Detersivo in una bottiglietta, e servito a un cliente: barista in confusione e condannata

Esito non drammatico, per fortuna, nella disavventura vissuta da un uomo, che, ordinata una bibita, ha sorseggiato detersivo dal proprio bicchiere. Fatale la confusione e la scarsa attenzione prestata dalla barista, che ha tenuto a portata di mano la bottiglietta, recante l’etichetta ‘succo d’ananas’, contenente detersivo.

Confusione totale al bar. A rimetterci è un cliente, che chiede un succo di frutta e si vede servito un bicchiere di detersivo. Bevuta assai dolorosa per l’uomo, ma anche per la barista quest’ultima, difatti, è condannata per il reato di lesioni personali colpose . Fatale la disattenzione della donna, la quale non ha conservato a parte, e con la dovuta attenzione, la bottiglietta – originariamente contenente succo d’ananas – in cui era stato sistemato del detersivo da utilizzare per la pulizia del locale Cass., sent. n. 22772/2015, Quarta Sezione Penale, depositata oggi . Bevuta tossica Ricostruzione inequivocabile, per i giudici di merito, dell’assurdo episodio il cliente ha chiesto una bibita , e la barista ha versato nel bicchiere a lui destinato il contenuto – detersivo – di una bottiglietta identificata, dall’etichetta, come ‘succo d’ananas’. Evidente l’errore compiuto dalla donna, e altrettanto evidenti le lesioni – solo lievi , per fortuna – subite dall’uomo. Ma, evidenziano i giudici, la responsabilità penale della barista – in qualità di materiale esecutrice della somministrazione della bibita – è da poggiare sulla colpa consistita nell’ avere omesso di custodire, con la dovuta attenzione, la bottiglietta . E questa linea di pensiero, nonostante le obiezioni della donna, viene condivisa dai giudici della Cassazione, i quali ritengono lapalissiana la condotta colposa della barista, dovuta alla confusione tra i contenitori , ossia la bottiglietta contenente detersivo e le bottigliette contenenti succo di frutta, tutte accomunate dalla etichetta. Non vi sono dubbi, in sostanza, sulla negligenza e sulla imprudenza della donna, la quale non aveva tenuto a parte il detersivo , ma anzi lo aveva collocato addirittura in una bottiglietta recante l’etichetta di ‘succo d’ananas’ . E proprio tale modus operandi , alla fine, ha dato il ‘la’ all’errore, ossia la somministrazione al cliente di un liquido altamente tossico . Indiscutibile, quindi, la condanna per la donna, obbligata a pagare 1.000 euro di multa , e destinata a provvedere – assieme alla proprietaria del bar – anche al risarcimento del danno, da liquidarsi in separata sede a favore dell’uomo.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 7 novembre 2014 – 28 maggio 2015, numero 22772 Presidente Zecca – Relatore Casella Ritenuto in fatto C.M.C. ricorre per cassazione, per tramite del difensore, avverso la sentenza resa in data 10 giugno 2013 dal Tribunale di CHIETI, quale giudice d'appello, a conferma di quella emessa il 28 gennaio 2011 dal Giudice di pace di Chieti con la quale fu dichiarata responsabile dei delitto di cui agli articolo 113, 590 cod. penumero per aver cagionato, per colpa generica, nella veste di barista in servizio nell'esercizio pubblico all'insegna di Bar Duomo , lesioni personali lievi - quali glossite acuta chimica - a B.S. al quale ebbe a somministrare, in luogo della bibita da costui richiesta, detersivo improvvidamente conservato in una bottiglia recante l'etichetta di succo d'ananas fatto commesso in Chieti il 28 maggio 2008. Per l'effetto, l'imputata fu condannata alla pena di euro 1.000,00 di multa nonché, in solido con la titolare dell'esercizio non ricorrente , al risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede. Il Tribunale, alla stregua della pacifica ricostruzione fattuale dell'episodio, ha condiviso l'affermazione di penale responsabilità dell'imputata materiale esecutrice della somministrazione della bibita la cui colpa era stata ravvisata nell'aver omesso di custodire, con la dovuta attenzione,la bottiglietta de qua del tutto simile a quella contenente succo di frutta donde l'erronea erroneamente somministrazione del contenuto alla parte offesa. Con il proposto gravame si censura, sotto il profilo del vizio di omessa ed illogica motivazione, l'affermazione di penale responsabilità dell'imputata, asseritamente basata sul solo elemento oggettivo, pur mancandone la prova certa e previa esclusione dell'esimente prospettata dalla difesa. In secondo luogo si invoca la sospensione della statuizione di condanna al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile, atteso il grave ed irreparabile pregiudizio cui l'imputata sarebbe esposta. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza e perché proposto per motivi privi del requisito della specificità. Per quanto attiene alla PRIMA doglianza in punto responsabilità,osserva il Collegio che la motivazione integrata delle due sentenze di merito principio della c.d. doppia conforme dà adeguata contezza dell'ineccepibile ed esaustivo l'iter argomentativo seguito in stretta coerenza con le risultanze di fatto. Si è invero ritenuta del tutto pacifica la sussistenza della condotta colposa dell'imputata che, per negligenza ed imprudenza, somministrò all'avventore dell'esercizio pubblico gestito dalla coimputata non ricorrente un liquido altamente tossico con PH elevato come accertato dalla biologa dell'ARTA contenuto nella bottiglietta recante l'etichetta di succo d'ananas ciò a cagione della confusione tra i contenitori in cui era colposamente incorsa la ricorrente stessa. Del tutto inconferente è la SECONDA censura dedotta, giacchè in linea di principio Sez. 1 numero 4908/2012 rv. 254702 il potere di sospensiva cautelare attribuito a questa Corte dall'art. 612 cod. proc. penumero non è riferibile alla condanna alle spese processuali pronunziata in favore della parte civile. In subordine, deve rilevarsi che la ricorrente neppure ha dedotto concreti elementi integranti grave ed irreparabile danno ai fini dell'ipotetica applicazione della stessa disposizione normativa. Segue, a norma dell'art. 616 cod. proc. penumero , la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processualei e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, della ricorrente stessa cfr. Corte Costituzionale sent. numero 186 del 7 - 13 giugno 2000 P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.