La dichiarazione infedele deve contenere anche il quantum di imposta evasa

Il reato tributario di dichiarazione infedele non richiede la sussistenza di una dichiarazione fraudolenta, ma la mera indicazione di elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo ed elementi passivi fittizi.

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 21612, depositata il 25maggio 2015. Il caso. La Corte di Appello di Milano, confermava la sentenza del Tribunale con la quale condannava l’imputato per aver evaso l’imposta sul valore aggiunto, indicando nella dichiarazione annuale relativa a detta imposta elementi passivi fittizi e l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’impostazione, superiore al 10% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati nella dichiarazione. Avverso tale provvedimento, l’imputato proponeva ricorso per cassazione sostenendo l’illogicità e contraddittorietà della motivazione della decisione. La dichiarazione è infedele quando sono indicati elementi passivi fittizi e un ammontare inferiore a quello effettuato. Il ricorrente sosteneva che la Corte d’appello aveva travisato il contenuto dell’atto argomentando sulla base di una prova inesistente in quanto per quantificare l’imposta evasa occorreva quantificare l’imposta dovuta, mentre per calcolare l’imposta dovuta sarebbe necessario quantificare l’utile di esercizio che si otterrebbe sottraendo i costi dai ricavi. Dunque, l’unico percorso logico per stabilire l’imposta evasa presupporrebbe la conoscenza dei costi e ricavi, a differenza della sentenza impugnata che avrebbe preteso di desumere soltanto dal fattore dei costi, il valore dell’imposta evasa. Infine, i Giudici di legittimità hanno chiarito come il reato tributario di dichiarazione infedele sussiste quando viene data una dichiarazione non veritiera degli elementi attivi ed elementi passivi fittizi, quando ricorrano le altre condizioni ivi previste in relazione all’ammontare dell’imposta evasa e degli elementi attivi sottratti alla imposizione e, quindi, quando si superino le relative soglie di punibilità. Tuttavia, per integrare il reato de quo non basta l’indicazione di elementi passivi fittizi, ma occorre dare conto del quantum di imposta evasa e del superamento della soglia di punibilità. Sul punto, lo scarno provvedimento impugnato mostra di incorrere nei denunciati vizi motivazionali. Per questi motivi, la Corte di Cassazione annulla con rinvio la sentenza impugnata ad altra Sezione della Corte d’Appello di Milano.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 14 aprile – 25 maggio 2015, n. 21612 Presidente Fiale – Relatore Pezzella Ritenuto in fatto La Corte di Appello di Milano, pronunciando nei confronti dell'odierno ricorrente M.L., con sentenza del 30.4.2014, confermava la sentenza dei Tribunale di Milano, emessa in data 25.3.2011, con condanna al pagamento delle ulteriori spese dei grado. Il Tribunale di Milano aveva dichiarato M.L. responsabile dei seguenti reati A artt. 1 lett. d , 4 D.Lgs 74/2000 perché, quale legale rappresentante della E. Costruzioni srl, con sede in Milano, al fine di evadere l'imposta sul valore aggiunto, indicava nella dichiarazione annuale relativa a detta imposta per l'esercizio 2006 elementi passivi fittizi ammontanti ad € 3.599.644 essendo congiuntamente l'imposta evasa superiore a € 103.291,38 IVA per € 3.599.644 e l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione superiore al dieci per cento dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, in Milano, il 30.10.2007 B art. 10 quater D.Lgs 74/2000 perché, quale legale rappresentante della E. Costruzioni srl con sede in Milano, non versava le somme dovute per tributi e oneri per INPS, INAIL, IRPEG e addizionali regionali e comunali, Camera di Commercio nella misura complessiva di € 654.969,01, utilizzando in compensazione, ai sensi dell'art. 17 dei D.lgs. 241/97 i crediti IVA non spettanti o inesistenti di cui al capo A, in Milano, il 27.12.2008 L'imputato era stato condannato in primo grado, con il riconoscimento dei vincolo della continuazione, alla pena di anni 1 e mesi 4 di reclusione, con pena sospesa. 2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore, M.L., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen Manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione risultante dal testo dei provvedimento art. 606 lett. e cod. proc. pen. Manifesta contraddittorietà della motivazione risultante da atti specificamente indicati in gravame art. 606 lett. e cod. proc. pen. . Il ricorrente deduce di aver censurato la sentenza di primo grado sostenendo che il reato non sarebbe stato punibile in quanto l'imposta evasa non superava la soglia stabilita in € 103.291,38 dalla lett. a dell'art. 4 dei D.Lgs. 74/00. Nell'atto di impugnazione sarebbe stato evidenziato che il volume di affari relativo all'anno 2006 ammontava ad € 15.422,00, per cui pur a fronte di ingenti costi fittizi, l'imposta evasa non avrebbe potuto essere superiore al limite di punibilità Il ricorrente riporta l'argomento difensivo sostenuto nell'atto di appello ed evidenzia l'illogicità e contraddittorietà della motivazione della Corte di Appello, riportando integralmente la motivazione sul punto. La sentenza impugnata avrebbe affermato che le imposte evase superavano la soglia di punibilità perché i costi dedotti in dichiarazione erano superiori ad € 3.500.000,00, senza attribuire alcun rilievo al volume di affari indicato nella stessa dichiarazione. Ritiene evidente il ricorrente che per quantificare l'imposta evasa occorrerebbe quantificare l'imposta dovuta, mentre per calcolare l'imposta dovuta sarebbe necessario quantificare l'utile di esercizio, che si otterrebbe sottraendo i costi dai ricavi. Pertanto, l'unico percorso logico per stabilire l'imposta evasa presupporrebbe la conoscenza dei costi e dei ricavi. La sentenza impugnata, invece, avrebbe preteso di desumere soltanto dal fattore dei costi, il valore dell'imposta evasa. L'illogicità dell'argomentazione si desumerebbe anche dalla circostanza che la stessa sentenza, nella seconda parte della motivazione, avrebbe sentito la necessità di tener conto dei dato relativo al volume di affari per affermare che tale dato sarebbe stato certamente mendace. La Corte di Appello definirebbe certamente mendace il valore dei volume di affari di € 15.422,00, indicato in dichiarazione, senza però quantificare quello che sarebbe stato il reale volume di affari. Con la conseguente macroscopica illogicità della motivazione nella parte in cui riterrebbe provato il superamento della soglia di punibilità sulla base di un dato di partenza, quello dei ricavi, non quantificato e determinato. Il Giudice avrebbe compiuto un inaccettabile salto logico sulla mera presunzione che il volume di affari sarebbe stato superiore a quello dichiarato e, perciò tale da superare la soglia di punibilità. La sentenza impugnata avrebbe ritenuto il dato dei volume di affari mendace per il livello dei costi indicati e perché l'imputato aveva denunciato ricavi ancora maggiori dei costi stessi. L'alto livello dei costi sarebbe stato ritenuto, quindi, indicatore di un'attività imprenditoriale incompatibile con il volume di affari dichiarato. In tal modo, però, la Corte di appello sarebbe partita dalla premessa che i costi dichiarati sarebbero stati veri ed effettivi. Soltanto che la stessa Corte ha condannato l'imputato sul presupposto che i costi indicati in dichiarazione sarebbero stati da considerare fittizi. Ciò determinerebbe un'evidente contraddizione. II secondo argomento di motivazione della falsità dei volume di affari indicato sarebbe, secondo il ricorrente, a dir poco criptico. La sentenza impugnata avrebbe ritenuto il dato mendace in quanto lo stesso imputato aveva denunciato ricavi ancora maggiori dei costi stessi. II ricorrente evidenzia che se il giudice di appello intendeva far riferimento alla dichiarazione dei redditi, vi sarebbe un'evidente contraddizione in quanto in essa il volume dichiarato era di € 15.422,00. Se invece intendeva far riferimento alla memoria ex art. 121 cod. proc. pen., vi sarebbe ugualmente un'evidente contraddizione, in quanto nella richiamata memoria il ricorrente non avrebbe af fermato che nel 2006 la società avesse conseguito un fatturato rilevante e nem meno superiore ai costi dichiarati. Nella stessa memoria si leggerebbe che la società costituita nel 2006, acqui siva dei contratti per i quali i pagamenti iniziavano nel 2007, con un fatturato ri levante nello stesso anno. La Corte di appello avrebbe travisato, quindi il contenuto dell'atto, argomen tando sulla base di una prova inesistente. In fine la stessa Corte di appello avrebbe affermato che l'imputato aveva denunciato ricavi maggiori a quelli indicati in dichiarazione affermando che di tali ricavi sarebbe lecito dubitare. Chiede, pertanto, l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata. Considerato in diritto 1. I proposti motivi appaiono fondati e, pertanto, l'impugnata sentenza va annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano. 2. L'art. 4 del D.lgs. 74/00 Dichiarazione infedele prevede che 1. Fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3, è punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi, quando, congiuntamente a l'imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro 103.291,38 b l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al dieci per cento dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a euro 2.065.827,60. Le soglie di punibilità sono fissate, dunque, rispettivamente, a 103.291,37 d'imposta evasa ed al 10% degli elementi attivi dichiarati o, comunque, a 2.065.827,59 euro. II reato tributario di dichiarazione infedele non richiede la sussistenza di una dichiarazione fraudolenta, ma soltanto la presentazione di una dichiarazione infedele e, pertanto, la mera indicazione, anche senza l'uso di mezzi fraudolenti, di elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo ed elementi passivi fittizi, quando ricorrano le altre condizioni ivi previste in relazione all'ammontare dell'imposta evasa e degli elementi attivi sottratti alla imposizione e, quindi, quando si superino le relative soglie di punibilità il reato di dichiarazione infedele ha una struttura sostanzialmente coinci dente, dunque, con quella di cui all'art. 3 dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici , salva la differenza rappresentata dall'assenza dello speciale coefficiente di insidiosità che attribuisce alle scritture ideologicamente false il valore di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l'accertamento . D'altra parte, il reato può essere commesso anche da soggetti non obbligati alla tenuta della contabilità. Orbene, nel caso che ci occupa, la contestazione appare ben operata in riferimento all'art. 4 dei D.lgs. 74/00. Come si evince dalla sentenza di primo grado, infatti, la E. Costruzioni srl aveva dichiarato costi per le cifre consistenti di cui si è detto, ma aveva registrato sul Registro IVA degli acquisti una sola fattura, che era, quella dei corrispettivo dei notaio per la costituzione della società. Diversamente, l'utilizzo, mediante inserimento nella dichiarazione IRPEF o IVA, di fatture materialmente false, o di altra documentazione contabile, di analoga efficacia probatoria, materialmente falsa, avrebbe integrato - secondo la costante giurisprudenza di questa Corte dì legittimità - il delitto di frode fiscale, previsto dall'art. 2 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, e non quello di dichiarazione infedele, previsto dall'art. 4 del citato decreto, così, ex plurimis, questa sez. 3, n. 46785, Acitorio, rv. 251623, nella cui motivazione la Corte ha precisato che, ove si ritenesse diversamente, si determinerebbe la manifesta illogicità dei sistema sanzionatorio penale in materia tributaria . In tema di reati tributari, infatti, ai fini della configurabilità del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti art. 2, comma secondo, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 è necessario, da un lato, che la dichiarazione fiscale contenga effettivamente l'indicazione di elementi passivi fittizi e, dall'al tro, che le fatture ideologicamente false siano conservate nei registri contabili o nella documentazione fiscale dell'azienda, in ciò identificandosi la condotta dì avvalersi delle fatture normativamente richiesta così questa sez. 3, n. 14718 del 6.3.2008, De Franco ed altro, rv. 239666 . 3. Come si diceva in precedenza, tuttavia, per integrare il reato de quo non basta l'indicazione di elementi passivi fittizi, ma occorre dare conto dei quantum di imposta evasa e dei superamento della soglia di punibilità. Ebbene, sul punto lo scarno provvedimento impugnato mostra di incorrere nei denunciati vizi motivazionali. In particolar modo, pare dedurre - il che è illogico - dall'esistenza degli elementi passivi indicati in dichiarazione, la sussistenza di un volume d'affari superiore alla soglia di punibilità. Quegli stessi elementi passivi, sono, però, anche ritenuti fittizi ed atti perciò ad integrare il reato di cui all'art. 10quater D.lgs. 74/00 contestato sub b . Nemmeno pare chiaro, poi, come possano coincidere, nel capo a dell'imputazione, l'importo degli elementi passivi fittizi indicati in dichiarazione pari ad € 3.599.644 e l'IVA evasa. Illogica appare la motivazione, laddove, si dà conto che non essendo le indagini proseguite fino a verificare se la società amministrata dall'imputato fosse solo una cartiera e che peraltro lo stesso teste operante aveva affermato, pur senza fornire particolari dettagli, che la società lavorava per concludersi poi che non resta che prendere atto che la fittizietà dei costi concreta la violazione proprio dell'art. 4 contestato e non diverse e più gravi fattispecie . Come detto, però, ciò non basta. Il giudice di rinvio dovrà dar conto con motivazione logica degli elementi di prove che l'hanno indotto a ritenere la fittizietà dei costi in questione, elemento decisivo, evidentemente, in relazione al reato sub b, ma non sufficiente quanto a quello sub a , per il quale dovrà indicare in motivazione come si è pervenuti a determinare l'entità dell'imposta evasa e il superamento della soglia di punibilità. P.Q.M. Annulla con rinvio la sentenza impugnata ad altra Sezione della Corte d'Appello di Milano.