Niente probation in Corte d’appello e in Cassazione

Nei giudizi di impugnazione davanti alla Corte d’appello e davanti alla Corte di Cassazione l’imputato non può richiedere la sospensione del procedimento con la messa alla prova di cui all’art. 168 bis c.p., né può altrimenti sollecitare l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio al giudice di merito, attesa l’incompatibilità dell’istituto introdotto dalla legge n. 67/2014 con i predetti giudizi di impugnazione, perché il beneficio dell’estinzione del reato, connesso all’esito positivo della prova, presuppone lo svolgimento di un iter” processuale alternativo alla celebrazione del giudizio.

Questo il principio di diritto stabilito dalla Terza sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22104, depositata il 27 maggio 2015, che, ponendosi sul solco interpretativo tracciato dalle precedente giurisprudenza di legittimità, in attesa che sull’annosa questione si pronuncino le Sezioni Unite, sembra chiudere le porte alla possibilità di richiedere la messa alla prova laddove il processo si trova in sede di impugnazione. La quaestio iuris. È ammissibile la richiesta di sospensione della messa alla prova ex articolo 168 bis c.p. introdotto dall’articolo 3, legge n. 67/2014 nel giudizio di appello? La probation per i maggiorenni – che può riguardare anche una pluralità di reati, tutti rientranti nell’ambito di applicazione dell’istituto Trib. Milano, III sez. pen., 28.4.2015 , ma alla quale non è possibile accedere insieme ad altri per la quale è esclusa la messa alla prova perché stridente con la struttura del sistema e con gli stessi presupposti dell’istituto che possa avvenire una parziale” risocializzazione del soggetto interessato Cass., sez. II Penale, sentenza n. 14112/15 – è stata negata alla ricorrente, condannata in primo grado, la quale chiedeva invano ai giudici di seconde cure di essere rimessa in termini per la richiesta di sospensione del processo con messa alla prova. Per giungere a tale conclusione proponeva una interpretazione estensiva essendo avvenuto il superamento della fase processuale indicata nell’articolo 464 bis , comma 2, c.p.p., entro cui va formulata, a pena di decadenza, la richiesta di probation con alcuni argomenti di carattere sostanziale” 1 la necessità di evitare violazioni del principio di eguaglianza ex articolo 3 Cost., essendovi una irragionevole disparità di trattamento tra gli imputati in cui il processo risulta pendente in primo grado nella fase anteriore all’apertura del dibattimento che ne possono avvalere e quelli in cui il processo si trova in una fase più avanzata 2 esigenza applicare il principio della retroattività della lex mitior , così come sostenuto dalla Corte di Giustizia dell’U.E. e dalla Corte europea di Strasburgo che interpreta l’articolo 7 della CEDU non solo come irretroattività della legge penale più sfavorevole, ma anche quella della retroattività della legge penale più favorevole, e che quindi farebbe ormai parte del sistema quale specificazione dell’articolo 2, comma 4, c.p Con la messa alla prova siamo fuori dalla retroattività della lex mitior. La Suprema Corte ricorda, invece, che la recente giurisprudenza della Corte Costituzionale sentenza n. 236/2011 e della Corte europea dei diritti dell’uomo, il principio della retroattività della lex mitior riguarda le sole norme che definiscono i reati e le pene che reprimono CEDU, 27.4.2010, sul caso Morabito contro Italia e del 17.9.2009, sul caso Scoppola contro Italia che non coincide con quanto regolato nell’ordinamento italiano dall’articolo 2, comma 4, c.p Quest’ultimo – secondo gli Ermellini – riguarda ogni disposizione penale successiva alla commissione del fatto, che apporti modifiche in melius di qualunque genere alla disciplina di una fattispecie incriminatrice, incidendo sul complessivo trattamento riservato al reo, mentre il primo ha una portata più circoscritta, concernendo le sole norme che prevedono i reati e le relative sanzioni. Poiché il nuovo istituto della messa alla prova si configura come un percorso del tutto alternativo rispetto all’accertamento della penale responsabilità ma non incide sulla valutazione del fatto, la cui valenza negativa rimane anzi il presupposto per imporre all’imputato un programma di trattamento la cui osservanza con esito positivo consegue l’estinzione del reato , si è fuori dal perimetro di operatività del principio della retroattività della lex mitior e, pertanto, è da escludere che si ponga in contrasto con l’articolo 7 CEDU, come interpretato dalla Corte di Strasburgo e violi l’articolo 117, comma 1, Cost. che del primo comma norma interposta costituisce parametro di legalità costituzionale. Nessuna disparità di trattamento. La Suprema Corte non ritiene che possa residuare spazi per i sospetti di legittimità costituzionale della nuova probation con l’articolo 3 Cost. laddove non consenta la presentazione dell’istanza anche quando sia trascorso il termine di presentazione previsto dall’articolo 464 bis c.p.p. e, cioè , in relazione al caso concreto, in sede di impugnazione. Dando seguito all’orientamento formatosi in sede di legittimità, la norma non è affetta da sospetti di legittimità in quanto l’individuazione del termine finale di proponibilità della richiesta di ammissione al nuovo istituto riguarda scelte rimesse alla discrezionalità del legislatore, insindacabili laddove non siano palesemente irragionevoli Cass, sez. VI, n. 47587/14 e sez. feriale, n. 35717/2014 . E che sia questa l’esegesi più corretta della norma è confermato dalla legge n. 118 dell’11.8.2014 che ha introdotto una norma transitoria sulla richiesta di sospensione del processo con richiesta di messa alla prova ma solo nei confronti degli irreperibili. Ciò, a contrario, conferma che il legislatore non ha avuto alcun ripensamento sul termine finale di presentazione dell’istanza di probation . In definitiva, seppur in assenza di disciplina transitoria, l’applicazione della messa alla prova segue specifici limiti temporali inderogabili, con buona pace della lex mitior. Si tratta, infatti, di una norma processuale cui si applica il principio di riferimento del canone normativo del tempus regist actum Cass., sez. II, n. 18265/15 . Per tutte le suindicate ragioni, la Suprema Corte rigetta il ricorso. Si attendono le Sezioni Unite. Tuttavia, per mettere la parola fine alla quaestio iuris occorrerà attendere il pronunciamento del Supremo Collegio. La mancanza di una disciplina transitoria, dedicata alla soluzione di questa problematica ha indotto la IV Sezione Penale della Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 30559/14, a rimettere la questione alle Sezioni Unite, attesa la delicatezza della materia e la possibilità di soluzioni interpretative in radicale contrasto, afferenti il regolamento di diritti di rilievo costituzionale .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 14 aprile – 27 maggio 2015, n. 22104 Presidente Fiale – Relatore Scarcella Ritenuto in fatto 1. Z.X. ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte d'appello di TRIESTE emessa in data 9/07/2014, depositata in data 18/07/2014, che ha confermato la sentenza emessa in data 23/11/2011 dal Tribunale di UDINE, con cui la ricorrente veniva condannata, con il concorso di attenuanti generiche, alla pena condizionalmente sospesa di mesi 4 di arresto ed Euro 7.000,00 di ammenda, per aver immesso sul mercato alcuni oggetti da considerare pericolosi, meglio descritti nell'imputazione 13 accendini di fantasia e 28 puntatori laser , esponendoli sui banchi di vendita del negozio della medesima gestito artt. 107, comma 2, e 112, comma primo, d.lgs. n. 206 del 2005 fatti contestati come commessi fino al 15/04/2010, data del sequestro . 2. Con il ricorso per cassazione, proposto personalmente dalla ricorrente, viene dedotto un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. Att. Cod. Proc. Pen 2.1. Deduce la ricorrente, con tale unico motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. b , Cod. Proc. Pen., in particolare per violazione dell'art. 168 bis, cod. pen. In particolare, la censura investe l'impugnata sentenza per aver i giudici di appello negato alla ricorrente di essere rimessa in termini per la richiesta di sospensione del processo con messa alla prova riferisce la ricorrente che, alla prima udienza tenutasi davanti alla Corte d'appello in data 28/05/2014, la difesa aveva avanzato istanza di rimessione in termini ex art. 168 bis cod. pen. la Corte aveva rinviato all'ud. 9/07/2014, all'esito della quale aveva ritenuto inammissibile la richiesta e infondati, nel merito, i motivi di appello sostiene la ricorrente che, essendosi generato il problema interpretativo dell'applicabilità dell'istituto della messa alla prova per i processi in corso alla data dell'entrata in vigore della legge n. 67 del 2014 entrata in vigore il 17/05/2014 , ed essendo pacifico che, davanti alla Corte d'appello, è avvenuto il superamento della fase processuale indicata dall'art. 464 bis, comma secondo, cod. proc. pen. entro cui va formulata, a pena di decadenza, la richiesta di sospensione del processo per messa alla prova, detta istanza dovrebbe comunque ritenersi ammissibile - attesa la portata sostanziale della modifica - anche dopo la formulazione delle conclusioni all'udienza preliminare ovvero la dichiarazione di apertura del dibattimento nel processo a citazione diretta. L'interpretazione estensiva così suggerita sarebbe giustificata da alcuni argomenti di tipo sostanziale, in particolare osservandosi che il momento indicato dal legislatore come termine ultimo entro cui si deve formulare la richiesta non può rappresentare una linea di confine invalicabile per la richiesta ex art. 168 bis cod. pen. nei processi che, alla data del 17/05/2014, già si trovavano in una fase processuale successiva, donde l'applicabilità per tutti i processi in cui vi sia già stata una sentenza non definitiva di condanna in secondo luogo, perché, a titolo esemplificativo, si è già ammesso in giurisprudenza che possa essere richiesta l'applicazione del lavoro di pubblica utilità in appello anche quando la condotta sia stata posta in essere anteriormente alla modifica normativa che ha introdotto detta sanzione sostitutiva e pur dopo il giudizio di primo grado che detta sanzione non ha disposto nel periodo transitorio, dunque, il giudice di appello non potrebbe esimersi dall'applicare estensivamente l'istituto della sospensione con messa alla prova, pena la violazione del principio di eguaglianza ex art. 3 Cost., ponendosi in essere una irragionevole disparità di trattamento tra gli imputati il cui processo risulta pendente in primo grado nella fase anteriore alla dichiarazione di apertura del dibattimento che se ne possono avvalere e quelli il cui processo si trova in fase più avanzata che tale interpretazione estensiva sia legittima, sarebbe desumibile, secondo la ricorrente, dalla stessa giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte il riferimento è a Sez. Un., n. 18821/2014, Ercolano , richiamandosi anche le fonti transnazionali che ritengono applicabile il principio della lex mitior , tenuto altresì conto dell'interpretazione della CGUE secondo cui detto principio dev'essere rispettato dal giudice nazionale quando applica il diritto interno per attuare l'ordinamento comunitario a ciò si aggiunge, infine, quanto disposto dall'art. 7 della Convenzione c.d.u. come interpretato dalla Corte di Strasburgo, secondo cui detto principio va inteso non solo nel senso dell'irretroattività della legge penale più severa, ma anche della retroattività della legge penale meno severa, esegesi condivisa anche dalla giurisprudenza di legittimità. Considerato in diritto 3. Il ricorso è infondato. 4. La questione giuridica posta dalla ricorrente nel presente giudizio è la seguente se sia ammissibile la richiesta di sospensione della messa prova ex art. 168 bis cod. pen. nel giudizio di appello”. La richiesta, si osserva, venne avanzata davanti ai giudici di appello, essendo nelle more entrata in vigore, in data 17/05/2014, la legge n. 67 del 2014, che ha introdotto, appunto, detto nuovo istituto, previsto in particolare dall'art. 168 bis cod. pen. la Corte territoriale ha ritenuto inammissibile la richiesta considerando che gli artt. 3 e 4 della legge n. 67 del 2014, prevedono uno sbarramento processuale preclusivo in ordine alla proponibilità della richiesta. 5. La motivazione della Corte territoriale merita conferma. Dovendo preliminarmente valutare, infatti, il profilo della tempestività della richiesta, il giudice d'appello ha ritenuto preclusivo il tenore dell'art. 464 bis, comma 2 cod. proc. pen. come introdotto dalla legge n. 67 del 28 aprile 2014 la richiesta può essere proposta, oralmente o per iscritto, fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli articoli 421 e 422 o fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo gradi nel giudizio direttissimo e nel procedimento di citazione diretta a giudizio” , così rilevando l'avvenuto superamento di quel termine, giusta motivazione essenziale ma pienamente congrua rispetto alla concreta situazione processuale determinatasi. 6. La ricorrente chiede di fornire un'interpretazione costituzionalmente orientata tenuto conto anche della giurisprudenza CGE e CEDU al tema della applicazione intertemporale dell'istituto della messa alla prova introdotto nel sistema dalla citata legge n. 67 del 2014, indicando quale parametro di legalità costituzionale il principio di retroattività della lex mitior successiva desumibile dall'art. 7 par. 1 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo e che, a suo dire, farebbe ormai parte del sistema quale specificazione dell'art. 2, comma 4 cod. pen Non considera, tuttavia, la ricorrente che secondo la più recente giurisprudenza non solo della Corte Costituzionale Corte Cost. n. 236 del 2011 , ma anche della stessa Corte Europea dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo, il principio di retroattività della lex mitior, così come in generale delle norme in materia di retroattività contenute nell'art. 7 della Convenzione EDU, concerne le sole disposizioni che definiscono i reati e le pene che li reprimono” Corte E.D.U. sentenza 27 aprile 2010, Morabito contro Italia, nonché sentenza 17 settembre 2009, Scoppola contro Italia, citata anche in ricorso , trattandosi oltre tutto di principio riconosciuto dalla Convenzione Europea che non coincide, tuttavia, con quello regolato nel nostro ordinamento dall'art. 2, comma 4 cod. pen Quest'ultimo riguarda, infatti, ogni disposizione penale successiva alla commissione del fatto, che apporti modifiche in melius di qualunque genere alla disciplina di una fattispecie criminosa, incidendo sul complessivo trattamento riservato al reo, mentre il primo ha una portata più circoscritta, concernendo le sole norme che prevedono i reati e le relative sanzioni v. Corte Cost. n. 236 del 2011 cit. La diversa e più ristretta, portata del principio convenzionale è confermata dal riferimento che la giurisprudenza Europea fa alle fonti internazionali e comunitarie e alle pronunce della Corte di giustizia dell'Unione Europea. Sia l'art. 15 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, sia l'art. 49 della Carta di Nizza, infatti, non si riferiscono a qualsiasi disposizione penale, ma solo alla legge che prevede l'applicazione di una pena più lieve” . Sempre, infatti, secondo la fondamentale Corte Costituzionale n. 236 del 2011, è da ritenere che il principio di retroattività della lex mitior riconosciuto dalla Corte di Strasburgo riguardi esclusivamente la fattispecie incriminatrice e la pena, mentre sono estranee all'ambito di operatività di tale principio, così delineato, le ipotesi in cui non si verifica un mutamento, favorevole al reo, nella valutazione sociale del fatto che porti a ritenerlo penalmente lecito o comunque di minore gravità”. 7. Quanto al nuovo istituto della messa alla prova, introdotto nel processo penale ordinario dalla legge n. 67 del 2014, esso si configura come un percorso del tutto alternativo rispetto all'accertamento giudiziale penale, ma non incide affatto sulla valutazione sociale del fatto, la cui valenza negativa rimane anzi il presupposto per imporre all'imputato, il quale ne abbia fatto esplicita richiesta, un programma di trattamento alla cui osservanza con esito positivo consegua l'estinzione del reato. Si è, dunque ed all'evidenza, al di fuori dell'ambito di operatività del principio di retroattività della lex mitior ed è pertanto da escludere che la mancata previsione di una applicazione retroattiva dell'istituto della messa alla prova si ponga in contrasto con l'art. 7, par. 1 CEDU, come interpretato dalla Corte di Strasburgo e violi l'art. 117, comma 1 Cost. che del primo norma interposta costituisce il parametro di legalità costituzionale. 8. Né, si aggiunge, residua spazio per una sospetta incostituzionalità della nuova normativa con riferimento all'art. 3 Cost. nella parte in cui non è consentita la presentazione dell'istanza anche quando sia già decorso il termine finale di cui all'art. 464 bis, comma 2 cod. proc. pen. e cioè, in relazione al caso concreto, in sede di impugnazione. Il Collegio, nel dare continuità ad un orientamento già sostenuto da questa Corte Sez. 6, n. 47587 del 22/10/2014 - dep. 18/11/2014, Calamo, Rv. 261255 , ritiene che non vi sia alcun sospetto di incostituzionalità della disciplina introdotta dal legislatore del 2014, atteso che il tema dell'individuazione del termine finale di proponibilità della richiesta di ammissione al nuovo istituto involge all'evidenza scelte rimesse alla discrezionalità del legislatore, come tali insindacabili tranne il caso in cui risultino palesemente irragionevoli, come stabilito dalla Corte Costituzionale con la nota sentenza n. 393 del 2006 a proposito della norma transitoria dell'art. 10, comma 3 della legge n. 251 del 2005 regolante l'applicazione retroattiva del più favorevole regime di prescrizione introdotto con quella legge. Tuttavia, proprio il ricordato carattere alternativo del procedimento di messa alla prova rispetto all'accertamento giudiziale penale non rende, a parere del collegio, irragionevole la fissazione del termine finale di presentazione della richiesta al momento della dichiarazione di apertura del dibattimento nel caso di procedimenti con citazione diretta a giudizio ai sensi degli art. 550 e segg. cod. proc. pen Che, del resto, questa sia l'esegesi più corretta è desumibile, a contrario, da un dato normativo ulteriore. Successivamente all'entrata in vigore della legge n. 67 del 2014, infatti, è stata promulgata la legge 11 agosto 2014 n. 118 che ha introdotto nella legge n. 67 del 2014 l'art. 15 bis Norme transitorie , previsione concernente, tuttavia, il solo Capo III della legge e la disciplina ivi stabilita di sospensione del procedimento nei confronti degli irreperibili, ma non il Capo II relativo alla messa alla prova, confermando, dunque, a contrario, che non vi è stato da parte del legislatore alcun ripensamento quanto alla individuazione del termine finale di presentazione dell'istanza di cui all'art. 464 bis, comma 2 cod. proc. pen 9. Non meno significativa, infine, l'esegesi della nuova disciplina operata da questa Corte. Ed infatti, nel pronunciarsi su analoga questione con cui si instava per l'applicabilità dell'istituto nel giudizio di legittimità, questa Corte, nell'escludere che nel giudizio di cassazione l'imputato possa chiedere la sospensione del procedimento con la messa alla prova di cui all'art. 168-bis cod. pen., né possa altrimenti sollecitare l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio al giudice di merito, ha affermato, da un lato, che il beneficio dell'estinzione del reato, connesso all'esito positivo della prova, presuppone lo svolgimento di un iter processuale alternativo alla celebrazione del giudizio e, dall'altro, richiamando la già citata sentenza della Corte costituzionale n. 263 del 2011, ha puntualizzato come non sia configurabile alcuna lesione del principio di retroattività della lex mitior , che imponga, nonostante la mancanza di disposizioni transitorie ad hoc, l'applicazione della disciplina della sospensione del procedimento con messa alla prova nei giudizi di impugnazione - dunque sia davanti alla Corte d'appello che davanti alla Corte di Cassazione - pendenti alla data della sua entrata in vigore Sez. F, n. 42318 del 09/09/2014 - dep. 10/10/2014, Valmaggi, Rv. 261096 Sez. F, n. 35717 del 31/07/2014 - dep. 13/08/2014, Ceccaroni, Rv. 259935 . 10. Del resto, l'apertura in Appello o in Cassazione di una nuova fase incidentale volta a consentire l'eventuale svolgersi della messa alla prova , allungando i tempi del giudizio, andrebbe a cozzare con il principio della ragionevole durata del processo, oltreché con l'esigenza di evitare la eventuale dispersione di attività processuali già compiute. Sul punto, solo una disciplina transitoria, che prevedesse espressamente l'applicazione retroattiva delle nuove regole, potrebbe risolvere definitivamente il problema. In conclusione, sulla base di quanto detto, può dunque affermarsi il seguente principio di diritto Nei giudizi di impugnazione davanti alla Corte d'appello e davanti alla Corte di Cassazione l'imputato non può chiedere la sospensione del procedimento con la messa alla prova di cui all'art. 168-bis cod. pen., né può altrimenti sollecitare l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio al giudice di merito, attesa l'incompatibilità dell'istituto introdotto dalla legge n. 67 del 2014 con i predetti giudizi di impugnazione, perché il beneficio dell'estinzione del reato, connesso all'esito positivo della prova, presuppone lo svolgimento di un iter processuale alternativo alla celebrazione del giudizio. In motivazione, la Corte ha evidenziato che, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 263 del 2011, non è configurabile alcuna lesione del principio di retroattività della lex mitior, che imponga, nonostante la mancanza di disposizioni transitorie relative al Capo II della citata legge, l'applicazione della disciplina della sospensione del procedimento con messa alla prova nei giudizi di impugnazione pendenti alla data della sua entrata in vigore ”. 11. Il ricorso dev'essere, conclusivamente, rigettato. Segue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. 12. Solo per completezza va rilevato che non è ancora decorso il termine di prescrizione quinquennale del reato che, individuato il dies a quo nella data del sequestro 15/04/2010, giungerà a maturazione in data 15/04/2015, successiva alla decisione di questa Corte. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.