Prima maltrattata, poi perseguitata, infine costretta a lasciare il lavoro: compagno condannato

Inequivocabile la assurda condotta di un uomo, violenta e ripetuta, e tale da obbligare la compagna a stravolgere la propria vita. Significativa, su tutto, la decisione della donna di abbandonare il proprio lavoro, pur dovendo provvedere alle figlie.

Vita completamente stravolta per una donna, letteralmente perseguitata dal compagno. Significativa la decisione estrema di abbandonare il lavoro, pur dovendo ella mantenere le figlie. Inequivocabili, quindi, gli effetti negativi provocati dalle azioni dell’uomo, legittimamente condannato per il reato di stalking Cassazione, sentenza n. 22066, sez. VI Penale, depositata il 26 maggio 2015 . Vita stravolta. Nessun dubbio hanno espresso il gip prima e i giudici della Corte d’appello poi evidenti le responsabilità di un uomo. Quest’ultimo ha maltrattato la compagna, costretta, peraltro, a subire anche atti persecutori . Su quest’ultimo punto, in particolare, si sofferma l’uomo, contestando, col ricorso in Cassazione, la condanna decisa in secondo grado. Ma ogni obiezione si rivela pretestuosa. Per i giudici del ‘Palazzaccio’, difatti, alla luce della ricostruzione della triste vicenda, è cristallina la responsabilità dell’uomo. Accertato , in sostanza, il suo comportamento reiterato e violento , tale da causare un fondato timore, nella vittima, per la sua incolumità e quella dei suoi prossimi congiunti . Difatti, ella è stata obbligata ad alterare le proprie abitudini di vita , arrivando addirittura a lasciare il lavoro, pur avendo delle figlie da mantenere .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 29 aprile – 26 maggio 2015, n. 22066 Presidente Milo – Relatore Capozzi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 10.7.2014 la Corte di appello di Salerno, a seguito di gravame interposto dall'imputato K.A. avverso la sentenza emessa dal GIP del Tribunale di Vallo della Lucania il 31.2.2013, ha confermato detta sentenza con la quale il predetto imputato è stato riconosciuto colpevole dei reati di cui agli artt. 572 cod. pen. capo A , 582, 585, 576 n. 1 in relazione all'art. 61 n. 2 cod. pen. capo B e 612 bis cod. pen. capo C e condannato a pena di giustizia. 2. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del difensore, deducendo mancanza di motivazione riguardo alla configurabilità del delitto di cui all'art. 612 bis cod. pen. sub C ed in relazione allo specifico motivo di gravame proposto in appello. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato. 1. Invero, del tutto congrua deve ritenersi - rispetto al generico motivo di appello proposto dal ricorrente in ordine alla affermazione di responsabilità in ordine al reato sub C - la motivazione della sentenza impugnata che, letta in uno alla motivazione della prima conforme decisione, ha fondato la responsabilità in ordine al reato di cui all'art. 612 bis cod. pen. ritenendo accertato quel comportamento reiterato e violento che ebbe a causare un fondato timore nella vittima per la sua incolumità e quella dei suoi prossimi congiunti, tale da alterare le proprie abitudini di vita, fino a lasciare il lavoro pur avendo delle figlie da mantenere. 2. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.