L’INPS può provare l’omesso versamento dei contributi sulla base dei modelli presentati dal datore di lavoro

L’elemento costitutivo del reato di omesso versamento di prestazioni contributive è individuato nell’assenza materiale dell’esborso delle somme dovute al dipendente a titolo di contributi, ma è stato comunque precisato che la prova dell’effettiva corresponsione delle retribuzioni può essere tratta dei modelli DM 10 che attestano l’ammontare delle retribuzioni dovute ai dipendenti e i conseguenti obblighi contributivi nei confronti dell’INPS. Tali modelli hanno dunque pacifica natura ricognitiva della situazione debitoria del datore di lavoro e la loro presentazione equivale all’attestazione di aver corrisposto le retribuzioni ivi risultanti.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 21619/15 depositata il 25 maggio. Il caso. La Corte d’appello de L’Aquila confermava la sentenza del giudice di prime cure che condannava l’imputato per il reato di omesso versamento di contributi previdenziali sulle retribuzioni dei propri lavoratori dipendenti. Avverso tale pronuncia l’imputato ricorre innanzi alla Cassazione lamentando la mancata produzione in giudizio dei modelli DM10 da parte dell’INPS che aveva invece fornito prospetti riepilogativi non determinanti per l’attestazione dell’omesso versamento, neppure a titolo indiziario. Il modello DM 10 valenza probatoria. Il ricorrente solleva poi dubbi in ordine alla natura e all’efficacia probatoria del medesimo modello. Il DM 10 sarebbe un documento elettronico con cui il datore di lavoro invia un prospetto, in cui riepiloga l’importo delle retribuzioni mensili dei dipendenti e non potrebbe dunque, a detta del ricorrente, rappresentare una prova diretta circa l’effettiva corresponsione dei contributi previdenziali ai dipendenti, dovendo tale documento considerarsi come una mera ricognizione di debito e non come un’attestazione di avvenuto pagamento. Allo stesso modo, la busta paga, continua il ricorrente, non costituirebbe la prova dell’avvenuto pagamento della retribuzione, posto che la sottoscrizione da parte del datore di lavoro costituisce solo una presunzione di pagamento. La prova dell’omesso versamento dei contributi. Le prospettazioni difensive del ricorrente sono manifestamene infondate. Se è vero che la giurisprudenza individua l’elemento costitutivo del reato ascritto all’imputato nell’assenza materiale dell’esborso delle somme dovute al dipendente a titolo di contributi, è stato comunque precisato che la prova dell’effettiva corresponsione delle retribuzioni può essere tratta dei modelli che attestano l’ammontare delle retribuzioni dovute ai dipendenti e i conseguenti obblighi contributivi nei confronti dell’INPS. I c.d. modelli DM 10 hanno dunque pacifica natura ricognitiva della situazione debitoria del datore di lavoro e la loro presentazione equivale all’attestazione di aver corrisposto le retribuzioni ivi risultanti. Nel caso di specie, i prospetti riepilogativi prodotti in giudizio dall’istituto previdenziale riportano i saldi risultanti dai mod. DM 10 precedentemente inviati dal datore di lavoro, trattandosi difatti di comunicazioni che normalmente l’INPS invia alle aziende dopo aver ricevuto, per via telematica dai datori di lavoro tramite PIN personale, i mod. DM 10/2. L’attestazione telematica dell’avvenuta ricezione dei modelli. Correttamente dunque i giudici di merito hanno ritenuto che la produzione in giudizio dell’attestazione telematica da parte dell’istituto dell’avvenuta ricezione dei modelli summenzionati attesta, salvo prova contraria, l’effettiva presentazione degli stessi traendone dunque la prova della corresponsione delle retribuzioni. Coerentemente con quanto affermato dalla costante giurisprudenza di legittimità, la Corte territoriale ha escluso che ci sia un’inversione dell’onere della prova a carico dell’imputato, evidenziando che la prova del versamento delle retribuzioni può essere dedotta dalla presentazione dei modelli, ferma restando la possibilità per l’imputato di fornire prova contraria. Per questi motivi, la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 14 aprile – 25 maggio 2015, n. 21619 Presidente Fiale – Relatore Pezzella Ritenuto in fatto La Corte di Appello di L'Aquila, pronunciando nei confronti dell'odierno ri corrente M.C. , con sentenza del 14.4.2014, confermava la sentenza del Tribunale di Teramo, emessa in data 18.1.2012, con condanna al pagamento delle maggiori spese del grado. Il Tribunale di Teramo aveva dichiarato M.C. responsabile del reato previsto dall'art. 81 c.p. 2 L. 638/83, come modificato dall'art. 1 dlvo 211/94 perché, in qualità di legale rappresentante della ditta Moro Cecchino con sede legale in omissis , con più azioni esecutive del medesimo dise gno criminoso, ometteva di versare all'INPS di Teramo le quote previdenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti relative ai periodi luglio 2006 e da marzo 2007 a settembre 2007 per un ammontare complessivo di ritenute non versate di euro 566,00 importo quote a carico del lavoratore non versate . Accertato in omissis . L'imputato era stato condannato in primo grado alla pena di mesi 4 di re clusione ed Euro 450,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. 2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, per sonalmente, M.C. , deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen. - Inosservanza o erronea applicazione della legge penale efficacia probato ria dei modelli DM 10. Il ricorrente deduce che non sarebbero stati prodotti in giudizio i modelli DM10, ma dei semplici prospetti riepilogativi predisposti dall'INPS denominati attestazioni della denuncia contributiva relativa al periodo . In sostanza il prospetto sarebbe un documento elaborato dall'Inps sulla base della denuncia di Mod. DM10. Si tratterebbe, secondo il ricorrente, di un mezzo di prova che non potrebbe attestarsi, in relazione all'elemento costitutivo dell'appropriazione, neppure a prova indiziaria. Nel giudizio di primo grado il teste Ma. , ispettore Inps, avrebbe dichia rato di non essere a conoscenza se fosse avvenuto o meno il materiale esborso delle retribuzioni. Ciò costituirebbe un elemento contrario perché dimostrerebbe l'incertezza circa l'effettivo pagamento delle retribuzioni quale elemento costitutivo del reato o comunque non consentirebbe di non ottemperare al principio in dubio pro reo . Tale motivo di appello non sarebbe stato preso in considerazione dalla Corte distrettuale che avrebbe tratto la prova della penale responsabilità dai DM10, omettendo la valutazione della testimonianza. Il ricorrente solleva, poi, i propri dubbi in ordine alla natura ed efficacia pro batoria dei mod. DM10. Il DM 10 sarebbe un documento elettronico con cui il datore di lavoro invia un prospetto, in cui riepiloga l'importo delle retribuzioni mensili dei dipendenti risultante dalla sommatoria degli ulteriori modelli O1M, laddove quest'ultimo documento attesterebbe la retribuzione mensile del singolo dipendente. Il DM 10, quindi non potrebbe, secondo il ricorrente, rappresentare una prova diretta circa l'effettiva corresponsione degli emolumenti retributivi ai dipendenti. Anche nel caso, insussistente nel caso in esame, quindi, di effettiva acquisi zione del documento, pur volendo ritenere che detto documento provenga effet tivamente dal datore di lavoro, non potrebbe il Giudice non considerare che il modello possa rappresentare solo una ricognizione di debito e non una attesta zione di avvenuto pagamento. Anche la busta paga, continua il ricorrente, non costituisce prova dell'avvenuto pagamento della retribuzione, e la sua sottoscrizione da parte del lavoratore costituisce solo presunzione relativa del pagamento, salvo il caso in cui la quietanza avvenga in presenza degli organi sindacali. Pertanto, il DM 10 non può costituire prova, ma semplice indizio che, consi derato isolatamente, non può individuare il fatto del thema probandum. Nel caso di specie, poi, il documento non sarebbe stato prodotto ed acquisito agli atti ma su di esso si sarebbe riferito de relato tramite testimonianza, così da non averne accertata la sua autenticità. In ogni caso, pur ammettendo la certezza del documento, il fatto indiziato non potrebbe essere provato da un solo indizio ma da una pluralità di indizi gravi, precisi e concordanti. Requisiti, questi ultimi, previsti dal legislatore al fine di assicurare che l'inferenza logica, che da un fatto consente di pervenire alla dimostrazione di un fatto ignorato, resista al rischio di falsificazioni della realtà. Il DM10 non sarebbe esente da questo rischio, assume il M. , atteso che le busta paga possono avere una duplice e contrastante valenza probatoria. L'attestazione fatta dal datore di lavoro nei modelli, attesterebbe solo la conformità dei dati riportati alle registrazioni fatte sui libri paga, ma non certa mente l'avvenuta trattenuta sulle retribuzioni. Il documento nulla direbbe in ordine all'elemento appropriativo del reato ascritto al ricorrente. Quest'ultimo sarebbe contenuto nel solo quadro I del mo dello, laddove il datore di lavoro contrassegna la voce relativa all'effettiva trattenuta. Nel caso di specie, tuttavia, non sarebbe stato acquisito materialmente il modello DM 10, ma la semplice attestazione dell'INPS, che nulla rileverebbe in proposito. Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata con ogni conse guente statuizione. Considerato in diritto 1. I motivi sopra illustrati sono manifestamente infondati, e, pertanto, il proposto ricorso va dichiarato inammissibile. 2. Quanto alla individuazione dell'elemento costitutivo del reato di cui all'art. 2 commi 1 e 1 bis D.L. n. 463/1983 convertito nella legge 638/83 e succ. mod. , è vero che le Sezioni Unite di questa Corte Sez. U. n. 27641 del 28.5.2003, Silvestri, rv. 224309 conf. sez. 3, n. 35948 del 30.5.2003. Paletti, rv. 225552 sez. 3, n. 42378 del 19.9.2003, Soraci, rv. 226551 hanno affer mato che il reato di cui all'art. 2 della legge 11 novembre 1983 n. 638 non è configurabile in assenza del materiale esborso delle relative somme dovute al di pendente a titolo di retribuzione. È stato, tuttavia, anche precisato che la prova dell'effettiva corresponsione delle retribuzioni, nel processo per il reato di cui ci si occupa, può essere tratta dai modelli attestanti le retribuzioni corrisposte ai dipendenti e gli obblighi con tributivi verso l'istituto previdenziale cosiddetti modelli DM 10 , sempre che non risultino elementi contrari. cfr., ex plurimis, questa sez. 3, n. 46451 del 7.10.2009, Carella, rv. 245610 aez. 3, n. 14839 del 4.3.2010, Nardiello, rv. 246966 secondo cui l'effettiva corresponsione delle retribuzioni ai lavoratori di pendenti, a fronte di un'imputazione di omesso versamento delle relative ri tenute previdenziali ed assistenziali, può essere provata sia mediante il ricorso a prove documentali, come i cosiddetti modelli DM/10 trasmessi dal datore di lavo ro all'INPS, e testimoniali, sia mediante il ricorso alla prova indiziaria . Univoco è sempre stato l'orientamento di questa sezione sul punto. Ciò in quanto si è sempre ritenuto che gli appositi modelli attestanti le retribuzioni cor risposte ai dipendenti e gli obblighi contributivi verso l'istituto previdenziale cosiddetti modelli DM 10 , hanno natura ricognitiva della situazione debitoria del datore di lavoro e la loro presentazione equivalga all'attestazione di aver corrisposto le retribuzioni in relazione alle quali è stato omesso il versamento dei contributi, sez. 3, 37145 del 10.4.2013, rv. 256957 . 3. Nel caso che ci occupa risultano prodotti in atti il prospetto INPS riepilo gativo delle inadempienze riportante i saldi evincenti dai presentati modelli DM 10 relativi al mese di luglio del 2006 e ai mesi da marzo a settembre 2007, in uno con le singole attestazioni, mese per mese. Si tratta, delle comunicazioni che l'INPS invia alle aziende dopo aver rice vuto, in via telematica, i modelli DM 10/2. Lo si evince da quanto si legge sulle stesse in relazione alla denuncia di mod. DM 10/2 presentata da codesta azienda con criteri automatizzati ai sensi dell'art. 44 l. 326/2003 si comunicano i dati trasmessi con modello telematico . Va ricordato, infatti, che l'art. 44, comma 9 della legge 24 novembre 2003, n. 326, di conversione del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, recante Di sposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici , ha previsto, a decorrere dal 1 gennaio 2004, l'obbligatorietà della presentazione telematica dei modelli DM10/2. Per farlo, al datore di lavoro viene rilasciato un apposito pin. Ebbene, ritiene il Collegio che l'avvenuta produzione - come nel caso che ci occupa - dell'attestazione telematica da parte dell'Ente destinatario l'INPS dell'avvenuta ricezione in via telematica dei modelli DM 10/2, con l'indicazione dei relativi importi, in uno, com'è avvenuto, con la testimonianza sul punto del funzionario dell'INPS, attesti, in difetto di prova contraria, che i modelli DM 10/2 sono stati effettivamente presentati. Del resto lo stesso ricorrente ne fa un problema formale circa la loro valen za probatoria, ma non solo non introduce alcun elemento teso a dimostrare che quelle attestazioni dell'INPS siano false, ma nemmeno afferma di non avere in viato i modelli DM 10/2. 4. A fronte del provato invio telematico all'INPS dei modelli in questione, la Corte di merito ha fatto puntuale applicazione della regola di diritto più volte affermata da questa Corte che, da ciò, fa derivare, in assenza di elementi di segno contrario, la prova della corresponsione delle retribuzioni. La Corte territoriale ha ricordato, in un percorso argomentativo logicamente coerente, che l'odierno ricorrente non ha fornito alcun elemento utile a far ritenere che le retribuzioni non erano state erogate. I giudici del gravame del merito, coerentemente con il dictum di questa Corte di legittimità, non ritengono ci sia un'inversione dell'onere della prova a carico dell'imputato, ma evidenziano, condivisibilmente, che la prova dell'avvenuta corresponsione possa essere fornita facendo ricorso alla presenta zione dei modelli D.M. 10/2, ferma restando la possibilità per l'imputato di forni re prova contraria in ordine alla effettività delle retribuzioni. Il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti art. 2 della legge 11 novembre 1983 n. 638 non è configurabile - va ribadito - in as senza del materiale esborso delle relative somme dovute al dipendente a titolo d retribuzione. In presenza delle denunce contributive, tuttavia, l'onere di dimostrare eventuali difformità rispetto alla situazione in esse rappresentata, in combe sul soggetto che la deduce, sia che si tratti dell'imputato che dell'organo dell'accusa cfr. questa sez. 3, n. 32848/2005, rv. 232393 . Del resto, nel caso di specie, lo stesso ricorrente ammette di avere presen tato detti modelli, e neanche deduce un motivo logico per cui avrebbe dovuto farlo, pur non avendo corrisposto le retribuzioni ai propri dipendenti. Quanto alla mancata motivazione della Corte territoriale in ordine alla do glianza difensiva relativamente alla testimonianza dell'Ispettore INPS Ma.Ca. , la stessa è, evidentemente, legata all'ininfluenza della circostanza dedotta ai fini del decidere. Il teste, infatti, come ricordato dal ricorrente, alla specifica domanda del difensore che lo controesaminava sul se fosse a conoscenza dell'avvenuto materiale esborso delle retribuzioni, ha risposto di no. Ma si tratta, con tutta evidenza, di una risposta assolutamente neutra e non, come vorrebbe il ricorrente, di un elemento indiziario attestante la mancata corresponsione. Il teste, molto onestamente, si è limitato a rispondere negativamente, in quanto il tipo di attività da lui svolta, come sempre avviene in questi casi, è stata di mero controllo cartaceo e/o informatico. Di fronte al percorso argomentativo, della sentenza impugnata, che dunque esiste ed è logicamente coerente, nessun sindacato è consentito in questa sede. I motivi di ricorso, piuttosto che fornire una critica della motivazione della sentenza della Corte di Appello, che in verità appare piuttosto generica e poco accurata, vuole dimostrare l'illogicità di un consolidato principio giurisprudenziale di questa Corte. 5. Non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte Cost. sentenza 13.6.2000 n. 186 , alla condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria ai sensi dell'art. 616 cpp nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.