Omessa dichiarazione dei redditi da parte di società con sede all’estero: quando l’attività in Italia importa penale responsabilità?

Ai fini della integrazione del reato di cui all’art. 5, d.lgs. n. 74/2000, l’obbligo di presentazione della dichiarazione annuale dei redditi da parte di una società commerciale avente sede legale all’estero, ma operante in Italia non sussiste quando la sede della direzione effettiva della società non è sita nel territorio italiano atteso anche quanto previsto dalle norme internazionali contro le doppie imposizioni fiscali.

Questo il principio ribadito dalla sentenza della Cassazione n. 26728 depositata il 25 giugno. La reale natura dei reati tributari. Ad una prima sommaria lettura, i delitti in materia di dichiarazione dei redditi contenuti nel d.lgs. n. 74/2000 potrebbero apparire come reati comuni, in quanto il dato letterale delle fattispecie delineate dal legislatore individua i soggetti attivi con l’espressione chiunque”, che è caratteristica proprio dei reati a soggettività ampia. È tuttavia sufficiente dedicarsi ad una lettura attenta della formulazione delle fattispecie od operare una interpretazione sistematica delle stesse norme contenute nel testo unico penale tributario, come ricercare la ratio delle incriminazioni per constatare come i delitti di omessa, mendace o fraudolenta dichiarazione possano avere la loro ragion d’essere solo in relazione a soggetti che siano obbligati alla presentazione di detta dichiarazione. È dunque evidente che i delitti in materia di dichiarazione sono reati propri o a soggettività ristretta in quanto possono essere realizzati non da chiunque, ma solo da quei soggetti persone fisiche o giuridiche sui quali grava l’obbligo giuridico di presentare la dichiarazione. Quanto alla fattispecie di omessa dichiarazione di cui all’art. 5 è, dunque, evidente che la stessa si atteggia come tipica figura di reato omissivo proprio poiché assume penale rilevanza la condotta di non dichiarare i propri redditi o i propri affari solo laddove il soggetto sia titolare di un preciso obbligo giuridico di dichiararli. Appare quindi evidente come decisivo, al fine della sussistenza delle suddette ipotesi delittuose, sia il riferimento alle norme tributarie – cui la norma penale dunque implicitamente rinvia – che identificano i soggetti obbligati a presentare la dichiarazione annuale ai fini delle imposte sui redditi o dell’IVA. Il caso in esame. Il caso sottoposto al vaglio della Suprema Corte verte proprio, come assai spesso invero accade, sulla riconducibilità o meno della società riferibile all’indagato al novero dei soggetti obbligati alla presentazione della dichiarazione dei redditi. Più nel dettaglio, la vicenda in questione attiene alla assoggettabilità alla normativa tributaria italiana di una società avente sede legale nel Regno Unito, ma che esercita nel territorio italiano l’attività di raccolta di giochi, scommesse e lotterie con conseguente raccolta di ingenti ricavi sul territorio nazionale. Secondo l’assunto della Procura della Repubblica, condiviso dal GIP che aveva – in conseguenza – disposto il richiesto sequestro preventivo per equivalente, la società inglese aveva prodotto sul territorio italiano ingenti redditi imponibili negli anni dal 2008 al 2012, che non erano stati oggetto di alcuna dichiarazione. In particolare, secondo il pubblico ministero di Roma la società del Regno Unito aveva esercitato di fatto in Italia con una stabile organizzazione occulta di mezzi e di persone articolata su centri di trasmissione dati CTD , controllati e coordinati da manager operanti in Italia sotto la direzione di un direttore commerciale italiano, con conseguente produzione di un reddito imponibile sul territorio nazionale. L’impostazione accusatoria che aveva convinto il GIP era tuttavia crollata davanti al tribunale del riesame che, con opposta valutazione, aveva ritenuto insussistente il fumus commissi delicti con specifico riferimento all’elemento oggettivo del delitto di omessa dichiarazione. Specificatamente, secondo i giudici del gravame di merito, la società inglese non aveva alcuna stabile organizzazione nel territorio italiano, perché priva di idoneità produttiva in Italia. Il ricorso in Cassazione. Contro la pronuncia di annullamento del sequestro per equivalente del tribunale del riesame di Roma propone ricorso per cassazione il pubblico ministero che evidenzia come i ben 20 CTD presenti sul territorio nazionale non potessero ridursi a meri trasmettitori di dati, in quanto gli stessi erano retti da altrettanti manager, coordinati da un direttore generale, che assicuravano la reddittività e la produttività della struttura nel territorio italiano. La società inglese con sede all’estero, pertanto, secondo la Procura aveva una stabile organizzazione in Italia con conseguente assoggettamento all’obbligo di presentare le dichiarazioni dei redditi e conseguente sanzione penale nel caso di omissione evidentemente integrante, nel caso in esame, il superamento del tasso soglia. I criteri discriminanti. Spetta dunque agli Ermellini individuare i parametri discriminati per dirimere la questione. I giudici della Suprema Corte procedono a tale, invero non semplice, operazione sulla base di una consolidata elaborazione giurisprudenziale che ha dettato una lunga serie di canoni interpretativi. Primo fra tutti quello per cui la sede legale di una società indicata nello statuto può essere fittizia e non coincidere con quella effettiva, individuata laddove è situato il centro direttivo ed amministrativo della società e dunque dove normalmente operano gli amministratori. In secondo luogo, il centro amministrativo è laddove si esplica la direzione e il controllo dell’attività e quindi si identifica con la sede effettiva. Con specifico riferimento alla fattispecie di cui all’art. 5, infatti, anche di recente la Cassazione ha affermato che l'obbligo di presentazione della dichiarazione annuale dei redditi da parte di società avente residenza fiscale all'estero, la cui omissione integra il reato previsto dall'art. 5 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, sussiste se detta società abbia stabile organizzazione in Italia, il ché si verifica quando si svolgano in territorio nazionale la gestione amministrativa e la programmazione di tutti gli atti necessari affinché sia raggiunto il fine sociale, non rilevando il luogo di adempimento degli obblighi contrattuali e dell'espletamento dei servizi Cass. Pen., Sez. III, 04 giugno 2014, n. 40346 . Osserva, dunque, la Corte che il presupposto della stabile organizzazione in Italia della società formalmente residente all'estero deve essere desunto da elementi fattuali rilevanti ai fini dell'accertamento della presenza in Italia della sede delle decisioni strategiche, industriali e finanziarie c.d. alta amministrazione , in altre parole, della conduzione in Italia dell'attività costituente l'oggetto sociale del sodalizio osservato. Le conseguenze nel caso di specie nessuna esterovestizione. L’applicazione dei suddetti principi al caso in esame porta la Corte a fare integralmente proprie le argomentazioni del tribunale del riesame. Non può ritenersi sussistente in Italia una stabile organizzazione della società inglese, in base alla mera presenza sul territorio nazionale di CTD, che si limitano a costituire un supporto tecnico per la trasmissione dei dati tramite postazione internet, e di manager, che operano senza alcuna autonomia organizzativa o decisionale rispetto alla casa madre inglese, cui dunque compete e fa riferimento l’integrale gestione delle scommesse e dei giochi. Nel dettaglio, evidenzia la Corte, è pacifico che la gestione della piattaforma di gioco e la gestione informatica della stessa avvenga necessariamente ed integralmente all’estero. Peraltro, in conformità al principio comunitario della libertà di stabilimento, prosegue la Cassazione, anche la normativa di settore consente esplicitamente che l’offerta dell’attività di gioco avvenga in paese diverso rispetto a quello dove ha sede l’impresa che gestisce detta attività. Nel caso in esame, dunque, non solo la sede legale della società inglese si trova all’estero, ma anche la sede della direzione effettiva della impresa è oltre Manica e, pertanto, anche in ossequio alle norme internazionali che vietano la doppia imposizione fiscale, nessun obbligo di dichiarazione verte in capo a detta società con conseguente insussistenza, già sotto il profilo oggettivo, di ogni profilo penale per difetto dell’obbligo giuridico di agire. Nessuna esterovestizione, dunque, nel caso in esame, ma più banalmente una società straniera operante anche nel territorio italiano, e soggetta, proprio per il divieto di doppia imposizione, ai soli obblighi fiscali del Regno Unito.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 4 marzo – 25 giugno 2015, n. 26728 Presidente Teresi – Relatore Di Nicola Ritenuto in fatto 1. E impugnata l'ordinanza con la quale il tribunale della libertà di Roma ha annullato il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente ed emesso dal Gip presso il medesimo tribunale con riferimento al reato di cui all'articolo 5 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 ed reso, fra l'altro, nei confronti di G.G. e fino alla concorrenza del valore corrispondente al profitto del su indicato reato e complessivamente per l'importo di Euro 56.355.933,22. Al G. si contesta, in via cautelare, il reato previsto dall'articolo 5 decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 capo b perché, unitamente e in concorso con altre persone in qualità di directors del board consiglio di amministrazione della inglese Stanley International Betting Limited SIBL con sede in omissis , quale membro quantomeno dal 1 gennaio 2007 ad oggi del board della SIBL nonché suo reale proprietario ed anche in qualità di amministratore di fatto della SML e della Stanley Italia, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso al fine di evadere le imposte sui redditi omettevano di presentare in Italia le dichiarazioni annuali relative a dette imposte per la Stanley International Betting Limited di OMISSIS per gli anni 2008, 2009, 2010, 2011 e 2012, pur essendovi obbligati avendo prodotto sul territorio nazionale reddito imponibile, grazie all'attività di raccolta di giochi, scommesse e lotterie sotto il marchio Stanleybet esercitata di fatto per loro conto da una stabile organizzazione occulta di persone e mezzi cosiddetta Stanley Italia articolata sul duplice binario di centri trasmissione dati cosiddetti CTD controllati coordinati da manager assunti e gestiti dapprima direttamente da Stanley International Betting Limited, tramite un direttore commerciale italiano e formalmente assunti dalla collegata Stanleybet Malta Limited, che apparentemente esercita anche l'attività di raccolta di scommesse in nome proprio essendo i CTD ad essa legati dal contratto di ricevitoria. In particolare omettevano di dichiarare ricavi complessivamente pari ad Euro 204.928.666 con imposta evasa quantificata in totale in Euro 56.355.933,22 con conseguente superamento della soglia di legge. 2. Per la cassazione dell'impugnata ordinanza il pubblico ministero ricorrente ha articolato un unico complesso motivo di gravame, qui enunciato, ai sensi dell'articolo 173 disposizioni di attuazione al codice di procedura penale, nei limiti strettamente necessari per la motivazione. Con esso, sviluppato attraverso molteplici profili e questioni, il ricorrente deduce l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'articolo 5 decreto legislativo n. 74 del 2000 in relazione all'articolo 5 del modello di convenzione OCSE contro la doppia imposizione, agli articoli 73, comma 1, lettera d , 23, comma 1, 162 e 169 d.p.r. 917 del 1986 TUIR nonché degli articoli 1 e 3 della legge disciplinante il contratto di franchising n. 129 del 2004 ed inoltre lamenta difetto assoluto di motivazione o comunque di motivazione apparente, avendo il giudice omesso di indicare, nell'ordinanza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento e comunque esponendo tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica delle prove raccolte poste a base del provvedimento del Gip, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sul suo ragionamento art, 606, comma 1, lett. b , c ed e , cod. proc. pen. . Assume il ricorrente che, con riguardo alla ritenuta insussistenza del fumus commissi delicti e con specifico riferimento all'elemento oggettivo del reato di omessa dichiarazione, l'ordinanza non avrebbe fatto corretta applicazione della normativa fiscale penale che regolamenta il pagamento delle imposte da parte dei soggetti fiscalmente non residenti nel nostro Stato ove ad essi si riconosca una presenza sul territorio qualificata, che la normativa ha definito come stabile organizzazione dichiarata o anche solo occulta . Secondo il ricorrente, il tribunale del riesame ha sostanzialmente negato la natura di stabile organizzazione alla struttura formalmente impiantata sul territorio dalla Stanleybet Malta Limited S.M.L. , ma di fatto dalla Stanley International Betting Limited S.I.B.L. , perché ritenuta priva di una sede fissa di affari nella disponibilità della casa madre e mancante di idoneità produttiva . Ciò ha fatto, oltre tutto, in maniera del tutto apodittica e quindi apparente, avendo totalmente mancato di prendere anche solo minimamente in esame le copiose prove in senso contrario acquisite nel corso dell'indagine e puntualmente analizzate dal Gip nel corso del proprio percorso argomentativo. I Giudici del riesame non si sono curati di dare alcuna spiegazione, nemmeno sintetica, alle risultanze delle intercettazioni telefoniche e delle numerosissime s.i.t. raccolte dagli inquirenti e valorizzate sia dalla Procura che dal Gip. Assume il ricorrente che le indagini hanno evidenziato come i CTD non possano ridursi a meri trasmettitori di dati e che su di essi oltre 20 manager sotto l'egida del direttore commerciale della S.I.B.L. hanno esercitato un controllo penetrante e continuo assicurando la massimizzazione della loro produttività e redditività nel solco delle scelte strategiche della casa madre. Il tribunale cautelare si è limitato, in sostanza, ad ascrivere l'attività tanto dei manager quanto dei CTD ad un'attività preparatoria rispetto a quella svolta dalla casa madre, sposando acriticamente la tesi difensiva. Il ricorrente, al fine di dimostrare l'avvenuta violazione della normativa tributaria applicabile al caso di specie, si diffonde nel richiamare la disciplina della tassabilità dei redditi d'impresa prodotti sul nostro territorio dai soggetti non residenti, definendo la nozione di stabile organizzazione dichiarata o occulta ai sensi dell'articolo 5 della convenzione OCSE sulla doppia imposizione e dell'articolo 162 Tuir, cui occorre operare imprescindibile riferimento. Secondo il ricorrente, il riconoscimento dell'esistenza o meno di una stabile organizzazione, anche occulta e, quindi, dell'applicazione dell'articolo 5 del modello di convenzione OCSE, dell'articolo 162 Tuir, in relazione all'articolo 23 lettera e Tuir, implica un preciso esame fattuale delle evidenze disponibili con la premessa che, per verificare l'esistenza di una stabile organizzazione, occorrono quattro parametri 1 esistenza di una installazione di affari esempio un ufficio 2 stabilità dell'installazione nel tempo e nello spazio 3 esercizio, da parte dell'installazione, dell'attività ordinarie di impresa 4 idoneità a produrre reddito. Così ricostruita la vicenda cautelare, il ricorrente sottolinea come il tribunale del riesame avesse raggiunto conclusioni errate nell'applicazione delle norme del modello OCSE citate e delle norme dei Tuir relativamente al riconoscimento dell'esistenza di una stabile organizzazione di impresa non residente in Italia e che ne determinano l'assoggettamento al dovere di contribuzione alle spese dello Stato. L'ordinanza impugnata ha infatti sostenuto del tutto apoditticamente, e quindi con motivazione assolutamente apparente se non del tutto assente , che gli elementi di indagine posti alla base del provvedimento di sequestro non avessero supportato la dimostrazione del possesso in capo alla S.I.B.L. dei requisiti richiesti dalla normativa internazionale e da quella italiana art. 162 d.p.r. 917 del 1986 che l'ha di fatto recepite per integrare stabile organizzazione nell'interpretazione comunemente accettata . Nel pervenire a tale conclusione, il tribunale cautelare avrebbe, secondo il ricorrente, integralmente omesso di considerare tutti gli argomenti e le evidenze assunte nel corso della copiosa attività di indagine espletata che avevano portato puntualmente a ritenere il possesso dei requisiti richiesti dalla normativa e a riscontrare nel business model adottato dalla S.I.B.L. una stabile organizzazione formata da plurime unità produttive di reddito a direzione unitaria occulta il Collegio cautelare ha poi trascurato di considerare che le società estere de quibus dispongono in Italia di una stabile organizzazione articolata sui centri trasmissione dati controllati e coordinati da aria manager e che l'imposta evasa dovrebbe calcolarsi avendo riguardo ad una base imponibile depurata dalle somme relative alle vincite per gli scommettitori , dalle commissioni dei centri trasmissione dati nonché dei costi generali dell'aria manager. 3. Il G. ha presentato memoria con la quale deduce che le ricostruzioni fattuali e giuridiche operate dalla Guardia di Finanza, recepite nel decreto di sequestro del Gip e reiterate nel ricorso per cassazione, si appalesano contraddittorie, apodittiche e fondate su un'errata interpretazione delle norme giuridiche invocate. Si afferma, in primo luogo, l'insussistenza dell'elemento oggettivo del reato sia perché non è mai esistita alcuna stabile organizzazione di Stanleybet in Italia con conseguente assenza di qualsivoglia obbligo dichiarativo , mancando i presupposti richiesti dalla normativa italiana e internazionale pattizia ai fini della configurabilità della stessa e sia perché non risulta in alcun modo dimostrato il superamento della soglia di punibilità penale dall'articolo 5 del decreto legislativo numero 74 del 2000. Peraltro, quand'anche fosse esistita una stabile organizzazione, il reddito prodotto da Stanleybet sarebbe stato comunque già sottoposto ad imposizione fiscale in Italia. Infatti, in ogni caso, sarebbero state già remunerate in Italia le funzioni svolte da tale pretesa stabile organizzazione, posto che il CTD nonché i compensi riconosciuti agli area manager sarebbero stati già oggetto di prelievo fiscale tramite i predetti soggetti. Ne consegue che, essendo stata già soddisfatta ogni pretesa tributaria sui redditi afferenti alle fasi produttive asseritamente svolte dalla stabile organizzazione in Italia area manager e CTD , nessuna imposta risulta sostanzialmente dovuta e quindi evasa. Tale ultima circostanza peraltro rileva anche sotto il profilo del principio di offensività, valendo ad escludere la configurabilità del reato ipotizzato per inidoneità dell'azione a ledere il bene protetto. Neppure ricorre l'elemento soggettivo del reato non essendo ravvisabile il dolo specifico di evadere le imposte per essere Stanleybet residente fiscalmente nel Regno Unito ove è assoggettata all'imposta sui redditi ovunque prodotti con un livello di imposizione di entità del tutto equiparabile a quella che sconterebbe in Italia. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. 2. Occorre premettere che i criteri per la determinazione della residenza fiscale per le società di capitali e gli enti sono stabiliti dall'art. 73 TUIR, il quale dispone che Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell'amministrazione o l'oggetto principale nel territorio dello Stato . Secondo la giurisprudenza di questa Corte Sez. 3, n. 1811 del 30/10/2013, dep. 17/01/2014, Pinhas, le cui coordinate sono state ribadite, sebbene in materia di competenza per territorio, da Sez. 3, n. 20504 del 19/02/2014, Cederna ed altri, Rv. 259783 , la sede legale coincide con il luogo indicato nello statuto della società o dall'atto costitutivo. Peraltro, la sede legale può essere fittizia e non coincidere con quella effettiva. Quest'ultima va intesa come il luogo in cui opera il centro direttivo e amministrativo della società, ove avviene il compimento di atti giuridici in nome di essa, con l'abituale presenza degli amministratori, investiti della relativa rappresentanza Sez. 3, 24.1.2012, n. 7080, Barretta . La sede della amministrazione è il luogo in cui si esplicano la direzione e il controllo dell'attività in particolare, qualora gli amministratori risiedano all'estero, ma svolgano le proprie funzioni a mezzo di procuratori operanti in Italia, si dovrà individuare in Italia il luogo della concreta messa in esecuzione da parte dei predetti procuratori delle direttive ad essi impartite e, quindi la residenza fiscale societaria. Secondo la giurisprudenza, la nozione di sede dell'amministrazione , in quanto contrapposta alla nozione di sede legale, deve ritenersi coincidente con quella di sede effettiva di matrice civilistica , intesa come il luogo ove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell'ente e si convocano le assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l'accentramento - nei rapporti interni e con i terzi - degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell'impulso dell'attività dell'ente Cass. civ., Sez. 5, 7.2.2013, n. 2869 . Il criterio dell'oggetto principale dell'attività ha natura residuale ed è regolato dai commi 4 e 5 dell'art. 73 TUIR, che stabiliscono che per oggetto principale si intende l'attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari indicati dalla legge, dall'atto costitutivo o dallo statuto e che, in mancanza dell'atto costitutivo o dello statuto nelle forme di atto pubblico o di scrittura privata autenticata, si deve aver riguardo all'attività effettivamente esercitata. Quindi, per identificare la nozione di attività principale necessita fare riferimento a tutti gli atti produttivi e negoziali, nonché ai rapporti economici, che lo stesso ente pone in essere con i terzi, e per individuare il luogo in cui viene a realizzarsi l'oggetto sociale rileva, non tanto quello dove si trovano i beni principali posseduti dalla società, quanto la circostanza che occorra o meno una presenza in loco per la gestione della attività dell'ente. Secondo la giurisprudenza, l'oggetto principale non rappresenta un criterio formale, ma un dato sostanziale, che si allinea ai criteri di individuazione dell'effective piace of management and contro! elaborati in ambito internazionale dall'art. 4 del Modello OCSE, anche se però non vi è una perfetta sovrapposizione di concetti, in quanto il requisito di effettività - che impone una ricerca del luogo di residenza in concreto - nella norma nazionale di cui all'art. 73 TUIR si riferisce alla attività esercitata, mentre nell'art. 4 del Modello OCSE, al luogo di gestione effettiva, cioè il luogo in cui sono prese in sostanza le decisioni importanti di gestione key management e quelle commerciali, necessarie per l'andamento dell'ente commerciale nel suo complesso cfr. Sez. 2, 22.11.2011, n. 7739 del 2012, Gabbana . L'arresto in precedenza richiamato Sez. 3, n. 1811 del 30/10/2013, cit. ricorda pure che le norme fiscali italiane devono essere interpretate e applicate, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, in modo da non ostacolare le libertà sancite dai Trattati dell'Unione e, in particolare, la libertà di stabilimento. La Corte di giustizia ha invero chiarito che la circostanza che una società sia stata creata in uno Stato membro per fruire di una legislazione più vantaggiosa, non costituisce abuso della libertà di stabilimento e che la misura nazionale che restringe la libertà di stabilimento è ammessa solo se concerne specificatamente le costruzioni di puro artificio, prive di effettività economica cfr., sentenza del 12 settembre 2006, caso C-196-04, Casbury Schweppes, punti 35,37 . 3. Ciò posto, il tribunale del riesame ha affermato, con congrua motivazione, che nell'attività del gruppo Stanleybet in Italia, sul piano oggettivo, non possono ravvisarsi, ai fini di imposizione fiscale, i tratti distintivi di una stabile organizzazione, mancando una sede fissa di affari strumentalmente connessa all'esercizio dell'impresa estera e dotata di idoneità produttiva. Sotto tale profilo, il Collegio cautelare ha escluso che la stabile organizzazione possa desumersi dal possesso di attrezzature per la comunicazione telematica e dall'espletamento a distanza della prestazione lavorativa, restando perciò inlnfluente, a tali fini, la funzione esercitata dai centri di trasmissione dati CTD distribuiti sul territorio e contrattualmente legati alla società estera organizzatrice del gioco. Sulla base di tale ragionamento, il tribunale distrettuale ha perciò escluso che in Italia possa ritenersi localizzato l'oggetto principale del gruppo Stanley essendo insufficiente a radicare il criterio di collegamento il solo dato formale costituito dalla presenza sul territorio nazionale di manager o dei CTD, sprovvisti di idoneità produttiva, atteso che l'attività di detti centri pacificamente si limita, tramite postazione internet, a fornire un supporto tecnico per l'inoltro dei dati dallo scommettitore al gestore, rimanendo così i Centri estranei al contratto di scommessa e, sotto tale aspetto, svolgendo un'attività meramente ausiliaria o preparatoria rispetto alla gestione dell'impresa e dunque non sussumibile nel concetto di stabile organizzazione, pur volendo dare credito alle critiche che il ricorrente sul punto solleva, non avendo i CTD, neanche con riferimento all'attività ulteriore che si assume significativa rilascio delle ricevute di gioco, apertura di conto o altro , alcun margine di autonomia organizzativa e decisionale al riguardo perché solo a S.I.B.L. compete la gestione dell'organizzazione delle scommesse. Siffatti aspetti fattuali il ricorrente stesso non contesta ma di essi fornisce una diversa e più logica, dal suo punto di vista, ricostruzione ed interpretazione attraverso la quale postula l'esistenza di una struttura societaria occulta , come tale autonoma e diversa da S.I.B.L. e S.M.L Tuttavia, pacifico che l'attività di gestione della piattaforma di gioco non è in alcun modo svolta in Italia, il criterio di collegamento costituito dal fatto che l'oggetto principale dell'attività deve essere esercitata nel territorio nazionale non appare configurabile e la presenza di figure manageriali, unitamente all'attività dei CTD, non può certo esaurire la più complessa attività di gestione della piattaforma informatica che il gruppo Stanley deve necessariamente svolgere per l'esercizio dei giochi on line e che svolge interamente all'estero. Del resto la normativa di settore L. n. 88 del 2009, art. 24 , conformemente al principio comunitario della libertà di stabilimento, non richiede la necessaria correlazione tra l'offerta del gioco nel territorio dello Stato e la sede dell'impresa nel medesimo territorio, con la conseguenza che è possibile de iure svolgere l'attività dall'estero e ciò si spiega evidentemente in ragione della peculiarità del gioco a distanza, che è fornito mediante piattaforme on line , per cui è possibile la gestione dell'attività fuori del territorio dello Stato previo rilascio della concessione che il gruppo Stanley non possiede e per la qual cosa è stato introdotto presso la Corte di Giustizia un contenzioso, tuttora in corso, con lo Stato italiano nel quale risiedono i soggetti cui il gioco viene offerto e quindi dal mercato di riferimento . Deve pertanto essere ribadito il principio di diritto secondo il quale, ai fini della integrazione del reato di cui all'art. 5 del D.Lgs. 74 del 2000, l'obbligo di presentazione della dichiarazione annuale dei redditi da parte di una società commerciale avente sede legale all'estero ma operante in Italia non sussiste quando la sede della direzione effettiva della società non è sita nel territorio italiano atteso anche quanto previsto dalle norme internazionali contro le doppie imposizioni fiscali Sez. 3, n. 1811 del 30/10/2013, dep. 17/01/2014, Pinhas, Rv. 258367 . La circostanza poi che, rispetto alla gestione delle scommesse, i CTD e i managers svolgano o meno un'attività preparatoria e ausiliaria invece che autonoma e produttiva tanto da indurre a ritenere che nel territorio nazionale operi, con carattere di stabilità, una impresa occulta corrispondente a Stanley Italia costituisce un aspetto fattuale della vicenda che non è censurabile in questa sede attraverso il controllo del provvedimento gravato, posto che in materia di impugnazioni cautelari reali il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per la violazione di legge e non per i vizi della motivazione, dovendosi escludere, per quanto in precedenza esposto, che il tribunale cautelare sia incorso sul punto nel vizio di omessa o apparente motivazione, i soli casi che consentono di configurare, in relazione all'apparato argomentativo, la violazione di legge. 3. Assorbite le restanti questioni, il ricorso va dunque rigettato. P.Q.M. Rigetta il ricorso del pubblico ministero.