Prostituzione nel “privé”: e il locale diventa una “casa di tolleranza”

Può essere qualificato come casa di prostituzione anche il locale aperto al pubblico, al cui interno vi sia un ambiente riservato c.d. privé ove vengono praticate prestazioni sessuali a pagamento.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Terza Penale, con la sentenza n. 27064 depositata il 26 giugno 2015. Il mestiere più antico del mondo è sempre al passo coi tempi. E’ lui il protagonista indiscusso della sentenza in commento, resa dalla Suprema Corte a chiusura della fase cautelare di un corposo procedimento penale alcuni soggetti, tra i quali anche un agente delle forze dell’ordine, sono coinvolti in una vicenda nella quale gli addebiti vanno dall’esercizio di casa di prostituzione con il corollario di induzione, favoreggiamento e sfruttamento del meretricio all’associazione per delinquere, passando per l’accesso abusivo a sistema informatico, e via discorrendo dalla lettura della sentenza, infatti, si comprende che le contestazioni sono piuttosto numerose. Alcuni degli indagati finiscono ai domiciliari, altri in carcere. Cosa è avvenuto? Sebbene non vi sia, nel testo della decisione, una ricostruzione particolareggiata dei fatti oggetto di indagine, si capisce bene che al centro di questa storia a luci rosse” vi è una serie di nightclub, nei quali la clientela aveva anche la possibilità di consumare rapporti sessuali, diciamo così, mercenari. La destinazione d’uso” non deve essere esclusiva. La terminologia mutuata dal burocratico gergo edile forse può servire a rendere più chiaro l’argomento il Tribunale della Libertà, nell’andare di contrario avviso alla tesi accusatoria, osservava che i locali oggetto del procedimento non potevano essere considerati case di prostituzione” perché non erano destinati in via esclusiva alla consumazione di rapporti sessuali a pagamento. Evidentemente, deduciamo noi, in quei locali si serviva anche altro genere di consumazioni. La Procura propone ricorso per cassazione, contestando le conclusioni del Tribunale, e da Piazza Cavour le danno ragione, portando a sostegno della decisione oggi commentata anche un recentissimo precedente giurisprudenziale datato 2014 l’unico requisito che la casa di prostituzione deve possedere consiste nell’essere un luogo chiuso e noto dove chiunque possa accedere per ottenere prestazioni sessuali a pagamento . Questo luogo, guardando ai fatti oggetto del procedimento, può benissimo coincidere anche con uno spazio riservato” il c.d. privè , presente all’interno di un più ampio locale nel quale, per il resto, si svolgono altre attività lecite. Una interessante puntualizzazione in tema di associazione per delinquere. Anche su questo aspetto il Tribunale della Libertà si era espresso negando la fondatezza della ricostruzione d’accusa non può esserci alcuna associazione per delinquere in presenza di un gruppo che persegua fini leciti ed illeciti, se non vi è una organizzazione parallela” distinta ed autonoma. La Suprema Corte non è, però, d’accordo, e tiene a precisare che la giurisprudenza di legittimità formatasi in tema di associazione per delinquere sostiene una tesi diametralmente opposta. Per l’esistenza di un’associazione criminosa all’interno di una lecita non occorre alcuna ulteriore struttura organica è sufficiente che ne esista una, e già dedita a finalità lecite . Se è illecita la finalità oggettiva, è illecito l’accesso al sistema informatico. Anche se le credenziali sono utilizzate da un soggetto abilitato a farlo, quindi, il delitto di accesso abusivo può perfettamente integrarsi occorre, sotto questo profilo, che la finalità perseguita sia oggettivamente illecita. In questo caso, la violazione riguarderà non la forzatura” dell’accesso, che sarà eseguito con una password genuina e da un soggetto che legittimamente la detiene, bensì atterrà al travalicamento dei limiti operativi e delle condizioni cui l’ingresso nel sistema informatico è normalmente consentito. La precisazione qui è giustificata dalla necessità di ribaltare la decisione del Tribunale della Libertà, che aveva anche in questa ipotesi ritenuto inconfigurabile l’illecito sopra richiamato sul rilievo secondo cui la lecita detenzione delle credenziali di accesso possedute, nella vicenda che ci occupa, da un pubblico ufficiale varrebbe ad escludere la abusività dell’accesso.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 18 marzo – 26 giugno 2015, n. 27064 Presidente Mannino – Relatore Andronio Ritenuto in fatto 1. - Con ordinanza del 4 luglio 2014, il Gip del Tribunale di Brescia ha applicato nei confronti di R.E. la misura cautelare degli arresti domiciliari e nei confronti di R.G., S.F., R.M., M.M., P.G., P.M. la misura della custodia cautelare in carcere, nell'ambito di un'indagine che coinvolgeva anche altri soggetti, in relazione a varie condotte di reato incentrate sulla gestione organizzata di esercizi pubblici formalmente destinati allo svago notturno, ma in realtà adibiti - secondo la ricostruzione accusatoria - a case di prostituzione. Il compendio indiziario era costituito dalle risultanze delle attività di intercettazione telefonica, dai verbali di sommarie informazioni rese dalle persone informate sui fatti, da servizi di osservazione e controllo, dai documenti acquisiti dalla polizia giudiziaria. Secondo l'ipotesi accusatoria, vi era un'associazione per delinquere capo 1 nella quale gli indagati interessati dal presente procedimento svolgevano diversi ruoli i due R., promotori e capì S. e M. organizzatori con compiti di sovrintendenza R. e altri soggetti estranei al presente procedimento, gestori formali dei night-club Pocorobba, procacciatore delle ragazze dedite alla prostituzione . Erano, dunque, addebitati ai coindagati l'esercizio di casa di prostituzione, l'induzione, il favoreggiamento e lo sfruttamento dell'attività di prostituzione svolta da numerose ragazze all'interno dei quattro night-club capi da 2 a 5 . A S., appuntato scelto dei carabinieri, erano ascritte condotte di corruzione continuata capo 9 , accesso abusivo a un sistema informatico protetto di interesse pubblico, con contestazione di diversi reati in relazione a tale condotta capi 7, 12, 13 , falso ideologico e truffa aggravata capo 8 . A P. erano contestati fatti di estorsione continuati e aggravati commessi ai danni dei due R., costretti a versargli ratealmente l'importo complessivo di euro 124.000,00 capo 18 . Con ordinanza del 23 luglio 2014, il Tribunale di Brescia, in parziale accoglimento delle richieste di riesame proposte dagli indagati, ha 1 annullato l'ordinanza del Gip quanto alla misura cautelare della custodia in carcere per P. 2 annullato l'ordinanza nei confronti di R.M., R.G. e P.M., limitatamente al capo 1, rigettando nel resto i loro ricorsi 3 annullato l'ordinanza nei confronti di S., limitatamente ai reati di cui ai capi 1, 7, 12, 13, rigettando nel resto il suo ricorso 4 annullato l'ordinanza nei confronti di R., limitatamente al capo 1, rigettando nel resto il suo ricorso. 2. - Avverso l'ordinanza del Tribunale hanno proposto ricorso per cassazione R.M. e R.G., deducendone la nullità e, comunque, chiedendone l'annullamento per violazione di legge e vizi di motivazione. Gli stessi ricorrenti hanno successivamente presentato motivi aggiunti e, infine, hanno rinunciato ai ricorsi, tramite il difensore munito di procura speciale. 3. - L'ordinanza è stata impugnata anche dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brescia, il quale denuncia diversi profili di erronea applicazione delle disposizioni incriminatrici, nonché di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. 3.1. - In primo luogo, si contesta l'assunto del Tribunale secondo cui i locali notturni non possono essere qualificati come case di prostituzione perché essi non sono stati destinati in via esclusiva alla consumazione di rapporti sessuali mercenari, essendo contestualmente destinati anche ad attività illecite di svago. Secondo il ricorrente, la nozione di casa di prostituzione non implica necessariamente l'esclusività della destinazione dei locali a rapporti sessuali mercenari, ma richiede solo che vi sia un luogo chiuso e noto dove chiunque possa accedere per ottenere prestazioni sessuali retribuite luogo identificabile, nella fattispecie in esame, con le zone privé dei locali notturni menzionati, nelle quali veniva effettuato dai clienti un pagamento commisurato al tempo di permanenza per ottenere le prestazioni sessuali. 3.2. - In secondo luogo, si critica l'esclusione della configurabilità del reato di cui all'art. 416 cod. pen., contestato al capo 1. II Tribunale sarebbe giunto a tale conclusione affermando che, in presenza di una compagine plurisoggettiva organizzata che persegua congiuntamente fini leciti e illeciti, la configurabilità del reato è subordinata alla possibilità di ravvisare, accanto alla struttura regolare, una ulteriore organizzazione parallela dotata di distinta e autonoma operatività. Non si sarebbe considerato, invece, che per l'esistenza di un'associazione criminosa nell'ambito di una struttura imprenditoriale lecita non si richiede l'apposita creazione di un'organizzazione, sia pur rudimentale, ma è sufficiente una struttura che può essere anche preesistente all'azione criminosa e già dedita a finalità lecite. La motivazione sul punto sarebbe - prosegue il pubblico ministero - anche contraddittoria, perché nella valutazione delle esigenze cautelare vengono valorizzati elementi che porterebbero a ritenere che gli indagati svolgessero sistematica e professionale attività di sfruttamento della prostituzione in forma organizzata nell'ambito dei locali notturni da loro gestiti. 3.3. - Una terza doglianza riguarda l'esclusione della configurabilità del reato di cui all'art. 615 ter cod. pen., in relazione alla posizione dell'indagato S., appuntato dei carabinieri. Dopo aver riconosciuto che quest'ultimo aveva indebitamente consultato le banche dati istituzionali per finalità estranee al servizio, il Tribunale avrebbe contraddittoriamente ritenuto non configurabile il reato di cui sopra, reputando che il lecito possesso e utilizzo delle credenziali per accedere ai sistemi informatici escludesse l'abusività dell'accesso. Non si sarebbe considerato, però, il principio, affermato dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, secondo cui la condotta di colui che, pur essendo abilitato, acceda o si mantenga in un sistema informatico protetto, violando le condizioni e i limiti impartiti dal titolare del sistema per delimitarne oggettivamente l'accesso, configura il reato in questione. 3.4. - Quanto all'esclusione del reato di estorsione a carico di P., si contesta la motivazione dell'ordinanza impugnata, secondo cui non vi sarebbe alcuna connessione causale fra le minacce di tale soggetto a R.G. e i pagamenti eseguiti dal secondo in favore del primo. Non si sarebbe considerato, in particolare, che dagli atti risulta evidente che tali pagamenti erano assolutamente non dovuti e costituivano, perciò, l'adempimento di una pretesa estorsiva. 4. -II difensore dell'indagato S. ha depositato in data 11 marzo 2015 una memoria con la quale afferma di non avere mai ricevuto la notificazione dell'avviso di fissazione dell'udienza di fronte a questa Corte, affermando che la sua nomina era stata comunicata all'autorità procedente il 4 agosto 2014, ovvero in un momento precedente rispetto alla proposizione del ricorso per cassazione da parte del pubblico ministero. Considerato in diritto 5. - I ricorsi di R.G. e R.M. sono inammissibili, ai sensi dell'art. 591, comma 1, lettera d , cod. proc. pen., a seguito della rinuncia depositata dal loro difensore munito di procura speciale il 10 marzo 2015. In applicazione dell'art. 616 c.p.p., segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi che possano far ritenere non colpevole la causa di inammissibilità del ricorso, al pagamento in favore della cassa delle ammende di una somma, che, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, si ritiene congruo fissare in € 500,00 6. - Venendo all'esame del ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brescia, deve preliminarmente essere rigettata l'eccezione di difetto dì notifica proposta dal difensore di S. con memoria depositata l'11 marzo 2015. Quest'ultimo sostiene, infatti, di avere comunicato all'autorità procedente, il 4 agosto 2014, la sua nomina a difensore dell'indagato ed allega un fax a suffragio di tale affermazione. A prescindere dalla circostanza che la copia allegata alla memoria è priva di data certa, essendo la stessa poco leggibile, e priva di riferimenti circa l'effettiva ricezione della comunicazione, non essendo presente in alto nella pagina il normale segno OK , deve rilevarsi che tale atto non risultava presente nel fascicolo a disposizione della cancelleria di questa Corte. Ne deriva che, al momento della comunicazione dell'avviso per l'odierna udienza in camera di consiglio, la nomina del nuovo difensore era sconosciuta a questo ufficio con la conseguenza che nessuna notificazione era dovuta a tale difensore v., in questo senso, ex plurimis, sez. 5, 4 novembre 2014, n. 2804, rv. 262585 sez. 3, 17 gennaio 2013, n. 9585, rv. 254750 sez. 1, 26 maggio 2009, n. 24096, rv. 244650, nelle quali si precisa che l'onere di dimostrare la conoscenza dell'avvenuta nomina del difensore da parte dell'ufficio giudiziario che procede alla notificazione di un successivo avviso grava sull'imputato . 7. - Il ricorso del pubblico ministero è fondato. 7.1. - Il primo motivo di doglianza - relativo alla qualificazione dei locali notturni come case di prostituzione - è fondato. Il ricorrente richiama correttamente il principio affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la nozione di casa di prostituzione non implica necessariamente l'esclusività della destinazione dei locali rapporti mercenari, ma richiede solo che vi sia un luogo chiuso e noto dove chiunque possa accedere per ottenere prestazioni sessuali a pagamento sez. 3, 27 novembre 2014, n. 13005, rv. 262856, riferita ad una associazione culturale nella quale notoriamente si esercitava anche l'attività di prostituzione . E, ad avviso dello stesso ricorrente, tale luogo potrebbe essere identificato, nella fattispecie in esame, con le zone privé dei locali notturni menzionati, nelle quali veniva effettuato un pagamento commisurato al tempo di permanenza per ottenere le prestazioni sessuali. Dunque, il Tribunale non ha fatto corretta applicazione del principio sopra menzionato, ritenendo, invece, che per casa di prostituzione debba intendersi il solo luogo funzionalmente destinato in via esclusiva alla pratica sessuale a pagamento e richiamando a tale scopo le sentenze sez. 3, 22 giugno 2010, n. 37188 e sez. 3, 12 febbraio 2003, n. 13039, le quali non si riferiscono, però, al requisito dell'esclusività della destinazione. 7.2. - Fondato è anche il secondo motivo di ricorso, con cui si critica l'esclusione della configurabilità del reato di cui all'art. 416 cod. pen., contestato al capo 1. II Tribunale si basa, infatti, sull'assunto per cui, in presenza di una compagine purisoggettiva organizzata, che persegua congiuntamente fini leciti e illeciti, la configurabilità dei reato è subordinata alla possibilità di ravvisare, accanto alla struttura regolare, un'ulteriore organizzazione parallela dotata di distinta e autonoma operatività. Tale assunto non è condiviso dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale, invece, per l'esistenza di un'associazione criminosa nell'ambito dì una struttura imprenditoriale lecita, non si richiede l'apposita creazione di un'ulteriore organizzazione, sia pure rudimentale, ma è sufficiente una struttura che può essere anche preesistente all'azione criminosa e già dedita a finalità lecite ex plurimis, sez. 6, 28 novembre 2013, n. 10886, rv. 259493 sez. 6, 16 dicembre 2011, n. 9117, rv. 252387 sez. 5, 5 maggio 2009, n. 31149, rv. 244486 . Nel caso in esame, il Tribunale ha riconosciuto la presenza di gravi indizi dei reati di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione all'interno dei privé, ricollegati all'esistenza di una stabile organizzazione di mezzi, con chiara divisione di ruoli, rivolta a tale scopo, anche se non in via esclusiva pagg. 15-19 dell'ordinanza . 7.3. - La terza doglianza - con cui si contesta l'esclusione della configurabilità del reato di cui all'articolo 615 ter cod. pen., in relazione alla posizione dell'indagato S., appuntato dei carabinieri - è anch'essa fondata. Ad avviso del Tribunale, l'indagato aveva indebitamente consultato le banche-dati istituzionali per finalità estranee al servizio lo stesso Tribunale ritiene, però, non configurabile il reato di cui sopra interpretando la disposizione incriminatrice nel senso che il lecito possesso e utilizzo delle credenziali per accedere a sistemi informatici escluda di per se l'abusività dell'accesso. Tale interpretazione si pone in contrasto con il principio di diritto affermato dalle sezioni unite di questa Corte, secondo cui la condotta del soggetto abilitato che acceda o si mantenga in un sistema informatico protetto violandone le condizioni e i limiti, configura il reato in questione. In altri termini, integra il delitto previsto dall'art. 615 ter cod. pen. colui che, pur essendo abilitato, acceda o si mantenga in un sistema informatico o telematico protetto violando le condizioni ed i limiti risultanti dal complesso delle prescrizioni impartite dal titolare del sistema per delimitarne oggettivamente l'accesso, rimanendo invece irrilevanti, ai fini della sussistenza del reato, gli scopi e le finalità che abbiano soggettivamente motivato l'ingresso nel sistema sez. un., 27 ottobre 2011, n. 4694/2012, rv. 251269 . 7.4. - Il quarto motivo di doglianza - riferito alla manifesta illogicità della motivazione dell'ordinanza impugnata quanto alla esclusione del reato di estorsione a carico di P. - è fondato. Secondo il Tribunale a la circostanza che P. abbia percepito ratealmente da R.G. il complessivo importo di euro 120.000,00 risulta ammessa dallo stesso P. b R. ha ricondotto le violenze e le minacce poste in essere ai suoi danni da P. alle trattative negoziali prodromiche all'assunzione della gestione, da parte sua, del locale notturno Burlesque c R. aveva concordato con P., titolare di fatto del locale, la somma di euro 120.000,00 per rilevare il locale stesso ed era stato picchiato e minacciato da quest'ultimo perché provvedesse al pagamento d se le violenze e le minacce avessero avuto reale valenza intimidatoria, R. avrebbe potuto ritirarsi dalla trattativa, tanto più perché lo stesso aveva affermato di avere consapevolezza del fatto che P. non era il titolare formale del locale e il fatto che R. avesse proseguito nelle trattative dimostrava, dunque, che lo stesso non era stato condizionato da P. in alcun modo e che, anzi, aveva ritenuto vantaggioso il prezzo pattuito f tale circostanza trova conferma nel fatto che l'accordo con P. prescindeva da un riferimento alla causa dell'obbligazione pecuniaria, essendosi concretizzato in una mera ricognizione di debito, mentre il contratto per l'acquisto del locale era stipulato separatamente con i titolari formali, tali B. e T. g quanto alla conversazione del 3 luglio 2013, nell'ambito della stessa P. aveva escluso di essere stato il responsabile dei colpi d'arma da fuoco esplosi all'indiR. del locale, spiegando di avere un interesse contrario ad atti di intimidazione, fintantoché il suo credito nei confronti dei gestori non fosse stato interamente soddisfatto. Si tratta di una motivazione carente e manifestamente illogica, perché la stessa non tiene conto degli elementi correttamente indicati come decisivi dal pubblico ministero ricorrente ed emergenti dagli atti di causa. In primo luogo, il Tribunale non considera che P. non aveva formalmente alcun diritto sul locale Burlesque e la sua titolarità sostanziale sul locale stesso risultava indimostrata, essendo stata espressamente esclusa da R., il quale ha affermato di essere stato vittima di estorsione e ha descritto nel dettaglio le violenze e le minacce subite. Né dagli atti di indagine emerge una lecita ragione per la quale R. avrebbe dovuto pagare P. per la cessione di una cosa della quale quest'ultimo non aveva la disponibilità. In secondo luogo, da quanto affermato dallo stesso Tribunale, risulta che in un primo momento R. voleva ritirarsi alle trattative, che lo stesso era stato successivamente picchiato e minacciato da P., che egli infine aveva pagato P., utilizzando il meccanismo della scrittura privata di riconoscimento di debito priva di riferimenti a un rapporto sottostante. Tale meccanismo è tipico dei contesti estorsivi e - contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale - non costituisce alcuna garanzia di tutela nei confronti della controparte , portando alla formazione di un titolo utilizzabile nei confronti del debitore in qualunque momento, senza il bisogno di ulteriori dimostrazioni. In terzo luogo, nell'ordinanza impugnata non risulta sufficientemente chiarito se R. abbia formalmente acquistato il locale Burlesque, già esistente come tale, da B. e T. o se abbia invece - come ritenuto dal pubblico ministero ricorrente - costituito una nuova società e allestito un nuovo locale, indipendentemente dai rapporti con tali soggetti, i quali sarebbero stati debitori di P 8. - Dal complesso delle considerazioni che precedono consegue che l'ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio al Tribunale di Brescia, in riferimento al capo 1 dell'imputazione provvisoria, contestato a R.G., R.M., P.M., S.F., R.E. ai capi 7 e 12, contestati a S. al capo 18, contestato a P.G Il Tribunale procederà a nuovo giudizio su tali profili, tenendo conto dei principi sopra affermati sub 7.1., 7.2., 7.3., 7.4. Come già rilevato sub 5. , i ricorsi di R.G. e R.M. devono essere, invece, dichiarati inammissibili per rinuncia. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata, limitatamente al capo 1 dell'imputazione provvisoria, contestato a R.G., R.M., P.M., S.F., R.E. ai capi 7 e 12, contestati a S. al capo 18, contestato a P.G., e rinvia al Tribunale di Brescia. Dichiara inammissibili i ricorsi di R.G. e R.M. e li condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 500,00 ciascuna in favore della Cassa delle ammende.