Pericolosità sociale e confisca dei beni: quali sono i limiti cronologici del provvedimento ablativo?

Con riferimento alla c.d. pericolosità generica, sono suscettibili di ablazione soltanto i beni acquistati nell’arco temporale in cui si è manifestata la pericolosità sociale, mentre, con riferimento alla c.d. pericolosità qualificata, il giudice dovrà accertare se questa investa, come ordinariamente accade, l’intero percorso esistenziale del proposto, o se sia individuabile un momento iniziale ed un termine finale della pericolosità sociale, al fine di stabilire se siano suscettibili di ablazione tutti i beni riconducibili al proposto ovvero soltanto quelli ricadenti nel periodo temporale individuato.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 26880 depositata il 25 giugno 2015. Il caso. Il Tribunale di Torino disponeva la confisca dei prodotti finanziari collocati da una società di investimenti per conto di T.L., avendo questa effettuato una operazione di rientro di capitali dall’estero ai sensi dell’art. 13 - bis d.lgs. n. 78/2009, rimpatriando dalla Confederazione Svizzera la somma complessiva di 1.480.000,00 euro. Era stato accertato, infatti, che T.L. era terza interessata rispetto a P.M. – soggetto socialmente pericoloso – e che negli anni di imposta oggetto di accertamento entrambi avevano dichiarato redditi modesti ed incompatibili con i capitali oggetto di rientro dalla Svizzera. Tra l’altro, fermo restando il predetto dato contabile, la ratio sottesa all’adozione del provvedimento ablativo nei confronti della T.L. quale terza interessata era da individuarsi nella relazione sentimentale – corroborata dalla stabile convivenza e dalla nascita di due figli – con il P.M. in altri termini, la T. era un soggetto fittiziamente interposto al M., e si prestava ad investire i beni illecitamente acquisiti dal suo compagno. La Corte d’appello di Torino confermava il provvedimento di prime cure. Avverso il decreto della Corte territoriale T.L. ricorreva per Cassazione deducendo tre motivi di gravame in primis , violazione – tra gli altri – dell’art. 2, comma 2 – bis , l. n. 575/1975 in relazione alla cessazione del requisito della pericolosità sociale del Mauro, della quale il provvedimento non aveva tenuto conto. In secundis , violazione dell’art. 2 - bis l. n. 575/1975 in relazione all’erronea individuazione dell’arco temporale con riferimento al quale doveva ritenersi rilevante la convivenza tra la ricorrente e la Mauro. Infine, medesima violazione di legge ma in relazione all’omessa motivazione sulle allegazioni difensive inerenti l’effettiva titolarità dei beni confiscati. Quali sono i limiti al sindacato di legittimità in materia di prevenzione? Nel procedimento di prevenzione il ricorso per Cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge non è dunque deducibile il vizio di motivazione a meno che questa non sia del tutto carente, presentando difetti tali da renderla meramente apparente e in realtà inesistente ossia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità ovvero quando la motivazione si ponga come assolutamente inidonea a rendere comprensibile il percorso logico seguito dal giudice di merito ovvero, ancora, quando le linee argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da fare risultare oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione adottata. La delimitazione cronologica della pericolosità sociale. La pericolosità sociale, oltre ad essere presupposto ineludibile della confisca di prevenzione, è anche misura temporale del suo ambito applicativo ne consegue che, con riferimento alla c.d. pericolosità generica, sono suscettibili di ablazione soltanto i beni acquistati nell’arco temporale in cui si è manifestata la pericolosità sociale, mentre, con riferimento alla c.d. pericolosità qualificata, il giudice dovrà accertare se questa investa, come ordinariamente accade, l’intero percorso esistenziale del proposto, o se sia individuabile un momento iniziale ed un termine finale della pericolosità sociale, al fine di stabilire se siano suscettibili di ablazione tutti i beni riconducibili al proposto ovvero soltanto quelli ricadenti nel periodo temporale individuato. Donde, sono suscettibili di ablazione soltanto i beni acquisiti nell’arco temporale in cui si è manifestata la pericolosità sociale del soggetto, indipendentemente dalla persistente pericolosità del soggetto al momento della proposta di prevenzione. La presunzione di illecita provenienza dei beni. L’adozione di un provvedimento di confisca presuppone una ragionevole presunzione che i beni patrimoniali considerati siano stati acquistati con i proventi dell’attività illecita, e tale valutazione deve essere condotta in termini ancora più rigorosi laddove i beni oggetto di ablazione risultino intestati a terze persone, nei confronti delle quali il giudizio di pericolosità sociale si impone con una cautela maggiore. Fermo restando che la presunzione di illecita provenienza dei beni ha natura di presunzione relativa e per l’assolvimento dell’onere probatorio posto a carico del soggetto inciso è sufficiente la mera allegazione di fatti, situazioni o eventi che, ove riscontrabili, siano idonei, ragionevolmente e plausibilmente, ad indicare la lecita provenienza dei beni.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 26 maggio – 25 giugno 2015, n. 26880 Presidente Di Tomassi – Relatore Centonze Rilevato in fatto 1. Con decreto emesso il 07/03/2014 la Corte di appello di Torino confermava il decreto di confisca dei prodotti finanziari collocati dalla società AZ Investimenti SIM s.p.a. per un importo complessivo di 1.480.000,00 Euro, nella sua qualità di terza interessata rispetto a M.P. , emesso dal Tribunale di Torino il 20/02/2012. Tale provvedimento conseguiva all'estensione dei decreti di sequestro anticipato emessi dallo stesso tribunale nelle date del 14/02/2011 e del 21/02/2011 nei confronti del M. , adottati sulla base della nota redatta dal Nucleo di Polizia Tributaria di Torino il 14/02/2012. In precedenza, dunque, erano stati confiscati alla T. altri beni sulla base dei medesimi presupposti, costituiti dalla pericolosità sociale del M. e dal suo rapporto di convivenza con il predetto, che si era protratto ininterrottamente durante l'ultimo quinquennio. Queste verifiche investigative consentivano di accertare che la T. , nel corso del 2010, aveva effettuato un'operazione di rientro di capitali dall'estero, ai sensi dell'art. 13 bis del d.lgs. 1 luglio 2009, n. 78, rimpatriando complessivamente dalla Confederazione Svizzera la somma complessiva di 1.480.000,00 Euro, che veniva investita in una pluralità di prodotti finanziari, collocati dalla società AZ Investimenti SIM s.p.a., rispetto ai quali - con decreto emesso il 20/02/2012 - veniva disposto il sequestro d'urgenza. Si accertava, in tale ambito, che il M. aveva dichiarato redditi modesti per gli anni d'imposta 2003-2006, ammontanti a 15.471,00 Euro mentre, la T. , negli anni d'imposta 2003-2008, aveva dichiarato redditi lordi pari a 59.015,00 Euro e ulteriori entrate per un ammontare complessivo di 517.483,74 Euro. Il provvedimento confermativo in esame veniva adottato sul presupposto della relazione sentimentale esistente tra la T. e il M. , comprovata dalla nascita di due figli e dal rapporto di convivenza esistente tra i due soggetti, che legittimava l'attivazione delle indagini nei confronti della ricorrente quale terza interessata. Tali elementi inducevano a ritenere la T. un soggetto fittiziamente interposto al M. , prestandosi investire i beni acquisiti illecitamente dal suo convivente. Si riteneva, in particolare, che l'ammontare dei capitali trasferiti in Italia con le modalità che si sono richiamate e reinvestiti nei prodotti finanziari confiscati era sproporzionato rispetto ai redditi dei quali i due conviventi potevano legittimamente disporre, costituendo il provento degli utili derivanti dalle attività delittuose del M. , il quale, attraverso l'intermediazione fittizia della T. , ne aveva mimetizzato l'illecita provenienza. La ricostruzione dei suddetti rapporti finanziari consentiva di ritenere smentite dalle emergenze processuali le argomentazioni difensive della terza interessata, la quale negava che la convivenza con il M. fosse durata ininterrottamente per l'intero periodo ipotizzato dalla pubblica accusa, sostenendo ulteriormente di avere accumulato le ingenti somme di cui si controverte grazie alle regalie di due amanti estremamente facoltosi - che indicava in C.E. e Ca.Gi. - dei quali produceva dichiarazioni scritte che attestavano la veridicità delle sue affermazioni. Nel decreto appellato, inoltre, si dava atto che nei confronti del M. , con provvedimento del 07/12/2012, era stata richiesta di applicazione della misura di prevenzione personale sul presupposto che, nel caso di specie, difettava il requisito della pericolosità sociale, pur dandosi atto dell'anomalie patrimoniali che si sono richiamate. Infine, la sussistenza dei presupposti legittimanti l'adozione della confisca adottata veniva ulteriormente correlata agli esiti della rogatoria internazionale attivata presso la Confederazione Svizzera, che consentiva di acquisire i dati sui movimenti bancari eseguiti dalla T. nell'arco temporale in contestazione. Tali ragioni imponevano la conferma del decreto di confisca oggetto di impugnazione. 2. Avvero tale decreto la difesa della T. ricorreva per cassazione, deducendo tre motivi di ricorso. Con il primo motivo, si deduceva la violazione degli artt. 2, 202, 203 cod. pen., 11, 12 R.D. n. 262 del 1942, 2 comma 2 bis della legge n. 575 del 1975, in relazione alla cessazione del requisito della pericolosità sociale del M. , della quale il provvedimento impugnato non aveva tenuto conto, nonostante le deduzioni difensive. Si evidenziava, in tale ambito, che la corte territoriale aveva disatteso la doglianza difensiva, secondo cui era possibile equiparare le misure di prevenzione personale e patrimoniale in quanto se ne fosse individuato preliminarmente il presupposto nella verifica della perdurante pericolosità sociale del soggetto destinatario presupposto, questo, che non poteva ritenersi sussistente nel caso di specie, atteso che il M. non poteva essere ritenuto un soggetto socialmente pericoloso, con la conseguenza che, difettando tale presupposto, il provvedimento impugnato doveva ritenersi adottato in assenza dei presupposti di legge. Con il secondo motivo, si deduceva la violazione dell'art. 2 bis della legge n. 575 del 1975, in relazione all'erronea individuazione dell'arco temporale con riferimento al quale doveva ritenersi rilevante la convivenza tra la ricorrente il M. . Si evidenziava, in particolare, che la corte territoriale aveva disatteso le evidenze processuali sottoposte alla sua cognizione, che rendevano evidente come gli unici elementi relativi a una presunta convivenza del M. con la T. risalissero all'anno 2009, per come desumibile dallo stesso provvedimento impugnato, nel quale si evidenziava che tale convivenza, riscontrata in relazione alla coabitazione presso l'unità immobiliare sita a omissis , doveva ritenersi provata limitatamente al biennio compreso tra il 2009 e il 2010. Con il terzo motivo, si deduceva la violazione dell'art. 2 ter della legge n. 575 del 1975, in relazione all'omessa motivazione sulle allegazioni difensive relative all'effettiva titolarità dei beni confiscati. Si evidenziava, in particolare, che la corte territoriale, pur avendone dato atto nel provvedimento impugnato, nelle pagine 8 e 9, non aveva tenuto conto del fatto che C.E. e Ca.Gi. avevano dichiarato di avere donato alla prevenuta somme per complessivi di 2.000.000,00 Euro, limitandosi a ritenere il contenuto di tali dichiarazioni infondato e sprovvisto di prova, in termini meramente assertivi. Infine, in data 18/02/2015, venivano depositate memorie difensive nell'interesse della T. , finalizzata a consentire una rivalutazione delle doglianze difensive sottese al primo motivo dell'originario ricorso, alla luce dell'ultimo arresto giurisprudenziale delle Sezioni unite, intervenuto in materia di individuazione del requisito della delimitazione cronologica della pericolosità sociale indispensabile per l'adozione dei provvedimenti di confisca patrimoniale cfr. Sez. un., n. 4880 del 26/06/2014, dep. 02/02/2015, Spinelli e altro, Rv. 262605 . Tali ragioni imponevano l'annullamento dell'ordinanza impugnata. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato nei termini che seguono. In via preliminare, deve rilevarsi che nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione, secondo quanto previsto dall'art. 4, comma 2, legge 27 dicembre 1956, n. 1423, richiamato dall'art. 3 ter, comma 2, legge 31 maggio 1965, n. 575, è ammesso soltanto per violazione di legge. Ne consegue che devono escludersi dall'ambito dei vizi deducibili in sede di legittimità le ipotesi previste dall'art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen., potendosi soltanto denunciare, ai sensi della lett. c dello stesso articolo, la motivazione inesistente o meramente apparente, integrante la violazione dell'obbligo di provvedere con decreto motivato. In sede di legittimità, dunque, non è deducibile il vizio di motivazione, a meno che questa non sia del tutto carente, presentando difetti tali da renderla meramente apparente e in realtà inesistente ossia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità ovvero quando la motivazione stessa si ponga come assolutamente inidonea a rendere comprensibile il percorso logico seguito dal giudice di merito ovvero, ancora, quando le linee argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da fare risultare oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione adottata cfr. Sez. 5, n. 19598 dell'08/04/2010, dep. 24/05/2010, Palermo, Rv. 247514 Sez. 6, n. 20816 del 28/02/2013, dep. 14/05/2013, Buonocore e altri, Rv. 257007 . Questo orientamento ermeneutico ha ricevuto l'ulteriore suggello delle Sezioni unite, che, da ultimo, hanno affermato il seguente principio di diritto Nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, secondo il disposto dell'art. 4 legge 27 dicembre 1956, n. 1423, richiamato dall'art. 3 ter, secondo comma, legge 31 maggio 1965, n. 575 ne consegue che, in tema di sindacato sulla motivazione, è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l'ipotesi dell'illogicità manifesta di cui all'art. 606, lett. e , cod. proc. pen., potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso, poiché qualificabile come violazione dell'obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d'appello dal nono comma del predetto art. 4 legge n. 1423 del 56, il caso di motivazione inesistente o meramente apparente” cfr. Sez. un., n. 33451 del 29/05/2014, dep. 29/07/2014, Repaci e altri, Rv. 260246 . 2. In questa cornice ermeneutica, occorre esaminare il primo motivo di ricorso, verificando preliminarmente se il provvedimento impugnato debba essere rivalutato, tenendo conto del recente intervento delle Sezioni unite, secondo il quale devono ritenersi suscettibili di ablazione i soli beni patrimoniali acquistati nell'arco temporale in cui si è manifestata la pericolosità sociale del soggetto passivo della misura - o eventualmente del terzo allo stesso collegato - tenuto conto dello specifico momento nel quale si è manifestata tale pericolosità cfr. Sez. un., n. 4880 del 29/06/2014, dep. 02/02/2015, Spinelli e altri, Rv. 262605 . Si tratta, allora, di verificare se - preso atto della posteriorità dell'arresto giurisprudenziale richiamato rispetto al provvedimento impugnato e dei parametri ermeneutici vigenti in materia di vizi deducibili nel procedimento di prevenzione ai sensi dell'art. 4, comma 2, legge 27 dicembre 1956, n. 1423 - la corte territoriale debba procedere a un nuovo esame della vicenda, sul presupposto di una violazione di legge censurabile in sede di legittimità, conformandosi ai principi affermati dalle Sezioni unite in materia di delimitazione cronologica della pericolosità sociale. Nell'arresto giurisprudenziale delle Sezioni unite che si è richiamato, allo scopo di delimitare cronologicamente gli ambiti di pericolosità sociale legittimanti l'adozione di un provvedimento di prevenzione, si affermava il seguente principio di diritto La pericolosità sociale, oltre ad essere presupposto ineludibile della confisca di prevenzione, è anche misura temporale del suo ambito applicativo ne consegue che, con riferimento alla c.d. pericolosità generica, sono suscettibili di ablazione soltanto i beni acquistati nell'arco di tempo in cui si è manifestata la pericolosità sociale, mentre, con riferimento alla c.d. pericolosità qualificata, il giudice dovrà accertare se questa investa, come ordinariamente accade, l'intero percorso esistenziale del proposto, o se sia individuabile un momento iniziale ed un termine finale della pericolosità sociale, al fine di stabilire se siano suscettibili di ablazione tutti i beni riconducibili al proposto ovvero soltanto quelli ricadenti nel periodo temporale individuato” cfr. Sez. un., n. 4880 del 29/06/2014, dep. 02/02/2015, Spinelli e altri, Rv. 262605 . Ne discende che sono suscettibili di ablazione soltanto i beni acquisiti nell'arco di tempo in cui si è manifestata la pericolosità sociale del soggetto, indipendentemente dalla persistente pericolosità del soggetto al momento della proposta di prevenzione. Tale conclusione discende dall'apprezzamento dello stesso presupposto giustificativo della confisca di prevenzione, ossia dalla ragionevole presunzione che il bene sia stato acquistato con i proventi di un'attività illecita ed è, dunque, pienamente coerente con la natura preventiva della misura ablatoria, ribadita dalle Sezioni unite cfr. Sez. un., n. 4880 del 29/06/2014, dep. 02/02/2015, Spinelli e altri, Rv. 262605 . Pertanto, alla stregua di tali principi l'ablazione di beni di cui si assume la provenienza illecita, può considerarsi legittima, siccome espressione dell'esercizio del potere discrezionale del Legislatore, solo laddove risponda all'interesse generale di rimuovere dal circuito economico beni illecitamente acquistati. D'altra parte, la funzione sociale della proprietà privata può essere esplicarsi legittimamente solo a condizione che il suo acquisto sia conforme alle regole imposte dall'ordinamento giuridico. Non può, dunque, ritenersi compatibile con quella funzione l'acquisizione di beni contra legem , sicché nei confronti dell'ordinamento statuale non è mai opponibile un acquisto inficiato da illecite modalità, così come, in ambito civilistico, il possesso acquisito in modo violento o clandestino non è utile all'usucapione e non è opponibile - se non dal momento in cui la violenza o la clandestinità cessino - agli effetti che l'ordinamento giuridico ordinariamente riconnette alle legittime situazioni possessorie e al loro protrarsi nel tempo cfr. Sez. un., n. 4880 del 29/06/2014, dep. 02/02/2015, Spinelli e altri, Rv. 262605 . Per altro verso, l'individuazione di un preciso contesto cronologico, entro il quale può essere esercitato il potere di ablazione statuale, è funzionale a soddisfare un'altra esigenza garantita costituzionalmente, rendendo più agevole l'esercizio del diritto di difesa e assolvendo a ineludibili esigenze di garanzia generica. Ne consegue che, anche sotto tale profilo la dinamica di apprensione coattiva di beni dei cittadini risulta esente da criticità sul versante della necessaria sintonia con i dettami della Carta costituzionale, comunque assicurata dal riconoscimento al soggetto inciso della facoltà di riprova in merito alla legittimità dell'acquisto in contestazione. Se così non fosse, sarebbe possibile aggredire il patrimonio di un soggetto indipendentemente da ogni relazione temporale con la pericolosità sociale dello stesso individuo, dando origine a uno strumento che finirebbe per connotarsi per la sua natura sanzionatoria. Una misura ablatoria, tuttavia, si collocherebbe in un ambito sistematico scarsamente con i principi costituzionali vigenti in materia di proprietà privata e innanzitutto con le disposizioni degli artt. 2 e 42 Cost., oltre che con i principi di diritto comunitario. Ne discende che l'adozione di un provvedimento di confisca presuppone un preciso contesto cronologico all'interno del quale può essere esercitato il potere di ablazione nei confronti di un soggetto privato, essendo a tal fine indispensabile stabilire una ragionevole presunzione che i beni patrimoniali considerati siano stati acquistati con i proventi dell'attività illecita. Tale valutazione deve essere condotte in termini più rigorosi laddove i beni oggetto di ablazione risultano intestati a terze persone - come nel caso che si sta considerando - nei confronti delle quali il giudizio di pericolosità sociale si impone con una cautela ancora maggiore. Né potrebbe essere diversamente, atteso che, come statuito da questa Corte nello stesso arresto giurisprudenziale In tema di confisca di prevenzione, la presunzione di illecita provenienza dei beni ha natura di presunzione relativa e per l'assolvimento dell'onere probatorio posto a carico del soggetto inciso è sufficiente la mera allegazione di fatti, situazioni o eventi che, ove riscontrabili, siano idonei, ragionevolmente e plausibilmente, ad indicare la lecita provenienza dei beni” cfr. Sez. un., n. 4880 del 29/06/2014, dep. 02/02/2015, Spinelli e altri, Rv. 262607 . Ne discende che, se rispetto alla misura di prevenzione personale il requisito della persistente pericolosità continua ad avere una sua ragion d'essere, in quanto, potendo, questa, risolversi nel tempo o scemare significativamente, sarebbe incongruo applicare una misura di prevenzione patrimoniale svincolata dal giudizio di pericolosità sociale quanto alla misura patrimoniale, infatti, la connotazione di pericolosità sociale è immanente al bene per via della sua illegittima acquisizione, inerendo allo stesso geneticamente, in via tendenzialmente indissolubile” cfr. Sez. un., n. 4880 del 29/06/2014, dep. 02/02/2015, Spinelli e altri, Rv. 262607 . Questo significa che presupposto ineludibile di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale continua a essere la pericolosità del soggetto passivo, ossia la sua riconducibilità a una delle categorie soggettive previste dalla normativa di settore ai fini dell'applicazione delle misure di prevenzione. Non può non richiamarsi, sul punto, la giurisprudenza di questa Corte che ha precisato che, anche nei casi di applicazione disgiunta, il giudice della prevenzione deve valutare - sia pure incidenter tantum - la condizione di pericolosità del soggetto nei cui confronti sia richiesta la misura di prevenzione patrimoniale, in quanto la confisca disgiunta non è istituto che ha introdotto nel nostro ordinamento una azione diretta sul bene, restando imprescindibile il rapporto tra pericolosità sociale del soggetto e gli incrementi patrimoniali conseguiti cfr. Sez 1, n. 48882 del 08/10/2013, San Carlo Invest Sri, Rv. 257605 . 3. Tenuto conto dei parametri ermeneutici che si sono richiamati nei due paragrafi precedenti, nel caso in esame, si impone un nuovo giudizio, finalizzato a rivalutare il requisito della cessazione della pericolosità sociale del M. , che costituisce un dato processuale incontroverso, per effetto del decreto emesso dalla Corte di appello di Torino il 30/03/2006, a distanza di cinque anni dal decreto che dava origine al presente procedimento di prevenzione dato che, come si è detto, risulta ulteriormente rafforzato dalla circostanza del rigetto della richiesta di applicazione di un'ulteriore misura di prevenzione, disposto dal Tribunale di Torino con provvedimento del 07/12/2012. In tale ambito, dunque, il giudice del rinvio dovrà dare adeguatamente conto della circostanza processuale - peraltro diffusamente richiamata nel provvedimento impugnato nelle pagine 2 e 3 - che, con il predetto decreto, era stata rigettata la richiesta di applicazione al M. di una misura di prevenzione personale, sul presupposto che, nel caso di specie, difettava il requisito della pericolosità sociale. Occorrerà, inoltre, che il giudice del rinvio rivaluti, alla luce dei parametri ermeneutici che si sono richiamati nel paragrafo 2, le risultanze degli accertamenti effettuati mediante rogatoria internazionale presso la Confederazione Svizzera, espressamente richiamati nelle pagine 9 e 10 del provvedimento impugnato, correlando cronologicamente gli esiti di tali verifiche bancarie al giudizio di pericolosità sociale in conseguenza del quale si riteneva di adottare la misura ablatoria nei confronti della T. , tenendo conto della sua condizione di terza interessata, coinvolto nel procedimento di prevenzione per il suo legame sentimentale con il M. . Deve, in proposito, rilevarsi che, secondo quanto affermato nel provvedimento impugnato sulla base delle indagini patrimoniali condotte dal Nucleo di Polizia Tributaria di Torino, il flusso finanziario pervenuto sui conti correnti della T. sarebbe riconducibile a canoni di normalità nell'arco temporale compreso tra il 2006 - epoca contigua cronologicamente a quella in cui il M. era sottoposto alla misura della prevenzione della sorveglianza speciale - e il 2010, quando si verificava un significativo aumento dei depositi finanziari sul conto corrente accesso presso la BPS, Filiale di OMISSIS . Sul finire del 2010, in particolare, si verificava un significativo incremento finanziario delle risorse della ricorrente, quando si registrava la presenza di una somma corrispondente a quella utilizzata per l'acquisto dei prodotti finanziari oggetto del provvedimento di confisca impugnato. Anche in questo caso, dunque, occorrerà rivalutare tale percorso argomentativo alla luce dei parametri ermeneutici affermati dalle Sezioni unite, verificando l'esistenza di un rapporto di pertinenza tra la pericolosità sociale del M. e i movimenti economici posti a fondamento del provvedimento di confisca impugnato, tenuto conto della condizione di terza interessata della T. . D'altra parte, la necessità di una rivalutazione di tale passaggio argomentativo discende dal contenuto dello stesso provvedimento in esame, laddove si consideri che, a pagina 9, si affermava Nel corso degli anni 2008-2009 e nei primi mesi del 2010 i versamenti erano stati di poco superiori, cosicché il saldo era cresciuto ad Euro 87.671,08 alla data del 21.4.2010, quando il conto era stato chiuso e la relativa somma trasferita su un altro conto acceso al nome della T. [ ]. Nei primi mesi del 2010 su detto conto erano confluiti complessivamente accrediti e versamenti per Euro 1.457.340, portando il saldo - alla data dell'11/11/2010 - ad Euro 1.483.251,06, somma infine trasferita alla già citata AZ Investimenti S.p.A. di ”. Occorre, dunque, che, sui profili valutativi richiamati, la corte territoriale si soffermi con un nuovo giudizio, nel rispetto dei principi di diritto che si sono esplicitati. 4. Le ulteriori doglianze devono ritenersi assorbite nel primo motivo di ricorso, la cui risoluzione appare preliminare rispetto alle ulteriori questioni sollevate nell'interesse della T. . P.Q.M. Annulla il decreto impugnato e rinvia per nuovo esame alla Corte di appello di Torino.