Negata la revoca della custodia cautelare al padre di una bimba malata: a lei ci pensa già la madre

A fronte dell’assistenza della madre, la gravità delle condizioni della figlia minore non sono elemento sufficiente a far venir meno il regime presuntivo della custodia cautelare applicata al padre.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 24645/15, depositata il 10 giugno. Il caso. Il Tribunale del riesame di Reggio Calabria confermava il rigetto della richiesta di revoca dell’ordinanza di custodia cautelare applicata a un uomo, osservando che non erano stati acquisiti nuovi elementi processuali rilevanti. Il giudice del gravame precisava che non costituiva nuovo elemento processuale a favore dell’interessato, la grave patologia da cui era affetta la figlia minore. A tal proposito, si riteneva che, a fronte dell’assistenza materna prestata alla figlia minore, il ruolo del padre fosse circoscritto nell’ambito di una mera supplenza genitoriale. Ricorre per cassazione l’uomo, sostenendo che il giudice del gravame aveva omesso di prendere in considerazione il problema dell’infungibilità della figura paterna. Tale ruolo non sarebbe surrogabile dalla presenza della madre, a fronte di un sicuro pregiudizio per le condizioni, già gravi della figlia minore. Nuovi elementi processuali. Sulla base di una consolidata giurisprudenza Cass., sez. VI Penale, n. 14300/2014 , la S.C. afferma che la revoca della misura cautelare è possibile solo in conseguenza della sopravvenienza di concreti elementi di novità processuale, di tale rilevanza da indurre il giudice a una rivalutazione in senso favorevole all’indagato sottoposto a custodia cautelare. Nel caso di specie, le condizioni di salute della figlia minore non possono ritenersi un elemento di novità processuale da cui desumere la possibilità di sostituire la misura cautelare applicata al ricorrente, che avrebbero potuto rilevare soltanto laddove la minore fosse risultata priva di assistenza materna. Assistenza della madre. Tale condizione materna, continuano i giudici di legittimità, poteva ritenersi sussistente solo qualora la madre di prole in tenera età, fosse deceduta ovvero assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla propria figlia. Tuttavia, tali presupposti processuali vanno valutati in maniera rigorosa, valendo il principio di diritto, in base a cui In tema di custodia cautelare carceraria, il divieto di applicazione nei confronti del padre con prole di età inferiore ai 3 anni opera esclusivamente nel caso in cui la madre sia nell’assoluta impossibilità di dare assistenza ai minori, per un impedimento grave, nel quale non rientra la necessità di svolgere la propria attività lavorativa . Cass., sez. II Penale, sentenza n. 5664/2007 . Ne discende che, nel caso in questione, non è possibile ritenere che il solo riferimento alla gravità delle condizioni di salute della figlia, possa far venir meno o comunque attenuare il regime presuntivo della custodia cautelare applicata al ricorrente. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 27 maggio – 10 giugno 2015, n. 24645 Presidente Giordano – Relatore Centonze Rilevato in fatto 1. Con ordinanza emessa l'11/07/2014, ai sensi dell'art. 310 cod. proc. pen., il Tribunale del riesame di Reggio Calabria confermava il rigetto della richiesta di revoca dell'ordinanza di custodia cautelare applicata a G.V. dal G.I.P. dello stesso Tribunale il 09/06/2014, presentata dal suo difensore. Nel confermare il provvedimento reiettivo sottoposto a gravame il tribunale richiamava preliminarmente la decisione intervenuta in sede di riesame ai sensi dell'art. 309 cod. proc. pen., evidenziando che, rispetto a tale pronunzia, non erano stati acquisiti elementi di novità processuale, valutabili ai sensi dell'art. 310 cod. proc. pen. in senso conforme alle richieste presentate dalla difesa dei V. Sulla scorta degli elementi indiziari già valutati nel senso evidenziato, il giudice del gravame confermava il giudizio di gravità, precisione e concordanza dei materiale probatorio precedentemente vagliato, rilevando ulteriormente che lo stesso faceva ritenere pacifico il pieno inserimento nel sodalizio criminale oggetto di contestazione, per il quale il V. pativa un lungo periodo di custodia cautelare in carcere, che traeva origine dall'ordinanza genetica emessa il 28/01/2013. Non si riteneva, inoltre, che costituisse un elemento di novità processuale rilevante in senso favorevole al V. la grave patologia da cui era affetta la figlia minore, attesa l'ipotesi delittuosa contestata all'appellante ai sensi dell'art. 416 bis cod. pen. e il regime presuntivo vigente in relazione alla custodia cautelare patita. In tale ambito, a fronte dell'assistenza materna prestata alla figlia minore, si riteneva il ruolo paterno circoscritto nell'ambito di una mera supplenza genitoriale, onde l'incompatibilità con il regime carcerario patito poteva sorgere esclusivamente nell'ipotesi - non ricorrente nel caso di specie - in cui la madre fosse stata impossibilitata a fronteggiare i predetti impegni assistenziali. Ricostruita in questi termini la vicenda processuale, il giudice del gravame riteneva di confermare l'ordinanza impugnata. 2. Avverso tale provvedimento ricorreva per cassazione la difesa di G.V. ricorreva per cassazione, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione all'art. 275, comma 4, cod. proc. pen. Si deduceva, innanzitutto, che il giudice del riesame aveva richiamato i parametri che consentivano di ritenere sussistente la gravità indiziaria degli elementi probatori raccolti nei confronti del V., eludendo il tema processuale sottoposto alla sua cognizione, eminentemente rappresentato dalle condizioni di salute della figlia minore. Si disattendevano, in tal modo, le doglianze difensive connesse alle esigenze assistenziali della figlia del V. e trascurando di considerare che la minore, al contrario di quanto affermato nel provvedimento impugnato, era di età inferiore a sei anni. Si deduceva, inoltre, che il giudice dei gravame aveva omesso di considerare il problema dell'infungibilità della figura paterna, non surrogabile nel caso di specie dalla presenza della madre, a fronte di un sicuro pregiudizio per le condizioni, già gravemente compromesse, della propria figlia minore. Tali ragioni processuali imponevano l'annullamento dell'ordinanza impugnata. Considerato in diritto 1. II ricorso è infondato. Deve, in proposito, rilevarsi che, sulla posizione cautelare del ricorrente si è formato un giudicato cautelare, per effetto del quale la revoca dell'ordinanza restrittiva applicata nei suoi confronti deve ritenersi possibile solo in conseguenza del sopraggiungere di concreti elementi di novità processuale, di portata tale da indurre il giudice del gravame a una rivalutazione in senso favorevole all'indagato sottoposto a custodia cautelare. Nel caso di specie, il giudice dei gravame riteneva insussistenti tali elementi di novità, che non potevano essere ravvisati nelle gravi condizioni di salute della figlia minore, tenuto conto della presenza della madre che era in grado di fare fronte alle sue esigenze assistenziali, pur incontroverse. Tale giudizio è fondato su un'adeguata ricostruzione delle esigenze familiari delV., tenuto conto della giurisprudenza consolidata di questa Corte, correttamente richiamata nel provvedimento in esame, secondo cui L'istanza di revoca della misura cautelare non può trovare adito allorché si fonda su censure che investono quegli stessi elementi indiziari posti a base dell'ordinanza applicativa della misura cautelare, e questi risultano immutati nella loro valenza e gravità in quanto, nelle sedi di esame dell'istanza di revoca e dell'appello avverso il provvedimento di diniego, avuto riguardo alla formulazione dell'art. 299 cod. proc. pen., possono essere oggetto di valutazione solo fatti nuovi anche se apprezzati congiuntamente a quelli originariamente esaminati, dai quali risulti un mutamento in melius del quadro indiziario, e non gli stessi elementi già apprezzati anche in sede di riesame cfr. Sez. 6, n. 14300 del 04/02/2014, dep. 26/03/2014, Rosaci, Rv. 259450 . Né può rilevare in senso favorevole all'indagato il mero decorso dei tempo, pur significativo nel caso in esame tenuto conto dei fatto che il V. risultava ristretto in conseguenza dei provvedimento genetico emesso nei suoi confronti il 28/01/2013, in considerazione dei regime presuntivo di pericolosità sociale connesso al titolo di reato per il quale risultava detenuto, rappresentato dalla fattispecie dell'art. 416 bis cod. pen., conformemente al seguente principio di diritto che occorre richiamare La presunzione legale di inadeguatezza di ogni altra misura cautelare diversa dalla custodia in carcere, in riferimento ai reati indicati specificamente dall'art. 275, coma 3, cod. proc. pen., opera anche nel corso di esecuzione della misura impedendone la sostituzione con misure meno gravi cfr. Sez. 2, n. 11749 del 16/02/2011, dep. 24/03/2011, Amens, Rv. 249686 . 2. In questa cornice sistematica, deve ulteriormente rilevarsi che le condizioni di salute della figlia minore del V. non possono ritenersi un elemento di novità processuale da cui desumere la possibilità di sostituire la misura cautelare in atto applicata al ricorrente, che avrebbero potuto rilevare esclusivamente laddove la predetta minore fosse risultata sprovvista di assistenza materna. Tale condizione familiare, come correttamente dedotto nel provvedimento impugnato a pagina 3, poteva ritenersi sussistente esclusivamente laddove la madre di prole di età inferiore ai sei anni, fosse deceduta ovvero assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla propria figlia. Infatti, la previsione dell'art. 275, comma 4, cod. proc. pen. mira a salvaguardare l'integrità psicofisica di soggetti in tenera età, ritenendo in tal caso prevalenti le esigenze genitoriali ed educative su quelle cautelare, in modo da garantire ai figli l'assistenza familiare in un momento evolutivo particolarmente delicato, sul presupposto dell'impossibilità per l'altro genitore di adempiere a tali impegni cfr. Sez. 1, n. 46290 del 04/12/2008, dep. 16/12/2008, Calderaro, Rv. 242082 . Tuttavia, tali presupposti processali devono essere valutati rigorosamente, conformemente al seguente principio di diritto, secondo cui In tema di custodia cautelare carceraria, il divieto di applicazione nei confronti dei padre con prole di età inferiore ai tre anni opera esclusivamente nel caso in cui la madre sia nell'assoluta impossibilità di dare assistenza ai minori, per un impedimento grave, nel quale non rientra la necessità di svolgere la propria attività lavorativa cfr. Sez. 2, n. 5664 dell'11/01/2007, dep. 08/02/2007, Fiore, Rv. 236128 . Ne discende che, nel caso in esame, a fronte della presenza assistenziale della madre della figlia minore del V., non è possibile ritenere che il solo riferimento alla gravità delle sue condizioni di salute, possa ritenersi idonea a fare venire meno o comunque attenuare il regime presuntivo della custodia cautelare applicata al ricorrente, tenuto conto dei combinato disposto degli artt. 51, comma 3 bis, 275 cod. proc. pen. 3. Per queste ragioni, il ricorso proposto nell'interesse di G.V. deve essere rigettato, con la sua condanna al pagamento delle spese processuali, cui consegue, a cura della cancelleria, la trasmissione di copia dei provvedimento al direttore dell'istituto penitenziario, ai sensi dell'art. 94, comma 1 ter, disp. att., cod. proc. pen. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia dei provvedimento al direttore dell'istituto penitenziario, ai sensi dell'art. 94, comma 1 ter, disp. att., cod. proc. pen.