Anche la sottrazione di archivi informatici è punibile come rivelazione del segreto professionale

Il bene tutelato dall’art. 622 c.p. deve essere inteso in senso lato, risultando di conseguenza punibili non solo le rivelazioni di singoli dati o informazioni professionali, ma anche di archivi informatici in quanto espressione di attività di analisi e inserimento dei dati con una particolare metodica informatica che presuppone specifiche scelte professionali provenienti da un know how, vale a dire quel patrimonio cognitivo frutto di una particolare metodologia di lavoro meritevole di riconoscimento giuridico.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 17756/15 depositata il 28 aprile. Il caso. Il Tribunale di Modena assolveva l’imputata per il reato di frode informatica e rivelazione di segreto professionale constestatole di essere intervenuta senza diritto su informazioni e programmi contabili contenuti nel sistema informatico dello studio professionale presso il quale lavorava, al fine di crearne una duplicazione da utilizzare a proprio profitto, relativi ad una società cliente presso la quale instaurava nel frattempo un rapporto di lavoro. La Corte d’appello di Bologna, su ricorso della titolare dello studio professionale costituitasi parte civile, dichiarava l’imputata responsabile ai fini civili del reato di rivelazione di segreto professionale e la condannava al risarcimento dei danni morali cagionati. L’imputata impugna la sentenza di secondo grado con ricorso innanzi alla Cassazione. L’elemento materiale del reato. Nell’ambito della riassunzione dei termini della vicenda, viene in evidenza come il Tribunale abbia fondato la propria pronuncia sulla ritenuta inesistenza dell’elemento materiale del reato poiché il contenuto dei file sottratti non riguardava segreti professionali, metodi di progettazione o know how dello studio professionale, ma esclusivamente dati contabili relativi ad un cliente dello stesso. Aggiungeva poi che non poteva ravvisarsi alcun ingiusto profitto a favore dell’imputata, come richiesto dalla norma incriminatrice, il cui comportamento era estraneo ed indipendente dal susseguirsi dei suoi rapporti professionali con lo studio e la società cliente. L’archivio informatico merita tutela giuridica. La Corte d’appello, con ragionamento condiviso dai giudici di legittimità, ha dissentito la valutazione del Tribunale e, accogliendo la tesi prospettata dalla parte civile, ha affermato che oggetto della tutela del segreto professionale non sono i dati in quanto tali, bensì il lavoro di valutazione ed elaborazione su di essi compiuto, svolto con determinate procedure personalizzate. Nel settore informatico l’archivio non è una somma di dati, ma costituisce il frutto di un lavoro di analisi del dato e del suo inserimento con particolare metodica informatica, che presuppongono scelte, provenienti da un know how , la cui rivelazione è giuridicamente tutelata . Nello stesso senso, alcune precedenti pronunce giurisprudenziali confermano che in materia di segreto scientifico ed industriale, la tutela del segreto professionale dell’archivio informatico, sotto il profilo oggettivo, ha ad oggetto l’interesse alla riservatezza di notizie attinenti non ai singoli dati o a loro singole specie, ma ai metodi di progettazione, elaborazione, messa a punto dei dati medesimi, metodi che costituiscono il know how , vale a dire quel patrimonio cognitivo, che è frutto di una particolare metodologia di lavoro . L’interpretazione della norma penale che punisce la rivelazione del segreto professionale deve, in conclusione, intendere l’oggetto della tutela in senso lato, come quell’insieme di conoscenze riservate e di particolari modus operandi in grado di garantire al titolare delle stesse la conoscenza, la riproduzione e la diffusione dei dati informatici con la maggiore esattezza, prontezza e con il più alto profitto. Per questi motivi, la Cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 28 ottobre 2014 – 28 aprile 2015, numero 17756 Presidente Dubolino – Relatore Bevere Fatto e diritto Con sentenza 10.12.08, il tribunale di Modena ha assolto R.R. per insussistenza del fatto, dal reato continuato di cui agli artt. 81 c.p., 640 ter c.p. frode informatica , 622 c.p. rivelazione di segreto professionale , così contestato perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, intervenendo senza diritto su informazioni e programmi contenuti nella cartella informatica, relativa alla contabilità gestita dallo studio professionale Z. della Pavesi s.r.l. informazioni di cui la R. era a conoscenza in quanto collaboratrice dello studio Z. e di cui era stato richiesto il segreto ne faceva arbitraria duplicazione e acquisiva il suddetto archivio informatico, per impiegarlo a proprio profitto presso la ditta Pavesi, di cui la R. si faceva poi assumere, con danno dello studio Z. , che in tal modo perdeva sia la propria collaboratrice R. che un pluriennale cliente in omissis . A seguito dell'impugnazione della parte civile Z.P. , titolare dello studio professionale Z. , la corte di appello di Bologna, con sentenza 26.3.2013, in parziale riforma della sentenza impugnata dalla parte civile Z.P. , ha dichiarato la R. responsabile ai fini civili del reato ex art. 622 c.p. e l’ha condannata al risarcimento del danno morale, cagionato alla parte civile, da liquidarsi in separato giudizio, con assegnazione di Euro 3.500 a titolo di provvisionale. Nell'interesse della R. è stato presentato ricorso per i seguenti motivi 1. vizio di motivazione per travisamento della prova testimoniale di B.C. , secondo la corte di merito, l’operatore della Tecno System ha affermato che non era il dato in sé ad essere riservato e segreto, ma il sistema informatico o meglio l'archivio informatico per come formato dallo studio professionale Z. . Questa affermazione non è contenuta nella deposizione testimoniale, avendo la B. riferito che i dati trasferiti alla società Pavesi non erano coperti da alcun segreto, in quanto erano di proprietà della destinataria 2. violazione di legge in riferimento all'art. 622 c.p. la legge richiede, per l'integrazione del reato, oltre alla rivelazione o impiego del segreto anche la sussistenza di un proprio o altrui profitto, elemento che è stato ignorato dalla corte di merito 3. nella sentenza si afferma che per la sussistenza del reato non è necessario un evento di danno,essendo sufficiente la possibilità in astratto del nocumento, senza precisare in base a quale argomento abbia ritenuto del sussistenza il danno in astratto, per poi passare ad affermare la prova della sussistenza del danno morale. Il ricorso non merita accoglimento. Il primo giudice ha così ricostruito e valutato i fatti La società Pavesi s.r.l. che da anni si avvaleva della consulenza dello studio professionale di Z.P. per la tenuta della contabilità e per l'esecuzione di adempimenti fiscali ed amministrativi tra la fine di luglio e l'inizio di agosto del 2005 comunicava alla professionista la volontà di sciogliere il rapporto contrattuale e affidava le medesime prestazioni al commercialista L.D. . Dal settembre al novembre dello stesso anno, lo studio Z. , attraverso la collaboratrice R.R. , provvedeva alla stampa dei documenti contabili e alla loro restituzione alla Pavesi nel formato cartaceo, ad eccezione di quanto necessario per la tenuta delle buste paga di cui lo studio Z. continuava ad occuparsi fino al omissis . Il 14 novembre la R. cessava di lavorare nello studio predetto, su iniziativa della Z. , data la riduzione del lavoro, determinata dalla perdita del principale cliente, quale era la società Pavesi. La medesima R. era poi assunta, nella fine del mese di dicembre, da quest'ultima impresa, quale addetta al settore amministrativo contabile. A seguito di successivi controlli sul proprio sistema informatico, lo studio Z. accertava la non autorizzata presenza di un file poi compresso zippato e trasformato in altro file a dimensioni più ridotte omissis contenente i dati contabili aggiornati al 6.10.2005 della società Pavesi. Era poi accertato che i dati in formato elettronico contenuti nei file omissis erano stati trasferiti sul PC in uso alla società Pavesi e che il loro salvataggio sul sistema informatico di questa società era avvenuto nelle date 6 e 10 ottobre 2005,dopo essere prelevati dai computer dello studio Z. . Questi file contenevano gli archivi della ditta Pavesi, perché erano identificati dal medesimo codice utilizzato nel gestionale installato presso lo studio Z. . Era inoltre rilevato che, nel settembre 2005, la Pavesi aveva acquistato dalla Computer Center Team System il software per la gestione della contabilità aziendale e che B.C. , operatrice dell'impresa venditrice, aveva installato il 5 e il 10 ottobre successivi, il programma per la fatturazione e tenuta della contabilità e i dati della ditta Pavesi, inserendovi cioè anche l'archivio elettronico dei dati contabili della Pavesi, relativi all'anno 2005 contenuti nei file omissis , che R.R. aveva inviato per posta elettronica alla Team System. Questi dati erano stati copiati dalla B. su un supporto informatico e installati sui computer di pertinenza della Pavesi. Il tribunale ha rilevato che il contenuto di tali file non riguardava segreti professionali né metodi di progettazione o know how dello studio Z. , ma era attinente alla società Pavesi, che, non poteva esser ritenuta terza rispetto ai dati in essi contenuti, mentre aveva il diritto di ricevere, a seguito della cessazione del rapporto con la parte civile, la restituzione dei propri archivi e dei dati contabili, sia in formato cartaceo sia in veste informatica. Ha quindi concluso affermando l'inesistenza dell'elemento materiale del reato di violazione di segreto professionale e ha escluso la sussistenza di qualsiasi danno derivato allo studio Z. dal salvataggio dei file sopra indicati nel sistema informatico e dal loro invio alla Computer Center Team System, finalizzato al trasferimento ai computer della Pavesi s.r.l Il primo giudice ha anche rilevato che la perdita di tale cliente e dei relativi compensi per lo studio commerciale erano stati determinati dalla scelta del cliente e che nessun ingiusto profitto era stato acquisito dalla R. , a causa dell'invio dei file alla Team System per il loro trasferimento alla Pavesi questo comportamento era risultato del tutto estraneo ed indipendente rispetto all'evolversi dei rapporti tra le due imprese e alla successione della collaborazione della donna all'interno di entrambe. La corte territoriale ha effettuato innanzitutto una diversa e più articolata scansione temporale dei rapporti tra la R. e la Pavesi srl, in quanto ha rilevato che a. la testimonianza della B. , operatrice della Team System, e l'accertamento tecnico hanno dimostrato che la R. , in assenza di alcuna autorizzazione, contro l'interesse dello studio presso cui ancora lavorava, in assoluta malafede e in violazione dell'obbligo di fedeltà ex art. 2105 c.c., aveva passato i dati dell'archivio informatico della contabilità, comprendente lo storico e i primi tre trimestri dell'anno in corso, alla società Pavesi, tramite la ditta fornitrice del software b. il compimento di tale operazione da parte della R. è confermato dal ritrovamento sul suo personal computer, sequestrato nella sua abitazione, di un documento word, riportato a pag 37 della consulenza tecnica del P.M. c. dalle schede di intervento Team System e dalla testimonianza della B. emerge che il file , contenente i dati dell'archivio informatico della società Pavesi, prelevati dalla R. dal sistema informatico dello studio Z. , fu installato tra il 5 e l’11 ottobre la B. ha precisato che il 5 ottobre installò il programma di gestione della contabilità e iniziò a fare istruzione sull'inserimento delle anagrafiche dei clienti della Pavesi, anche in presenza ingiustificata della R. , mentre l'11 ottobre aveva ricevuto i dati che erano presso lo studio del commercialista, dover era stato creato il file , contenente un insieme di archivi in tal modo, lasciando il file compresso omissis era stato possibile ripristinare l'archivio questo file omissis aveva lasciato traccia della sua presenza il 5 ottobre sul p.c. sequestrato presso la ditta Pavesi, per essere poi copiato sovrascritto il successivo 11 ottobre d. la B. ha anche precisato che in quella operazione aveva avuto rapporti con la R. , ritenuta come munita di consenso dello studio Z. , detentore dell'archivio informatico, al suo trasferimento presso la società Pavesi. La mancanza di tale consenso avrebbe comportato per l'acquirente del software il frazionato inserimento dei singoli dati dal formato cartaceo. Da tali dati storici, la corte di merito ha tratto le seguenti conclusioni 1. la R. , senza informare lo studio commerciale, detentore dell'archivio informatico, aveva collaborato nell'interesse della società Pavesi per il trasferimento dei dati, pur nel prosieguo del precedente rapporto di collaborazione con la Z. protrattosi fino al 14.11.2005 2. questa attività svolta all'insaputa dell'originaria datrice di lavoro in favore della Pavesi aveva consentito a questa la utilizzazione dell'archivio informatico senza il consenso del detentore e di proseguire, senza soluzione di continuità, la gestione del quarto trimestre contabile e fiscale 3. questa anticipata e sleale collaborazione aveva consentito alla R. di svolgere nella società Pavesi un ruolo di protagonista nell’interna gestione contabile, ruolo non riconosciuto nel precedente rapporto con lo studio professionale, nonché un incremento di retribuzione. Nella qualificazione giuridica di questa diversa e più completa ricostruzione del comportamento della R. , la corte ha dissentito dalla valutazione compiuta dal primo giudice il tribunale, ha riconosciuto decisiva rilevanza alla titolarità dei dati depositati presso lo studio Z. , ai fini dell'esclusione della loro copertura dal segreto professionale non essendo la società Pavesi un soggetto terzo rispetto alla loro conoscenza, non sussiste la condotta di rivelazione ex art. 622 c.p La corte di appello ha invece condiviso la tesi sostenuta dalla parte civile oggetto della tutela del segreto non sono i dati in quanto tali, ma il lavoro di valutazione effettuato dallo studio Z. , svolto con determinate procedure per immettere i dati secondo una modalità personalizzata, secondo le esigenza del singolo cliente, secondo le caratteristiche delle singole e concrete ipotesi contabili. Il titolare dei dati, a seguito di questo metodo della loro elaborazione e sistemazione,non diviene titolare e proprietario del metodo medesimo. Nel campo informatico, l'archivio non è una somma di dati, ma costituisce il frutto di un lavoro di analisi del dato e del suo inserimento con particolare metodica informatica, che presuppongono scelte, provenienti da un know how, la cui rivelazione è giuridicamente tutelata. La corte di merito, facendo propri e sviluppando gli spunti interpretativi tratti dalla sentenza sez. 5,numero 25008 del 18/05/2001, Rv 219471, in materia di segreto scientifico ed industriale, ha ritenuto,in sostanza, che la tutela del segreto professionale,sotto il profilo oggettivo dell'archivio informatico,ha ad oggetto l'interesse alla riservatezza di notizie attinenti non ai singoli dati o a loro singole specie, ma ai metodi di progettazione, elaborazione,messa a punto dei dati medesimi, metodi che costituiscono il know how, vale a dire quel patrimonio cognitivo, che è frutto di una particolare tecnologia di lavoro, trasfusa in una particolare metodica informatica. Oggetto della tutela penale del reato in esame deve ritenersi quindi il segreto professionale in senso lato, da intendersi quell'insieme di conoscenze riservate e di particolari modus operandi in grado di garantire al titolare conoscenza, riproduzione, diffusione dei dati informatici con la maggiore esattezza, con la più celere prontezza, col più alto profitto. Proprio questo segreto risulta violato dalla R. , con la sua anticipata collaborazione con l'impresa da cui sarebbe stata successivamente assunta, attraverso l’invio alla Team System per l'inoltro alla Pavesi, dei file contenenti,al di là degli specifici dati contabili e amministrativi del cliente, i metodi di progettazione, elaborazione,messa a punto, elaborati dallo studio professionale della Z. . Questi metodi, espressione del professionale e segreto sapere informatico, erano di esclusiva titolarità dello studio, in quanto ne costituivano il patrimonio cognitivo, che era stato frutto di una particolare tecnologia di lavoro, trasfusa nella metodica informatica impiegata per la Pavesi s.r.l A questa articolata ricostruzione del fatto e alla corretta e razionale qualificazione giuridica, la ricorrente contrappone, nel primo motivo del ricorso, una critica del tutto generica ed elusiva, limitandola al disconoscimento della fonte da cui la corte ha tratto lo spunto per giungere alla sua corretta conclusione. È inoltre smentita dal contenuto della motivazione, la censura sul mancato accertamento di un profitto conseguito dalla R. , a causa dell'accertata violazione del segreto professionale come già anticipato la corte ha rilevato che la anticipata e sleale collaborazione ha consentito alla R. di svolgere nella società Pavesi un ruolo di protagonista nell’interna gestione contabile, ruolo non riconosciuto nel precedente rapporto con lo studio professionale Z. , nonché un incremento di retribuzione cfr pp 8-9 . Infine, va rilevato che la corte di appello, nella ricostruzione del comportamento della R. , ha implicitamente posto in evidenza il naturale malessere morale, il doloroso trauma emotivo vissuti dalla Z. nel prendere conoscenza della profonda slealtà della collaboratrice, della sua malafede nel gestire, per oltre due mesi, la contemporanea attività in due luoghi di lavoro, in una fase di piena antinomia e incompatibilità operativa cfr pp 6 e 8 . La rivelazione di tale inaffidabile presenza nello studio commerciale suindicato, se diffusa, si traduce, con tutta evidenza, in una flessione del prestigio e della efficienza dell'intera struttura professionale. Il ricorso va quindi rigettato, con conseguente condanna della R. al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, liquidate in Euro 2.500,00 oltre accessori di legge. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, liquidate in Euro 2.500,00 oltre accessori di legge.