Non basta avere la quasi totalità delle quote per diventare amministratore di fatto e rispondere di frode fiscale

La titolarità della maggioranza, anche se pressoché totalitaria, del capitale sociale non può di per sé essere equiparata all’amministrazione di fatto, essendo a tale fine necessaria la concreta sussistenza di un effettivo potere di gestione della società. Amministratore di fatto è dunque colui che esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione.

Questo il principio contenuto nella pronuncia della Sezione III penale n. 22108/15, depositata il 27 maggio. Una vicenda articolata. All’origine della pronuncia che si annota vi è una articolata vicenda che merita, seppur nei soli tratti essenziali, di essere tratteggiata onde consentire una piena comprensione della valenza dei principi di diritto affermati dalla sentenza in commento. L’amministratore di diritto di una società e i soci al 95% della medesima, in quanto ritenuti a loro volta amministratori di fatto, sono stati destinatari di un provvedimento di sequestro per equivalente finalizzato alla confisca di beni nella loro disponibilità, in conseguenza di una frode fiscale mediante utilizzo di fatture per operazioni inesistenti realizzata dalla suddetta società. Aspetto peculiare della vicenda è che i soci al 95% della società utilizzatrice le fatture erano anche amministratori delle società emittenti le fatture per operazioni inesistenti. Ciò nonostante il GIP aveva ritenuto inoperante nei loro confronti l’esonero di responsabilità di cui all’art. 9, d.lgs. n. 74/2000, che impedisce che il medesimo soggetto possa essere chiamato a rispondere sia quale emittente delle fatture per operazioni inesistenti art. 8, d.lgs. n. 74/2000 che a titolo di concorso ex art. 110 c.p. con l’utilizzatore delle fatture medesime ai sensi dell’art. 2, d.lgs. n. 74/2000. Limiti alla operatività dell’art. 9, d.lgs. n. 74/2000 Come noto e secondo una elaborazione giurisprudenziale assolutamente consolidata, il disposto dell'art. 9 d.lgs. n. 74/2000, che, in deroga alla regola generale fissata dall'art. 110 c.p., esclude il concorso di persone tra chi ha emesso la fattura per operazione inesistente e chi l'ha utilizzata – onde evitare che la medesima condotta sostanziale sia punita due volte –, non trova applicazione quando la stessa persona abbia proceduto in proprio sia all'emissione delle fatture per operazioni inesistenti, sia alla loro successiva utilizzazione. Nel dettaglio, la giurisprudenza ritiene inoperante detta deroga in tutti i casi in cui il soggetto emittente le fatture fittizie sia anche l'utilizzatore di esse attraverso il meccanismo della inclusione delle false fatture nella dichiarazione dei redditi, allorquando cioè lo stesso soggetto opera sotto una duplice e diversa veste quale amministratore della società che emette le fatture e quale amministratore della società che tali fatture utilizza. Ben potrà, dunque, rispondere sia di emissione che di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti il soggetto che abbia sia la veste di amministratore della società che ha emesso le fatture per operazioni inesistenti, che quella di legale rappresentante della diversa società che le abbia successivamente utilizzate. ed il suo precipitato nel caso di specie. Proprio l’applicazione di detta elaborazione giurisprudenziale aveva portato i giudici di merito, nel caso poi giunto all’esame della Cassazione, a ritenere che quei medesimi soggetti, legali rappresentanti della società emittente le fatture per operazioni inesistenti, potessero rispondere altresì del delitto di cui all’art. 2, d.lgs. n. 74/2000, siccome soci di maggioranza quasi totalitaria della società utilizzatrice di tali fatture e, dunque, anche amministratori di fatto della stessa. È proprio su tale aspetto che si incentra una delle doglianze dei ricorrenti, che lamentano difetto totale di motivazione da parte del Tribunale del riesame circa il ruolo di amministratori di fatto della società utilizzatrice, attribuito per il solo fatto di essere titolari del capitale sociale per una quota complessiva pari al 95%. Niente automatismi, ma obbligo di motivazione. Rilevano gli Ermellini che il ricorso coglie nel segno in quanto il Tribunale del riesame, pur investito in sede di prima impugnazione della questione relativa alla attribuzione del ruolo di amministratori di fatto della società utilizzatrice le f.o.i., nulla sul punto aveva argomentato se non evidenziando il possesso diretto o indiretto del 95% del capitale sociale. È evidente allora il vizio di totale carenza di motivazione sul punto, che, integrando violazione di legge, ben può essere oggetto di censura in sede di legittimità in virtù del combinato disposto degli artt. 125, comma 3, e 606, lett. b , c.p.p Nessun automatismo, dunque, evidenzia la Corte, tra la titolarità anche quasi totalitaria delle quote di un società e l’attribuzione a detto socio della qualifica di amministratore di fatto, con conseguente configurabilità in capo al medesimo dei reati ricollegabili solo alla intervenuta assunzione di tale qualifica soggettiva. I canoni per l’attribuzione della qualità di amministratore di fatto. Quanto sopra evidenziato è ampiamente sufficiente per l’annullamento con rinvio, su tale aspetto, della impugnata ordinanza. L’occasione tuttavia è ghiotta per la Suprema Corte per riaffermare, anche in vista del giudizio di rinvio, i principi che consentono l’attribuzione ad un soggetto della qualifica di amministratore di fatto di una società. A tal fine, chiariscono gli Ermellini, occorre infatti individuare la concreta sussistenza di un effettivo potere di gestione della società in capo a tale soggetto che si estrinsechi, in primis, nel controllo della gestione della società sotto il profilo contabile ed amministrativo, come delineato dal novellato art. 2639 c.c., che peraltro nulla ha fatto, se non recepire gli approdi, ormai certi, di una lunga elaborazione giurisprudenziale. Detti poteri, inoltre, dovranno essere esercitati in modo continuativo e significativo. Il ché non implica necessariamente l’esercizio di tutti i poteri propri dell’amministratore, ma comunque una attività non episodica ed occasionale. Niente reato se la fattura è solamente non congrua”. Tra gli altri motivi di impugnazione i ricorrenti si dolgono anche del fatto che il Tribunale del riesame nulla abbia motivato sulla questione, di cui pure era stato esplicitamente investito, della effettiva inesistenza delle prestazioni oggetto di talune fatture. Evidenziano e documentano infatti i ricorrenti che la stessa Agenzia delle Entrate aveva successivamente riconosciuto l’oggettiva esistenza delle prestazioni indicate in alcune fatture, pur ritenendo non congrui i canoni pattuiti. La Cassazione, nel risolvere la questione, afferma un ulteriore importante principio. È vero che deve ritenersi configurabile il delitto di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74/2000 sia nel caso di inesistenza oggettiva della operazione, sia nell’ipotesi di inesistenza relativa, sia infine nell’ipotesi di sovrafatturazione qualitativa. Tuttavia il reato non è, al contrario, configurabile allorché, come nel caso in esame, vi sia una mera non congruità dell’operazione realmente effettuata e pagata, non essendovi alcuna divergenza fra la realtà documentale e la realtà commerciale. Anche sul punto, dunque, l’ordinanza impugnata viene annullata con rinvio ad altra sezione del Tribunale di Firenze.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 19 dicembre 2014 – 27 maggio 2015, n. 22108 Presidente Teresi – Relatore Aceto Ritenuto in fatto 1. I sigg.ri B.I. , F.F. e V.A.S. ricorrono per l'annullamento dell'ordinanza del 24/02/2014 del Tribunale di Firenze che ha respinto le istanze di riesame da loro proposte avverso il decreto del 05/12/2013 del Giudice per le indagini preliminari di quello stesso Tribunale che, sulla ritenuta sussistenza indiziaria dei reati di cui al successivo capoverso, aveva ordinato il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, di beni in loro disponibilità fino all'ammontare di Euro 7.485.385,15. La contestazione provvisoria ipotizza in particolare i seguenti delitti a artt. 81, cpv., 110, cod. pen., 2, d.lgs. 14 marzo 2000, n. 74, loro ascritto nella rispettiva qualità di legale rappresentante della ISMA S.r.l.” il B. , di gestori di fatto in quanto soci titolari in modo diretto e/o indiretto del 95% del capitale sociale, il F. ed il V. , per avere indicato nelle dichiarazioni annuali della società relative agli anni di imposta 2006-2010 elementi passivi fittizi avvalendosi di fatture per operazioni inesistenti emesse da imprese, analiticamente indicate nella rubrica stessa, ritenute vere e proprie cartiere formalmente associate in partecipazione alla ISMA S.r.l.”, ma del tutto prive di strutture aziendali, costituite per intestare ad esse i rapporti di lavoro del personale dipendente della ISMA S.r.l.” stessa e poi detrarre l'imposta sul valore aggiunto compensata con gli oneri previdenziali e assistenziali b artt. 81, cpv., 110, cod. pen., 2, d.lgs. 14 marzo 2000, n. 74, loro ascritto nella già indicata qualità, per avere indicato nelle dichiarazioni annuali relative agli anni di imposta 2009-2010 della ISMA S.r.l.” elementi passivi fittizi avvalendosi di documentazione per operazioni inesistenti apparentemente poste in essere in esecuzione di contratti di associazione in partecipazione sottoscritti con il F. ed il V. il 29/05/2009 c artt. 81, cpv., 110, cod. pen., 2, d.lgs. 14 marzo 2000, n. 74, loro ascritto nella già indicata qualità per avere indicato nelle dichiarazioni annuali relative agli anni di imposta 2003-2009 della ISMA S.r.l.” elementi passivi fittizi avvalendosi di fatture per operazioni inesistenti emesse dalla società di diritto spagnolo di cui erano soci fondatori e amministratori il F. ed il V. TECNOCABIS, Tecnologia del Cableado SL” a titolo di royalties per l'utilizzazione, in realtà mai avvenuta, del marchio OSM d artt. 81, cpv., cod. pen., 8, d.lgs. 14 marzo 2000, n. 74, ascritto al F. ed al V. per aver emesso i documenti di cui al capo B e artt. 81, cpv., cod. pen., 8, d.lgs. 14 marzo 2000, n. 74, ascritto al V. per aver emesso le fatture di cui al capo C Il sequestro preventivo ha ad oggetto le somme corrispondenti al profitto conseguito dalla ISMA Srl” mediante il mancato versamento dell'imposta sul valore aggiunto dovuta per gli anni dal 2007 al 2010 ed il versamento delle imposte dirette in misura inferiore al dovuto per lo stesso periodo. 2. Il F. ed il V. eccepiscono a la totale carenza di motivazione circa il ruolo di amministratori di fatto della società ISMA Srl”, loro attribuito per il sol fatto di essere titolari del capitale sociale per un una quota complessiva pari al 95% b violazione dell'art. 322-ter, cod. pen., per mancanza di motivazione circa le ragioni per le quali non si è preliminarmente proceduto ad aggredire il patrimonio della ISMA Srl” stessa. 3. Il B. eccepisce, con il primo motivo, la violazione dell'art. 14, comma 4-bis, legge 24 dicembre 1993, n. 537, perché il Tribunale non ha ritenuto deducibili i costi effettivamente sostenuti per l'esecuzione delle commesse formalmente sostenute da imprese terze ma realmente svolte e non ricollegate all'esecuzione di alcun reato. 3.1. Con il secondo motivo eccepisce la violazione del divieto del ne bis in idem perché il sequestro è stato disposto nell'ambito di procedimento avente ad oggetto gli stessi fatti per i quali la Procura della Repubblica di Roma aveva già esercitato l'azione penale, tema ripreso e sviluppato con i motivi aggiunti tempestivamente depositati il 03/12/2014. 3.2. Con il terzo motivo eccepisce la totale carenza di motivazione in ordine alla diminuzione dell'imponibile e della relativa pretesa tributaria in conseguenza dell'atto di adesione sottoscritto con l'Agenzia delle Entrate il 23/11/2012. Considerato in diritto 4. I ricorsi sono fondati nei termini qui di seguito indicati. 5.Come già detto, il sequestro preventivo ha ad oggetto beni equivalenti al profitto conseguito dalla ISMA S.r.l.”, non personalmente dai ricorrenti, nei confronti dei quali il provvedimento cautelare è stato eseguito perché amministratori di diritto il B. e di fatto il F. ed il V. . 5.1.Nei confronti di questi ultimi, in particolare, il GIP aveva ritenuto inoperante l'esonero da responsabilità prevista dall'art. 9, d.lgs. n. 74 del 2000, perché co-autori diretti, in quanto amministratori di fatto, dei reati indicati ai capi A, B e C della rubrica provvisoria. 5.2. L'amministrazione di fatto, dunque, costituisce nell'ottica accusatoria il veicolo di imputazione dei reati tributari fonte dell'illecito profitto. 5.3. Il F. ed il V. avevano perciò chiesto al Tribunale di riesaminare la specifica questione relativa al ruolo di amministratori di fatto che la rubrica attribuisce loro in virtù del possesso, diretto e/o indiretto, del 95% del capitale sociale. 5.4. L'ordinanza impugnata tuttavia non fornisce alcuna risposta sul punto, nemmeno implicita, incorrendo così nell'eccepito vizio di totale carenza di motivazione che, integrando violazione di legge, può essere censurato in sede di legittimità ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 125, comma 3, 606, lett. b , cod. proc. pen. Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004 si vedano anche, nello stesso senso, Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, Pellegrino, e Sez. U, n. 5 del 26/02/1991, Bruno, nonché, tra le più recenti, Sez. 5, n. 35532 del 25/06/2010, Angelini Sez. 1, n. 6821 del 31/01/2012, Chiesi Sez. 6, n. 20816 del 28/02/2013, Buonocore . 5.5. Benché il Tribunale del riesame nulla dica sul punto è opportuno in ogni caso precisare, perché se ne tenga conto in sede di rinvio, che la titolarità della maggioranza, anche se pressoché totalitaria, del capitale sociale non può di per sé essere equiparata all'amministrazione di fatto, essendo a tal fine necessaria la concreta sussistenza di un effettivo potere di gestione della società Sez. 5, n. 87 del 28/11/1966, Bertolotto, Rv. 103107 Sez. 5, n. 1184 del 09/10/1967, Panza, Rv. 106197 Sez. 5, n. 1361 del 04/12/1967, Zigiotti, Rv. 106933 Sez. 5, n. 542 del 10/11/1972, D'Alessio, Rv. 123016 . 5.6. Tale potere deve estrinsecarsi nell'esercizio concreto e con un minimo di continuità delle funzioni proprie degli amministratori o una di esse, coordinata con le altre. Amministratore di fatto, non può perciò essere sic et simpliciter ritenuto colui che si ingerisca comunque, genericamente o una tantum , nell'attività sociale. Avuto riguardo all'oggetto dell'attività degli amministratori di una società di capitali, tra dette funzioni deve considerarsi in primo luogo il controllo della gestione della società sotto il profilo contabile ed amministrativo a questa va poi aggiunta la stessa gestione con riferimento sia all'organizzazione interna che alla attività esterna costituente l'oggetto della società e in particolare, con riferimento ad entrambe, la formulazione di programmi, la selezione delle scelte e la emanazione delle necessarie direttive con riguardo all'organizzazione interna non deve poi prescindersi dai necessari poteri deliberativi i cui effetti si riflettono sull'attività esterna, mentre nell'ambito di quest'ultima deve tenersi conto delle funzioni di rappresentanza Sez. 5, n. 1154 del 08/10/1991, Rapisarda, Rv. 191212 . 5.7. Per delineare la figura dell'amministratore di fatto è perciò necessario attingere ai criteri stabiliti dall'art. 2639, cod. civ., che, pur essendo norma di più recente introduzione, dettata per i reati in materia di società e consorzi di cui al titolo XI del libro V del codice civile, ha di fatto codificato gli approdi giurisprudenziali che l'avevano preceduta cfr. Sez. 1, n. 18464 del 12/05/2006, Ponciroli, Rv. 234254 . 5.8. L'amministratore di fatto è dunque colui il quale eserciti in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione. In linea con quanto già affermato da Sez. 5, n. 1154 del 1991, cit., significatività e continuità non comportano necessariamente l'esercizio di tutti i poteri propri dell'organo di gestione, ma richiedono l'esercizio di un'apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico od occasionale Sez. 5, n. 43300 del 17/10/2005, Carboni, Rv. 232456 Sez. 5, n. 35346 del 20/06/2013, Tarantino, Rv. 256534 . 5.9. La fondatezza del primo motivo del ricorso proposto dai sigg.ri F. e V. rende superfluo l'esame del secondo. 6. I primi due motivi di ricorso proposti dal B. sono infondati. È fondato il terzo motivo. 6.1. Il B. invoca l'applicazione dell'art. 14, comma 4-bis, legge, 24 dicembre 1993, n. 537, come sostituito dall'art. 8, comma 1, d.l. 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, che così recita nella determinazione dei redditi di cui all'articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l'azione penale o, comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell'articolo 424 del codice di procedura penale ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell'articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall'articolo 157 del codice penale. Qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione ai sensi dell'articolo 530 del codice di procedura penale ovvero una sentenza definitiva di non luogo a procedere ai sensi dell'articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza di motivi diversi dalla causa di estinzione indicata nel periodo precedente, ovvero una sentenza definitiva di non doversi procedere ai sensi dell'articolo 529 del codice di procedura penale, compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione prevista dal periodo precedente e dei relativi interessi”. 6.2. Deduce, a tal fine, che anche a voler ritenere fondato il reato provvisoriamente ipotizzato al capo A della rubrica, le fatture sarebbero state emesse per prestazioni lavorative realmente rese alla ISMA Srl”, ancorché da lavoratori formalmente dipendenti da società cartiere . 6.3. Il Tribunale del riesame ha escluso l'applicabilità della norma in questione sul rilievo che i costi documentati dalle fatture emesse dalle società cartiere non erano deducibili perché essi stessi strumento per la realizzazione della frode fiscale. 6.4. Il rilievo è fondato. 6.5. Occorre evidenziare che nel caso di specie le prestazioni lavorative venivano rese da lavoratori formalmente dipendenti da società cartiere che venivano di volta in volta associate in partecipazione alla ISMA Srl” assodante . A titolo di corrispettivo, alle associate veniva riconosciuta una percentuale sugli utili della ISMA Srl” che di fatto venivano utilizzati per il pagamento delle retribuzioni da parte delle cartiere stesse che successivamente provvedevano a compensare i contributi figuranti nei modelli F24 con crediti IVA inesistenti. Tali cartiere , dopo un paio di anni, al fine di impedire eventuali controlli, trasferivano la propria attività all'estero ed al loro posto ne venivano costituite altre che si avvicendavano nel rapporto di associazione in partecipazione con la ISMA Srl”. Il personale dipendente restava sempre lo stesso. Tale complesso meccanismo, si legge nell'ordinanza impugnata, era stato imbastito nell'ambito di un più ampio ed articolato meccanismo di frode ai danni dello Stato ideato da un gruppo di professionisti operanti in e nella provincia di Siena del quale la presente vicenda costituisce una parte. 6.6. Ciò esclude in radice che i costi documentati con le fatture emesse dalle cartiere non fossero direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l'azione penale”. 6.7. È lo stesso ricorrente, infatti, ad eccepire, sia pure ad altri fini, che per gli stessi fatti il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma aveva esercitato l'azione penale nei suoi confronti per il reato di associazione per delinquere e truffa aggravata ai danni dello Stato, con ciò dando egli stesso prova della immediata riferibilità dei costi a tali attività illecite. 6.8. La non deducibilità dei costi non deriva esclusivamente dal loro impiego per finanziare atti immediatamente qualificabili come delitto doloso, ma anche dalla loro inerenza a più generali attività delittuose alle quali l'impresa non sia estranea e per il cui perseguimento abbia sostenuto i costi fittiziamente fatturati, ancorché realmente sostenuti. 6.9. Nel caso di specie, le prestazioni lavorative fatturate nei termini sopra indicati certamente non integrano di per sé un atto delittuoso, tuttavia le modalità con cui il relativo costo veniva fraudolentemente trasferito a cartiere costruite per frodare il Fisco e destinate a sparire nel nulla attuavano una più ampia attività delittuosa qualificata dal Pubblico Ministero come associazione per delinquere rispetto alla quale i costi, giustificati da simulati contratti di associazione in partecipazione, costituivano l'investimento destinato a produrre maggiori profitti, anche a danno dell'Erario. 6.10. È intuitiva, dunque, la differenza tra chi si limiti ad utilizzare fatture per prestazioni realmente rese, anche se da altri, e chi, invece, utilizzi quelle fatture nell'ambito di un più ampio contesto illecito che egli stesso ha contribuito a creare. 6.11. In quest'ultima ipotesi, infatti, la possibilità di dedurre i costi per le prestazioni effettivamente rese si tradurrebbe, per assurdo, nel consolidamento del vantaggio illecito ottenuto e comunque nella minimizzazione del rischio che la possibilità di recuperare le somme investite per la consumazione del reato consentirebbe. 6.12. Non sussiste la violazione dell'art. 649, cod. proc. pen., tema, come detto, oggetto del secondo motivo di ricorso ed ulteriormente illustrato con i motivi aggiunti. 6.13. Il ricorrente deduce che per gli stessi fatti per i quali procede l'AG fiorentina è già stato rinviato a giudizio dinanzi al Tribunale di Roma. 6.14. L'eccezione non è fondata. 6.15. Come già in tema autorevolmente affermato da questa Suprema Corte non può essere nuovamente promossa l'azione penale per un fatto e contro una persona per i quali un processo già sia pendente anche se in fase o grado diversi nella stessa sede giudiziaria e su iniziativa del medesimo ufficio del P.M., di talché nel procedimento eventualmente duplicato dev'essere disposta l'archiviazione oppure, se l'azione sia stata esercitata, dev'essere rilevata con sentenza la relativa causa di improcedibilità. La non procedibilità di cui all'art. consegue alla preclusione determinata dalla consumazione del potere già esercitato dal P.M., ma riguarda solo le situazioni di litispendenza relative a procedimenti pendenti avanti a giudici egualmente competenti e non produttive di una stasi del rapporto processuale, come tali non regolate dalle disposizioni sui conflitti positivi di competenza, che restano invece applicabili alle ipotesi di duplicazione del processo innanzi a giudici di diverse sedi giudiziarie, uno dei quali è incompetente Sez. U, n. 34655 del 28/06/2005, Donati, Rv. 231800 . 6.16. Ne consegue che poiché nel caso di specie l'azione penale è stata esercitata da due uffici giudiziari diversi, non trova l'applicazione l'art. 649, cod. proc. pen., poiché si applicano le comuni regole sulla competenza per territorio che, quand'anche, in ipotesi, violate, non comporterebbero l'automatica inefficacia del sequestro, e presupponendo la soluzione di questioni di fatto non solo di diritto , potranno in ogni caso essere fatte valere dinanzi ai giudici del merito. 7. È invece fondato il terzo motivo di ricorso. 7.1.11 Tribunale del riesame era stato investito della questione relativa alla effettiva inesistenza delle prestazioni oggetto delle fatture di cui al capo C della rubrica provvisoria. 7.2. In particolare, il ricorrente aveva dedotto che la stessa Agenzia delle Entrate aveva successivamente riconosciuto l’oggettiva esistenza delle prestazioni fatturate, pur ritenendo non congrui i canoni pattuiti 7.3. Il Tribunale non ha fornito alcuna risposta sul punto, incorrendo, così nell’eccepito vizio di legge per carenza di motivazione. 7.4. La questione ha peraltro una sua rilevanza, avendo questa Corte affermato che il reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti art. 2, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 sussiste sia nell’ipotesi di inesistenza oggettiva dell'operazione ovvero quando la stessa non sia mai stata posta in essere nella realtà , sia nell'ipotesi di inesistenza relativa ovvero quando l'operazione vi è stata, ma per quantitativi inferiori a quelli indicati in fattura sia, infine, nell'ipotesi di sovrafatturazione qualitativa ovvero quando la fattura attesti la cessione di beni e/o servizi aventi un prezzo maggiore di quelli forniti , in quanto oggetto della repressione Penale è ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale. Sicché il reato non è configurabile nell'ipotesi di non congruità dell'operazione realmente effettuata e pagata sez. 3, n. 1996 del 25/10/2007 Figura, Rv. 238547 . 7.5. L'ordinanza impugnata deve perciò essere annullata con rinvio al Tribunale di Firenze che provvederà ad esaminare le questioni in ordine alle quali sussiste il vizio di legge denunziato. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Firenze.