Avvocato radiato dall’albo continua a esercitare abusivamente la professione e a truffare i clienti attestando il falso

Vengono contestati a un avvocato radiato dall’albo i reati di esercizio abusivo della professione, truffa e falso, tutti estinti per prescrizione.

Così ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 28723/15, depositata il 6 luglio. Il caso. Un uomo veniva condannato dal Tribunale di Roma per aver continuato ad esercitare la professione di avvocato, nonostante la sua radiazione dall’albo. Nell’ambito di tale esercizio abusivo della sua professione, gli veniva addebitato il reato di falso per aver mendacemente formato atti inerenti alle pratiche dei clienti, e quello di truffa, per essersi fatto versare una significativa somma di denaro a titolo di spese processuali e onorari in cause civili di cui aveva falsamente dichiarato l’esito positivo agli interessati. La sentenza di primo grado veniva riformata laddove dichiarava estinti per prescrizione gli ulteriori reati di truffa contestati. L’Avvocato radiato ricorre per cassazione. Estinzione per prescrizione. Premesso che tutti i reati contestati al ricorrente esercizio abusivo della professione di avvocato, falso e truffa si sono estinti per prescrizione, gli Ermellini ritengono di dover esaminare i mezzi di ricorso per verificare l’eventuale sussistenza di cause di proscioglimento nel merito. Falsificazione di atti pubblici. In ordine al reato di falso, il ricorrente aveva prodotto delle fotocopie di false sentenze. A tal proposito, i Giudici di legittimità ricordano che se la falsificazione di una copia informale in sé non integra gli estremi del reato di cui all’art. 476 c.p. Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici , tuttavia questo si realizza nel caso in cui, come quello di specie, la fotocopia sia presentata come ricavata da un documento originale in realtà inesistente, di cui sia in questo modo simulata l’esistenza in modo tale da indurre in inganno i terzi. Esercizio abusivo della professione di avvocato. In ordine al reato di esercizio abusivo della professione, il ricorrente sostiene di essere stato ritenuto responsabile per atti estranei al rapporto con i clienti a cui l’imputazione era riferita. Tuttavia, risulta che l’imputato esercitava ancora attività professionale ricevendo i clienti nel proprio studio, sottoscrivendo lettere e documenti in cui si qualificava come avvocato e fornendo alle persone offese, suoi clienti, i documenti falsi. inerenti alla pratiche che le riguardavano. Da tali elementi di fatto, i Giudici di legittimità hanno, secondo gli Ermellini, opportunamente ritenuto integrato il reato di esercizio abusivo della professione di avvocato, ravvisabile anche per il solo fatto che il soggetti curi tali pratiche Cass., n. 646/13 . Reato di truffa. In ordine all’ultimo rato addebitato, quello di truffa, i Giudici di Piazza Cavour ritengono che la sentenza impugnata sia correttamente motivata in base agli assegni ricevuti dall’imputato a titolo di onorari e di spese processuali e alle dichiarazioni rese dalle p.o. Dunque, se il ricorrente risulta assolto grazie all’intervenuta prescrizione, non lo sarebbe stato nel merito. Per questi motivi, la Cassazione annulla senza rinvio la sentenza per essersi reati estinti per prescrizione.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 25 maggio – 6 luglio 2015, n. 28723 Presidente/Relatore Zaza Ritenuto in fatto Con la sentenza impugnata, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Roma del 11/03/2011, veniva confermata l'affermazione di responsabilità di B.P. per il reato continuato di cui agli artt. 348, 476, 469 e 640 cod. pen., commesso esercitando la professione di avvocato, nonostante fosse stato radiato dall'albo il 15/03/2001, in particolare assumendo la difesa dei coniugi R.G. e D.P.S. in alcune cause civili formando falsamente un decreto del Tribunale di Viterbo del 18/04/2004 con relativo timbro di deposito, avente ad oggetto il trasferimento in favore della D.P. della proprietà di un terreno agricolo in accoglimento della domanda civile promossa dalla stessa nei confronti di S.E. , un avviso di comunicazione di deposito di sentenza civile del 04/11/2005 ed una nota di trascrizione del Servizio Provinciale di Pubblicità Immobiliare di Viterbo con relativo timbro del 02/11/2004, che consegnava alla D.P. a dimostrazione dell'esito positivo della causa, nella quale la predetta era viceversa soccombente e facendosi consegnare dal R. e dalla D.P. il 28/03/2006 la somma di Euro 5.000 a titolo di spese processuali ed onorari in cause civili delle quali aveva falsamente riferito ai predetti un esito positivo. La sentenza di primo grado veniva riformata con la declaratoria di estinzione per prescrizione di ulteriori reati di truffa contestati e la rideterminazione della pena in anni tre di reclusione, rimanendo confermata la condanna dell'imputato al risarcimento dei danni in favore delle parti civili. L'imputato ricorrente deduce 1. violazione di legge e vizio di motivazione sull'affermazione di responsabilità per i reati di falso di cui in premessa e sulla declaratoria di estinzione in primo grado per prescrizione dell'ulteriore reato di falso concernente una comunicazione di deposito di sentenza attestante, contrariamente al vero, la condanna degli eredi di Bo.Pa. al risarcimento dei danni in favore del R. nella causa promossa nei confronti di quest'ultimo i reati non sarebbero configurabili nella contraffazione, come avvenuto nel caso di specie, di fotocopie semplici degli atti, alle quali l'ordinamento non attribuirebbe valore probatorio, come desumibile anche dalla previsione di autenticità delle copie nelle previsioni incriminatrici di cui agli artt. 478 e 492 cod. pen. la diversa tesi sostenuta nella sentenza impugnata, secondo la quale integrerebbe il reato la falsificazione di una fotocopia presentata come prova di un originale inesistente, farebbe malgoverno del principio desumibile dall'art. 2719 cod. civ., limitato all'efficacia probatoria di un documento nel ristretto ambito delle parti di una controversia, e porterebbe alla paradossale conseguenza per cui la falsificazione della fotocopia semplice sarebbe punita più severamente di quella della fotocopia autentica, incriminata dall'art. 478 cod. pen. nei fatti potrebbe al più essere ravvisabile quest'ultimo reato, per il quale difetterebbe tuttavia il requisito del rilascio della copia in forma legale 2. violazione di legge e vizio di motivazione sull'affermazione di responsabilità per il reato di esercizio abusivo della professione di avvocato poste che il giudizio era riferito al compimento di atti di specifica competenza della professione e non di atti tipici della stessa, che nella sentenza impugnata si dava atto non essere stati compiuti dal B. laddove lo stesso non compariva mai in udienza, tali atti erano in primo luogo individuati in documenti relativi non alle vicende del R. e della D.P. , oggetto della contestazione, ma ad altra per la quale era intervenuta la declaratoria di estinzione del reato di truffa per prescrizione la Corte territoriale avrebbe ritenuto il reato sussistente in un'attività genericamente indicata come l'aver curato pratiche legali dei clienti ed a voler identificare quest'ultima nell'opera di consulenza, la stessa non sarebbe riconducibile alla fattispecie contestata in quanto espressamente prevista come di competenza specifica degli avvocati solo dall'art. 2 legge 31/12/2002, n. 247, entrato in vigore dopo i fatti in esame 3. violazione di legge e vizio di motivazione sull'affermazione di responsabilità per il reato di truffa di cui in premessa, nonché di quello relativo alla consegna, da parte del R. e della D.P. , dell'ulteriore somma di Euro 600, dichiarato estinto per prescrizione su quest'ultimo episodio difetterebbe la motivazione in ordine alla tesi difensiva per la quale la somme aveva remunerato la lecita attività legale di B.G. , fratello dell'imputato per il resto, la prova sarebbe fondata su mere matrici di assegni, documenti comunque inidonei a riferire i pagamenti alle vicende di cui alle imputazioni piuttosto che agli altri rapporti professionali che nella stessa sentenza impugnata si ammetteva essere intervenuti fra le parti le dichiarazioni del R. sarebbero state ritenute attendibili nonostante la posizione di parte civile costituita e in assenza di riscontri che non siano meramente congetturali 4. vizio di motivazione sul diniego delle attenuanti generiche e sulla determinazione della pena non sarebbero stati esaminati gli elementi costituiti dall'atteggiamento collaborativo dell'imputato e dalla mancanza di particolare sistematicità e spregiudicatezza della condotta la quantificazione della pena sarebbe stata motivata con mero richiamo all'art. 133 cod. pen., non essendo utilizzabili a tal fine le considerazioni svolte con riguardo al diverso aspetto della riconoscibilità delle attenuanti generiche. Considerato in diritto 1. Va premesso che in ordine a tutti i reati, per i quali è stata ritenuta la responsabilità dell'imputato in esito al giudizio di appello, è intervenuta la causa estintiva della prescrizione. I relativi termini, pur tenendosi conto di sospensioni per quattro mesi e sei giorni, sono infatti decorsi al 10/07/2014 per le condotte di falso, ed al 03/02/2014 per quelle di truffa. Quanto ai fatti di esercizio abusivo della professione, gli stessi sono indicati nell'imputazione come commessi fino ad epoca attuale ma la contestazione è specificamente riferita all'assunzione della difesa del R. e della D.P. nelle cause civili menzionate in premessa, e quindi ad un rapporto esauritosi il 28/03/2006 con il conseguimento del relativo ingiusto compenso. Ne segue che anche per tali condotte il termine prescrizionale è spirato il 03/02/2014. Posto che, come emergerà nel seguito, i motivi di ricorso non sono complessivamente inammissibili, gli stessi dovranno essere pertanto esaminati ai fini per un verso della verifica della sussistenza di eventuali cause di proscioglimento nel merito, peraltro dedotte dal ricorrente con riguardo a fatti in ordine ai quali la prescrizione è già stata dichiarata nelle fasi precedenti, e per altro della conferma delle disposizioni civili. Ciò posto, sono in primo luogo infondati i motivi proposti sull'affermazione di responsabilità dell'imputato per i reati di falso di cui in premessa e per quello dichiarato prescritto in primo grado. Motivi che trovano tutti il loro radicamento nella tesi per la quale il reato non sarebbe ravvisabile nella contraffazione di mera fotocopie semplici degli atti, situazione che ricorre nella vicenda in esame. La sentenza impugnata è tuttavia conforme sul punto ai principi affermati da questa Corte i quali, non ponendosi in effettivo contrasto con l'orientamento per il quale la falsificazione di una copia informale in quanto tale non realizza gli estremi del delitto di cui all'art. 476 cod. pen. Sez. 2, n. 42065 del 03/11/2010, Russo, Rv. 248922 Sez. 5, n. 4406 del 04/03/1999, Pegoraro, Rv. 213125 Sez. 5, n. 11185 del 05/05/1998, Detti, Rv. 212130 , viceversa lo integrano nel senso che il reato si configura invece laddove la fotocopia sia presentata come tratta da un documento originale in realtà inesistente, del quale sia in tal modo simulata la sussistenza in modo da indurre in inganno i terzi Sez. 5, n. 10959 del 12/12/2012, dep. 2013, Carrozzini, Rv. 255217 Sez. 5, n. 40415 del 17/05/2012, Della Peruta, Rv. 254632 Sez. 5, n. 7385 del 14/12/2007, dep. 2008, Favia, Rv. 239112 Sez. 6, n. 6572 del 10/12/2007, dep. 2008, Capodicasa, Rv. 239453 Sez. 5, n. 7566 del 15/04/1999, Domenici, Rv. 213624 . La critica del ricorrente, per la quale tale indirizzo interpretativo deriverebbe da un'indebita estensione degli effetti della previsione di cui all'art. 2719 cod. civ. in tema di efficacia delle fotocopie di atti, è inconferente laddove i principi richiamati non si fondano assolutamente sulla norma civilistica menzionata, ma sull'individuazione del documento effettivamente oggetto di contraffazione nell'originale del quale la fotocopia è destinata a provare artificiosamente l'esistenza. Per le stesse ragioni è infondata la censura di disparità di trattamento nel più severo regime sanzionatorio, che deriverebbe dall'interpretazione discussa, per la contraffazione della copia semplice rispetto a quella della fotocopia autentica, costituente il meno grave reato di cui all'art. 478 cod. pen. e ciò proprio in quanto oggetto reale del delitto di cui all'art. 476 cod. pen., nella specie contestato, è il documento originale del quale è simulata l'esistenza, e non una copia dello stesso. E neppure è fondato il rilievo, oggi formulato dal difensore del ricorrente, per il quale l'affermazione di responsabilità per la fattispecie in esame finirebbe per sostituire alla tutela della fede pubblica, oggetto giuridico dei reati di falso, quella della fede privata nel particolare rapporto che legava l'imputato alle persone offese essendo stata invece coerentemente ravvisata dai giudici di merito la lesione della fede pubblica nella messa in circolazione di documenti idonei a rappresentare falsamente l'esistenza di atti originali. 2. Anche i motivi dedotti sull'affermazione di responsabilità dell'imputato per il reato di esercizio abusivo della professione di avvocato sono infondati. La sentenza impugnata era congruamente motivata sul punto nell'osservare che, se il B. non compariva mai in udienza, facendosi sostituire dal fratello Gianluigi o da altri avvocati dello studio, lo stesso svolgeva comunque attività professionale ricevendo i clienti presso lo studio, nel quale figurava ancora la targa con il suo nominativo, sottoscrivendo lettere e documenti in cui si qualificava come avvocato e consegnando alle persone offese i documenti in ordine ai quali erano contestate le condotte di falso. Quest'ultimo passaggio motivazionale rende in primo luogo evidente l'infondatezza della censura per la quale la responsabilità dell'imputato sarebbe stata ritenuta con riguardo ad atti estranei al rapporto con il R. e la D.P. , al quale l'imputazione era riferita. Dalle considerazioni che precedono emerge altresì che la condotta ascritta all'imputato veniva individuata non in un'attività di mera consulenza, della quale il ricorso contesta la riconducibilità al reato addebitato, ma ad atti, quali quelli oggetto delle imputazioni di falso, inerenti alle pratiche dei clienti ed in tale senso la predetta condotta integra il reato di esercizio abusivo della professione di avvocato, ravvisatale, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, anche per il solo fatto che il soggetto agente curi siffatte pratiche Sez. 5, n. 646 del 06/11/2013, dep. 2014, Tuccio, Rv. 257955 . 3. Sono da ultimi infondati i motivi dedotti sull'affermazione di responsabilità dell'imputato per il reato di truffa di cui in premessa, nonché per quello già dichiarato estinto per prescrizione. Posto che per quest'ultimo il ricorso si risolve nella generica riproposizione della versione difensiva, la sentenza impugnata era per il resto coerentemente motivata in base non solo alle matrici di assegni rinvenute, ma soprattutto alle dichiarazioni del R. ed al riscontro logico delle stesse nella considerazione per la quale non sarebbe spiegabile che il R. non avesse remunerato il B. nell'ambito dei numerosi rapporti intrattenuti con lo stesso, e che l'imputato da parte sua non avesse preteso alcun pagamento. Ed a ciò il ricorrente oppone considerazioni di merito sull'attendibilità delle dichiarazioni di cui sopra e sull'efficacia probatoria dei riscontri indicati, fra i quali vanno inclusi anche quelli documentali risultanti dalle matrici, che si sottraggono alla valutazione complessiva di tali elementi nel giudizio della Corte territoriale. La sentenza impugnata deve in conclusione essere annullata senza rinvio agli effetti penali con declaratoria di estinzione dei reati per prescrizione mentre il ricorso deve essere rigettato agli effetti civili, rimanendo assorbiti i motivi dedotti sul trattamento sanzionatorio. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali per essere i reati estinti per prescrizione. Rigetta il ricorso agli effetti civili.