E il rappresentante fiscale risponde, anche penalmente, per le obbligazioni fiscali e doganali delle società estere rappresentate

La responsabilità, anche penale, del rappresentante fiscale di società estere discende dagli obblighi cui lo stesso è tenuto ai sensi della normativa in materia di imposta sul valore aggiunto. Pertanto è indubitabile che le condotte penalmente rilevanti individuate dalla normativa possano configurarsi anche con riguardo alla sua figura ed attività in quanto questi rappresenta l’unico interlocutore in Italia, sia pure in solido, per le obbligazioni fiscali e doganali.

E’ quanto risulta dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 21044/15 depositata il 21 maggio. Il caso. Il gip del Tribunale di Torre Annunziata disponeva il sequestro preventivo per equivalente con riguardo ad un certo numero di beni immobili di un indagato, ritenendo la sussistenza del fumus commissi delicti relativamente all’esistenza di una associazione a delinquere dedita alla commissione di condotte delittuose inquadrabili nello schema normativo di cui agli artt. 3 e 4 d.lgs. n. 74/2000, truffa ai danni dello stato, nonché riconoscendo, altresì, la sussistenza dell’aggravante della transnazionalità, limitatamente alle contestazioni di associazione per delinquere, dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici e truffa aggravata. Avverso tale provvedimento veniva proposta istanza di riesame avanti il Tribunale di Napoli il quale, in funzione di giudice delle libertà, tuttavia confermava la misura cautelare reale. Anche rispetto a tale provvedimento il difensore dell’indagato interponeva ricorso per Cassazione deducendo violazione degli artt. 3 e 4 d.lgs. n. 74/2000, 4 l. n. 146/2006 e 321 c.p.p. sul presupposto che il giudice del riesame si fosse limitato a reiterare il contenuto del decreto di sequestro emesso dal Gip del Tribunale di Torre Annunziata, senza fornire riscontro alle osservazioni svolte dalla difesa in relazione alla oggettiva insussistenza del reato fiscale oggetto di contestazione nei confronti del proprio assistito. Con un secondo motivo, il difensore dell’indagato deduceva la violazione degli artt. 110 c.p. e 321 c.p.p. in ragione dell’insussistenza del fumus indiziario degli elementi costitutivi del concorso di persone relativamente al reato in contestazione. Affermava in particolare il difensore dell’indagato che tale indizio non potesse farsi discendere sic et simpliciter dalla qualifica di rappresentate fiscale che lo stesso rivestiva rispetto alla società a cui si attribuiva l’evasione fiscale in contestazione, dal momento che il prevenuto si era limitato a sottoscrivere ed inoltrare ai competenti uffici le dichiarazioni fiscali redatte e predisposte da altri professionisti. Il ricorso veniva ritenuto inammissibile. La pronuncia. La Corte di Cassazione ha ritenuto prive di pregio le contestazioni, mosse dal difensore dell’indagato, inerenti la supposta mera ripetizione delle argomentazioni utilizzate dal Giudice di prime cure, evidenziando come il Giudice del gravame avesse dato corso ad autonoma valutazione dei presupposti per l’applicazione della misura ed avesse considerato, respingendole, le argomentazione del difensore. Dunque non si versava, a detta della Corte, in fattispecie qualificabile quale copia e incolla” e neppure in ipotesi di motivazione fornita per relationem . La Corte sottolinea poi, e sul punto torneremo, come esistessero in atti numerosi e differenti elementi che consentivano di pronunciare giudizio positivo circa la consapevolezza dell’indagato della illiceità delle attività commesse dalla società di cui era rappresentate fiscale per l’Italia. Gli indici di responsabilità. La sentenza in commento identifica la penale responsabilità del rappresentante fiscale attraverso una puntuale ricostruzione di una vicenda che, sotto il profilo fattuale, e per come è stata espressa ed esposta nella pronuncia, consente di ritenere l’indagato non già mero rappresentante fiscale di società estera operante in Italia ma, di fatto, quale concorrente, consapevole e partecipe, delle attività elusive poste in essere dalla rappresentata e dalle società facenti parte di quello che viene disegnato quale un coeso ed unico gruppo di aziende tutte di proprietà o riferibili ad un'unica famiglia di armatori. Dunque non una mera lettura formale del dato normativo, ho sottoscritto una dichiarazione e per ciò solo ne sono responsabile, ma un’attenta lettura delle carte processuali che paiono, a leggere il contenuto della pronuncia resa dagli Ermellini e relativa alla fase cautelare e non a quella di merito, deporre e testimoniare in favore di una perfetta, completa e partecipe, conoscenza da arte del rappresentante fiscale di tutte le movimentazioni di carattere finanziario poste in essere dalla rappresentata ai fini di sottrarre, eludendola, l’imposta dovuta. Certo, è ben vero che la Suprema Corte rileva, come l’indagato fosse firmatario della dichiarazione dei redditi oggetto e presupposto del procedimento, ma è altrettanto vero che questo rilievo formale diviene , come dire, ultimo ed a quel punto decisivo, elemento utile a rendere credibile, sostenibile e ricorrente il fumus necessario per la concessione della cautela. Le conseguenze. Proprio partendo da questa ricostruzione la Corte ribadisce il principio, affermato dalla medesima sezione, sentenza n. 26356/2014 , secondo il quale sul rappresentante fiscale incombe l’obbligo, portato dall’art. 17 D.P.R. 633/1972, di assolvere a tutti gli adempimenti previsti dalla normativa in materia di imposta sul valore aggiunto e in particolare quello di procedere al versamento della imposta , dunque, è indubitabile che il reato possa configurarsi anche nei confronti del rappresentante fiscale di società estere in quanto questi rappresenta l’unico interlocutore, sia pure in solido per le obbligazioni fiscali e doganali . Ad una lettura superficiale potrebbe apparire una dichiarazione di responsabilità penale così astratta e così distante dal concreto operare dell’agente dallo sconfinare nell’inaccettabile baratro della responsabilità oggettiva. Ma è davvero così ? La responsabilità per fatti concreti gli Ermellini non disegnano un’ipotesi di responsabilità di carattere oggettivo. Essi, anzi, identificano espressamente una serie di condotte che, loro dire, danno atto e conto di una partecipazione attiva, se non alla formazione delle dichiarazioni fiscali e dei documenti che ad esse sottendono e che esse sorreggono, alle decisioni ed alle scelte che in presiedevano all’attuazione ed alla redazione dei documenti de quibus . Dunque l’indagato sapeva, conosceva, cooperava a quelle scelte. A ben leggere la sentenza non riporta nulla di nuovo se non una lettura, in chiave più moderna e rispondente alla mutata realtà dell’operare delle strutture del mercato e delle società estere dei paradigmi contenuti nel vecchio” e caro articolo 110 del c.p. Ovvero il rappresentante fiscale che concorre nel reato di evasione fiscale ne risponde assieme al beneficiary owner . Come disse la vedetta del Titanic Comandante, niente di nuovo all’orizzonte”.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 22 aprile – 21 maggio 2015, n. 21044 Presidente Mannino – Relatore Gazzara Ritenuto in fatto Il Gip presso il Tribunale di Torre Annunziata, con decreto del 16/6/2014, disponeva il sequestro preventivo per equivalente avente ad oggetto numerosi beni immobili intestati a U.D.V. , ritenendo la sussistenza del fumus commissi delicti relativamente alla esistenza di una associazione a delinquere dedita alla commissione di condotte delittuose inquadrabili nello schema normativo di cui agli artt. 3 e 4, d.Lvo 74/2000, di truffa ai danni dello Stato, ex art. 640 cpv cod.pen., riconoscendo, altresì, la sussistenza della aggravante della trasnazionalità, limitatamente alle contestazioni di associazione a delinquere, di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici e di truffa aggravata. Il Tribunale di Napoli, chiamato a pronunciarsi sulla istanza di riesame presentata nell'interesse del prevenuto, con ordinanza del 18/7/2014, ha confermato il mantenimento della misura cautelare reale. Propone ricorso per cassazione la difesa dell'U.D. , con i seguenti motivi - violazione degli artt. 3 e 4, d.Lvo 74/2000, e 4 L. 146/2006, nonché 321 cod.proc.pen., in quanto il giudice del riesame si è limitato a reiterare il contenuto del decreto di sequestro, senza fornire un compiuto riscontro alle osservazioni svolte dalla difesa in relazione alla oggettiva insussistenza del reato fiscale di cui al capo B della contestazione provvisoria, in forza del quale è stato disposto il vincolo reale sui beni del ricorrente - ha errato il Tribunale nel ritenere che la somma di Euro 37.072.200, iscritta nelle passività della Luxdinamic S.A., in quanto derivante dalla emissione di un prestito obbligazionario in data 29/12/2008, sarebbe stata in realtà una sopravvenienza attiva per la stessa società, che avrebbe omesso di assoggettare tale importo a tassazione, con conseguente evasione di imposta pari ad Euro 10.194.855 secondo la tesi difensiva il difetto nella ricostruzione accusatoria è evidente e risiede nella circostanza che le società Mozir S.A. e Coral Dry SA non avevano affatto rinunciato al credito derivante dal conferimento di somme alla predetta Luxdinamic S.A., ma solo dato mandato al trasferito di tale credito ai soci, cioè ai membri della famiglia armatoriale, costituenti la compagine sociale di tutte le citate società peraltro, il momento rilevante in chiave di illiceità nella vicenda in questione andrebbe, semmai, fissato nel momento in cui le somme detenute dalle società uruguaiane fuoriescono dalle stesse, giammai in fase temporale successiva a tale evento - violazione degli artt. 110 cod.pen. e 321 cod.proc.pen., per insussistenza del fumus indiziario degli elementi costitutivi del concorso di persone nel supposto reato nei confronti dell'U. , in quanto la qualità dello stesso di rappresentante fiscale della Luxdinamic S.A. non integra automaticamente la responsabilità concorsuale di costui nei pretesi reati fiscali, anche perché il prevenuto si è limitato a sottoscrivere ed inoltrare ai competenti uffici le dichiarazioni fiscali redatte e predisposte da altri professionisti. La difesa del prevenuto ha inoltrato, ritualmente, in atti memoria, nella quale specifica ulteriormente le ragioni poste a sostegno dei motivi di annullamento. Il p.m. presso il Tribunale di Torre Annunziata ha depositato, in data 20/4/2015, memoria, svolgendo osservazioni sul ricorso. Considerato in diritto Preliminarmente, va rilevata la tardività della memoria del p.m., per cui la stessa non può essere oggetto di esame da parte di questo Collegio. Il ricorso è inammissibile. Il vaglio di legittimità, a cui è stata sottoposta l'impugnata ordinanza, consente di rilevare la logicità e la correttezza della argomentazione motivazionale, adottata dal decidente, in ordine alla ritenuta ravvisabilità del fumus della violazione della normativa fiscale, di cui al capo B della imputazione provvisoria, e alla ascrivibilità di essa, a titolo di concorso, in capo al prevenuto. Il primo motivo di annullamento è del tutto destituito di fondamento. Il Tribunale perviene alla conferma del provvedimento gravato a seguito di una esaustiva e compiuta disamina valutativa di tutti gli elementi costituenti il quadro investigativo, in particolare, delle dichiarazioni rese da C.N. e della informativa redatta dal Nucleo P.T. Guardia di Finanza di Napoli, dell'11/7/2014, da cui è emerso che - la costituzione della Marine Trade era stata voluta al fine di stipulare contratti derivati - da tale attività la compagine sociale, R. - D.C. - B. trasse notevoli guadagni - quando il mercato, in cui operava la predetta società, subì una flessione le ingenti somme di denaro guadagnate dalla M.T., di cui l'U. era stato amministratore unico e, di poi, liquidatore, furono trasferite a società uruguaiane, tra le quali la Mozir - successivamente, la Mozir, a sua volta, trasferì le somme alla Luxdynamic per la emissione del prestito obbligazionario, somme, si ribadisce, originariamente provenienti dalla predetta Marine Trade, affinché fossero dirottate a favore di B.G. , B.O. , R.R. , R.G. e D.C.U. . Pertanto, ad avviso del decidente, a giusta ragione, i predetti beneficiari, in concorso con l'U. , commettevano il delitto di cui all'art. 3, d.Lvo 74/2000, in quanto non avevano indicato nella dichiarazione annuale 2010 elementi attivi, costituiti dal flusso finanziario pari ad Euro 37.072,00, provenienti dalle citate compagini uruguaiane, facenti parte di una galassia di società, intestate ad un prestanome, tale Ba.Go.Lu. , e nella disponibilità reale dei componenti della famiglia armatoriale R. - D.C. - B. . È indubbio, infatti, che il denaro in questione rientra nell'alveo degli elementi attivi, per i quali corre l'obbligo della dichiarazione, perché da considerarsi o utile extra contabile prodotto da D.C.U. , B.O. , B.G. , R.R. e R.G.M. , soci della Luxdynamic, accantonati presso la Mozir e la Coral Dry oppure sopravvenienze attive, ex art. 88 T.U.I.R., in quanto somma trasferita alla predetta Luxdynamic, ed oggetto di rinuncia al credito da parte di soggetto non socio o come atto di liberalità o, comunque, ricavi non tassati, prodotti dalla società lussemburghese Marine Trade S.A., effettivamente operante in Italia e nella disponibilità degli indicati beneficial owners. Peraltro, come evidenziato dal Tribunale, dagli accertamenti eseguiti dall'Ufficio per il Contrasto Illeciti Fiscali Internazionali è emersa la insussistenza di valide ragioni economiche per procedere alla emissione del prestito obbligazionario da parte della Luxdynamic, in quanto la stessa, al momento della operazione non aveva, in assoluto, necessità di un rafforzamento finanziario, mediante la creazione di un ingente debito verso i soci, perché già ampiamente patrimonializzata. Del pari manifestamente infondato è il secondo motivo di annullamento. In maniera del tutto plausibile il Tribunale ha ipotizzato il concorso dell'U. nelle illecite attività in questione, in quanto lo stesso - quale rappresentante fiscale della Luxdinamic srl, risulta essere il firmatario della dichiarazione dei redditi del 2010, ben conscio che la somma di poco maggiore a 37 milioni di Euro doveva essere indicata in bilancio della predetta società, come voce dell'attivo. Sul punto va richiamato il principio, affermato da questa Corte sent. 26356/2014 , secondo il quale sul rappresentante fiscale incombe l'obbligo, ex art. 17, d.P.R. 633/1972, di assolvere a tutti gli adempimenti previsti dalla normativa in materia di i.v.a. e in particolare al versamento della imposta. È indubitabile, peraltro, che il reato è configurabile anche nei confronti del rappresentante fiscale per l'Italia di società estere, in quanto questi rappresenta l'unico interlocutore, sia pure in solido, per le obbligazioni fiscali e doganali. - l'U. ha concretamente preso parte alla operazione fraudolenta descritta al capo B della imputazione, aiutando i R. - D.C. - B. a creare la società finanziaria Marine Trade S.A., con cui costoro avrebbero potuto continuare a stipulare contratti derivati, c.d. F.F.A., senza rischiare la vocazione armatoriale della R.B.D. Armatori s.p.a Le osservazioni, ut supra svolte, consentono di ritenere del tutto prive di pregio le censure mosse in ricorso, perché le stesse vanno a scontrarsi con una realtà fattuale, assoggettata a compiuta disamina da parte del giudice di merito, e, peraltro, tendono ad una rilettura degli elementi costituenti la piattaforma indiziaria, sui quali al giudice di legittimità è precluso procedere a nuovo esame estimativo. Inoltre, i motivi di annullamento non possono trovare ingresso, perché, così come formulati, esulano dal disposto di cui all'art. 325, co. 1, cod.proc.pen., in quanto con essi non vengono sollevate eccezioni attinenti a violazione di legge, bensì a errata valutazione da parte del giudice di merito delle emergenze istruttorie. Tenuto conto, di poi, della sentenza del 13/6/2000, n. 186, della Corte Costituzionale, e rilevato non sussistono elementi per ritenere che l’U.d. abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, lo stesso, a norma dell'art. 616 cod.proc.pen., deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro, 1.000,00.