Iva non versata, prima del portafoglio dell’amministratore bisogna guardare la cassa della società

In caso di omesso versamento dell’IVA da parte di una società, il profitto si identifica nel risparmio di spesa. Perciò, se nelle casse della persona giuridica, su cui gravava l’obbligo di versamento, viene rinvenuto del denaro, si tratta di profitto sequestrabile direttamente riconducibile al reato e non possono essere aggrediti i beni personali degli amministratori. Costituiscono profitto del reato anche gli impieghi redditizi del denaro di provenienza delittuosa ed i beni in cui questo si è trasformato.

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 22127/15, depositata il 27 maggio. Il caso. Il tribunale di Lucca confermava il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente dei beni personali di due indagati, amministratori susseguitesi nel tempo di una società, in quanto quest’ultima non aveva versato l’IVA reato previsto dall’art. 10 ter d.lgs. n. 74/2000 . Gli indagati ricorrevano in Cassazione, deducendo che, prima di sequestrare i loro beni personali, doveva essere verificata l’esistenza, nel patrimonio del debitore dell’imposta, anche se persona giuridica, di beni direttamente o indirettamente riconducibili al profitto del reato. Perciò, dovevano essere sequestrati i beni patrimoniali della società. A supporto della propria tesi, richiamavano il precedente n. 10561/2014 delle Sezioni Unite Penali. Profitto del reato di omesso versamento dell’IVA. La Corte di Cassazione sottolinea che in un reato come quello contestato, la cui condotta si sostanzia nell’omissione di un versamento di una somma di denaro all’Erario, il profitto si identifica nel risparmio di spesa. Perciò, se nelle casse della persona, fisica o giuridica, su cui gravava l’obbligo di versamento viene rinvenuto del denaro, si tratta di profitto sequestrabile direttamente riconducibile al reato. Non è necessario che tale denaro sia liquido. Costituiscono profitto del reato anche gli impieghi redditizi del denaro di provenienza delittuosa ed i beni in cui questo si è trasformato. Infatti, tali attività di impiego di trasformazione non possono impedire che venga sottoposto ad ablazione ciò che rappresenta l’obiettivo del reato posto in essere. Nel caso di specie, invece, i giudici di Lucca avevano ritenuto che non ci fossero prove che permettessero di affermare che il profitto del reato contestato fosse rimasto nella disponibilità della società, tanto da imporre in via preventiva il sequestro, in funzione della confisca, di beni nei confronti della persona giuridica non è dato sapere come le somme non corrisposte all’erario siano state utilizzate dalla società e per essa dal suo legale rappresentante . Per i giudici di legittimità, però, si tratta di una ricostruzione errata. Per questi motivi, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso, invitando il tribunale di Lucca ad una nuova valutazione.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 30 aprile – 27 maggio 2015, numero 22127 Presidente Teresi – Relatore Pezzella Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 20.11.2014 il Tribunale di Lucca ha rigettato il riesame proposto da G.A. e GI.AT. , per l'effetto confermando il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, ai sensi dell'articolo 321 cod. proc. penumero in relazione all'articolo 322 ter cod. penumero fino a concorrenza di Euro 481.779,41 per G.A. e di Euro 240.477,00 per GI.AT. valore del profitto del reato di cui agli articoli 10 ter D.lgs 74/2000 . 2. Ricorrono per Cassazione, con unico ricorso a firma dell'avv. Lodovica Giorgi, G.A. e GI.AT. deducendo - Violazione di legge ex articolo 325 cod. proc. penumero in relazione all'articolo 322 ter cod. penumero . Il difensore ricorrente ricorda che in sede di riesame aveva dedotto la violazione dell'articolo 322 ter cod. penumero , nella misura in cui il decreto di sequestro preventivo per equivalente non aveva affatto indagato circa il necessario presupposto della adozione della misura l'esistenza nel patrimonio del debitore dell'imposta, pur se persona giuridica, di beni direttamente o indirettamente riconducibili al profitto del reato. Viene richiamato il precedente costituito dalla pronuncia delle Sezioni Unite Gubert numero 10561/2014, proprio in materia di reati tributari, laddove si legge che è consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto del reato tributario commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quanto tale profitto o beni direttamente riconducibili al profitto sia nella disponibilità ditale persona giuridica e che dunque non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da costoro commessi, quando sia possibile il sequestro finalizzato alla confisco di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa in capo a costoro o a persona compresa quella giuridica non estranea al reato viene richiamato nello stesso senso anche il precedente di questa sez. 3, numero numero 45471/2014 . Il difensore ricorrente rileva che la questione posta con la richiesta di riesame non era puramente formale e dunque non concerneva soltanto la totale assenza nel decreto di sequestro di qualsivoglia accenno ad un accertamento che avesse escluso la praticabilità del sequestro in via diretta del patrimonio del debitore dell'imposta , avendo dimostrato, anzi, i ricorrenti a mezzo di documentazione, prodotta con la medesima richiesta di riesame, che, alla data di adozione del decreto di sequestro, la liquidità della società Toscocarta S.r.l., già ammessa alla procedura di concordato preventivo, era pari ad Euro. 1.306.164,30, cui andava ad aggiungersi il valore del magazzino pari ad Euro.450.000,00 e quello di un bene immobile che gli organi della procedura concordataria avevano stimato pari ad Euro. 880.000,00, a fronte di un debito di imposta di Euro 722.221,92. La effettiva possibilità di garantire il ristabilimento dell'equilibrio finanziario violato tramite il sequestro diretto anche soltanto di poco più della metà del solo denaro contante in possesso della società, rendeva dunque evidentemente illegittimo - secondo la tesi proposta in ricorso - il sequestro per equivalente operato, ex articolo 322 ter c.p. sul patrimonio personale degli indagati. Si duole, invece, il ricorrente che, con l'ordinanza impugnata, il Tribunale di Lucca, dopo aver precisato che il fatto che il debito fosse ampiamente garantito tramite la procedura concordataria che ne prevedeva il pagamento nella sua integrante in via privilegiata non escludeva la legittimità del sequestro, abbia respinto la questione di illegittimità avanzata, operando una propria personale interpretazione della citata sentenza di questa Suprema Corte a Sezioni Unite, interpretazione evidentemente confliggente non soltanto con le espressioni in essa usate, ma anche con la consolidata giurisprudenza di legittimità in punto di profitto del reato tributario. Se infatti il Tribunale di Lucca conviene con la difesa nel ritenere che nei reati tributari il profitto possa assumere le vesti di risparmio di spesa v. Cass. Sez. Unumero 31 gennaio 2013, numero 18734, Adami , nega poi che quel risparmio di spesa, presente nei conti correnti della società, costituisca profitto dei reati tributari commessi sequestrabile in via diretta. La premessa da cui parte il Tribunale, in evidente difformità rispetto alla giurisprudenza formatasi in materia, è che la pronuncia numero 10561 sopra citata vada interpretata nel senso che, anche laddove il profitto sia rappresentato da denaro, il sequestro diretto possa ed anzi debba attingere solo ed esattamente quelle banconote che costituiscono risparmio di spesa di quella specifica violazione della norma tributaria. Non basterebbe, in sostanza, che vi sia risparmio di spesa e dunque denaro liquido nelle casse del debitore di imposta, ma sarebbe necessario che vi sia proprio quel preciso denaro che il debitore avrebbe risparmiato non adempiendo al debito di imposta. Così argomentando il Tribunale giunge a sostenere come in atti non si rinvenga alcun concreto elemento che consenta di affermare che il profitto dell'ipotizzato reato, nel senso ora inteso, sia rimasto nella disponibilità della persona giuridica, tanto da imporre in via preventiva il sequestro, in funzione della confisca diretta, di beni nei confronti della persona giuridica. Non è dato sapere come le somme non corrisposte all'erario siano state utilizzate dalla società e per essa dal suo legale rappresentante . Che nell'ambito dei reati tributari il denaro contante presente nelle casse della società possa essere oggetto di sequestro diretto solo laddove coincida con quello specifico denaro che è stato risparmiato tramite quel preciso inadempimento, a parere del tribunale, emergerebbe proprio dal tenore della sentenza delle Sezioni Unite Gubert sopra citata, che richiederebbe, tanto per il denaro, quanto per gli altri beni fungibili, quanto infine per ulteriori beni, il requisito della diretta derivazione dalla commissione dell'illecito. Il ricorrente lamenta che tale opinione sia priva di pregio, in quanto già la lettura della sentenza delle SSUU evidenzia come l'attributo direttamente riconducibili al profitto , presente nel primo e nel terzo principio di diritto enunciati, sia all'evidenza attributo qualificante la parola beni e non certo le precedenti espressioni denaro e altri beni fungibili . Ciò conseguirebbe non soltanto al chiaro tenore letterale della espressione quando tale profitto o beni direttamente riconducibili al profitto sia nella disponibilità della persona giuridica ed ancora quando sia possibile il sequestro finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto del reato tributario , ma alla natura stessa del denaro, bene fungibile per eccellenza. Viene ricordato in ricorso che identiche espressioni sono state del resto utilizzate da questa Corte di legittimità anche in una successiva sentenza, intervenuta sempre in materia di reati tributari, laddove si è nuovamente precisato che è consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profitto o beni direttamente riconducibili al profitto sia nella disponibilità di tale persona giuridica . sez. 3 numero 22922/2014 , ove la diretta riconducibilità al profitto è di nuovo riferita, all'evidenza, a beni diversi dal profitto stesso, e non certo al denaro o ad altri beni fungibili, per loro natura non suscettibili di precisa identificazione. Ma tale interpretazione - ad avviso del ricorrente - si impone a maggior ragione laddove si presti attenzione all'intera parte motiva della citata sentenza numero 10561/2014. Ivi si precisa infatti che la confisca del profitto, quando si tratta di denaro o di beni fungibili, non è confisca per equivalente, ma confisca diretta a conferma si richiama poi la giurisprudenza di legittimità laddove ha affermato che nel caso in cui il profitto del reato di concussione sia costituito da denaro, è legittimamente operato in base alla prima parte dell'articolo 322ter, comma primo, cod. penumero il sequestro preventivo di disponibilità di conto corrente dell'imputato sez. 6, numero 30966/2007, Puliga, rv 236984 , ed ancora che è pertanto ammissibile il sequestro preventivo, ex articolo 321 cod. proc. penumero , qualora sussistano indizi per i quali il denaro di provenienza illecita sia stato depositato in banca ovvero investito in titoli, trattandosi di assicurare ciò che proviene dal reato e che si è cercato di nascondere con il più semplice degli artifizi sez. 6 numero 23773/2003, Madaffari, rv.225727 . Una simile interpretazione - si rileva ancora in ricorso - è del resto obbligata anche in forza dei precedenti arresti giurisprudenziali, laddove già da tempo in sede di legittimità si era precisato, proprio con riguardo al sequestro diretto, che la fungibilità del denaro e la sua funzione di mezzo di pagamento non impone che il sequestro debba necessariamente colpire le medesime specie monetarie illegalmente percepite, bensì la somma corrispondente al loro valore nominale Sez. Unumero 9.7.2004 numero 29951, e nello stesso senso sez. 6 1.2.1995 numero 4289 . Viene ricordato in proposito che è tornata sull'argomento, di recente, proprio in materia di reati tributari, anche la sentenza numero 37846 pronunciata da questa terza sezione penale in data 16 settembre 2014, precisando che il denaro della società, in quanto comprendente anche il guadagno derivante dal mancato versamento dei tributi, può essere soggetto a sequestro in quanto profitto rimasto nella disponibilità della persona giuridica , e ciò indipendentemente da fatto che quella specifica somma sequestrata sia rappresentata proprio da quella che si sarebbe destinata al pagamento di quella specifica imposta. Nel caso che qui ci occupa le casse della società, come già detto, presentavano, all'epoca del decreto di sequestro, una liquidità pari quasi al doppio dell'imposta evasa ed è nell'ambito di quel denaro che il Tribunale di Lucca avrebbe dovuto individuare, proprio perché denaro rimasto nella disponibilità della persona giuridica e presente sui propri conti correnti, il guadagno derivante dal mancato versamento dei tributi . La presenza di dette somme liquide nel patrimonio del debitore dell'imposta rende evidentemente illegittimo, ex articolo 322 ter c.p., il sequestro per equivalente disposto nei confronti degli indagati. Si chiede pertanto a questa Corte di annullare il provvedimento impugnato. Considerato in diritto 1. I motivi sopra indicati sono fondati e, pertanto, l'ordinanza impugnata va annullata con rinvio al Tribunale di Lucca per un nuovo esame. 2. Va ricordato che l'articolo 325 cod. proc. penumero prevede che, contro le ordinanza in materia di riesame di misure cautelari reali, il ricorso per cassazione possa essere proposto solo per violazione di legge. La giurisprudenza di questa Suprema Corte, anche a Sezioni Unite, ha, tuttavia, più volte ribadito come in tale nozione debbano ricomprendersi sia gli errores in iudicando o in procedendo , sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice vedasi Sez. U, numero 25932 del 29.5.2008, Ivanov, rv. 239692 conf. sez. 5, numero 43068 del 13.10.2009, Bosi, rv. 245093 . Ancora più di recente è stato precisato che è ammissibile il ricorso per cassazione contro le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, pur consentito solo per violazione di legge, quando la motivazione del provvedimento impugnato sia del tutto assente o meramente apparente, perché sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l’ iter logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato, così sez. 6, numero 6589 del 10.1.2013, Gabriele, rv. 254893 nel giudicare una fattispecie in cui la Corte ha annullato il provvedimento impugnato che, in ordine a contestazioni per i reati previsti dagli artt. 416, 323, 476, 483 e 353 cod. penumero con riguardo all'affidamento di incarichi di progettazione e direzione di lavori pubblici, non aveva specificato le violazioni riscontrate, ma aveva fatto ricorso ad espressioni ambigue, le quali, anche alla luce di quanto prospettato dalla difesa in sede di riesame, non erano idonee ad escludere che si fosse trattato di mere irregolarità amministrative . Di fronte all'assenza, formale o sostanziale, di una motivazione, atteso l'obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, viene dunque a mancare un elemento essenziale dell'atto. 3. Deve rilevarsi, ancora, che in tema di reati tributari, il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, può essere pacificamente disposto non soltanto per il prezzo, ma anche per il profitto del reato sez. 3, numero 23108 del 23.4.2013, Nacci, rv. 255446, nella cui motivazione la Corte ha precisato che il principio rimane valido anche dopo le modifiche apportate all'articolo 322 ter cod. penumero dalla I. numero 190 del 2012 conf. sez. 3 numero 35807 del 7.7.2010, Bellonzi e altri, rv. 248618 sez. 3 numero 25890 del 26.5.2010, Molon, rv. 248058 . Il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente articolo 322-ter cod. penumero può essere applicato ai beni anche nella sola disponibilità dell'indagato, per quest'ultima intendendosi, al pari della nozione civilistica del possesso, tutte quelle situazioni nelle quali i beni stessi ricadano nella sfera degli interessi economici del reo, ancorché il potere dispositivo su di essi venga esercitato per il tramite di terzi sez. 3, numero 15210 dell'8.3.2012 . Le Sezioni Unite hanno rilevato, in proposito, che non è rinvenibile in alcuna disposizione legislativa una definizione della nozione di profitto del reato e che tale locuzione viene utilizzata in maniera meramente enunciativa nelle varie fattispecie in cui è inserita, assumendo quindi un'ampia latitudine semantica da colmare in via interpretativa Sezioni Unite, 2.7.2008, numero 26654, Fisia Italimpianti S.p.A. ed altri . In detta pronuncia con riferimento alla confisca di valore prevista dall'articolo 19 del d.Lgs. 8.6.2001, numero 231 sono state richiamate le consolidate affermazioni giurisprudenziali sulla nozione di profitto dei reato contenuta nell'articolo 240 cod. penumero , secondo le quali il profitto a cui fa riferimento l'articolo 240, comma 1, cod. penumero , deve essere identificato col vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dal reato vedi Sez. Unite 24.2.1993, numero 1811, Bissoli 17.10.1996, numero 9149, Chabni Samir . Come affermato dalla condivisibile giurisprudenza di questa Suprema Corte, inoltre, in tema di reati tributari, il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente prevista dall'articolo 1, comma 143, della legge numero 244 del 2007 va riferito all'ammontare dell'imposta evasa, che costituisce un indubbio vantaggio patrimoniale direttamente derivante dalla condotta illecita e, in quanto tale, riconducibile alla nozione di profitto del reato, costituito dal risparmio economico conseguente alla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, di cui certamente beneficia il reo a tal fine, per la quantificazione di questo risparmio, deve tenersi conto anche del mancato pagamento degli interessi e delle sanzioni dovute in seguito all'accertamento del debito tributario così questa sez. 3, 23 ottobre 2012, numero 45849 . In particolare, va sottolineato che l’IVA sottratta al fisco costituisce il profitto del reato sez. 3 numero 25890/2010 Sez. Unite 38691/2009 Va peraltro ricordato che in tema di misure cautelari reali, il Tribunale del riesame che proceda alla conferma del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, non deve accertare, ai fini del rispetto del principio di proporzionalità, l'esatta corrispondenza tra profitto del reato e quantum sottoposto a vincolo cautelare, essendo, invece, sufficiente che motivi sulla non esorbitanza del valore dei beni sequestrati rispetto al credito garantito sez. 3, numero 39091 del 23.4.2013, Cianfrone, rv. 257284 . Ne consegue che, laddove la valutazione del giudice risponda a tali criteri, essa è insindacabile in sede di legittimità. Il provvedimento del tribunale del riesame che conferma il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente può essere, infatti, ritenuto illegittimo nel solo caso in cui non contenga alcuna valutazione sul valore dei beni sequestrati valutazione necessaria al fine di verificare il rispetto del principio di proporzionalità tra il credito garantito ed il patrimonio assoggettato a vincolo cautelare, non essendo consentito differire l'adempimento estimatorio alla fase esecutiva della confisca ex multis, sez. 3, 7 ottobre 2010, numero 41731 . 4. Ciò premesso, ritiene il Collegio che nel caso all'odierno esame, come si andrà a specificare, si sia in presenza di un deficit motivazionale tale da configurare l'errata applicazione di norme di diritto. Il giudice della cautela toscano erra, infatti, laddove confuta le argomentazioni del ricorrente sul presupposto che in atti non si rinvenga alcun concreto elemento che consenta di affermare che il profitto dell'ipotizzato reato, nel senso ora inteso, sia rimasto nella disponibilità della persona giuridica, tanto da imporre in via preventiva il sequestro, in funzione della confisca diretta, di beni nei confronti della persona giuridica. Non è dato sapere come le somme non corrisposte all'erario siano state utilizzate dalla società e per essa dal suo legale rappresentante cfr. pag. 3 dell'ordinanza impugnata . Questa Corte di legittimità ha già in più occasioni chiarito, infatti, il principio - che va qui ribadito - secondo cui in tema di confisca per equivalente, qualora il profitto tratto da taluno dei reati sia costituito da denaro, l'adozione del sequestro preventivo non è subordinata alla verifica che le somme provengano dal delitto e siano confluite nella effettiva disponibilità dell'indagato, in quanto il denaro oggetto di ablazione deve solo equivalere all'importo che corrisponde per valore al prezzo o al profitto del reato, non sussistendo alcun nesso pertinenziale tra il reato e il bene da confiscare cfr. sez. 2, numero 21228 del 29.4.2014, Riva Fire spa, rv. 259717, fattispecie, in materia di truffa, nella quale veniva disposto il sequestro per equivalente nei confronti di una società, responsabile per illecito amministrativo ex L. 231 del 2001 . Esplicito sul punto è anche l'arresto giurisprudenziale richiamato dal ricorrente numero 37846 del 7.5.2014, Aiello, non mass., che, peraltro, si è collocato nel solco costituito dalla pronuncia delle Sez. Unite numero 29951 del 24.5.2004, C. fall, in proc. Foscarelli, rv. 228166. In tale ultima occasione le SS.UU. esaminarono proprio la questione dei limiti del sequestro preventivo finalizzato alla confisca di somme di denaro che costituiscono profitto del reato . E affermarono, condivisibilmente, che tale sequestro deve ritenersi sicuramente ammissibile sia allorquando la somma si identifichi proprio in quella che è stata acquisita attraverso l'attività criminosa sia ogni qual volta sussistano indizi per i quali il denaro di provenienza illecita sia stato depositato in banca ovvero investito in titoli, trattandosi di assicurare ciò che proviene dal reato e che si è cercato di occultare sez. 6, numero 23773 del 25.3.2003, Madaffari , rilevando essere evidente, a tal proposito, che la fungibilità del denaro e la sua funzione di mezzo di pagamento non impone che il sequestro debba necessariamente colpire le medesime specie monetarie illegalmente percepite, bensì la somma corrispondente al loro valore nominale, ovunque sia stata rinvenuta, purché sia attribuibile all'indagato sez. 6, numero 4289 del 1.2.1995, Carullo . È vero che nell'occasione le SS.UU. precisarono che deve pur sempre sussistere, comunque, il rapporto pertinenziale, quale relazione diretta, attuale e strumentale, tra il danaro sequestrato ed il reato del quale costituisce il profitto illecito utilità creata, trasformata od acquisita proprio mediante la realizzazione della condotta criminosa e, in particolare, in relazione agli illeciti fiscali, che devono escludersi collegamenti esclusivamente congetturali, che potrebbero condurre all'aberrante conclusione di ritenere in ogni caso e comunque legittimo il sequestro del patrimonio di qualsiasi soggetto venga indiziato di illeciti tributari. Ma sul punto ritiene il Collegio che occorre essere chiari. Di fronte ad un reato, come quello che ci occupa, la cui condotta si sostanzi nell'omissione di un versamento di una somma di danaro all'Erario, ad un Ente Previdenziale o a chicchessia, il profitto si identifica nel risparmio di spesa. E se nelle casse di colui persona fisica o società su cui gravava l'obbligo di versamento viene rinvenuto del danaro, trattasi di profitto sequestrabile direttamente riconducibile al reato. E ciò vale sia se si voglia aderire all'orientamento giurisprudenziale per cui trattasi di sequestro diretto che se si opini che si tratti di sequestro finalizzato alla confisca per equivalente. Reiteratamene, sul punto, questa Corte ha affermato che la nozione di profitto confiscabile va individuata nel vantaggio patrimoniale di diretta derivazione dal reato cfr. sez. 6, numero 37556 del 27.9.2007, De Petro Mazarino, rv. 238033 . E le Sezioni Unite hanno ribadito il principio secondo cui, in tema di reati tributari, il profitto confiscabile anche nella forma per equivalente è costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito dalla consumazione del reato e può dunque consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi, sanzioni dovuti a seguito dell'accertamento del debito tributario Sez. unumero , numero 18734 del 31.1.2013, Adami, rv. 255036. Ma vi è di più. Non è necessario che il danaro rinvenuto sia liquido. Questa Corte, condivisibilmente, ha precisato che in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca prevista dall'articolo 322 ter cod.penumero , costituiscono profitto del reato anche gli impieghi redditizi del denaro di provenienza delittuosa e i beni in cui questo è trasformato, in quanto tali attività di impiego di trasformazione non possono impedire che venga sottoposto ad ablazione ciò che rappresenta l'obiettivo del reato posto in essere sez. 6, numero 11918 del 14.11.2013 dep. il 12.3.2014, Rossi, rv. 262613 . E, ancora di recente, è stato ribadito che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del denaro, costituente il profitto del reato, può colpire sia la somma che si identifica proprio in quella che è stata acquisita attraverso l'attività criminosa sia la somma corrispondente al valore nominale, ovunque sia stata rinvenuta e comunque sia stata investita sez. 2, numero 14600 del 12.3.2014, Ber Banca spa, fattispecie relativa al sequestro preventivo di denaro, titoli, valori, beni mobili, immobili ed altre utilità nella disponibilità di una banca, corrispondenti al prezzo del reato di market abuse , commesso dai legali rappresentati della banca medesima . 5. Così delineati i principi relativi al concetto di profitto e di riconducibilità a quello del danaro o dei diretti investimenti di quello rinvenuti nel possesso del soggetto nel cui interesse sia stato commesso il reato tributario, il giudice di rinvio potrà fare corretta applicazione dei principi di diritto più volte richiamati di cui alla nota sentenza delle SS.UU. numero 10561/2014, Gubert, che gioverà ricordare I. È consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profitto o beni direttamente riconducibili al profitto sia nella disponibilità di tale persona giuridica. II. Non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di una persona giuridica qualora non sia stato reperito il profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa, salvo che la persona giuridica sia uno schermo fittizio. III. Non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da costoro commessi, quando sia possibile il sequestro finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa in capo a costoro o a persona compresa quella giuridica non estranea al reato. IV. La impossibilità del sequestro del profitto del reato può essere anche solo transitoria, senza che sia necessaria la preventiva ricerca generalizzata dei beni costituenti il profitto di reato. È dunque consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profitto o beni direttamente riconducibili al profitto sia nella disponibilità di tale persona giuridica. Tuttavia la stessa sentenza Gubert, dopo avere precisato che l'impossibilità del sequestro del profitto del reato può essere anche solo transitoria, senza che sia necessaria la preventiva ricerca generalizzata dei beni costituenti il profitto di reato stesso, afferma anche il principio che non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di una persona giuridica qualora non sia stato reperito il profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa, salvo che la persona giuridica sia uno schermo fittizio e non è il caso che ci occupa . Solo se il profitto del reato, come sopra precisato, non sia più rinvenibile nelle casse della società, correttamente possono essere sottoposti a vincolo i beni dell'amministratore. 6. Il caso in esame deve tuttavia, tenere conto, di un'ulteriore peculiarità, di cui il giudice del rinvio dovrà dare meglio conto in motivazione. Dal provvedimento impugnato si evince che l'indagine penale a carico degli odierni ricorrenti sia partita dalla denuncia dell'Agenzia delle Entrate di Lucca depositata il 9.7.2013 e dall'attività di indagine delegata della GdF sintetizzata nell'informativa di P.G. dell'8.7.20 4, da cui è risultato che la Toscocarta S.r.l. - con riferimento all'anno di 2009, non ha provveduto a versare, entro il termine previsto per il versamento dell'acconto relativo al periodo d'imposta successivo, l'I.V.A. dovuta in base alla dichiarazione annuale presentata il 29.9.2010, per un importo pari a 208.991,91 Euro il P.M. ha indicato la superiore somma di Euro 215.42 1,00, che effettivamente corrisponde al complessivo ammontare dell'IVA per l'anno 2009 ma la P.G., a pag.62 del fascicolo, specifica che alla dato dei 29.6.2014, ditale somma doveva essere corrisposto non l'intero ma il minor importo di 208.991,91 - con riferimento all'anno di imposta 2010, non ha provveduto a versare, entro il termine previsto per il versamento dell'acconto relativo al periodo d'imposta successivo, l’I.V.A. dovuta in base alla dichiarazione annuale presentata il 30.9.2011, per un importo pari ad Euro 240.477,00 - con riferimento all'anno di imposta 2011, non ha provveduto a versare, entro il termine previsto per il versamento dell'acconto relativo al periodo d'imposta successivo, l'I.V.A. dovuta in base alla dichiarazione annuale presentata il 1.10.2012, per un importo pari ad Euro 272.783,00. Viene altresì dato atto che dalla visura camerale in atti si evince che dal 4.11.2010 e fino all'11.12.2011 G.A. è stato oltre che consigliere, dal 25.6.2008 anche Presidente del Consiglio di Amministrazione della società che dal 12.12.2011 al 31.5.2012 il Presidente del Consiglio di Amministrazione è stato Gi.At. , già consigliere delegato dal 10.1.2011 e che dal 1.6.2012 è stato nominato amministratore unico della società G.A. . Il tribunale lucchese da poi atto che il sequestro è stato disposto ed ha aggredito, per equivalente fino alla concorrenza delle somme indicate, i beni degli indagati come persone fisiche, nonostante che ciascuno di loro sia stato indicato come avere agito in qualità di legale rappresentante di una persona giuridica, visto che per i reati tributari il D.lvo 231/2001, come pure l'articolo 322 ter c.p., non ha previsto alcuna forma di responsabilità dell'ente, come evidenziato al riguardo da Cass. S.U. numero 10561/2014. Punto dirimente è, tuttavia, quello successivo. I giudici della cautela toscani danno atto che dalla nota della Guardia di Finanza si rileva che, con provvedimento del 28.6.2013, depositato il 3.7.2013, la società è stata ammessa alla procedura di concordato preventivo, a seguito di proposta presentata il 5.6.13 come documentato dalla difesa. Nella motivazione del provvedimento impugnato si da altresì atto che la difesa evidenziava in quella sede che il relativo piano concordatario, omologato in data 21 luglio 2014, contemplava un attivo di Euro 4.012.058,00 di cui Euro 849.295,00= in liquidità, Euro 900.000,00= in beni immobili ed Euro.450.000,00 in magazzino ed una proposta irrevocabile di acquisto della azienda per Euro 800.000,00= inoltre in detto piano concordatario il pagamento dell'imposta sul Valore Aggiunto nella misura di Euro 915.445,00= è stato previsto nella sua totalità ed ammesso in privilegio, così garantendone la riscossione da parte dello Stato. Viene ancora evidenziato come la difesa avesse documentato che alla data della richiesta di sequestro preventivo 29/30 settembre 2014 e così alla data di emissione del decreto di sequestro preventivo 9 ottobre 2014 la liquidità della società era pari ad E1.306.164,30 e che ad esso andava ad aggiungersi il valore del magazzino per Euro. 450.000,00 ed un bene immobile per Euro 880.000,00 , tutti beni immediatamente aggredibili. Ebbene, sul punto, della intervenuta omologazione del concordato preventivo in data 21 luglio 2014, si legge in via incidentale in motivazione che non risulta prodotta documentazione . Si tratta di un elemento su cui il giudice del rinvio dovrà dare conto in maniera più dettagliata. Ciò in quanto questo Collegio non ritiene condivisibile, in diritto, la successiva affermazione operata dai giudici lucchesi secondo cui la presenza di una così cospicua liquidità non costituisca ragione sufficiente a far venire meno i presupposti del disposto sequestro preventivo. Corretti, ma inconferenti, sono i richiami ai precedenti arresti di questa Corte regolatrice secondo cui, da un lato, in tema di reati tributari, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto del reato, corrispondente all'ammontare dell'imposta evasa, può essere legittimamente mantenuto fino a quando permane l'indebito arricchimento derivante dall'azione illecita, che cessa con l'adempimento dell'obbligazione tributaria così questa sez. 3, nelle richiamate sentenze numero 43811/2014, numero 46726/2012 e, dall'altro, il mantenimento della misura ablativa è giustificato fino al momento in cui si realizza il recupero delle imposte evase a favore dell'amministrazione finanziaria con corrispondente deminutio del patrimonio personale del contribuente, momento superato il quale non ha più ragione di essere mantenuto in vita il sequestro preventivo. E corretto è anche affermare che la ratio legis contenuta nelle norme che prevedono il sequestro e la confisca per equivalente nei reati tributari impone di ritenere che solo l'adempimento dell'obbligazione tributaria faccia venir meno la ragione giustificativa della misura ablatoria. Tuttavia la conclusione cui pervengono i giudici lucchesi circa il fatto che il concordato preventivo sia allo stato un mero progetto di pagamento, non ancora attuato, per cui non si è ancora verificato alcun effettivo e concreto recupero delle imposte evase a favore dell'amministrazione finanziaria, di modo che è giustificato il mantenimento in essere della misura cautelare reale può essere ritenuta corretta in diritto solo se messa in relazione alla mancata prova dell'avvenuta omologazione dello stesso. Diversamente, occorre, che il giudice di rinvio tenga conto del condivisibile principio che questa Corte Suprema ha affermato di recente secondo cui va in ogni caso tenuto conto, ai fini della valutazione del fumus commissi delicti del reato di cui all'articolo 10 ter D.lgs 74/2000, dell'esistenza del concordato preventivo, del tempo in cui lo stesso è intervenuto e dell'inserimento integrale del debito tributario nello stesso cfr. la sentenza di questa sez. 3, numero 15853 del 12.3.2015, Fantini, allo stato non ancora massim. . P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Lucca.