La Cassazione delinea i confini dell'eccesso colposo di legittima difesa, ribadendo la natura relativa delle presunzioni in materia di misure cautelari

La S.C. ha chiarito i limiti dell'eccesso colposo, in relazione all'esimente della legittima difesa, troppo spesso invocata per giustificare forzatamente comportamenti anche molto distanti dalla manifestazione del supposto pericolo.

La sentenza n. 19789/15 della Corte di Cassazione, depositata il 13 maggio, chiarisce i limiti dell'eccesso colposo, in relazione all'esimente della legittima difesa, troppo spesso invocata per giustificare forzatamente comportamenti anche molto distanti dalla manifestazione del supposto pericolo. Ribadisce, al contempo, la permanente operatività della presunzione prevista dall'art. 275, comma 3, c.p.p., confermando la solidità del provvedimento impugnato. Lo fa, dopo un sintetico excursus utile a ricostruire, da un lato, la ratio ed i presupposti operativi della norma sostanziale e, dall'altro, i criteri di scelta della misura cautelare attualmente vigenti. Il caso. Il giudizio di legittimità s'innesta nel processo cautelare nei confronti di un uomo indagato per omicidio volontario, detenzione illegale e porto abusivo in luogo pubblico dell'arma utilizzata per sparare alla vittima. L'inchiesta si basava sui gravi indizi pendenti nei confronti di quest'ultimo – che, per vero, aveva ammesso tutti gli addebiti, costituendosi in carcere – reo d'aver attinto con almeno due colpi d'arma da fuoco il nuovo compagno della sua ex convivente, cagionandone la morte. Il delitto si consumava mentre i due erano in auto, dopo che il veicolo era stato bloccato dall'autovettura dell'omicida, posizionata in modo da impedirne la ripartenza, oltre che da due complici armati, secondo il racconto della donna, con delle mazze. Il Tribunale della Libertà in Napoli, confermando l'ordinanza impositiva della massima cautela, aveva escluso che la dinamica dell'azione fosse riconducibile ad un eccesso colposo di legittima difesa, non sussistendo, nonostante le precedenti minacce portate dalla vittima all'indirizzo dell'indagato, un'oggettiva situazione di pericolo, tale da legittimare l'agente a reagire in quella misura, sottolineando, inoltre, che il prevenuto avrebbe potuto allontanarsi senza nessuna difficoltà. Costui ricorreva per Cassazione, dolendosi con due distinti motivi di violazione di legge penale e supposte carenze motivazionali dell'ordinanza. Più in specie, evidenziava come, con una illegittima ponderazione atomistica degli elementi in campo, il Giudice della cautela non avrebbe adeguatamente considerato le pesanti vessazioni da lui subite, avvalorate dalle indagini e consistite anche in minacce di morte, non tenendo in alcun conto, a tal proposito, le argomentazioni espresse dalla difesa con una specifica memoria deduceva, poi, l'apoditticità della motivazione, meramente apparente in punto di esigenze cautelari, reputate sussistenti – senza una successiva verifica dell'idoneità di misure meno afflittive – in virtù della sola gravità del fatto ed in assenza di qualunque considerazione dell'incensuratezza, della piena confessione resa agli inquirenti, e, da ultimo, del protestato acquisto dell'arma a soli fini difensivi. La Corte - su conforme parere del Procuratore generale - rigetta integralmente il ricorso, con conseguente condanna alla spese. La motivazione, dopo ampia premessa volta a tratteggiare il fatto che fondava la custodia intramuraria, ripercorre rapidamente gli istituti coinvolti e, senza dilungarsi inutilmente, giunge a confermare la validità dell'interpretazione resa dal Tribunale partenopeo. L'Estensore fa presto, infatti, a sancire l'infondatezza delle censure mosse personalmente dall'indagato, richiamando a conforto gli argomenti espressi in precedenza, dalla stessa Sezione, in arresti più o meno recenti. L'eccesso colposo di legittima difesa. Primo nodo da sciogliere, nello sviluppo dell'iter motivo, concerne la proposta riqualificazione della contestazione principale in eccesso colposo di legittima difesa. L'applicazione in tale forma della scriminante invocata, tuttavia, richiede che abbia esito positivo il giudizio ex ante, di carattere relativo ed astratto, circa la presenza di una situazione di concreto pericolo, pur erroneamente percepita, che può sì estendersi a circostanze antecedenti l'azione, ma a condizione che queste si connotino per una concreta incidenza sull'erroneo convincimento dell'agente, non potendosi limitare a meri timori personali o stati d'animo in parte motiva si cita, a questo proposito, Cass., Sez. I Pen., 5 marzo 2013, RV. 255268 . Nel caso di specie, al contrario, l'assenza della necessità di rimuovere il pericolo di subire l'offesa da parte del soggetto attivo tramuta l'azione in una condotta reattiva frutto di una scelta cosciente e volontaria che trasmodi in uno strumento di ingiustificata aggressione” gli Ermellini citano, sul punto, il precedente espresso da Cass., Sez. I Pen., 10 novembre 2004, RV. 230393 . La presunzione relativa in materia cautelare. Quanto ai profili più strettamente procedurali, poi, il Collegio evidenzia, in primis, come l'intervento della sentenza della Corte costituzionale n. 164 del 2011 non abbia espunto dal codice di rito la presunzione di proporzionalità della custodia in carcere per una serie di delitti – tra i quali l'omicidio volontario – mutandone solo la natura da assoluta a relativa. Ed invero, scrive il Giudice delle Leggi che La previsione di una presunzione solo relativa di adeguatezza della custodia carceraria [] non eccede, per contro, i limiti di compatibilità costituzionale, rimanendo per tale verso non censurabile l’apprezzamento legislativo circa la ordinaria configurabilità di esigenze cautelari nel grado più intenso . Su questo piano, però, non vi è prova contraria sufficiente a disattendere il meccanismo presuntivo, in ragione del rischio concreto di reiterazione del reato e della pericolosità del prevenuto discendenti dal possesso illegale dell'arma, che ad oggi non è stata consegnata agli inquirenti, potendo essere quindi teoricamente riutilizzata in futuro sebbene l'indagato, sin da subito, avesse affermato d'averla acquistata illecitamente, gettandola via dopo l'omicidio . Conclusioni. La decisione in commento si presenta chiara nell'esposizione, corretta nei presupposti teorici e condivisibile nell'applicazione concreta dei principi descritti in premessa. Pur seguendo un indirizzo già jus receptum , costituisce un utile riferimento per l'accurata descrizione dei canoni cui deve attenersi l'interprete per apprezzare l'operatività dell'eccesso colposo, ipotesi in cui è complesso valutare il superamento dei presupposti della scriminante coinvolta, tanto più quando, come nel caso di interesse, quest'ultima si esprima in forma putativa.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 6 febbraio – 13 maggio 2015, n. 19789 Presidente Chieffi – Relatore Sandrini Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza pronunciata il 7.07.2014 il Tribunale di Napoli, costituito ai sensi dell'art. 309 cod.proc.pen., ha confermato l'ordinanza applicativa della misura cautelare della custodia in carcere emessa il 18.06.2014 dal giudice per le indagini preliminari in sede nei confronti di F.R. , gravemente indiziato del reato di omicidio di P.C. , commesso il omissis mediante l'esplosione da distanza ravvicinata di alcuni colpi di arma da fuoco almeno due , nonché del connesso reato di detenzione illegale e porto abusivo in luogo pubblico della pistola cal. 38 special utilizzata per sparare alla vittima. L'indagato, che aveva ammesso di essere l'autore dell'uccisione del P. , avvenuta la notte del omissis , aveva intrapreso da alcuni mesi una relazione sentimentale con V.C. , ex convivente della vittima dalla quale aveva avuto tre figli che la donna aveva descritto come persona violenta che non aveva accettato la sua frequentazione col F. , rendendosi autore di reiterate minacce verso la coppia dalle dichiarazioni della donna e del F. era emerso che la notte dell'omicidio il P. aveva telefonato alla V. , nuovamente minacciandola e preannunciando il suo arrivo coi bambini, che egli aveva preso in consegna la sera precedente la donna era allora uscita di casa insieme all'indagato, per evitare di incontrare l'ex convivente, facendo un giro a bordo dell'autovettura Audi del F. mentre i due erano fermi a un semaforo erano stati sorpassati da una Ford Ka posizionatasi davanti a loro in modo da ostacolarne la ripartenza, mentre altre due vetture si erano posizionate dietro l'Audi dalla Ford Ka era sceso il P. e dalle altre due vetture alcuni uomini che, secondo il racconto della V. , impugnavano delle mazze la donna era quindi scappata a piedi, sentendo alle sue spalle il rumore di due o forse tre spari il F. si era costituito in carcere il giorno successivo, affermando di aver gettato via la pistola, acquistata dagli zingari, con cui aveva sparato alla vittima, dichiarando di aver esploso due colpi di pistola in direzione del P. che stava avanzando verso di lui. Il Tribunale escludeva, sulla base della dinamica e delle modalità dell'azione, che l'indagato avesse sparato senza intenzione di uccidere e che fosse configurabile un'ipotesi di eccesso colposo di legittima difesa, non sussistendo una situazione di pericolo oggettivo in grado di indurre in errore l'agente sulla situazione in cui versava valorizzava, al riguardo, la circostanza che la Vacca era subito fuggita a piedi e che anche il F. era riuscito ad allontanarsi dai luoghi, dopo il delitto, con una semplice manovra di retromarcia, nonché il fatto che la vittima non fosse armata, mentre l'indagato non aveva confermato il possesso di mazze da parte dei soggetti scesi dalle altre vetture riteneva perciò del tutto ingiustificato e sproporzionato, nel caso concreto, l'uso della pistola per sparare alla vittima più colpi, da breve distanza, in direzione di parti vitali, mentre risultava tardiva in quanto non riferita nell'immediatezza ma solo in un successivo interrogatorio al pubblico ministero , e perciò inaffidabile nella sua genuinità, l'allegazione del F. di aver percepito il P. portarsi una mano dietro la schiena. 2. Ricorre per cassazione F.R. , personalmente, deducendo due serie di motivi, coi quali lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, in primo luogo con riferimento agli artt. 52 e 55 cod. pen. e 273 del codice di rito, e in secondo luogo con riguardo agli artt. 274 e 275 cod.proc.pen Il ricorrente lamenta la valutazione parcellizzata della vicenda, incentrata sul solo episodio dell'omicidio, da parte dell'ordinanza impugnata, senza considerare gli antefatti costituiti dalle continue e reiterate vessazioni poste in essere dalla vittima in danno dell'indagato e della sua convivente, riscontrate dalle indagini e consistite anche in minacce di morte, ripetute in più occasioni e talvolta anche con una pistola rileva la modesta consistenza delle discrasie ravvisabili nelle dichiarazioni del F. e della V. e l'omessa valutazione dei rilievi difensivi contenuti nella memoria prodotta ex art. 121 cod.proc.pen. deduce la proporzionalità della reazione alla vessazione subita, alla stregua di un giudizio ex ante calibrato sulle circostanze del caso concreto, idonee a legittimare nell'agente l'erronea convinzione dello stato di pericolo in cui egli versava, giustificativo della reazione animata da scopi difensivi e non già ritorsivi. Il ricorrente lamenta inoltre la motivazione di mero stile sulla ricorrenza delle esigenze cautelari, formulata in termini apodittici basati sulla sola gravità del fatto, omettendo di valutare la sua idoneità a proiettarsi sulla realizzazione di illeciti futuri valorizza l'incensuratezza dell'indagato, la confessione resa, la spontanea costituzione in carcere e lo scopo esclusivamente difensivo dell'acquisto dell'arma, tale da escludere il rischio di ulteriori reati, data la matrice passionale dell'omicidio deduce infine la mancata verifica dell'idoneità di misure diverse e gradate a salvaguardare le esigenze cautelari. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato in ogni sua deduzione e deve essere rigettato. 2. L'ordinanza impugnata ha escluso la ricorrenza, nella condotta del F. , dei presupposti della legittima difesa, anche sotto il profilo dell'eccesso colposo, con una motivazione adeguata e coerente che ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto affermati da questa Corte in materia, e che resiste perciò alle censure del ricorrente. In particolare, pur essendo acquisito che l'accertamento relativo alla scriminante della difesa legittima, reale o putativa, e del relativo eccesso colposo deve essere effettuato con giudizio ex ante, calato all'interno delle peculiari e concrete circostanze che connotano la fattispecie esaminata, secondo una valutazione di carattere relativo e non assoluto ed astratto, rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito al quale spetta esaminare, oltre alle modalità del singolo episodio in sé considerato, anche gli elementi fattuali antecedenti all'azione che possano aver rivestito concreta incidenza sull'insorgenza nell'agente dell'erroneo convincimento di dover difendere sé od altri da un'ingiusta aggressione, questa Corte ha escluso che possano ritenersi a tal fine sufficienti gli stati d'animo e i timori personali Sez. 1 n. 13370 del 5/03/2013, Rv. 255268 , non trovanti riscontro obiettivo in una situazione di concreto pericolo, per quanto malamente o erroneamente interpretata. Presupposto essenziale della legittima difesa, oltre all'esistenza di un'aggressione ingiusta, intesa come pericolo attuale di un'offesa che, se non neutralizzata, è destinata a sfociare nella lesione di un diritto tutelato dalla legge, è la legittimità della reazione, sia sotto il profilo della sua necessità, discendente dall'inevitabilità altrimenti del nocumento, che sotto quello della proporzionalità all'offesa minacciata con la conseguenza che, poiché l'eccesso colposo sottintende i presupposti della scriminante e il superamento dei relativi limiti, l'assenza della necessità di rimuovere il pericolo di subire l'offesa, o della natura proporzionata della reazione, impedisce di ravvisare gli estremi dell'art. 55 cod. pen., che si caratterizzano per l'erronea valutazione del pericolo e della adeguatezza dei mezzi utilizzati per reagirvi Sez. 5 n. 26172 dell'11/05/2010, Rv. 247898 l'eccesso colposo, dunque, non ricorre allorché i limiti imposti dalla necessità della difesa vengano deliberatamente superati mediante una condotta reattiva frutto di una scelta cosciente e volontaria che trasmodi in uno strumento di ingiustificata aggressione Sez. 1 n. 45407 del 10/11/2004, Rv. 230393 . Nel caso di specie, l'ordinanza gravata ha congruamente valorizzato, al fine di escludere la necessità, la proporzionalità e l'adeguatezza della reazione posta in essere dal F. , in relazione alle circostanze del caso concreto obiettivamente esistenti e percepibili, il fatto che il P. non fosse armato, che V.C. si fosse già autonomamente sottratta con la fuga al pericolo di una eventuale aggressione e che anche l'indagato era in grado di lasciare i luoghi a bordo della propria autovettura senza affrontare coloro che lo minacciavano come dimostrato dalle sue, successive, agevoli modalità di allontanamento , così che la decisione di affrontare la vittima, sparando più colpi di pistola in rapida successione, da distanza ravvicinata, in direzione di parti vitali del corpo, è stata ritenuta dal giudice della cautela del tutto ingiustificata e spropositata rispetto all'obiettiva situazione in atto e alle reali esigenze difensive, riconducibile perciò a una volontà omicida che si colloca completamente al di fuori del paradigma della legittima difesa, e dunque anche del travalicamento - erroneo o colposo - dei relativi limiti. La valutazione così operata, in quanto frutto di un percorso argomentativo, basato sull'esame di tutti gli elementi acquisiti, munito di una propria, compiuta e coerente, consequenzialità logico-giuridica, che si è confrontato con la sostanza delle argomentazioni difensive così da non incorrere, sul punto, in alcun deficit motivazionale , integra, dunque, un giudizio di fatto insindacabile in sede di legittimità Sez. 1 n. 3148 del 19/02/2013, Rv. 258408 . 3. Anche le doglianze concernenti la sussistenza delle esigenze cautelari di cui all'art. 274 lett. c del codice di rito, concretamente ritenute dal Tribunale, e l'adeguatezza della misura coercitiva applicata, sono infondate. I motivi di ricorso sul punto omettono completamente di confrontarsi con la ricorrenza, nel caso di specie, della duplice presunzione prevista, in relazione al titolo del reato, dall'art. 275 comma 3 cod.proc.pen., con riguardo sia alla sussistenza delle esigenze di cautela che all'idoneità a soddisfarle della massima misura custodiale, che la sopravvenienza della sentenza n. 164 del 2011 della Corte costituzionale - dichiarativa dell'illegittimità parziale del secondo periodo della norma, come modificato dall'art. 2, comma 1, D.L. n. 11 del 2009 - non ha eliminato, ma solo trasformato da assoluta in relativa, così che la presunzione di proporzionalità, in via di principio, della custodia in carcere a cautelare il pericolo di reiterazione del reato deve ritenersi tuttora operante, sia pure col temperamento rappresentato dall'applicazione di una misura meno gravosa allorché, nel singolo caso concreto, risultino acquisiti - in positivo - specifici elementi favorevoli di valutazione sulla possibilità di contenere la pericolosità, concretamente accertata, del soggetto con una misura diversa. Al riguardo, l'ordinanza impugnata ha congruamente valorizzato, oltre alle modalità commissive dell'omicidio ritenute significative di una personalità aggressiva, spavalda e incline al delitto, il giudizio di pericolosità soggettiva discendente dal possesso illegale, da parte del F. , di una pistola cal. 38 special, utilizzata per uccidere la vittima, abusivamente portata con sé e idonea alla commissione di altri gravi reati contro la persona, arma delle cui modalità di acquisizione l'indagato non ha fornito alcuna credibile e circostanziata spiegazione, e che il F. - secondo quanto risulta dal testo del provvedimento gravato - non ha consegnato né fatto ritrovare agli inquirenti dopo l'omicidio, così da potersi logicamente ritenere che essa possa essere recuperata dall'interessato e nuovamente utilizzata in futuro. L'esclusione, su tali presupposti, della sussistenza di elementi, specifici e concreti, in grado di superare la presunzione di necessità e adeguatezza della misura carceraria, in relazione al giudizio di inaffidabilità personale dell'indagato formulato dal giudice della cautela, costituisce esplicazione di una coerente valutazione di merito immune da vizi logico-giuridici, che resiste allo scrutinio di legittimità. 4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell'istituto penitenziario ai sensi dell'art. 94, co. I-ter, disp. att. c.p.p