Per il sospetto mafioso la custodia cautelare si presume adeguata

In tema di reati di stampo mafioso è ragionevole la presunzione di adeguatezza della custodia cautelare, sancita dall’art. 275, comma 3, c.p.p., per l’elevato coefficiente di pericolosità della condizioni di base della convivenza e della sicurezza collettiva connaturate agli illeciti di tal genere.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 17674/15 depositata il 28 aprile. Il caso. Il Tribunale di Salerno, sezione del riesame, annullava l’ordinanza emessa dal gip locale che aveva disposto la sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari in riferimento ad un soggetto indagato per associazione mafiosa. Avverso il provvedimento propone ricorso innanzi alla Cassazione l’indagato che lamenta l’assenza di un valido schema argomentativo circa la presunzione di assoluta adeguatezza della custodia cautelare in carcere, sancita dall’art. 275, comma 3, c.p.p., nonostante il suo corretto comportamento processuale. L’adeguatezza della custodia cautelare. La Corte di legittimità richiama la sentenza della Corte Costituzionale n. 231/2011 che dichiarava l’incostituzionalità dell’art. 275, comma 3, c.p.p. nella parte in cui, nel prevedere che quando sussistono gravi indizi di colpevolezza per il reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, è applicata la misura della custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi specifici dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure. Portando l’affermazione ad un piano più generale, la Consulta affermava che le presunzioni assolute, soprattutto ove finalizzate alla limitazione di diritti fondamentali della persona, contrastano con il principio di uguaglianza se arbitrarie ed irragionevoli e cioè se non rispondono a dati di esperienza generalizzati, riassumibili nella formula id quod plurime accidit . In particolare l’irragionevolezza delle presunzioni è ravvisabile ove sia agevole formulare ipotesi si accadimenti reali contrari alla regola generalizzata posta a fondamento della presunzione medesima. La presunzione per i reati di stampo mafioso. Una volta riassunti i principi affermati dalla Consulta, è necessario precisare che il caso a cui essi afferivano riguardava il tema dell’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, conseguentemente non è ammissibile una loro applicazione ai reati di stampo mafioso, rilevanti nel caso di specie. In tale materia, affermano i Supremi Giudici, è ragionevole la presunzione di adeguatezza della custodia cautelare, sancita dall’art. 275, comma 3, c.p.p., per l’elevato coefficiente di pericolosità della condizioni di base della convivenza e della sicurezza collettiva connaturate agli illeciti di tal genere. La base statistica della presunzione è fornita proprio dalle peculiarità che caratterizzano i sodalizi mafiosi, per le quali è ragionevole presumere che le esigenze cautelari derivanti dal delitto in questione possono venire adeguatamente affrontate solo con la misura della custodia in carcere, unico modo per tagliare i legami esistenti tra le persone indagate e le organizzazioni criminali presenti sul territorio. Per questi motivi, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 3 marzo – 28 aprile 2015, n. 17674 Presidente Esposito – Relatore Di Marzio Ritenuto in fatto Con l'ordinanza in epigrafe la sezione del riesame del Tribunale di Salerno, decidendo sull'appello proposto dal pubblico ministero avverso l'ordinanza emessa dal gip del medesimo tribunale in data 19.5.2014 - che aveva disposto la sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere per il reato di cui all'art. 416 bis c.p. con quella degli arresti domiciliari nei confronti di L.L. - ha annullato la decisione. Avverso detta pronunzia ricorre l'indagato contestando violazione di legge e vizio di motivazione per l'assenza di un valido schema argomentativo in ordine alla ricorrenza della presunzione assoluta di adeguatezza della custodia cautelare in carcere nel caso, tra gli altri, del delitto p.p. dall'art. 416 bis c.p., presunzione stabilita all'art. 275 comma 3 c.p.p. nonostante il corretto comportamento processuale del ricorrente. Considerato in diritto Questa Corte ha di recente avuto modio di osservare che la Corte costituzionale, nella sentenza n. 231 del 2011, ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 275 cod. proc. pen., comma 3, nella parte in cui - nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 74 reato per il quale, appunto, l'imputata è stata condannata è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari - non fa salva, altresì, l'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure. Rievocando i dieta posti a base di precedenti analoghe decisioni concernenti la stessa norma, la Corte ha - come è noto - ribadito il principio secondo il quale le presunzioni assolute, specie se raccordate a limitazioni dei diritti fondamentali della persona, contrastano con il principio di uguaglianza, se sono arbitrarie e irrazionali evenienza, questa, che ricorre ove le stesse non risultino rispondenti a dati di esperienza generalizzati, riassunti nella formula all'id quod plerumque accidit. In particolare - soggiunse la Corte - L'irragionevolezza della presunzione assoluta si coglie tutte le volte in cui sia agevole formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa . II che era, appunto, quanto era dato riscontrare in tema di associazioni finalizzate al traffico di sostanze stupefacenti, ove accanto a vaste ed agguerrite organizzazioni, si poteva dare il caso di piccoli gruppi, talora a ristretto ambito familiare, operanti in un'area limitata e con i più semplici e modesti mezzi. Ben diverso, ed anzi antitetico, è l'approdo cui è da tempo pervenuta la giurisprudenza costituzionale in tema di reati di stampo mafioso, ove si è invece ritenuta del tutto ragionevole la presunzione di adeguatezza sancita in materia dall'art. 275 cod. proc. pen., comma 3, avuto riguardo a quello che è stato definito come il coefficiente di pericolosità per le condizioni di base della convivenza e della sicurezza collettiva che agli illeciti di quel genere è connaturato . D'altra parte, si è pure osservato, sono proprio le peculiarità che caratterizzano i sodalizi di stampo mafioso a fornire una adeguata base statistica alla presunzione che viene qui in discorso, rendendo dunque ragionevole l'opinione per la quale, nella generalità dei casi, le esigenze cautelare derivanti dal delitto in questione non possano venire adeguatamente fronteggiate se non con la misura carceraria, in quanto idonea - per valersi delle parole della Corte Europea dei diritti dell'uomo - a tagliare i legami esistenti tra le persone interessate e il loro ambito criminale di origine, minimizzando il rischio che esse mantengano contatti personali con le strutture delle organizzazioni criminali e possano commettere nel frattempo delitti sentenza 6 novembre 2003, Pantano contro Italia v. al riguardo, le ordinanze n. 450 del 1995, n. 130 del 2003 e n. 40 del 2002, nonchè le sentenze n. 265 del 2010, n. 164 del 2011 e, da ultimo, la citata sentenza n. 231 del 2011 . In tale quadro di riferimento, dunque, la ratio in funzione della quale la Corte costituzionale ha nuovamente inciso sulla presunzione di adeguatezza di cui all'art. 274, comma 3 in tema di violazione dell'art. 74 del testo unico degli stupefacenti, non può trovare applicazione nel caso di specie Cass., sez. II, 16.3.2012, n. 11714 . Dunque, la lamentela del ricorrente, volta a criticare la decisione impugnata applicativa della presunzione di legge si mostra manifestamente infondata. Ne consegue l'inammissibilità dei ricorso e, per il disposto dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in euro 1000. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al agamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore ella Cassa delle ammende. Si provveda a norma dell'art. 28, reg. esec. cod. proc. pen.