Marsupio in mano, ma solo per pochi secondi: il reato non è arrivato a conclusione

Il delitto di rapina impropria deve ritenersi tentato se l’avente diritto mantiene costantemente il controllo sul bene in modo tale da essere in grado di riprenderlo autonomamente con sé e l’agente, immediatamente dopo aver compiuto atti idonei diretti in maniera inequivoca alla realizzazione della sottrazione, adopera violenza o minaccia per procurare a sé o ad altri l’impunità.

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 18526, depositata il 5 maggio 2015. Il caso. La Corte d’appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza di primo grado, qualificava il fatto come tentata rapina impropria e rideterminava la pena a carico di due imputati. Il P.G. ricorreva in Cassazione, lamentando l’errata qualificazione del fatto uno degli imputati si era appropriato del marsupio posto all’interno della macchina della persona offesa, anche se per breve durata, per cui si trattava di rapina consumata e non tentata. Quando la rapina impropria può ritenersi consumata La Corte di Cassazione ricorda che il delitto di rapina impropria è consumato se l’avente diritto ha perduto il proprio controllo sulla cosa e non è più in grado di recuperare la stessa autonomamente, e l’agente, subito dopo la sottrazione, adopera la violenza o la minaccia per assicurare a sé o ad altri il possesso del bene sottratto o per procurare, sempre a sé o ad altri, l’impunità. e quando tentata. Al contrario, deve ritenersi tentato se l’avente diritto mantiene costantemente il controllo sul bene in modo tale da essere in grado di riprenderla autonomamente con sé e l’agente, immediatamente dopo aver compiuto atti idonei diretti in maniera inequivoca alla realizzazione della sottrazione, adopera violenza o minaccia per procurare a sé o ad altri l’impunità. Nel caso in commento, i giudici di merito avevano ritenuto, con una valutazione in fatto che non può essere censurata in sede di legittimità , che non si fosse verificato un vero e proprio impossessamento, considerando che il tentativo di impossessamento è stato di brevissima durata . Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 10 aprile – 5 maggio 2015, n. 18526 Presidente Fiandanese – Relatore Gallo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 11/6/2013, la Corte di appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Bergamo, in data 14/1/2013, qualificato il fatto come tentata rapina impropria e riconosciuta agli appellanti l'attenuante di cui all'art. 62 n. 4 cod. pen, riduceva la pena inflitta a S.R. e B.I., rideterminandola, per il primo, in anni 2 di reclusione ed €. 400,00 di multa, per la seconda in anni 1 di reclusione ed €.180,00 di multa. 2. Avverso tale sentenza propone ricorso il PG sollevando un unico motivo di gravame con il quale deduce erronea applicazione degli artt. 56 e 628 cod. pen.ed illogicità della motivazione sul punto. Al riguardo eccepisce che, essendosi lo S. appropriato del marsupio posto all'interno dell'autovettura dei B., sia pure per breve durata, il fatto doveva essere qualificato come rapina consumata e non come tentativo. 3. S.R. e B.I. propongono ricorso per mezzo del comune difensore di fiducia. Deducono violazione di legge eccependo che non sussistono gli estremi del concorso per la B. in quanto costei non avrebbe compiuto alcun atto materiale oggettivamente idoneo a rendere possibile la commissione del reato da parte del coimputato. Per quanto riguarda la posizione di S.R., eccepiscono che il fatto andava ricondotto nell'ambito del tentativo di furto per carenza di una effettiva minaccia e si dolgono della mancata esclusione della recidiva. Considerato in diritto 1. Il ricorso è del PG è infondato. 2. La questione sollevata inerisce al difficile discrimine fra il tentativo ed il reato consumato nell'ipotesi in cui è possibile dubitare che l'impossessamento si sia effettivamente verificato. 3. In punto di diritto, questa Corte Cass. Sez. 2, Sentenza n. 46412 del 16/10/2014 Ud. dep. 11/11/2014 Rv. 261021 ha statuito che il delitto di rapina impropria è consumato quando l'avente diritto ha perduto il proprio controllo sulla cosa, e non è più in grado di recuperare la stessa autonomamente e l'agente, immediatamente dopo la sottrazione, adopera la violenza o la minaccia per assicurare a sé o ad altri il possesso del bene sottratto o per procurare, a sé o ad altri l'impunità è, invece, tentato quando l'avente diritto mantiene costantemente il controllo sulla res in modo da essere in grado di riprenderla autonomamente con sé e l'agente, immediatamente dopo aver compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco a realizzare la sottrazione, adopera violenza o minaccia per procurare a sé o ad altri l'impunità. Fattispecie in cui la Corte ha qualificato in termini di rapina impropria tentata e non consumata, la condotta dell'imputato che, dopo aver prelevato merce dagli scaffali di un supermercato e rimosso le placche antitaccheggio, era stato sorpreso dal personale di vigilanza prima di varcare la barriera delle casse, ed aveva consegnato allo stesso i beni appresi, per poi darsi alla fuga ed usare violenza nei confronti degli inseguitori una volta raggiunto, al fine di non essere identificato . 4. Nel caso di specie la Corte territoriale ha ritenuto, attraverso una valutazione in fatto, che non può essere censurata in sede di legittimità, che non si è verificato un vero e proprio impossessamento, osservando che il tentativo di impossessamento è stato di brevissima durata fol.7 . Alla luce di tale ricostruzione della condotta dell'agente, non è censurabile la qualificazione del fatto come tentativo di rapina impropria, anziché come reato consumato. Pertanto il ricorso dei PG deve essere rigettato. 5. II ricorso degli imputati è inammissibile in quanto basato su motivi non consentiti nel giudizio di legittimità. 6. Invero i ricorrenti, sia per quanto riguarda la posizione di B. che per quanto riguarda la posizione di S., pur avendo formalmente denunciato il vizio di violazione di legge e difetto di motivazione hanno, tuttavia, nella sostanza, svolto censure di merito, che costituiscono una critica del logico apprezzamento delle prove fatto dal giudice di appello con la finalità di ottenere una nuova valutazione delle prove stesse e ciò non è consentito in questa sede. È il caso di aggiungere che la sentenza impugnata va necessariamente integrata con quella, conforme nella ricostruzione dei fatti, di primo grado, derivandone che i giudici di merito hanno spiegato in maniera adeguata e logica, le risultanze confluenti nella certezza della responsabilità di entrambi gli imputati per il reato loro concorsualmente contestato. 7. Infine, per quanto riguarda la doglianza afferente alla mancata esclusione della recidiva per S.R., la censura è manifestamente infondata, in quanto la Corte correttamente l'ha applicata, tenendo nel debito conto la pericolosità sociale dell'imputato, alla luce dei numerosi precedenti penali. 8. Ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l'imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché - ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità - al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, si stima equo determinare in euro 1.000,00 mille/00 ciascuno. P.Q.M. Rigetta il ricorso del Procuratore Generale della Repubblica di Brescia. Dichiara inammissibile il ricorso degli imputati, che condanna al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.