La sapienza dell’insipiente

Integra la fattispecie di omicidio volontario per dolo eventuale la condotta tipica posta in essere da un soggetto, il quale aveva sia previsto l’evento morte, sia accettato la sua verificazione.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24699/15, ribadisce il principio secondo cui integra la fattispecie di omicidio volontario per dolo eventuale la condotta tipica posta in essere da un soggetto, il quale aveva sia previsto l’evento morte, sia accettato la sua verificazione. Per la Corte di Cassazione c’è dolo eventuale anche nel caso in cui il soggetto agente si trovasse, al momento della commissione del fatto di reato, in una situazione di vizio totale di mente – e quindi di totale incapacità di intendere e di volere. A tale conclusione la Corte giunge argomentando che il dolo come la colpa è elemento costitutivo del reato e, allo stesso tempo, distinto dall’imputabilità in quanto tale, dev’essere verificata la sua sussistenza, a prescindere dalla presenza o meno dell’imputabilità del soggetto accusato di aver commesso il reato stesso. L’imputabilità, se è un presupposto della colpevolezza, non è presupposto di sussistenza del dolo, che va verificato preventivamente al fine di qualificare il reato nelle sue connotazioni soggettive oltre che oggettive . L’imputabilità va valutata in un altro momento, in vista dell’affermazione o meno della responsabilità dell’imputato in ordine al reato ascrittogli e, quindi, in vista della verifica, alla luce del suo status mentale, se egli debba o meno rispondere penalmente di tale reato, subendo conseguentemente l’esecuzione delle pena prevista ex lege . La Corte aggiunge inoltre che l’elemento doloso vada verificato tenendo presenti le regole di comune esperienza”. Il caso. La Suprema Corte era chiamata ad esprimersi in relazione alla ricostruzione della vicenda che qui di seguito viene esposta. G., indotto da un forte spavento, si era scaraventato fuori dalla sua abitazione, chiedendo aiuto prima al vicino, poi iniziando a danneggiare delle piante in un vaso e poi scagliando sassi contro il portone dell’abitazione dei suoi due fratelli, che, al fine di frenare le sue irruente azioni, lo colpivano con un bastone. Sul luogo sopraggiungevano con un’autovettura la compagna di G. e la di lui sorella, con l’intento di convincerlo a salire con loro sul mezzo, allontanandolo dal luogo. Sempre trascinato da un forte stato di agitazione, l’uomo si poneva alla guida del veicolo, inducendo così la sorella a sporgersi al suo interno al fine di spegnerne il motore. Proprio in questo frangente, G., con l’intento di abbandonare velocemente il luogo ove si stavano svolgendo i fatti descritti, metteva in atto una improvvisa e brusca manovra, urtando contro un furgone parcheggiato nello stesso piazzale e schiacciando la sorella tra la sua autovettura e il furgone. In seguito all’accaduto, G., non curante della sorella ormai caduta a terra riversa, effettuava velocemente retromarcia e ripartiva, allontanandosi dal luogo. Da qui, le assoluzioni in primo e secondo grado, per accertato vizio totale di mente, dai reati di danneggiamento aggravato e omicidio volontario, con conseguente applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata per 5 anni. L’elemento soggettivo del reato. Il ricorso proposto dal condannato deduceva violazione di legge e vizio di motivazione in merito alla sussistenza dell’omicidio volontario con dolo eventuale. Il ricorrente prospettava invero la meno grave colpa cosciente il G. non aveva infatti consapevolezza che, manovrando bruscamente il veicolo, con elevata probabilità questo avrebbe impattato il furgone parcheggiato poco distante, provocando lo schiacciamento e la morte della sorella. Tale inconsapevolezza può essere fatta risalire proprio alla circostanza che egli si trovasse in condizione di totale vizio di mente per un comune agente-modello, essendo il furgone parcheggiato nei vicinissimi paraggi, sarebbe stato verosimile quantomeno prevedere il probabile schiacciamento della vittima e riflettere ponderatamente in merito a una eventuale intima accettazione della sua verificazione al contrario lo stato di incapacità di intendere e di volere, induce la mente del soggetto ad una insipienza” tale da impedirgli di ragionare in merito a una personale, intima accettazione positiva o negativa del probabile esito della sua azione. Pare se non altro inverosimile che un soggetto, calato nella situazione psichica di incapacità”, insipienza” in cui concretamente si trovava G., possa rappresentarsi la elevata probabilità di verificazione dell’evento e ciononostante decidere di agire, dopo aver ponderato lo scopo da perseguire con l’eventuale prezzo da pagare e aver infine optato, in ogni caso e ad ogni costo, per intraprendere l’azione idonea a raggiungere il fine preposto. La configurabilità dell’omicidio volontario per del dolo eventuale. La Corte non ha tuttavia accolto la prospettazione del ricorrente, limitandosi a considerare la mera comune esperienza” e non la comune esperienza, tenuti però in conto tutti gli elementi rilevanti del caso concreto. In tal modo, ha escluso la colpa cosciente e ha individuato il dolo eventuale, effettivamente più consono alla situazione in cui l’agente non sia affetto da vizio totale di mente. Le azioni poste in essere dall’imputato, infatti, se attribuite ipoteticamente a un agente modello che si trovi in condizioni psichiche equilibrate, fanno presumere che egli si possa rappresentare l’evento morte, possa intimamente riflettere sul rischio che si realizzi, per poi decidere di correrlo un esito di tal fatta è verosimilmente prevedibile, laddove una persona aggrappata allo sportello di un’autovettura sia fatta impattare violentemente contro un altro veicolo. La Corte ritiene attribuibile qualsiasi tipo di elemento soggettivo, ad ogni intensità e grado, anche al soggetto incapace di intendere e di volere. La valutazione dei due presupposti di colpevolezza – quello dell’elemento soggettivo dolo/colpa e quello della imputabilità – va infatti svolta in due momenti separati, in quanto appartiene a due diversi ambiti, quello del reato e quello del reo”. La tesi sostenuta dai giudici supremi nella sentenza in esame è avvalorata da altri numerosi precedenti giurisprudenziali della stessa Corte - richiamati nella decisione per corroborarne l’argomentazione -, nonché da cospicua dottrina. Qualche riflessione. Svolgendo un’analisi realistica, non può sfuggire come sia logicamente contraddittorio attribuire un percorso psichico-cognitivo di elevata complessità, come quello che caratterizza il dolo eventuale, ad un soggetto di cui sia stato accertato l’addirittura totale vizio di mente. Il vizio totale di mente è uno dei parametri positivamente disciplinati dal codice che specificano l’incapacità di intendere e di volere, la quale esclude l’imputabilità per inattitudine a comprendere il significato dell’azione commessa e censurata e il significato delle correlata pena. La non imputabilità per incapacità di intendere e di volere è espressione del principio delle personalità della responsabilità penale – fissato dalla stessa Costituzione –, inteso come responsabilità per fatto proprio. Non può infatti essere considerata personale un’azione posta in essere da un soggetto privo dell’abilità di orientarsi nel mondo circostante tramite una percezione verosimile delle realtà e, quindi, comprendendo il significato del proprio agire, attraverso la valutazione e previsione dei possibili effetti collaterali su persone o cose rispetto a lui terze capacità di intendere tantomeno, può ritenersi personale, un’azione compiuta da un soggetto povero dell’attitudine sia di controllare i propri impulsi emotivi che lo inducono ad agire, sia di determinarsi in base ad una motivazione che egli ritenga ragionevole o preferibile seguendo una scala di valori capacità di volere . Fissate tali premesse nozionistiche, balza all’occhio che, una persona incapace di prevedere ragionevolmente le possibili conseguenze delle sue azioni e di decidere i propri comportamenti tramite la ponderazione intimamente motivata dei valori morali e del peso collegato ai potenziali effetti della sua condotta, non sia in grado di compiere la machiavellica considerazione sottesa alla morfologia del dolo eventuale. Se già, per una persona incapace di intendere e di volere, è difficile rappresentarsi un evento possibile ma non voluto, sarà indubbiamente ancora più arduo che questa abbia accettato il suo accadimento, dopo aver considerato il fine perseguito e l’eventuale prezzo da pagare . Appare contro natura che un soggetto colpito da vizio totale di mente sia in grado di concludere, in seguito ad un complesso, preliminare ragionamento di ponderazione, che il fine giustifica il mezzi”. Di conseguenza, sembra davvero impossibile fornire la prova processuale della verificazione di un simile percorso cognitivo intrapreso da una persona affetta da un totalmente anormale status psichico. Attribuire il dolo eventuale a soggetto totalmente incapace di intendere e di volere significa contrapporsi alla elementare logica della psicologia umana e, presumendo di aver provato ciò che de natura non può essere provato, violare il principio che vuole la decisione processuale fondata al di là di ogni ragionevole dubbio. Sicuramente più coerente è la ricostruzione che configura la sussistenza delle colpa cosciente. E’ possibile, infatti, che una persona affetta da vizio totale di mente abbia cognizione generica del rapporto causale tra un’azione e un evento, tra la violazione delle norme cautelari e l’evento illecito ma è, inoltre, assolutamente concepibile che per insipienza”, e non per machiavelliche considerazioni, si astenga dall’agire doveroso”. E’ possibile, insomma, che G., in preda al forte stato di agitazione, o non abbia adocchiato il furgone parcheggiato, o abbia trascurato l’effettiva sua distanza dall’autovettura, o il rapporto peso-potenza tra la capacità di reazione e resistenza della vittima e la bruschezza della manovra lo stato di panico gli ha impedito di compiere una ponderazione di valore materiale e morale fra i mezzi utilizzati, i loro effetti e il fine da perseguire. Se il dolo eventuale non potrebbe logicamente essere configurato in una situazione di incapacità totale di intendere e di volere, la sussistenza della colpa cosciente è più verosimile. Una valutazione svolta alla stregua delle regole di mera esperienza comune”, anziché delle massime di esperienza però considerate tenendo conto di tutti gli elementi rilevanti, conduce alla illogica e illecita conclusione che l’incapace sia capace di dolo eventuale, che l’insipiente sia sapiente.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 10 febbraio – 11 giugno 2015, n. 24699 Presidente Giordano – Relatore Casa Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 20.11.2013, la Corte di Assise di Appello di Catanzaro confermava la pronuncia dell'11.12.2012 con la quale la Corte di Assise di Cosenza aveva assolto G.G. , ritenuto persona non imputabile per vizio totale di mente, dai reati di danneggiamento aggravato e omicidio volontario ascrittigli, escluse, in relazione all'omicidio, le aggravanti di cui all'art. 61 c.p Al G. veniva applicata la misura di sicurezza della libertà vigilata per cinque anni. Secondo la ricostruzione operata dai Giudici di merito, verso le ore 0.40 del 20.4.2011, il G. , in preda a un forte spavento, si lanciava dalla finestra del bagno di casa, scappando via. Dopo aver chiesto aiuto a un vicino, iniziava a danneggiare delle piante in vaso e a battere con una pietra contro il portone d'ingresso dell'abitazione dei fratelli L.R. e M. , i quali reagivano, colpendo l'imputato con un bastone. Sopraggiungevano sul posto, a bordo di un'autovettura Toyota Yaris, la sorella e la compagna del G. , le quali cercavano di convincere l'uomo a salire in auto con loro. Ancora in stato di forte agitazione, l'imputato si poneva alla guida del veicolo e, proprio mentre la sorella si sporgeva all'interno dell'abitacolo nel tentativo di spegnere il motore, partiva, effettuando una repentina manovra per allontanarsi dal piazzale, in cui si trovava parcheggiato anche un furgone Fiat Doblò. In conseguenza della manovra, la Toyota Yaris andava a urtare contro il furgone nell'impatto, G.A. rimaneva schiacciata dallo sportello della Yaris e cadeva riversa in terra, prima che la vettura condotta dal fratello, eseguita una rapida retromarcia, ripartisse allontanandosi. La G. decedeva alcune ore dopo presso l'ospedale di con diagnosi di grave shock emorragico secondario a grave politrauma con fratture costali multiple, emitorace e lesioni epatiche emoperitoneo ematoma mammella destra ematoma escoriato fianco destro . Secondo le conclusioni rassegnate dal perito medico-legale Dott. B. sulla dinamica dei fatti, quando la vettura Toyota Yaris avanzò in normale direzione di marcia e la sua parte anteriore sinistra venne in contatto con l'angolare posteriore destro del furgone Fiat Doblò in sosta, G.A. si trovava in piedi, all'esterno dell'auto, nello spazio compreso tra la portiera anteriore sinistra, in posizione di apertura, e la parte laterale della scocca in tale situazione, il corpo della donna venne ad essere compresso e schiacciato tra la parte interna della portiera e il montante centrale del veicolo. Tale dinamica trovava sufficienti riscontri con la distribuzione e la conformazione delle lesioni rilevate in sede di ispezione del cadavere e risultava, nella sostanza, coincidente con la descrizione resa dal teste C. , presente al fatto. Secondo la Corte di secondo grado, le emergenze processuali non consentivano di affermare, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, che l'imputato avesse investito la sorella per imperizia nella guida dell'autovettura. Egli, infatti, si era avveduto della presenza della donna che cercava, disperatamente, affacciandosi all'interno dell'abitacolo, di estrarre le chiavi del cruscotto e, nonostante ciò, aveva deciso di avviare la marcia del veicolo, senza mai fermarsi, fino a quando la sorella, dopo aver impattato contro il furgone parcheggiato nei pressi del veicolo stesso, nella successiva manovra di retromarcia, era caduta a terra. La dinamica dell'incidente evidenziava, quindi, la perfetta padronanza del mezzo da parte del G. , il quale, al fine di sbarazzarsi definitivamente della sorella che cercava, ad ogni costo, di arrestarlo, dopo essere finito addosso al furgone, provocando lo schiacciamento della vittima, anziché fermarsi e verificare le condizioni di costei, aveva effettuato una brusca retromarcia di quel tanto necessario a imboccare il cancello e fuggire ad alta velocità. Con tali azioni, l'imputato aveva integrato la condotta tipica nella previsione dell'evento morte e accettando la sua verificazione dolo eventuale e non colpa cosciente rispondeva, infatti, alla comune esperienza che il sospingere una persona aggrappata - come era la G.A. - ad un'autovettura contro un ostacolo e fino a impattare con questo potesse determinare la morte della persona stessa. Escludeva la Corte di Catanzaro l'esimente dello stato di necessità, osservando, da un lato, che nella specie la situazione di pericolo la reazione dei fratelli L. che colpirono il G. con un bastone e lanciarono una batteria di auto contro il parabrezza della Yaris era stata causata esclusivamente dall'improvvisa aggressione dell'imputato presso l'abitazione di L.M. e, dall'altro, che nel momento in cui il G. salì in macchina, nessuna situazione di pericolo era più attuale, posto che i presenti stavano tutti discutendo dell'accaduto. 2. Ha proposto ricorso per cassazione G.G. per il tramite del difensore di fiducia, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione sulla sussistenza dell'omicidio volontario con dolo eventuale. Il ricorrente non era consapevole che nello spostamento dell'autovettura questa avrebbe impattato contro l'autocarro parcheggiato a qualche metro di distanza, provocando lo schiacciamento della persona offesa. La presenza dell'autocarro non era prevista e, dunque, l'azione dell'imputato non era finalizzata a creare l'occasione dell'evento morte, ma solo a liberarsi della sorella e ad allontanarsi dal luogo dove era stato aggredito. La sua condotta, pertanto, non poteva considerarsi dolosa, ma colposa colpa cosciente . 2.1. In data 23.1.2015 il difensore del G. ha depositato memoria, con cui si ribadiscono gli argomenti già svolti in ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. 2. La questione centrale posta dal ricorrente attiene alla configurazione dell'elemento soggettivo del reato, che la sentenza impugnata avrebbe erroneamente delineato in termini di dolo eventuale. 2.1. Questione presupposta è quella dei rapporti tra imputabilità e dolo. In sintesi, richiamando l'insegnamento tradizionale di questa Corte, ancora oggi occorre ribadire che l'indagine sui due elementi va tenuta distinta, essendo il dolo un elemento costitutivo del delitto, la cui sussistenza o meno va in ogni caso accertata secondo le regole generali, e cioè con riferimento all'ipotesi di un soggetto agente dotato di normale capacità di intendere e di volere, mentre l'imputabilità, come noto, costituisce semplicemente il presupposto per l'affermazione della responsabilità in ordine al reato commesso, il quale dovrà, pertanto, essere già stato compiutamente qualificato, nelle sue connotazioni oggettive e soggettive. Ciò significa che anche nei confronti di soggetto non imputabile - come nel caso in esame - o parzialmente imputabile, dovrà, comunque, essere stabilito, alla stregua delle regole di comune esperienza, se l'evento prodotto sia stato secondo l'intenzione , contro l'intenzione o oltre l'intenzione giusta le varie ipotesi previste dall'art. 43 c.p. , per poi passare a verificare se e come il soggetto debba penalmente rispondere di tale evento, in ragione del suo stato di mente Sez. 1, n. 507 del 7/12/1993, dep. 19/1/1994, Rv. 196112 Sez. 6, n. 16260 del 10/3/2003, P.G. in proc. Cesarano, Rv. 225645 Sez. 6, n. 47379 del 13/10/2011, Dall'Oglio, Rv. 251183 Sez. 6, n. 4292 del 13/5/2014, dep. 29/1/2015, Corti, Rv. 262151 . 2.2. Tanto premesso, ritiene il Collegio che la Corte territoriale sia correttamente approdata alla definizione dell'elemento soggettivo del reato di omicidio ascritto al G. in termine di dolo eventuale, disattendendo la tesi difensiva della colpa cosciente. Secondo la recente e autorevole decisione emessa da questa Corte a Sezioni Unite n. 38343 del 24/4/2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, Rv. 261104 , il dolo eventuale ricorre quando l'agente si sia chiaramente rappresentata la significativa possibilità di verificazione dell'evento concreto e ciò nonostante egli, dopo aver considerato il fine perseguito e I1 eventuale prezzo da pagare, si sia determinato ad agire comunque, anche a costo di causare l'evento lesivo, aderendo ad esso, per il caso in cui si verifichi ricorre, invece, la colpa cosciente quando la volontà dell'agente non è diretta verso l'evento ed egli, pur avendo concretamente presente la connessione causale tra la violazione delle norme cautelari e l'evento illecito, si astiene dall'agire doveroso per trascuratezza, imperizia, insipienza, irragionevolezza o altro biasimevole motivo vedi, nella giurisprudenza precedente Sez. 4, n. 24612 del 10/4/2014, Izzo, Rv. 259239 Sez. 2, n. 7027 del 23/10/2013, dep. 13/2/2014, Lafleur, Rv. 259064 Sez. 4, n. 39898 del 3/7/2012, p.c. in proc. Giacalone, Rv. 254673 Sez. 1, n. 832 dell'8/11/1995, dep. 27/1/1996, Rv. 203484 Sez. 1, n. 5527 del 28/1/1991, Rv. 187590 Sez. 1, n. 4912 del 12/1/1989, Rv. 180978 . Nella pratica è possibile individuare il discrimine tra le due forme di elemento soggettivo del reato attraverso l'analisi approfondita della condotta dell'agente, nel contesto delle circostanze del caso concreto vedi, quanto agli indicatori da verificare, ancora Sez. U, n. 38343 del 24/4/2014, Rv. 261105 . 3. La Corte di Catanzaro si è puntualmente attenuta ai principi suenunciati, ricostruendo, in coerenza con le risultanze processuali perizia medico-legale distribuzione delle lesioni sul corpo della vittima testimonianza C. , la sequenza delle azioni dell'imputato, il quale, pur essendosi avveduto che la sorella era rimasta aggrappata allo sportello anteriore sinistro della vettura da lui condotta - dopo aver tentato invano, sportasi all'interno dell'abitacolo, di sfilare le chiavi dal cruscotto - egualmente aveva proseguito nella marcia andando violentemente ad impattare contro un furgone parcheggiato sul posto, così provocando lo schiacciamento del corpo della congiunta tra lo sportello dell'autovettura e il furgone. Con argomentare logicamente plausibile e legato alla comune esperienza, la Corte di merito ha ritenuto che, con tali azioni, l'imputato si fosse rappresentato e avesse accettato il rischio dell'evento morte e l'evento stesso, altamente prevedibile se si spinge una persona aggrappata, come la G. , allo sportello di una vettura ad impattare con violenza contro altro veicolo fermo. La deduzione difensiva circa la mancata previsione, da parte del ricorrente, della presenza del furgone parcheggiato assume valore meramente assertivo ed appare decisamente smentita dalla ricostruzione della dinamica dei fatti operata dal Giudice a quo, che colloca il furgone Fiat Doblò sulla scena del crimine già dal momento iniziale dell'azione delittuosa. 4. Al rigetto del ricorso consegue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.