Scarica la rabbia su un’automobile, e viene ripreso da una videocamera privata: condannato

Definitiva la pena per un uomo due mesi di reclusione. Inequivocabile la condotta da lui tenuta egli è responsabile del danneggiamento di un veicolo, di proprietà di una donna. Decisive, e legittime, le riprese effettuate da una videocamera installata da privati cittadini.

Automobile – di proprietà di una donna – presa di mira da un uomo. Condotta chiarissima inequivocabili, difatti, gli ‘sfregi’ messi in atto. Decisive le videoriprese effettuate da una telecamera installata da privati cittadini e capace di ‘coprire’ anche l’area dove era parcheggiata la vettura. Consequenziale, e legittima, la condanna dell’uomo per il reato di danneggiamento Cass., sent. n. 22093/2015, Seconda Sezione Penale, depositata oggi . Videocamera. Posizione comune, quella assunta dai giudici di merito, i quali ritengono l’uomo responsabile del danneggiamento della vettura di proprietà di una donna. Passaggio successivo è l’applicazione di una pena pari a due mesi di reclusione . Fatale, per l’uomo, l’essere stato colto sul fatto dall’‘occhio’ di una videocamera privata. Proprio quest’ultimo elemento diviene centrale nel ricorso in Cassazione proposto dal legale dell’uomo. In sostanza, viene sostenuta la inutilizzabilità, quale prova atipica e documentale, delle videoriprese che documentavano i fatti di danneggiamento , perché, secondo il legale, non sarebbe stata accertata né la regolarità della posizione della videocamera né la relativa potenziale sua idoneità a ledere il diritto alla privacy . Tale obiezione, però, si rivela assolutamente inutile. Per i giudici del ‘Palazzaccio’, difatti, sono valide le videoriprese contestate. Ciò per una ragione semplicissima vanno considerate legittime e pienamente utilizzabili, senza alcuna autorizzazione dell’autorità giudiziaria, le videoriprese, eseguite da privati, mediante telecamera esterna installata sulla loro proprietà, che consentono di captare ciò che accade nell’ingresso, nel cortile e sui balconi del domicilio di terzi, i quali, rispetto alle azioni che ivi si compiono, non possono vantare alcuna pretesa al rispetto della riservatezza, trattandosi di luoghi che, pur essendo di privata dimora, sono liberamente visibili dall’esterno, senza ricorrere a particolari accorgimenti . Peraltro, è irrilevante anche la sottolineatura, da parte del legale, del mancato accertamento sul punto dove era collocata la videocamera , perché, spiegano i giudici, la legittimità della collocazione, da parte di privati, di strumenti fissi di registrazione, a tutela della proprietà privata, deve ritenersi presunta . Tutte queste valutazioni conducono a un esito logico conferma, senza tentennamenti, della condanna nei confronti dell’uomo.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 19 – 27 maggio 2015, n. 22093 Presidente Fiandanese – Relatore Macchia Osserva Con sentenza del 14 maggio 2014, la Corte di appello di Bologna ha dichiarato inammissibile l'appello incidentale proposto dalla parte civile P.E. ed ha confermato la sentenza pronunciata il 18 luglio 2013 dal Tribunale di Reggio Emilia con la quale B.G. era stato dichiarato responsabile di danneggiamento della vettura di G.M. e condannato alla pena di mesi due di reclusione. Propone ricorso per cassazione il difensore dell'imputato il quale, ripropone, nel primo motivo, la inutilizzabilità, quale prova atipica e documentale, delle video riprese che documentavano i fatti di danneggiamento, in quanto non sarebbe stata accertata la regolarità della posizione della videocamera e dunque la sua idoneità a ledere il diritto alla privacy. Si lamenta poi l'ammontare del risarcimento in favore della G., in quanto il suo appello incidentale per l'altra vettura non è stato accolto, e i relativi fatti di danneggiamento sarebbero comunque prescritti. Doveva poi essere rimborsata l'attività difensiva svolta per contrastare l'appello incidentale del P., dichiarato inammissibile. Si deduce, poi, che dai nastri della videocamera si ricava che il danneggiamento risalirebbe al 22 ottobre 2006 e quindi a termine di prescrizione maturato prima della pronuncia della sentenza di appello, mentre non sarebbe condivisibile l'assunto della Corte territoriale secondo la quale dovrebbero conteggiarsi i periodi di sospensione determinati dai rinvii per trattative richiesti dalle parti, venendo meno all'obbligo di una puntuale motivazione sul punto. Le parti civili E.P. e M. G. hanno presentato memoria chiedendo il rigetto per inammissibilità e/o infondatezza del ricorso. Il ricorso è palesemente destituito di fondamento giuridico. A proposito della nuovamente dedotta inutilizzabilità delle video riprese va rammentato che questa Corte ha in più occasioni avuto modo di puntualizzare che in tema di prova atipica, sono legittime e pienamente utilizzabili senza alcuna autorizzazione dell'autorità giudiziaria le videoriprese, eseguite da privati, mediante telecamera esterna installata sulla loro proprietà, che consentono di captare ciò che accade nell'ingresso, nel cortile e sui balconi del domicilio di terzi, i quali, rispetto alle azioni che ivi si compiono, non possono vantare alcuna pretesa al rispetto della riservatezza, trattandosi di luoghi, che, pur essendo di privata dimora, sono liberamente visibili dall'esterno, senza ricorrere a particolari accorgimenti. Sez. 2, n. 46786 del 24/10/2014 - dep. 12/11/2014, PG. PC. e Borile, Rv. 261053 . Va peraltro osservato, in via assorbente, che, nella specie, non soltanto non risulta in alcun modo profilata una qualche circostanza di fatto dalla quale dedurre la esistenza di una ipotetica violazione della disciplina dettata dal cosiddetto codice della privacy introdotto dal d.lgs. n. 196 del 2003, ma si lamenta, nella sostanza, soltanto un mancato accertamento sul punto, quando la legittimità della collocazione da parte di privati di strumenti fissi di registrazione a tutela della proprietà privata deve ritenersi presunta. Il tema, infatti, non presenta interferenza alcuna con quello delle riprese video di comportamenti non comunicativi effettuate a fini investigativi, rispetto alle quali operano i limiti e le condizioni additati dalla giurisprudenza di questa Corte. Non è un caso, d'altra parte, che questa Corte abbia avuto modo di sottolineare, anche di recente, che sono utilizzabili nel processo penale, ancorché imputato sia il lavoratore subordinato, i risultati delle videoriprese effettuate con telecamere installate all'interno dei luoghi di lavoro ad opera del datore di lavoro per esercitare un controllo per tutelare il patrimonio aziendale messo a rischio da possibili comportamenti infedeli . dei lavoratori, in quanto le norme dello Statuto dei lavoratori poste a presidio della loro riservatezza non proibiscono i cosiddetti controlli difensivi del patrimonio aziendale e non giustificano pertanto l'esistenza di un divieto probatorio. Sez. 2, n. 2890 del 16/01/2015 - dep. 22/01/2015, Boudhraa, Rv. 262288 . Le restanti censure sono del pari palesemente destituite di fondamento. I profili risarcitori relativi delle domande civili in appello, infatti, non hanno formato oggetto di specifiche richieste formulate nella competente sede del merito, mentre la prescrizione non era maturata alla data della pronuncia della sentenza di appello, tenendo conto -come correttamente ha dedotto la Corte territoriale - dei periodi di sospensione per rinvii richiesti dalle parti. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in euro 1.000,00 alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000. L'imputato va altresì condannato alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile G.M. che si liquidano come da dispositivo. Non può invece trovare accoglimento la richiesta di rimborso delle spese legali sostenute nell'interesse di P.E., per difetto di legittimazione. La stessa sentenza di appello, infatti, ha dichiarato inammissibile l'appello incidentale proposto nell'interesse del P., sul rilievo che l'appello principale aveva lasciato del tutto fuori dal proprio oggetto la sua posizione, né poteva fare altrimenti, atteso che vi era stata sul punto assoluzione piena. La pronuncia, non reclamata in parte qua, è dunque irrevocabile e determina la mancanza di legittimazione a ulteriormente intervenire in causa da parte dello stesso P P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile G.M. che liquida in complessivi euro 2.500 oltre spese generali, IVA e CPA, come per legge.