Scuole paritarie: evasione fiscale per gli amministratori, sotto “esame” i conti correnti personali

Le presunzioni tributarie del T.U.I.R. non costituiscono prova del reato tributario ma sono valutabili dal giudice come dati di fatto per ritenere il fumus del reato, specie se il contribuente non apporta elementi di segno contrario tali da vincere” la presunzione con un’analisi contabile alternativa.

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 26746, depositata il 25 giugno 2015. Il caso. Gli indagati erano titolari o amministratori di istituti/scuole paritarie costituite in società a responsabilità limitata e venivano indagati della commissione di reati tributari e, precisamente, per omessa dichiarazione dei redditi e sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, per avere costituito, immediatamente dopo le verifiche fiscali svolte da parte della Guardia di Finanza, un fondo patrimoniale, in modo da rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva già in atto. Il pm otteneva un sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, provvedimento cautelare emesso dal gip che veniva impugnato davanti al Tribunale del Riesame, giudice che rigettava il ricorso. Di qui l’intervento richiesto alla Corte di Cassazione che, tuttavia, conferma il provvedimento. Determinazione delle imposte evase. Dall’analisi dei libri contabili, dei registri IVA, dei rapporti bancari effettuata dagli accertatori, risultavano rilevanti somme accreditate sui conti correnti personali degli amministratori, senza che vi fossero giustificazioni neppure rese in sede di PVC processo verbale di contestazione . Tanto bastava – in punto fumus dei delitti contestati – per procedere alla contestazione cautelare e disporre il provvedimento. Ciò anche perché la difesa non aveva offerto alcuna lettura contabile alternativa dei dati, limitandosi a censurare il calcolo della base imponibile, contestando l’operatività della presunzione legale ex art. 32 d.P.R. n. 600/1973 Testo unico disposizioni in materia di accertamento delle imposte sui redditi che determina un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente. Le presunzioni legali, in campo penale, hanno valore indiziario. La Corte Suprema chiarisce che le presunzioni stabilite dalla disciplina tributaria non costituiscono – di per sé – prove della commissione dei reati tributari disciplinari dal d.lgs. 74/2000 e s.m.i. ma hanno valore indiziario quanto all’integrazione del fumus commissi delicti che consente di applicare la misura cautelare reale, qual è il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto del reato. Per il giudice del riesame la determinazione dell’imposta evasa non era in discussione nella fase cautelare, stante l’assenza di elementi di segno contrario offerti da parte del contribuente indagato. In verità, il contribuente si era limitato alla mera contestazione senza offrire elementi documentali idonei a contrastare il calcolo dell’imposta evasa effettuato tramite le presunzioni tributarie. Le presunzioni tributarie sono liberamente valutabili. Pertanto, dalla natura delle presunzioni deriva che le stesse assumono il valore di dati di fatto valutabili dal giudice, valutazione coerente, peraltro, con la fase cautelare che non richiede l’accertamento compiuto ma sommario e limitato al fumus . Ambito e limiti del sequestro sui beni dell’ente per reati commessi dal rappresentante legale. In tema di reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente non può essere disposto sui beni dell’ente, a meno che questo sia privo di autonomia e rappresenti solo uno schermo dietro il quale il reo agisca come effettivo titolare dei beni. Tuttavia, è legittimo il detto sequestro del profitto rimasto nella disponibilità della persona giuridica, derivante dal reato tributario commesso dal suo legale rappresentante l’ente, infatti, non è persona estranea al reato! Confisca diretta del profitto impossibile. Nel caso esaminato, la società non era intestataria di alcun rapporto bancario, pertanto, la confisca diretta del profitto derivante dai reati tributari commessi dal legale rappresentante non era possibile. Ne conseguiva, pertanto, la legittimità del sequestro preventivo nei confronti dell’amministratore. Il gip, infatti, aveva disposto il sequestro preventivo in forma diretta sulla somma giacente sui conti correnti bancari intestati agli amministratori e, in caso di incapienza, per equivalente, sui beni – immobili e mobili – nella disponibilità degli amministratori. Corretto è stato procedere al sequestro delle somme disponibili sui conti correnti degli amministratori sui quali vi erano operazioni in accredito non giustificabili e, in subordine, per quanto non capienti, sui beni di cui gli amministratori avevano disponibilità. È necessario provare il mancato rinvenimento di beni costituenti profitto dei reati di evasione? La Suprema Corte ha ricordato che, in tema di reati tributari, il pm è legittimato a chiedere al gip il sequestro preventivo per equivalente, anziché il sequestro diretto” all’esito della valutazione – da svolgersi, necessariamente, allo stato degli atti – in ordine alle risultanze relative al patrimonio della persona giuridica che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato. Per evidenti ragioni di tempestività e non solo , in questa fase non è necessario compiere accertamenti preliminari tesi a rinvenire prezzo o profitto nelle casse della società o ricercare beni che ne costituiscono la trasformazione. È sul soggetto destinatario della misura cautelare, infatti, che grava l’onere di dimostrare la sussistenza dei presupposti per disporre il sequestro in forma diretta”. Nessuna scorciatoia” è stata quindi imboccata perché alcun obbligo di rinvenire i beni costituenti profitto dei reati tributari incombeva sui magistrati. Sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. Risultava che il fondo patrimoniale era stato costituito per ostacolare la riscossione delle imposte, infatti, veniva creato successivamente alle verifiche fiscali. Tale condotta, senza dubbio, integra il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte perché idoneo ad ostacolare la riscossione di un’obbligazione tributaria.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 21 maggio – 25 giugno 2015, n. 26746 Presidente fiale – Relatore Scarcella Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza emessa in data 3/07/2014, depositata in pari data, il tribunale del riesame di SALERNO, rigettava l'istanza di riesame presentata nell'interesse dell'indagato V.M. avente ad oggetto il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente dei beni mobili ed immobili nella titolarità del medesimo, in quanto indagato per reati tributari, alcuni addebitatigli a titolo individuale, altri quale socio e/o amministratore di tre istituti paritari, riferibili ai germani V. omessa dichiarazione dei redditi relativamente all'anno di imposta 2010, per un'evasione contestata di Euro 31.468,00 ascritta a V.A. omessa dichiarazione dei redditi in relazione all'anno di imposta 2010 per un'evasione IRPEF di Euro 43.931,00 e, in relazione all'anno di imposta 2011, per un'evasione IRPEF di e 126.488,00, ambedue ascrivibili al V.M. omessa presentazione della dichiarazione IRES da parte dei fratelli V.M. ed A. , quali co-amministratori della Istituti paritari Primo Levi s.r.l. , in relazione all'anno di imposta 2009, con evasione pari ad Euro 92.922,50 e, in relazione all'anno di imposta 2011, con evasione pari ad Euro 126.500,00 sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, per aver costituito, immediatamente dopo l'avvio delle verifiche fiscali del 26/11/2012, un fondo patrimoniale in modo da rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva già in atto nei confronti dei medesimi nonché delle scuole paritarie di cui erano soci-amministratori . 2. Ha proposto ricorso V.M. a mezzo del difensore fiduciario cassazionista, impugnando l'ordinanza predetta con cui deduce quattro motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen 2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. b , c ed e cod. proc. pen., in relazione agli artt. 5 ed 11, d.lgs. n. 74 del 2000, nonché agli artt. 125 e 321 cod. proc. pen. e 32, d.P.R. n. 600 del 1973, sotto il profilo dell'omessa pronuncia, difetto assoluto di motivazione, deficit del presupposto ed istruttoria parziale poiché si è determinata la base imponibile senza considerare costi e spese. In sintesi, la censura investe l'impugnata ordinanza per non aver il tribunale del riesame tenuto conto dei rilievi mossi dalla difesa con una memoria che viene allegata al ricorso nella quale era stato contestato il fumus dei reati ascritti, in particolare segnalando come la GdF avesse impropriamente determinato la base imponibile dei redditi ricorrendo unicamente alla presunzione legale di cui all'art. 32, d.P.R. n. 600/1973, ed ai criteri di valutazione, validi in sede tributaria, ribaltando l'onere probatorio a carico del contribuente/imputato si osserva, in ricorso, come la GdF avrebbe del tutto ignorato l'analisi di prelievi, anch'essi numerosi, rilevanti e consistenti, pretermettendo incredibilmente l'accertamento di costi e spese, pur necessariamente da sostenere per produrre un reddito a fronte di tali doglianze, però, il tribunale del riesame le avrebbe del tutto ignorate, limitandosi a ribadire la sussistenza del fumus di tutti i delitti, rivolgendosi all'apparato argomentativo della decisione le seguenti critiche a non avrebbe smentito che la GdF era ricorsa alla presunzione legale di cui sopra per determinare la base imponibile b non avrebbe smentito il dato che la base imponibile era stata quantificata dalla GdF attraverso la mera sommatoria dei soli versamenti operati sui c/c del ricorrente c non avrebbe smentito il dato che la base imponibile era stata determinata pretermettendo compiutamente l'analisi di costi e spese, che pur è necessario sostenere per produrre un reddito. Si censura, peraltro, l'affermazione dei giudici del riesame i quali hanno affermato che la difesa si sarebbe limitata a contestare il metodi di calcolo della base imponibile, operata dalla GdF in base alla predetta presunzione legale, senza chiarire il motivo per cui debba considerarsi legittimo determinare la base imponibile ricorrendo a tale criterio prescindendo dalla verifica di costi e spese, non risolvendo peraltro l'argomento sostenuto l'eccezione di fondo, ossia la circostanza che la determinazione della base imponibile, così calcolata in base alla presunzione legale richiamata, sovverte l'onere probatorio ponendo a carico del ricorrente l'onere della prova, che nel processo penale invece è a carico della Pubblica Accusa. 2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. b , c ed e cod. proc. pen., in relazione agli artt. 5 ed 11, d.lgs. n. 74 del 2000, nonché agli artt. 125 e 321 cod. proc. pen. e 32, d.P.R. n. 600 del 1973, sotto il profilo dell'omessa pronuncia, difetto assoluto di motivazione e deficit del presupposto. In sintesi, la censura investe l'impugnata ordinanza per aver il tribunale del riesame omesso di motivare sull'impossibilità di sequestrare i beni nella titolarità proprietaria delle persone giuridiche i giudici avrebbero ignorato quanto statuito dalle Sezioni Unite Gubert in merito all'illegittimità di un sequestro per equivalente che vincoli beni della persona fisica ove non risulti accertata e motivata l'impossibilità di aggredire il patrimonio della persona giuridica o che la società sia lo schermo fittizio degli indagati. 2.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. b , c ed e cod. proc. pen., in relazione agli artt. 5 ed 11, d.lgs. n. 74 del 2000, nonché agli artt. 125 e 321 cod. proc. pen. e 32, d.P.R. n. 600 del 1973, sotto il profilo dell'omessa pronuncia, difetto assoluto di motivazione e deficit del presupposto. In sintesi, la censura investe l'impugnata ordinanza per non essersi posti il tribunale del riesame e, prima, il GIP il problema della legittimità di un sequestro per equivalente, applicabile solo in caso di mancato rinvenimento dei beni costituenti il profitto dei reati di evasione fiscale per cui si procede i giudici avrebbero semplicisticamente la strada del sequestro per equivalente, ignorando il principio di diritto affermato da questa Corte secondo cui il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente è legittimo solo quando il reperimento dei beni costituenti il profitto del reato sia impossibile, sia pure transitoriamente, ovvero quando gli stessi non siano aggredibili per qualsiasi ragione Sez. 3, n. 30930 del 05/05/2009 - dep. 24/07/2009, Pierro e altri, Rv. 244934 . 2.4. Deduce, con il quarto motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. b , c ed e cod. proc. pen., in relazione agli artt. 5 ed 11, d.lgs. n. 74 del 2000, nonché agli artt. 125 e 321 cod. proc. pen. e 32, d.P.R. n. 600 del 1973, sotto il profilo dell'omessa pronuncia, difetto assoluto di motivazione e deficit del presupposto. In sintesi, la censura investe l'impugnata ordinanza per aver ritenuto il tribunale del riesame configurabile il delitto di cui all'art. 11, d.lgs. n. 74 del 2000 nonostante la documentata violazione dei parametri legali per determinare nel processo penale la base imponibile soggetta a tassazione ciò renderebbe inconfigurabile anche il delitto in esame, persistendo anche per tale reato il deficit assoluto del presupposto e l'indebito accorpamento di basi imponibili, quelle della persona fisica e quella della persona giuridica. Considerato in diritto 3. Il ricorso è manifestamente infondato. 4. Il tribunale di Salerno, quale giudice del riesame, dopo aver operato una puntuale ricognizione delle imputazioni e degli elementi scaturiti dall'attività di indagine seguita agli accertamenti della GdF di Agropoli, ha ritenuto sussistente il fumus di tutti i delitti contestati all'indagato, osservando, quanto alla determinazione delle imposte evase, che dall'analisi dei dati contabili, registri IVA, rapporti bancari anche personali dei germani V. , operazioni extraconto, rilevanti accrediti su conti correnti personali rimasti senza giustificazione anche in sede di PVC, la stessa si prestava ad essere messa in discussione nella fase cautelare, anche alla luce del fatto che la difesa non aveva offerto una lettura contabile alternativa dei medesimi dati, limitandosi a contestare il metodo di calcolo della base imponibile. Tale affermazione, come anticipato, è stata censurata dalla difesa del ricorrente che ha tacciato di illegittimità il provvedimento impugnato per non aver chiarito le ragioni per le quali il metodo determinativo della base imponibile, fondato sulla presunzione legale ex art. 32, d.P.R. n. 600 del 1973, debba considerarsi come legittimo nonostante determini un'inversione dell'onere probatorio in capo all'indagato-contribuente, peraltro prescindendo da una verifica delle spese e dei costi di cui vi sarebbe traccia in atti. La censura non ha pregio. Ed invero, questa stessa Sezione ha di recente ribadito che le presunzioni legali previste dalle norme tributarie, pur non potendo costituire di per sé fonte di prova della commissione dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000, hanno un valore indiziario sufficiente ad integrare il fumus commissi delicti idoneo, in assenza di elementi di segno contrario, a giustificare l'applicazione di una misura cautelare reale Sez. 3, n. 2006 del 02/10/2014 - dep. 16/01/2015, Scatena, Rv. 261928 principio affermato proprio in fattispecie, analoga alla presente, relativa a sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente del profitto del reato . Orbene, nel caso in esame, i giudici del riesame hanno dato atto che la determinazione dell'imposta evasa, c.s. determinata, non si prestava ad essere messa in discussione in tale fase, in assenza di elementi di segno contrario da parte degli indagati - contribuenti, i quali, si osserva, si sarebbero limitati solo a contestare il metodo di calcolo della base imponibile. Trattasi di motivazione del tutto corretta e conforme all'esegesi giurisprudenziale c.s. indicata, atteso che, proprio per la particolare natura della fase incidentale in cui il provvedimento è intervenuto, va ribadito che pur non costituendo le presunzioni tributarie di per sé fonte di prova della commissione di un reato, le stesse, assumendo esclusivamente il valore di dati di fatto liberamente valutabili dal giudice, possono essere indubbiamente poste a fondamento di una misura cautelare reale Sez. 3, n. 7078 del 23/01/2013 - dep. 13/02/2013, Piccolo, Rv. 254853, nella specie, sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente . A fronte, peraltro, del silenzio serbato dai contribuenti in sede di PVC e alla luce della determinazione dell'imposta evasa secondo il predetto criterio da parte della Guardia di Finanza, il ricorrente si è limitato a contestare il predetto metodo di calcolo della base imponibile, asserendo che il tribunale non avrebbe verificato l'esistenza di spese e costi necessari per la produzione del reddito, affermazione, questa, in linea teorica corretta, ma non accompagnata in questa sede e nella memoria allegata da alcun elemento, risolventesi pertanto in censura puramente contestativa, non avendo l'indagato fornito alcun elemento documentale idoneo a contrastare adeguatamente il calcolo dell'imposta evasa attraverso la predetta presunzione legale, come detto, indiziariamente valutabile in sede cautelare, laddove si consideri, peraltro, che secondo la giurisprudenza civilistica in materia, ad esempio, i dati e gli elementi risultanti dai conti correnti bancari vanno ritenuti rilevanti ai fini della ricostruzione del reddito imponibile, ai sensi dell'art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, se il titolare del conto non fornisca adeguata giustificazione come avvenuto nel caso in esame , a prescindere dalla prova preventiva che il contribuente eserciti una determinata attività e dalla natura lecita o illecita dell'attività stessa Sez. 5, sentenza n. 10578 del 13/05/2011, Rv. 618084 . 5. Anche il secondo ed il terzo motivo - che, attesa l'omogeneità dei profili di doglianza mossi, possono essere trattati congiuntamente - sono privi di pregio. Ed infatti, il ricorrente si duole, anzitutto, del fatto che i giudici del riesame, con riferimento alle imposte evase dalle persone giuridiche, non avrebbero motivato sulle ragioni per le quali non fosse possibile sequestrare beni nella titolarità proprietaria delle persone giuridiche, disponendo invece il sequestro per equivalente sui beni dell'indagato persona fisica, quale coamministratore della società Istituti Paritari Primo Levi s.r.l. in secondo luogo, si duole del fatto che il sequestro per equivalente sarebbe stato disposto nonostante non vi fosse prova del mancato reperimento dei beni costituenti il profitto dei reati di evasione fiscale, sia per le violazioni contestate alla società che per quella contestate agli amministratori. È ben vero che la giurisprudenza di questa Corte ha affermato il principio secondo cui in tema di reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente prevista dagli artt. 1, comma 143, della l. n. 244 del 2007 e 322 ter cod. pen. non può essere disposto sui beni dell'ente, ad eccezione del caso in cui questo sia privo di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso il quale il reo agisca come effettivo titolare dei beni Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014 - dep. 05/03/2014, Gubert, Rv. 258646 , ma è altrettanto vero che è legittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del profitto rimasto nella disponibilità di una persona giuridica, derivante dal reato tributario commesso dal suo legale rappresentante, non potendo considerarsi l'ente una persona estranea al detto reato. A tal fine, questa stessa Sezione ha chiarito però che, al fine di poter disporre la confisca diretta del profitto nei confronti della persona giuridica, è pur sempre necessario che risulti la disponibilità nelle casse societarie di denaro da aggredire, non sussistendo un obbligo per la Pubblica Accusa di dover provvedere alla preventiva ricerca di liquidità o cespiti anche nel caso in cui risulti ex actis l'incapienza del patrimonio dell'ente Sez. 3, n. 6205 del 29/10/2014 - dep. 11/02/2015, Mataloni e altro, Rv. 262770 . E ciò, si osserva, è quanto emerge nel caso in esame. Dalle lettura dell'impugnata ordinanza risulta, infatti, che la Istituti Paritari Primo Levi s.r.l. non risultava intestataria di alcun rapporto bancario , venendo così meno, di fatto, la possibilità di disporre la confisca diretta del profitto riferibile ai reati tributari commessi dai coamministratori della predetta persona giuridica, essendo infatti evidente che l'assenza di conti bancari riferibili all'Ente legittimava il sequestro preventivo nei confronti dei coamministratori medesimi, soprattutto laddove si consideri che il GIP aveva disposto il sequestro preventivo in forma diretta della somma pari al profitto confiscabile di pari importo giacente sui conti correnti bancari intestati agli indagati e, in caso di incapienza, per equivalente, disponendosi il sequestro preventivo sui beni immobili o mobili di cui gli stessi avevano la disponibilità per un valore corrispondente. Ed è indubbio che detto modus procedendi operato dal giudice territoriale fosse corretto, atteso che, in assenza di rapporti bancari intestati alla società, era del tutto logico, oltre che giuridicamente, corretto, tentare anzitutto la confisca del profitto derivante dai reati tributari commessi dalla persona giuridica attraverso la materiale adprehensio delle somme direttamente sui conti correnti riferibili ai coamministratori della società sui quali, come emerge dall'impugnata ordinanza, vi erano operazioni in accredito non giustificabili in relazione ai periodi di imposta oggetto di osservazione e, solo in caso di incapienza, disponendo il sequestro funzionale alla confisca per equivalente sui loro beni mobili ed immobili. Quanto, infine, alla censura relativa al terzo motivo secondo cui i giudici del riesame avrebbero disposto il sequestro per equivalente in assenza di prova del mancato rinvenimento dei beni costituenti il profitto dei reati di evasione fiscale, sia commessi dalla società che dall'indagato quale persona fisica, il ricorrente dimentica che in tema di reati tributari, il pubblico ministero è legittimato, sulla base del compendio indiziario emergente dagli atti processuali, a chiedere al giudice il sequestro preventivo nella forma per equivalente , invece che in quella diretta , all'esito di una valutazione allo stato degli atti in ordine alle risultanze relative al patrimonio dell'ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato, non essendo invece necessario il compimento di specifici ed ulteriori accertamenti preliminari per rinvenire il prezzo o il profitto nelle casse della società o per ricercare in forma generalizzata i beni che ne costituiscono la trasformazione, incombendo, invece, al soggetto destinatario del provvedimento cautelare l'onere di dimostrare la sussistenza dei presupposti per disporre il sequestro in forma diretta Sez. 3, n. 1738 del 11/11/2014 - dep. 15/01/2015, Bartolini, Rv. 261929 . Criticare, quindi, come pretende il ricorrente, l'impugnata ordinanza per aver i giudici semplicisticamente imboccato la scorciatoia del sequestro per equivalente senza accertare prima se fossero rinvenibili i beni nella specie, peraltro, rappresentati da denaro costituenti il profitto dei reati tributari contestati, equivale a svolgere - altrettanto semplicisticamente - una censura puramente contestativa, priva di qualsiasi rilievo. 6. Non miglior sorte merita il quarto ed ultimo motivo di ricorso, con cui si censura il provvedimento impugnato per aver ritenuto configurabile il fumus del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, nonostante la documentata violazione dei parametri legali per determinare la base imponibile soggetta a tassazione, anche per l'indebito accorpamento di basi imponibili, quelle della persona fisica e quella della persona giuridica . Anche tale censura non ha pregio. Ed invero, premesso quanto sopra già esposto a proposito della legittimità del metodo di calcolo seguito in fase cautelare ai fini della determinazione dell'imposta evasa ciò che rende del tutto inconferenti le doglianze di omessa pronuncia , risulta che in data 11/12/2012, a seguito delle verifiche fiscali, i germani V. avevano costituito un fondo patrimoniale in modo da rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva già in atto nei confronti dei medesimi nonché della scuole paritarie di cui erano soci amministratori. Nessun dubbio, dunque, che sussistesse il fumus del reato di cui all'art. 11, d.lgs. n. 74 del 2000, avendo invero più volte affermato questa Corte che in tema di reati tributari, la costituzione di un fondo patrimoniale integra il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, in quanto è atto idoneo ad ostacolare il soddisfacimento di un'obbligazione tributaria Sez. 3, n. 5824 del 18/12/2007 - dep. 06/02/2008, Soldera, Rv. 238821 . A ciò peraltro si aggiunga che la contestazione difensiva, a fronte dell'indubbia idoneità della condotta a porre in pericolo la riscossione dei debiti tributari sulla base del giudizio prognostico ex ante operato dai giudici di merito, non appare minimamente fondata su elementi oggettivi idonei a dimostrare che l'immissione di beni personali del contribuente-debitore nel fondo patrimoniale costituisse un atto compiuto con intento non fraudolento, o comunque che tale condotta si presentasse inidonea a compromettere la riscossione dei debiti tributari. 7. Il ricorso dev'essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Segue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, non emergendo ragioni di esonero, al pagamento a favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di una somma che si stima equo fissare, in Euro 1000,00 mille/00 . P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.