Omesso versamento delle ritenute previdenziali: in assenza del decreto legislativo delegato, la Cassazione conferma la rilevanza penale della condotta

La Cassazione precisa l'attuale regolamentazione dell'omesso versamento delle ritenute previdenziali, reato che, secondo la legge delega n. 67/14, art. 2, comma 2, lett. c , avrebbe dovuto essere depenalizzato – per evasioni inferiori alla soglia dei 10.000 € annui – tramite un decreto mai formulato, malgrado i diciotto mesi di tempo concessi al Governo dal Parlamento.

Con la sentenza n. 28230/15, depositata il 3 luglio, la Cassazione interviene in una materia oggetto di eterogenee valutazioni da parte delle corti di merito, che, nel vuoto creato dall'inerzia legislativa, hanno alternato interpretazioni restrittive ad altre meno rigide. La pronuncia, di importante impatto operativo, fornisce un panorama completo, esaminando ogni aspetto della questione da quelli, di primaria importanza, riguardanti l'efficacia delle norme contenute nella legge delega, sino a quelli inerenti, più in generale, l'offensività della condotta. Il caso. Il giudizio a quo riguardava un imprenditrice che non aveva operato le ritenute di legge sulle retribuzioni dei dipendenti per il quarto trimestre 2006, il secondo, terzo e quarto trimestre 2007 ed il terzo trimestre 2009, per un complessivo ammontare evaso inferiore ai 4.000 €. Il Tribunale assolveva l'imputata perché il fatto non sussiste, sull'assunto che – conformemente alla sentenza n. 224 del 1990 della Corte costituzionale – le disposizioni della legge delega, benché non implichino una formale depenalizzazione dell'illecito, abbiano l'attitudine ad orientare la lettura del precetto, sotto il profilo della reale offesa al bene giuridico protetto e, dunque, determinino sin da subito la non punibilità delle condotte al di sotto del parametro dei 10.000 € annui un simile approccio, peraltro, si riteneva conforme alla riserva assoluta di legge, rispettando il principio di favor libertatis . Ricorre per saltum il Procuratore della Repubblica di Crotone, lamentando violazione di legge penale sostanziale – integrante a suo avviso eccesso di potere ex art. 606, comma 1, lett. a c.p.p. – connessa ad un'errata applicazione del monito del Giudice delle Leggi se s'accedesse alla tesi di prime cure , infatti, il delegato diventerebbe una sorta di longa manus ” dell'assemblea legislativa, annullando, di fatto, la componente esecutiva dell'atto. Il Primo Giudice, peraltro, non avendo neppure trasmesso gli atti all'Amministrazione competente, avrebbe implicitamente statuito la liceità la condotta, generando evidenti disparità di trattamento con quelle, di identico contenuto, perseguite in ambito amministrativo. La sentenza. La Corte – su parere parzialmente difforme del Procuratore generale – annulla con rinvio la sentenza impugnata con riguardo alle omissioni successive al mese di Giugno 2007, dichiarando la prescrizione – e, pertanto, annullando senza rinvio – per i fatti antecedenti. A tal proposito, il Collegio, preliminarmente, chiarisce la natura di reato omissivo istantaneo del delitto in questione – che si consuma il giorno 16 del mese successivo a quello a cui si riferiscono i contributi – constata l'estinzione del reato e, non dovendo svolgere alcun apprezzamento significativo, annulla senza rinvio la decisione per questa parte del tema processuale secondo il principio espresso, fra le altre, da Cass., Sez. Unite Penali, n. 35490/09 . La motivazione, dopo breve riepilogo del giudizio di merito e dei motivi di ricorso, esamina chiaramente i punti nodali del ragionamento, delineando l'indirizzo da seguire. Il valore della legge delega. In primis , l'Estensore si concentra sulla fattispecie, che è tutt'ora, malgrado l'assenza delle norme delegate, di penale rilevanza. Ed invero, la delega non ha apportato alcuna modifica all'ipotesi delittuosa, essendo tale funzione affidata alla decretazione in corso, che dovrà contestualmente prevedere la sanzione amministrativa applicabile ex multis, Cass., n. 20547/15 , conforme a Cass., n. 38080/14 . Fino a quel momento, il quadro resterà immutato, mantenendo nell'area penale l'illecito. L'offesa al bene giuridico tutelato. Analogo esito ha il diverso argomento utilizzato dalla giurisprudenza di merito che, durante la vacanza normativa, ha di frequente definito penalmente irrilevanti simili condotte. Secondo la III Sezione, infatti, non può pervenirsi a sentenza di assoluzione – in relazione ad omissioni di modesta entità – neppure per l'assenza di idoneità offensiva dei beni giuridici tutelati. Sul punto, si cita il chiaro l'insegnamento della Consulta, che limita tale opzione a contesti in cui la condotta concreta [] avuto riguardo alla ratio della norma incriminatrice, sia, in concreto, palesemente priva di qualsiasi idoneità lesiva dei beni giuridici tutelati vd. Corte costituzionale, sentenza n. 139/2014 . Così non è nel caso di specie, posto che la futura sostituzione del reato con l'omologo illecito amministrativo impedisce di considerare totalmente inoffensiva l'azione, come ha fatto a torto il Giudicante diversamente, si aprirebbe il campo ad un'irragionevole impunibilità generale, illogica e, comunque, non voluta dal legislatore. Conclusioni. La sentenza in commento costituisce un importante punto di riferimento per gli operatori, stabilizzando una materia lasciata alla discrezionalità degli interpreti dalla pigrizia dell'Esecutivo, nella quale si erano originate prassi differenti presso i diversi uffici. Va osservato, tuttavia, che potrebbe risultare priva di effetto concreto. L'approccio adottato infatti, indiscutibilmente fondato da un punto di vista eminentemente dogmatico, consente di intravedere alcune criticità applicative, determinate dalla mancata attuazione per intero del disegno tracciato con la l. n. 67/14. Il provvedimento intendeva far fronte al sovraccarico giudiziale e non sorprende che i Giudici di merito, trovandosi costretti ad inferire l' intentio legis , l'abbiano correlata all'esplicito scopo deflattivo della novella, preferendo ad un lungo rinvio dei processi – talvolta disposto – l'immediato proscioglimento. Preclusa la strada dell'assoluzione in questi termini, quindi, è facile prevedere che, in subiecta materia , s'opterà spesso per l'istituto, di coeva introduzione, della particolare tenuità del fatto, arrivando per altra via – sebbene ciò comporti alcuni pregiudizi per l'imputato, che vede annotato sul casellario giudiziale il provvedimento – ad un risultato similare.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 13 maggio – 3 luglio 2015, n. 28230 Presidente Franco - Relatore Orilia Ritenuto in fatto 1. Con sentenza 19.11.2014 il Tribunale di Crotone ha assolto A.R., perché il fatto non sussiste, dal reato di omesso versamento di ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni dei propri dipendenti nel quarto trimestre 2006,.nel secondo terzo e quarto trimestre 2007 per un importo complessivo di €. 2.708,76 e terzo trimestre 2009 per un ammontare di €. 511,04. Per giungere a tale conclusione, il giudice di merito ha rilevato che, secondo quanto affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza 224/1990, la legge delega non è meramente formale e non si limita a disciplinare i rapporti interni tra Parlamento e Governo, ma rappresenta una vera e propria fonte di norme giuridiche, con efficacia erga omnes e con tutte le valenze tipiche delle norme legislative tra cui quella di poter essere utilizzate a fin interpretativi da qualsiasi organo chiamato a dare applicazione alle leggi . Se dunque la legge delega n. 67/2014 non ha provveduto ad una formale depenalizzazione dell'illecito di cui all'art. 2 della legge del D.L. 463/1983, essa possiede tuttavia - ad avviso del giudice di merito - l'attitudine ad orientarne l'interpretazione e, più in particolare, ad integrarne il contenuto precettivo dal punto di vista dell'elemento costitutivo del reato e in particolare della necessaria offensività al bene giuridico protetto o, anche, della soglia di punibilità della condotta , dovendosi ritenere, secondo una valutazione legale tipica, la non punibilità delle condotte al di sotto del parametro dei 10.000 euro annui evasi. Ad avviso del Tribunale una siffatta interpretazione non si pone in contrasto col principio della riserva assoluta di legge, che ha una funzione di garanzia del cittadino rispetto ad incriminazioni di fatti non sancite dal potere legislativo e quindi da ampliamenti della sfera di illiceità penale, mentre invece non vige nel caso di ampliamento della sfera di liceità penale in ossequio al generale principio del favor libertatis. Ha infine ritenuto non ostativo a tale interpretazione l'eventuale mancato esercizio della delega da parte del Governo nei diciotto mesi previsti dalla legge, trattandosi di un fenomeno analogo a quello dei decreti legge non convertiti o delle leggi ordinarie dichiarate incostituzionali. Sulla base di tali argomentazioni, poiché nel caso di specie la condotta dell'imputata non aveva integrato la soglia di necessaria offensività stabilita dall'art. 2 della legge delega n. 67/2014, andava pronunciata l'assoluzione perché il fatto non sussiste. 2. Ricorre per saltum in cassazione il Pubblico Ministero denunziando la violazione dell'art. 2 comma 2 lett. c della legge n. 67 del 28.4.2014 Delega al Governo per la Riforma della disciplina sanzionatoria il giudice di merito ha attribuito alla norma giuridica contenuta nella legge delega - nelle more dell'emanazione del relativo decreto - effetti immediatamente precettivi nell'ambito della fattispecie incriminatrice sulla scorta di una formulazione dettagliata dei principi e dei criteri direttivi in essa contenuti. Dopo avere riportato il contenuto della norma in questione e analizzato il contenuto della sentenza della Corte Costituzionale 224/1990 richiamata dal Tribunale e, a suo avviso, inconferente nel caso di specie, il ricorrente critica la natura self executive attribuita dalla sentenza impugnata alla novella dei 2014, evidenziando addirittura un'ipotesi di eccesso di potere censurabile ai sensi dell'art. 606 comma 1 lett. a cpp in quanto si realizzerebbe di fatto l'esercizio da parte dei giudice di una potestà riservata dalla legge all'organo esecutivo. Il Tribunale, secondo la tesi del ricorrente Pubblico Ministero, ha dedotto in sostanza l'immediata efficacia di una legge delega che, viceversa, per espressa volontà del legislatore, necessita dei successivi decreti legislativi attuativi, e una tale interpretazione porrebbe evidenti profili di illegittimità costituzionale della legge delega per violazione dell'art. 76 della Costituzione nella parte della formulazione in cui porti già scritto il futuro decreto legislativo in tal caso il delegato si ridurrebbe ad una mera longa manus dei potere legislativo. Altro errore addebitato dal ricorrente al giudice calabrese sta nell'aver trascurato che il legislatore delegato, per le violazioni sotto soglia dei 10.000 euro, ha comunque previsto una sanzione amministrativa, e dunque non ha inteso ritenere completamente inoffensiva la condotta omissiva l'assoluzione dell'imputata senza neppure disporre la trasmissione degli atti all'amministrazione competente ad irrogare la sanzione amministrativa crea evidenti disparità di trattamento nei confronti delle stesse condotte che saranno oggetto di giudizio dopo l'adozione dei decreti di attuazione che contempleranno, al contrario, sempre una sanzione amministrativa sussiste dunque la violazione della riserva assoluta di legge. Richiama infine la giurisprudenza di legittimità sulla attuale vigenza della fattispecie di reato di cui si discute. Considerato in diritto 1. Innanzitutto, va rilevata, ai sensi dell'art. 129 cpp la prescrizione del reato in relazione alle omissioni contributive fino a giugno 2007. Secondo il prevalente orientarrmento della giurisprudenza di legittimità, il delitto di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali ha natura di reato omissivo istantaneo per il quale il momento consumativo coincide con la scadenza del termine utile concesso al datore di lavoro per il versamento ed attualmente fissato, dall'art. 2, comma primo, lett. b del D.Lgs. n. 422 del 1998, al giorno sedici del mese successivo a quello cui si riferiscono i contributi v., tra le varie, Sez. III n. 20251, 14 maggio 2009 . Va poi considerato il periodo di sospensione legale di tre mesi ai sensi del D.L. 12 settembre 1983, n. 463, art. 2, comma 1 quater, convertito nella L. 11 novembre 1983, n. 638 . Ebbene, nel caso di specie, prendendo in esame la mensilità giugno 2007, il momento consumativo va fatto risalire al 16 luglio 2007 giorno 16 del mese successivo e, tenuto contro del trimestre di sospensione legale, il termine prescrizionale ha iniziato a decorrere il 16 ottobre 2007 sicché, non ravvisandosi periodi di sospensione del procedimento cfr. atti il termine massimo di prescrizione di sette anni e sei mesi cfr. art. 157 cp è venuto a scadere il 16 aprile 2015. A maggior ragione la prescrizione è maturata anche per le violazioni relative alle mensilità precedenti. Devono trovare applicazione i principi di recente ribaditi dalle Sezioni unite cfr. Sez. U, Sentenza n. 35490 del 28/05/2009 Ud. dep. 15/09/2009 Rv. 244274 , secondo cui, in presenza di una causa di estinzione dei reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'art. 129 c.p.p., comma 2, soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza dei fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di constatazione , ossia di percezione ictu oculi, che a quello di apprezzamento e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento. Nel caso di specie, non ricorrendo le anzidette condizioni va senz'altro applicata la causa estintiva limitatamente alle violazioni dei mesi di aprile e maggio 2007 e la sentenza impugnata, entro tali limiti, va pertanto annullata senza rinvio. 2. Per le violazioni relative alle mensilità successive, non coperte da prescrizione, ritiene il Collegio che il ricorso dei Pubblico Ministero sia fondato. L'art. 2 della legge 28 aprile 2014, n. 67 ha conferito al Governo la delega per la riforma dei sistema sanzionatorio. Per quel che qui più interessa, l'art. 2 lett. c del predetto provvedimento ha sancito la trasformazione in illecito amministrativo dei delitto di cui all'art. 2, comma 1 bis, d.l. 12 settembre 1983,, n. 463 purché, stabilisce la legge delega, il mancato versamento delle ritenute previdenziali non superi la soglia di 10.000 euro annui. Questa Corte, già con la sentenza Napoli Sez. F, Sentenza n. 38080 del 31.7 17.9.2014, non massimata ha affermato che la fattispecie in esame è tuttora prevista come reato, limitandosi la legge. 28 aprile 2014, n. 67 a stabilire una delega al governo in materia di pene detentive non carcerarie, perciò non apportando in nessun modo modifiche alla figura di reato in oggetto, essendo tale funzione affidata alla futura decretazione delegata. Analogo principio si trova espresso nella sentenza Sez. 1, n. 44977 del 19/09/2014 - dep. 29/10/2014, P.G. in proc. Ndiaye e altri, Rv. 261124, riguardante però un'altra ipotesi di reato, e poi, ancora con riferimento nuovamente all'omissione contributiva, nella sentenza Carnazza Sez. 3, Sentenza n. 20547 del 14.4 - 19.5.2015 . II principio va senz'altro ribadito. La questione di diritto che il Collegio è ora chiamato ad affrontare sta nello stabilire se sia giuridicamente corretta una pronuncia di assoluzione ex art. 129 cpp dal reato di omesso versamento di contributi previdenziali motivata con l'assenza di idoneità offensiva dei beni giuridici tutelati in considerazione dell'importo dell'omissione alla luce della previsione dell'art. 2 della legge delega citata . La risposta da dare al quesito è negativa. La Corte costituzionale con la sentenza n. 139 del 2014 con cui è stata dichiarata l'infondatezza della questione di legittimità dell'art. 2 d.l. 463/1983 ha affermato che resta precipuo dovere del giudice di merito di apprezzare - alla stregua del generale canone interpretativo offerto dal principio di necessaria offensività della condotta concreta - se essa, avuto riguardo alla ratio della norma incriminatrice, sia, in concreto, palesemente priva di qualsiasi idoneità lesiva dei beni giuridici tutelati . Come già rilevato da questo Collegio con la citata sentenza Carnazza, muovendo da tale monito , alcune delle decisioni che hanno optato per l'esito assolutorio, hanno ritenuto che la disobbedienza dell'imprenditore all'obbligo di versare i contributi previdenziali non aveva pregiudicato in concreto il bene giuridico oggetto di tutela delt'art. 2 di. 463/1983 ossia la tutela previdenziale del lavoro e dei lavoratori . La mancanza di offensività nell'illecito penale contestato assumerebbe, peraltro, contorni ancora più netti in forza dei principi enunciati nella legge delega n. 67 del 2014, ove si prospetta la depenalizzazione dei reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali. Seguendo tale indirizzo, dunque, il Tribunale di Crotone, anche se premette di condividere il principio di diritto sopra richiamato e cioè che la legge delega non ha provveduto ad una formale depenalizzazione del reato di omesso versamento di contributi previdenziali , finisce però di fatto inevitabilmente per attribuire capacità normativa immediata ai criteri direttivi impressi nella legge delega in materia di depenalizzazione, ma - a ben vedere - si spinge addirittura oltre laddove, partendo dal mero dato quantitativo della soglia dei 10.000 euro, ravvisa, per le violazioni al di sotto di essa come quella di cui oggi si discute , una assenza assoluta di inoffensività nei confronti dei beni giuridici tutelati, che per la verità neppure il legislatore delegante ha voluto, tant'è che ha previsto la trasformazione del reato in illecito amministrativo con conseguente applicazione di una sanzione pecuniaria. Il ragionamento mostra proprio qui il suo punto debole un'eventuale soluzione in senso assolutorio perché il fatto non sussiste, in relazione all'art. 2, co. 1 bis, legge n. 638 del 1983, pare, nel momento odierno ai assenza di una precisa norma depenalizzatoria che volga ad amministrativo un illecito oggi ritenuto penale, del tutto irragionevole. Se si dovesse pronunciare proscioglimento o annullare senza rinvio per tutti coloro i quali ad oggi, al ci sotto della quota ritenuta di C 10.000,00, non hanno versato i contributi previdenziali previsti ex lege, si aprirebbe il campo ad una impunibilità generale per chi comunque violi un obbligo degno di interesse di tutela cfr. sentenza n. 20547/2015 cit. . L'intenzione del Parlamento, infatti, non è quella di dismettere totalmente la punibilità per i fatti di omesso versamento delle ritenute previdenziali al di sotto dei 10.000,00 euro, bensì di assoggettarli unicamente ad una sanzione amministrativa. La stessa Corte Costituzionale ha avuto modo di rilevare come il mancato adempimento dell'obbligo di versamento dei contributi previdenziali determina un rischio di pregiudizio del lavoro e dei lavoratori, la cui tutela è assicurata da un complesso di disposizioni costituzionali contenute nei principi fondamentali e nella parte della Costituzione artt. 1, 4, 35, 38 Cost. sentenza n. 139 del 2014, citata . Ed allora appare del tutto evidente come la disapplicazione del dettato normativo ex art. 2, co. 1-bis, legge n. 638 del 1983, che prevede la sanzione penale della reclusione fino a tre anni la multa sino ad C 1.032,00 - lungi dal rispettare il criterio di inoffensività a cui l'impugnata sentenza si ispira - si prospetta, al contrario come del tutto lesiva dell'interesse giuridico tutelato. Tale pena è, infatti, l'unica ad oggi prevista dall'ordinamento giuridico italiano per la violazione degli obblighi previdenziali di versamento di ritenute, dunque occorre ritenerla tuttora applicabile. Infine - come pure ben ha sottolineato il Pubblico Ministero ricorrente - con l'assoluzione sic et simpliciter il Tribunale incorre in una evidente disparità di trattamento rispetto ad analoghe fattispecie che in caso di intervento dei decreti attuativi verranno invece sanzionate in via amministrativa. E, aggiunge il Collegio, anche con danno per l'Erario che, in tal modo si verrebbe privato del diritto di incamerare qualsiasi tipo di sanzione cosa che la legge delega esclude decisamente perché - lo si ripete ancora una volta - ha previsto in futuro la punizione con sanzione amministrativa . La sentenza deve pertanto essere annullata con rinvio alla Corte d'Appello di Catanzaro ex art. 569 comma 4 cpp che si uniformerà agli esposti principi. P.Q.M. annulla la sentenza impugnata senza rinvio limitatamente agli omessi versamenti fino al mese di giugno 2007 perché i relativi reati sono estinti per prescrizione e con rinvio alla Corte d'Appello di Catanzaro in ordine alle restanti omissioni.