ha rilevato che la fattispecie di cui all’art. 612 bis c.p. si configura come specificazione delle condotte di minaccia o di molestia già contemplate dal codice penale agli artt. 612 e 660. Valutazione degli effetti. Per quanto riguarda gli effetti delle condotte persecutorie, la sentenza n. 172/2014 aveva osservato che la valutazione dell’idoneità delle condotte a cagionare uno dei tre eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice non può che essere condotta in concreto dal giudice, esaminando il singolo caso sottoposto al suo giudizio. Bisogna poi tener conto che non è sufficiente il semplice verificarsi di uno degli eventi previsti dalla norma penale, né basta l’astratta idoneità della condotta a cagionarlo bisogna invece dimostrare il nesso causale tra la condotta posta in essere dall’agente ed i turbamenti derivati alla vita privata della vittima. Stato di ansia e di paura. Riguardo al perdurante e grave stato di ansia e di paura ed al fondato timore per l’incolumità, trattandosi di eventi che riguardano la sfera emotiva e psicologica, devono essere accertati mediante un’accurata osservazione di segni ed indizi comportamentali, desumibili dal confronto tra la situazione pregressa e quella conseguente alle condotte dell’agente, che denotino un’apprezzabile destabilizzazione della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima. La prova dello stato di ansia e di paura deve essere ancorata ad elementi sintomatici che rivelino un reale turbamento psicologico, ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall’agente, nonché dalle condizioni soggettive della vittima, purché note all’agente, e come tali necessariamente rientranti nell’oggetto del dolo. Perciò, l’enunciato legislativo di cui all’art. 612 bis c.p., pur richiedendo un’attenta considerazione di dati riscontrabili sul piano dei comportamenti e dell’esperienza, consente al giudice di appurare con ragionevole certezza il verificarsi dei fenomeni in esso descritti, per cui non sussistono vizi di indeterminatezza. Conseguenze gravi. La Cassazione sottolinea anche che l’aggettivazione in termini di grave e perdurante stato di ansia o di paura e di fondato timore per l’incolumità, circoscrive ulteriormente l’area dell’incriminazione, in modo che siano doverosamente ritenute irrilevanti ansie di scarso momento, sia in ordine alla loro durata sia in ordine alla loro incidenza sul soggetto passivo , nonché timori immaginari o del tutto fantasiosi della vittima. Infine, il riferimento alle abitudini di vita costituisce un chiaro e verificabile rinvio al complesso dei comportamenti che una persona solitamente mantiene nell’ambito familiare, sociale e lavorativo, e che la vittima è costretta a mutare a seguito dell’intrusione rappresentata dall’attività persecutoria, mutamento di cui l’agente deve avere consapevolezza ed essersi rappresentato, trattandosi di un reato punibile solo a titolo di dolo. Nel caso di specie, i giudici di merito avevano rilevato lo stato di ansia e di timore della vittima per la incolumità propria e del figlio, che aveva portato anche ad una modifica delle abitudini di vita. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 14 aprile – 6 luglio 2015, n. 28703 Presidente Lombardi – Relatore De Marzo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 15/04/2014 la Corte d'appello di Cagliari, ritenuta irrilevante la prospettata questione di legittimità costituzionale dell'art. 612-bis, cod. pen., ha confermato la decisione di primo grado, che aveva condannato alla pena di giustizia e al risarcimento dei danni T.P., avendolo ritenuto responsabile del reato di atti persecutori commesso in danno di R.S 2. II P. ha personalmente proposto ricorso per cassazione, con il quale, per un verso, torna a proporre la questione di legittimità costituzionale dell'art. 612 bis, cod. pen., per assenza di tipicità della fattispecie penale e violazione dei principi di materialità e determinatezza del reato e della riserva di legge assoluta in materia penale e, per altro verso, denuncia difetto di motivazione in ordine al necessario accertamento dello stato di ansia o di paura tipicamente richiesto dalla norma incriminatrice. Considerato in diritto 1. La prospettata questione di legittimità costituzionale dell'art. 612-bis cod. pen. è stata già dichiarata infondata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 172 del 2014, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale n. 26 del 18/06/2014, in data antecedente alla proposizione dei ricorso. La Corte costituzionale ha ribadito che, per verificare il rispetto dei principio di determinatezza, occorre non già valutare isolatamente il singolo elemento descrittivo dell'illecito, bensì collegarlo con gli altri elementi costitutivi della fattispecie e con la disciplina in cui questa s'inserisce , richiamando la propria sentenza n. 282 del 2010. La valutazione, dunque, è da condurre con un metodo di interpretazione integrato e sistemico e dovrà essere volta ad accertare, da una parte, la intelligibilità del precetto in base alla sua formulazione linguistica e, dall'altra, la verificabilità del fatto, descritto dalla norma incriminatrice, nella realtà dei comportamenti sociali. Infatti, come già precisato, a partire dalla sentenza n. 96 del 1981, richiamata dallo stesso ricorrente, nella dizione dell'art. 25 Cost., che impone espressamente al legislatore di formulare norme concettualmente precise sotto il profilo semantico della chiarezza e dell'intelligibilità dei termini impiegati, deve logicamente ritenersi anche implicito l'onere di formulare ipotesi che esprimano fattispecie corrispondenti alla realtà . Ciò posto, la citata sentenza n. 172 del 2014 ha rilevato che la fattispecie di cui all'art. 612-bis cod. pen. si configura come specificazione delle condotte di minaccia o di molestia già contemplate dal codice penale, sin dalla sua originaria formulazione, agli artt. 612 e 660. La lunga tradizione applicativa di tali fattispecie in sede giurisdizionale, da un lato agevola l'interpretazione della disposizione oggi sottoposta a giudizio e, dall'altro, offre la riprova che la descrizione legislativa corrisponde a comportamenti effettivamente riscontrabili e riscontrati nella realtà. Con specifico riferimento poi agli effetti delle condotte persecutorie, sui quali il ricorrente insiste, la ricordata sentenza n. 172 ha osservato che la valutazione dell'idoneità delle condotte a cagionare uno dei tre eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice non può che essere condotta in concreto dal giudice esaminando il singolo caso sottoposto al suo giudizio e tenendo conto che, come ha ripetutamente sottolineato la giurisprudenza di legittimità v., ad es., Sez. 5, n. 46331 del 05/06/2013, D. V., Rv. 257560 , non è sufficiente il semplice verificarsi di uno degli eventi previsti dalla norma penale, né basta l'astratta idoneità della condotta a cagionarlo, occorrendo invece dimostrare il nesso causale tra la condotta posta in essere dall'agente e i turbamenti derivati alla vita privata della vittima. Quanto al perdurante e grave stato di ansia e di paura e al fondato timore per l'incolumità , trattandosi di eventi che riguardano la sfera emotiva e psicologica, essi debbono essere accertati attraverso un'accurata osservazione di segni e indizi comportamentali, desumibili dal confronto tra la situazione pregressa e quella conseguente alle condotte dell'agente, che denotino una apprezzabile destabilizzazione della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima. A questo proposito, del resto, anche la giurisprudenza di legittimità v., ad es., Sez. 5, n. 14391 del 28/02/2012, S., Rv. 252314 ha precisato che la prova dello stato di ansia e di paura può e deve essere ancorata ad elementi sintomatici che rivelino un reale turbamento psicologico, ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente, nonché dalle condizioni soggettive della vittima, purché note all'agente, e come tali necessariamente rientranti nell'oggetto del dolo. Anche sotto questo profilo, dunque, è dimostrato che l'enunciato legislativo di cui all'art. 612-bis cod. pen., pur richiedendo un'attenta considerazione di dati riscontrabili sul piano dei comportamenti e dell'esperienza, consente al giudice di appurare con ragionevole certezza il verificarsi dei fenomeni in esso descritti e, pertanto, non presenta vizi di indeterminatezza, ai sensi dell'art. 25, secondo comma, Cost. L'aggettivazione, inoltre, in termini di grave e perdurante stato di ansia o di paura e di fondato timore per l'incolumità, vale a circoscrivere ulteriormente l'area dell'incriminazione, in modo che siano doverosamente ritenute irrilevanti ansie di scarso momento, sia in ordine alla loro durata sia in ordine alla loro incidenza sul soggetto passivo, nonché timori immaginari o del tutto fantasiosi della vittima. A tale ultimo riguardo, deve rammentarsi come spetti al giudice ricostruire e circoscrivere l'area di tipicità della condotta penalmente rilevante sulla base dei consueti criteri ermeneutici, in particolare alla luce del principio di offensività, che, per giurisprudenza costante della Corte costituzionale, costituisce canone interpretativo unanimemente accettato ex plurimis, di vedano le sentenze n. 139 del 2014 e n. 62 del 1986 . Infine, il riferimento del legislatore alle abitudini di vita costituisce un chiaro e verificabile rinvio al complesso dei comportamenti che una persona solitamente mantiene nell'ambito familiare, sociale e lavorativo, e che la vittima è costretta a mutare a seguito dell'intrusione rappresentata dall'attività persecutoria, mutamento di cui l'agente deve avere consapevolezza ed essersi rappresentato, trattandosi di reato per l'appunto punibile solo a titolo di dolo. Esclusa qualunque violazione dei principi costituzionali richiamati dal ricorrente, va, da ultimo, rilevato, con riguardo all'articolazione del motivo che investe l'accertamento, nel caso concreto, dell'evento di danno, che essa è infondata, giacché la Corte territoriale, nel confermare la decisione di primo grado, ha chiaramente recepito le considerazioni relative alle conseguenze dei quotidiani appostamenti, osservazioni, pedinamenti realizzati dall'imputato in un arco temporale amplissimo e non oggetto di alcuna critica in ricorso , concretatesi nello stato di ansia e di timore della donna per l'incolumità propria e del figlio oltre che nella modifica delle proprie abitudini di vita il figlio della donna, secondo quanto emerge dalla sentenza impugnata, aveva riferito che egli e la madre, nel corso degli anni, avevano cambiato gli orari di uscita, utilizzando l'ingresso posteriore dell'abitazione in luogo di quello principale, senza riuscire ad evitare le intrusioni del P. . In tale contesto, dei tutto generica appare la critica che invoca l'individuazione di leggi scientifiche dimostrative dello stato di ansia, dal momento che, come si è sopra ricordato, siffatto evento di danno ben può essere desunto da un'accurata osservazione di segni e indizi comportamentali, desumibili dal confronto tra la situazione pregressa e quella conseguente alle condotte dell'agente, che denotino una apprezzabile destabilizzazione della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima. Lo stesso è a dirsi con riguardo al mutamento delle abitudini di vita, oggetto di un'indagine fattuale che non presuppone alcuna competenza scientifica, ma il mero confronto, da condursi alla stregua di un accertamento di realtà fattuali, tra comportamenti precedenti e quelli successivi alla condotta persecutoria. 2. Alla pronuncia di rigetto consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento, si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 del d. lgs. n. 196 del 2003.