Dallo stalking al tentato omicidio della ex: dolo alternativo diretto o eventuale?

Poiché il dolo eventuale è compatibile con il dolo alternativo, per escludere, in relazione ad una determinata fattispecie, la ricorrenza del dolo eventuale, in favore di un dolo più intenso, non basta il mero riferimento alla ricorrenza del dolo alternativo, occorrendo, ulteriormente, nell’ambito di tale ultima figura, stabilire, in relazione alla fattispecie stessa, in quale forma di dolo eventuale, diretto o intenzionale essa si estrinsechi.

Questo il principio di diritto stabilito dalla Seconda sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18212 depositata il 30 aprile 2015, la quale, seguendo l’insegnamento tracciato dalle sezioni unite nella pronuncia n. 33843 del 2014, compie un ulteriore passo in avanti dell’annosa questione dell’incompatibilità del dolo eventuale con lo schema del delitto tentato. I fatti. Lo schema è quello classico una donna decideva di interrompere una lunga relazione sentimentale l’uomo non aveva accettato la separazione e fin dal suo inizio aveva intrapreso una serie di pressanti azioni di stalking . Dopo tre mesi la donna si recava dal padre, ricoverato in una casa di riposo, e qui veniva raggiunta dall’imputato che intendeva avere con lei un colloquio chiarificatore avendo con sé un coltello . Il colloquio si era svolto in un clima inusuale di sereno confronto, al contrario di quanto solitamente accaduto nei precedenti incontri. Dopo l’ennesimo rifiuto di riprendere la convivenza espresso dalla persona offesa e mentre quest’ultima stava camminando verso la struttura ove era ricoverato il genitore, la donna viene seguita dall’ex il quale l’aveva colpita con calci e pugni e con diverse coltellate al torace, all’addome e al volto. In tali frangenti, un’amica della vittima aveva cercato di accorrere in aiuto della donna ma era stata immediatamente affrontata dall’imputato, il quale non aveva esitato a colpirla con una coltellata all’emitorace destro. Le tappe processuali e i motivi di ricorso. Il GUP del Tribunale di Genova dichiarava colpevole l’imputato di tentato omicidio, aggravato dalla premeditazione, della ex e della di lei amica, unificando i reati ai sensi dell’art. 81 c.p La decisione di prime cure veniva confermata dal giudice d’appello. L’imputato ricorre in cassazione contestando, in particolare, due punti della sentenza a l’assenza di premeditazione del tentato omicidio della ex, la cui sussistenza sarebbe basata solo sulla circostanza che aveva con se il coltello, non indicando i giudici di merito quando sarebbe sorto il proposito omicida, confondendo la preordinazione con la premeditazione senza aver considerato poi che l’imputato portava con se il coltello per motivi di lavoro e le sue caratteristiche lama 8 cm, seghettata, privo di sistemi di fermo facevano ritenere che, se realmente premeditata l’intenzione omicida, assai diversa sarebbe stata la scelta dell’arma e lo stesso P.G. ha concluso nel senso dell’esclusione della premeditazione b errata qualificazione giuridica del tentato omicidio ai danni dell’amica della ex in quanto l’imputato non voleva ucciderla e la sua condotta fu animata, al più, dal semplice dolo eventuale, notoriamente non configurabile nell’ipotesi di delitto tentato, poiché è incompatibile con la direzione univoca degli atti compiuti nel tentativo, il quale presuppone il dolo diretto Sez. I, n. 25301/2014 . Sulla premeditazione. La Suprema Corte ha ritenuto corretta la motivazione resa sulla premeditazione, tenendo conto degli elementi costitutivi della circostanza aggravante in esame apprezzabile intervallo temporale tra l’insorgenza del proposito criminoso e l’attuazione dello stesso, tale da consentire una ponderata riflessione circa l’opportunità del recesso elemento di natura cronologica e la ferma risoluzione criminosa perdurante senza soluzioni di continuità nell’animo dell’agente fino alla commissione del crimine elemento di natura ideologica . Per gli Ermellini i giudici di merito, dopo aver escluso la verosimiglianza dell’abitudine dell’imputato di portare con se per motivi di lavoro quella destinata a diventare l’arma del delitto, hanno logicamente sostenuto che l’essersi recato nel luogo ove egli sapeva avrebbe trovata l’ex compagna dopo tre mesi scanditi da atti persecutori, l’aver portato con se un coltello utilizzato per colpire reiteratamente la vittima preparazione dell’arma dopo l’ennesimo rifiuto di tornare insieme della vittima, integrano tutte circostanze significative di un progetto meditato da tempo apprezzabile e che qualora l’ostinato atteggiamento della ex fosse stato confermato dall’ultimo invito rivolto insolitamente con animo tranquillo , avrebbe portato alla violenta punizione dell’omicidio all’esito del suo rifiuto. Non rileva che la circostanza aggravante della premeditazione sia condizionata in quanto l'attuazione del proposito criminoso era subordinata al verificarsi o meno di un determinato evento che, nella specie, come è stato compiutamente argomentato, era rappresentato dalla decisione di ricostruire il rapporto di convivenza in questi termini, Sez. I, n. 42051/2014 in quanto ciò è compatibile con il dolo di omicidio. Sul dolo alternativo ed eventuale nella giurisprudenza. La motivazione della sentenza impugnata ritiene che l’accoltellamento al torace all’amica della ex per le sue caratteristiche sarebbe sorretto da dolo alternativo. Tale figura si caratterizza per il fatto che i diversi fatti previsti sono incompatibili fra loro, nel senso che la realizzazione dell’uno esclude quella dell’altro e così, integra il reato di tentato omicidio a titolo di dolo alternativo diretto la condotta di chi, rappresentandosi in maniera certa o altamente probabile il ferimento e la morte della vittima quali conseguenze alternative, insiste nel suo intento criminoso accettando entrambi gli eventi lesivi con atteggiamento di indifferenza per l’uno o l’altro Sez. I, n. 17591/2014 . Ma per l’imputato tale conclusione si risolve in un’affermazione apodittica in quanto l’unica circostanza valorizzata ai fini della sussistenza del dolo alternativo sarebbe fornita dalla zona attinta dall’unico fendente e della forza impressa. Invece dalla dinamica dei fatti appare arduo che l’azione verso l’amica che interviene in difesa della persona aggredita dall’ex possa essere ricondotta a lucida e consapevole scelta della condotta dell’imputato dovendosi piuttosto orientare l’interpretazione dei fatti in danno di un obiettivo non originario dell’azione come sorretta da dolo eventuale, di per sé escludente il delitto tentato da ultimo, Sez. V, n. 14554/2015 . Il dolo eventuale è compatibile con il dolo alternativo. Nell’addentrarsi nel cuore della quaestio iuris , i giudici di legittimità richiamano la sentenza delle Sezioni Unite n. 33843/2014 che, nel rivisitare le varie forme di dolo intenzionale, diretto, eventuale compie un importante chiarimento innovativo rispetto al passato il dolo eventuale è compatibile con il dolo alternativo. È quindi evidente che, per escludere la ricorrenza del dolo eventuale, in favore di un dolo più intenso, non basta il mero riferimento alla presenza del dolo alternativo – e , quindi, come affermato fino ad adesso dalla giurisprudenza di legittimità da ultimo, Sez. I, n. 14554/2015 , l’ipotesi del tentativo non è compatibile con il dolo eventuale, mentre lo è con quella particolare forma di dolo diretto che è il dolo alternativo , occorrendo ulteriormente, nell’ambito di tale ultima figura, stabilire, in relazione al caso concreto, in quale forma di dolo essa si estrinsechi. Per la distinzione tra dolo eventuale e dolo diretto è necessario ricordare – seguendo sempre l’insegnamento delle Sezioni Unite – che il secondo si configura tutte le volte in cui l’agente si rappresenta con certezza gli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice e si rende conto che la sua condotta la integrerà, rappresentando l’evento lesivo come conseguenza accessoria necessariamente o assai probabilmente connessa alla realizzazione volontaria del fatto principale. Per non scivolare nel dolo eventuale deve venire in gioco un livello di precisione in termini di ben elevata probabilità e dunque tanto rilevante che sarebbe insensato far conto a qualsiasi fine sul non verificarsi dell’evento. La distinzione tra dolo eventuale e dolo diretto. È evidente che il giudice non può entrare nella psiche dell'uomo, al fine di valutare l'esistenza del dolo omicida e di verificare se l'evento sia stato escluso o sia stato visto dall'agente come possibile, come probabile o come certa conseguenza diretta della sua azione, e che deve, quindi, attenersi a una indagine sintomatica, e cioè agli elementi fattuali indicativi all'esterno della volontà omicida dell'agente Sez. I, n. 52052/2014 . La prova del dolo, in assenza di esplicite ammissioni da parte dell'imputato, deve essere, in particolare, desunta attraverso un procedimento inferenziale, analogo a quello utilizzabile nel procedimento indiziario, da fatti esterni o certi, aventi un sicuro valore sintomatico, e in particolare da quei dati della condotta che, per la loro non equivoca potenzialità offensiva, siano i più idonei a esprimere il fine perseguito dall'agente secondo l’ id quod plerumque accidit , quali esemplificativamente il comportamento antecedente e susseguente al reato, la natura del mezzo usato, le parti del corpo della vittima attinte, la reiterazione dei colpi Sez. I, n. 16991/2015 . Anche nell’ambito della categoria dolo alternativo, per la sentenza in commento, tale distinzione deve passare attraverso una verifica rigorosa degli elementi processuali sottoposta alla cognizione del giudice che non lasci spazi a presunzioni o a semplificazioni probatorie, ma si confronti col fatto e con le sue acquisizioni processuali che consentano di stabilire se nella specie ricorreva il suddetto livello di previsione dell’evento in termini di elevata probabilità ovvero la rappresentazione solo di un possibile risultato della condotta con accettazione della prospettiva che l’accadimento avesse luogo, fermo restando, in caso di persistente dubbio, il richiamo al principio del favor rei . Dolo alternativo diretto o eventuale? Muovendosi su tali sviluppi interpretativi, per la Suprema Corte deve ritenersi corretta l’esclusione del dolo eventuale e l’affermazione del dolo alternativo da intendersi nella forma del dolo diretto, in relazione al tentato omicidio della ex convivente tenuto conto, nella ricostruzione dei fatti compiuta dai giudici di merito a ai pregressi episodi di stalking dell’imputato ai danni della ex b al previo possesso del coltello c al singolare atteggiamento di calma tenuto dall’imputato nell’occasione d alla reiterazione dei colpi di coltello e alla reazione avuto rispetto all’intervento dell’amica della ex. Se appare corretto l’aver ravvisato di un dolo alternativo diretto” per il fatto omicidiario verso la vittima principale, diversa è la situazione per la condotta rivolta ai danni dell’amica di quest’ultima in quanto il riconoscimento di un dolo alternativo da intendersi nella forma diretta appare ancorato solo alla zona attinta dall’unico fendente e dalla forza impressa. Per stabilire se invece ricorresse anche la precisa previsione dell’evento mortale in termini di elevata probabilità, e non invece la semplice rappresentazione di una tale possibilità con accettazione di un suo eventuale inveramento dolo alternativo eventuale, incompatibile col tentativo , l’elemento suddetto doveva essere messo a confronto sia con la mancata reiterazione dei colpi, sia col carattere meramente occasionale dell’azione reattiva posta in essere dall’imputato. Sotto tale profilo, la motivazione della sentenza impugnata appare carente e comportamento l’annullamento con rinvio in parte qua.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 22 ottobre 2014 – 30 aprile 2015, n. 18212 Presidente Cortese – Relatore Bonito Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 1 giugno 2012 il GUP del Tribunale di Genova dichiarava G.R. colpevole del tentato omicidio, aggravato dalla premeditazione, di P.G. , colpita con pugni e calci e con diverse coltellate al torace, all'addome ed al volto, e di V.M.L.A. , anch'essa attinta da una coltellata all'emitorace destro per essere accorsa in aiuto della P. , in omissis . Il giudice di prima istanza, unificati i reati ai sensi dell'art. 81 c.p., infliggeva all'imputato, esclusa l'aggravante dei futili motivi e riconosciute in suo favore le attenuanti generiche con giudizio di equivalenza alla contestata premeditazione, la pena di anni dodici di reclusione con le sanzioni accessorie previste dalla legge. A sostegno della condanna il giudice di prime cure poneva la perizia psichiatrica dibattimentale eseguita sulla persona dell'imputato, la testimonianza delle pp.11., le stesse dichiarazioni del G. , che non negava l'accaduto, numerose testimonianze dirette, gli accertamenti medici sulle pp.oo, gli accertamenti di polizia con il sequestro del coltello utilizzato nelle azioni criminose, ricostruendo i fatti di causa, sulla base di tali esiti processuali, come segue. Tra l'imputato e la P. vi era stata una lunga relazione sentimentale interrotta dalla donna circa tre mesi prima dei fatti di causa l'imputato non aveva accettato la separazione e fin dal suo inizio aveva intrapreso una serie di pressanti azioni di stalking il giorno del delitto la P. si era recata dal padre, ricoverato in una casa di riposo e qui era stata raggiunta dall'imputato, che intendeva avere con lei un colloquio chiarificatore il prevenuto aveva con sé il coltello sequestrato dopo l'aggressione per cui è causa il colloquio, per quanto riferito dalla p.o., si era svolto in un clima inusuale di sereno confronto, al contrario di quanto solitamente era accaduto in occasione di precedenti analoghi incontri dopo l'ennesimo rifiuto di riprendere la convivenza espresso dalla P. e mentre quest'ultima aveva ripreso a camminare verso la struttura ove era ricoverato il genitore, la donna si era accorta di essere nuovamente seguita dall'imputato, il quale l'aveva aggredita colpendola ripetutamente con il coltello che aveva con sé in tali frangenti V.M.M.A. , resasi conto di quanto stava accadendo, aveva cercato di avvicinarsi ai due ma era stata immediatamente affrontata dall'imputato, il quale non aveva esitato a colpirla con una coltellata al torace. Ai fini della decisione il giudice richiamava la perizia psichiatrica per ribadire la piena capacità di intendere e di volere dell'imputato, valorizzava la natura delle lesioni cagionate dall'azione delittuosa ai fini della qualificazione giuridica della condotta contestata, indicava la circostanza del possesso del coltello ai fini del riconoscimento dell'aggravante della premeditazione. 2. La decisione di prime cure veniva confermata dal giudice dell'appello con sentenza pronunciata il dì 11 aprile 2014, con la quale venivano replicate le argomentazioni del primo giudice circa la capacità del prevenuto al momento del delitto, quanto alla qualificazione giuridica della condotta e quanto, infine, alla ricorrenza, nella fattispecie, della aggravante della premeditazione. 3. Avverso la sentenza di secondo grado ricorre per cassazione il G. , assistito dal difensore di fiducia, il quale nel suo interesse sviluppa plurime censure ai sensi delle lett. b ed e del primo comma dell'art. 606 c.p.p., in relazione ai seguenti punti della sentenza impugnata. 3.1 Quanto alla premeditazione del tentato omicidio della P. la tesi accusatoria accolta dai giudici di merito è nel senso che l'imputato premeditò l’accoltellamento della vittima al fine di ucciderla portando con sé il coltello con il quale poi concretamente la colpì, proposito peraltro condizionato al persistere del rifiuto della donna a riprendere la convivenza non indicano però i giudici di merito quando sarebbe insorto il proposito omicida, di guisa che l'argomento accusatorio si risolve nell'affermazione della preordinazione e non già della premeditazione in realtà la motivazione impugnata si articola in termini tali da confondere l'esistenza della condizione con la sussistenza della premeditazione ed allora, se v'è incertezza circa la ricorrenza dei requisiti dell'aggravante in parola, essa deve risolversi in favore dell'imputato peraltro il possesso del coltello era stato ampiamente giustificato nell'atto di appello esso veniva abitualmente portato con sé dal prevenuto per esigenze di lavoro, giacché autotrasportatore e per aprire gli imballaggi anche le caratteristiche del coltello sono state ben descritte ai fini di causa, trattandosi di coltello con lama di cm. 8, seghettata, privo di sistemi di fermo, poco idoneo all'uso di punta invece che di taglio di qui la conseguenza, ignorata dai decidenti, che, se realmente premeditata l'intenzione omicida, assai diversa sarebbe stata la scelta dell'arma lo stesso P.G. ha concluso nel senso della esclusione della premeditazione. 3.2 Quanto alla qualificazione giuridica di cui al capo b secondo quanto si legge nella motivazione impugnata, l’accoltellamento al torace dell'amica della P. , per le sue caratteristiche, sarebbe sorretto da dolo alternativo la conclusione detta si risolve in una affermazione apodittica, dappoiché non individuati, nella fattispecie, i requisiti caratterizzanti tale tipologia di elemento psicologico, quali la reiterazione dei colpi, la mancanza di motivazioni alternative all'azione, il comportamento dell'agente prima e dopo il reato l'unica circostanza valorizzata ai fini in discorso dalla sentenza sarebbe fornita dalla zona attinta dall'unico fendente e dalla forza impressa l'azione in danno dell'amica della P. va inserita nel suo contesto, evidenziando che mai l'imputato aveva pensato di arrecarle danno, che lo stesso aveva ormai perso il controllo di sé e che la p.1. venne colpita quando si intromise per portare aiuto alla P. da qui appare arduo concepire che l'azione verso la V. possa essere ricondotta a lucida e consapevole scelta di condotta da parte del G. di qui, anche, la necessità giuridica di valorizzare il dubbio in favore dell'imputato e di orientare l’interpretazione dei fatti in danno di un obbiettivo non originario della condotta come sorretto da dolo eventuale, di per sé escludente del contestato tentativo. 3.3 Quanto alla capacità di intendere di volere dell'imputato è nota la lezione giurisprudenziale, a far tempo da SS.UU. 9163/2005, sulla valorizzazione, ai fini della capacità dell'imputato, del disturbo psichiatrico della personalità in tale prospettiva deve evidenziarsi che già la sentenza di prime cure aveva rilevato in capo al prevenuto un compromesso stato di salute psichica diversamente la sentenza impugnata ha collegato lo stato personale alla detenzione e l'amnesia sull'accaduto ad un atteggiamento interessato l'errore metodologico è stato quello di analizzare ai fini di causa il passato e le circostanze per cui è processo, per desumere dalla loro razionalità la risposta al quesito sulla capacità, senza pertanto valutare se il disturbo della personalità in capo al prevenuto abbia avuto incidenza al momento delle condotte delittuose, circostanza questa che ha rilievo anche ai fini del riconoscimento in concreto della premeditazione. 3.3 Quanto al trattamento sanzionatorio, anche in punto di continuazione, ed alla ritenuta equivalenza delle concesse attenuanti generiche non ha considerato il giudice territoriale lo stato di prostrazione in cui versava l'imputato, che in pochi mesi aveva perso la madre e subito l'abbandono da parte della compagna, tanto da doversi curare con psicofarmaci la estrema intensità del dolo rilevato dai giudicanti non ha considerato tutto ciò la stessa perizia di ufficio ha sottolineato l'incidenza dei fatti personali nella dinamica del fatto reato ai fini sanzionatori la sentenza impugnata ha valorizzato i profili oggettivi del fatto e non quelli soggettivi della capacità a delinquere dell'imputato art. 133 co. II c.p. . Considerato in diritto 1. Pregiudiziale ad ogni altra questione è l'esame della censura difensiva relativa alla capacità di intendere e volere, ad avviso della difesa comunque compromessa in capo all'imputato al momento del fatto. Orbene, al riguardo i giudici di merito hanno valorizzato la perizia di ufficio la quale, come è noto, è pervenuta alle conclusioni che l'imputato appare affetto da disturbo di personalità, non altrimenti specificato, con compresenza di significativa deflessione del tono dell'umore e che non vi sono elementi per ritenere la presenza di un eventuale vizio parziale di mente riferibile al prevenuto al momento dei fatti per i quali è causa. Ad esse la difesa ricorrente oppone generiche censure del tutto inidonee a contrastarle in termini di apprezzabilità in quanto espressione di acritica opinione di parte e non già di ragionata valutazione giuridica e scientifica. La doglianza è, pertanto, manifestamente infondata. 2. Il ricorso è, viceversa, fondato in riferimento alla qualificazione giuridica della condotta contestata all'imputato, ma solo con riferimento al capo B. Al riguardo si osserva quanto segue. Sul punto della qualificazione dei fatti si contrappongono nel processo due tesi, quella accusatoria, che ricostruisce la fattispecie nei termini dell'omicidio volontario, per di più aggravato, quanto al capo A, dalla premeditazione, sub specie di dolo cosiddetto alternativo da intendersi diretto , e quella difensiva, secondo la quale l'imputato non intendeva uccidere e la sua condotta fu animata, quanto alla volontarietà dell'azione, a tutto concedere, dal semplice dolo eventuale, incompatibile, come è noto, con lo schema giuridico del reato tentato. Orbene, giova rammentare che questa Corte ha ritenuto ricorrere la fattispecie di tentato omicidio sorretto da dolo alternativo in forma diretta , e non quella di lesioni personali, se il tipo di arma impiegata e specificamente l'idoneità offensiva della stessa, la sede corporea della vittima raggiunta dal colpo di arma e la profondità della ferita inferta inducano a ritenere la sussistenza in capo al soggetto agente del cosiddetto animus necandi . Cass., Sez. I, 22/09/2010, n. 37516 , puntualizzando che risponde di tentativo di omicidio con dolo alternativo diretto chi prevede e vuole, come scelta sostanzialmente equipollente, la morte o il grave ferimento della vittima Cass., Sez. I, 31/05/2011, n. 30694 . Si contrappone tradizionalmente al dolo alternativo diretto il dolo eventuale, figura questa di giurisprudenziale conio, che si individua, secondo tralaticia definizione, quando l'agente, rappresentandosi l'eventualità dell'evento più grave, non avrebbe agito diversamente anche se di esso avesse avuto la certezza cfr. Sez. un., n. 12433 del 26/11/2009, Nocera, Rv. 246324 e dell'evento non voluto ha, comunque, accettato il rischio che si verificasse. Di recente le Sezioni unite sent. n. 33343 del 24/04/2014, dep. 18/09/2014, Espenhahn e altri sono tornate sul tema del dolo eventuale con una pronuncia destinata a costituire, attesa l'autorevolezza della fonte, precedente ineludibile per l'interprete. In particolare, il Supremo Consesso, riportandosi all'attualmente prevalente indirizzo che configura una tripartizione del dolo in dolo intenzionale, dolo diretto, dolo eventuale, precisa che - il dolo intenzionale è solitamente ricollegato alla circostanza che la rappresentazione del verificarsi del fatto di reato rientra nella serie di scopi in vista dei quali il soggetto si determina alla condotta e l'agente persegue, appunto, intenzionalmente quale scopo finalistico della propria azione od omissione un risultato certo, probabile o solo possibile quando cioè ha di mira proprio la realizzazione della condotta criminosa reati di azione ovvero la causazione dell'evento reati di evento - si ha dolo diretto quando la volontà non si dirige verso l'evento tipico e tuttavia l'agente si rappresenta come conseguenza certa o altamente probabile della propria condotta un risultato che però non persegue intenzionalmente - il dolo eventuale designa l'area dell'imputazione soggettiva in cui l'evento non costituisce l'esito finalistico della condotta, né è previsto come conseguenza certa o altamente probabile, rappresentandosi l'agente un possibile risultato della sua condotta e ciononostante inducendosi ad agire accettando la prospettiva che l'accadimento abbia luogo. Un importante chiarimento presente nella sentenza in commento è che il dolo eventuale è compatibile con il dolo alternativo. Tale figura si caratterizza, com'è noto, per il fatto che i diversi fatti previsti sono incompatibili fra loro, nel senso che la realizzazione dell'uno esclude la realizzazione dell'altro si spara per ferire od uccidere indifferentemente. Nella figura in questione, puntualizzano le SS.UU. il dolo potrà configurarsi come intenzionale, diretto o eventuale”. Alla stregua di quanto sopra, è evidente che, per escludere, in relazione a una determinata fattispecie, la ricorrenza del dolo eventuale, in favore di un dolo più intenso, non basta il mero riferimento alla ricorrenza del dolo alternativo, occorrendo ulteriormente, nell'ambito di tale ultima figura, stabilire, in relazione alla fattispecie stessa, in quale forma di dolo essa si estrinsechi. Per la distinzione fra dolo eventuale e dolo diretto, è necessario ricordare - sempre seguendo l'insegnamento delle SS.UU. - che il secondo si configura tutte le volte in cui l'agente si rappresenta con certezza gli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice e si rende conto che la sua condotta la integrerà, rappresentando l'evento lesivo una conseguenza accessoria necessariamente o assai probabilmente connessa alla realizzazione volontaria del fatto principale. In breve, si è in presenza di un livello di probabilità del verificarsi dell'evento che tocca una soglia tanto elevata da implicare la certezza che l'evento accadrà, salvo che in chi agisce risultasse il convincimento del non realizzarsi dell'evento rilevante. Per non scivolare nel dolo eventuale, deve insomma venire in gioco un livello di previsione in termini di ben elevata probabilità e dunque tanto rilevante che sarebbe insensato far conto a qualsiasi fine sul non verificarsi dell'evento. La distinzione fra dolo eventuale e dolo diretto, anche nell'ambito della categoria dolo alternativo, deve passare attraverso una verifica rigorosa degli elementi processuali sottoposti alla cognizione del giudice che non lasci spazio a presunzioni o a semplificazioni probatorie, ma si confronti col fatto e con le acquisizioni processuali che consentano di stabilire se nella specie ricorreva il suddetto livello di previsione dell'evento in termini di elevata probabilità ovvero solo la rappresentazione di un possibile risultato della condotta con accettazione della prospettiva che l'accadimento avesse luogo, fermo restando, in caso di persistente dubbio al riguardo, il richiamo al principio del favor rei . Alla luce dei sintetizzati sviluppi interpretativi, deve senza dubbio reputarsi corretta l'esclusione del dolo eventuale e l'affermazione della ricorrenza del dolo alternativo da intendersi nella forma del dolo diretto, in relazione al tentato omicidio di cui al capo A della rubrica, e ciò in forza della ricostruzione dei fatti non illogicamente compiuta dai giudici di merito, con riferimento in particolare - alla situazione creatasi fra l'imputato e la P. e ai pregressi episodi di stalking - al previo possesso del coltello - al singolare atteggiamento di calma tenuto dall'imputato nell'occasione - all'aggressione messa in atto dopo aver seguito la donna che si stava avviando verso la struttura ove era ricoverato il padre - alla reiterazione dei colpi di coltello - alla reazione avuta rispetto all'intervento di V.M.M.A. . Alla stregua di detta ricostruzione, il ravvisamento di un dolo alternativo diretto appare corretto e immune da vizi. Corretta è anche la motivazione resa sull'aggravante della premeditazione. È al riguardo noto l'insegnamento di legittimità secondo cui elementi costitutivi della circostanza aggravante in parola sono un apprezzabile intervallo temporale tra l'insorgenza del proposito criminoso e l'attuazione di esso, tale da consentire una ponderata riflessione circa l'opportunità del recesso elemento di natura cronologica e la ferma risoluzione criminosa perdurante senza soluzioni di continuità nell'animo dell'agente fino alla commissione del crimine elemento di natura ideologica Cass., Sez. Unite, 18/12/2008, n. 337 . Nel caso in esame hanno logicamente sostenuto i giudici di merito, dopo aver escluso la verosimiglianza dell'abitudine dell'imputato, per ragioni di lavoro, di portare con sé quella destinata a diventare l'arma del delitto, che l'essersi recato là dove sapeva, il prevenuto, che avrebbe trovato la ex compagna dopo tre mesi scanditi da una serie continua ed asfissiante e sgradite petulanze, l'aver portato con sé un coltello utilizzato per colpire reiteratamente la vittima, verso la quale aveva covato palese risentimento, l'aver consumato poi l'aggressione violenta all'esito dell'ennesima richiesta di riconciliazione ed immediatamente dopo il convinto diniego della p.1., integrano tutte circostanze significative di un progetto meditato da tempo apprezzabile, secondo il quale l'ostinato atteggiamento della ex compagna, se confermato dopo l'ultimo invito, avrebbe giustificato la violenta punizione dell'omicidio. Non già, pertanto, mera preordinazione della condotta violenta, ma precisa preparazione di essa, curata nel dettaglio del suo dipanarsi e delle condizioni che man mano si sarebbero presentate, valutazione e scelta del momento favorevole per l'azione, preparazione dell'arma da utilizzare, ricerca della vittima presso l'ospizio ove era ricoverato il padre, realizzazione del progetto con l'ennesimo invito a riprendere la relazione, significativamente rivolto, questa volta, con animo tranquillo e non già con la concitazione delle volte precedenti, esecuzione del proponimento omicida all'esito del rifiuto della vittima. Diversa è la situazione per il fatto di cui al capo B . Qui il riconoscimento di un dolo alternativo da intendersi nella forma diretta appare ancorato solo all'elemento della zona attinta dall'unico fendente e dalla forza impressa. Per stabilire, però, se ricorresse effettivamente, nelle circostanze concrete del fatto, la precisa previsione anche dell'evento mortale in termini di elevata probabilità dolo diretto , e non invece la semplice rappresentazione di una tale possibilità con accettazione del suo eventuale inveramento dolo eventuale, incompatibile col tentativo , l'elemento suddetto doveva essere messo a confronto sia con la mancata reiterazione dei colpi, sia col carattere pacificamente occasionale dell'azione reattiva posta in essere dal prevenuto. Sotto tale profilo, la motivazione resa dalla sentenza impugnata appare logicamente carente e comporta di conseguenza l'annullamento con rinvio in parte qua . Quanto al trattamento sanzionatorio, premesso l'assorbimento della doglianza relativa all'aumento per continuazione, basti richiamare, sul giudizio di equivalenza delle concesse attenuanti generiche con l'aggravante della premeditazione, l'insegnamento di Cass. Sez. Unite, 25/02/2010, n. 10713, secondo cui le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell'equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto . P.Q.M. la Corte, annulla la sentenza impugnata limitatamente alla qualificazione del reato di cui al capo b e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Genova. Rigetta nel resto il ricorso.