Se cambia la vita della vittima di stalking, cambia anche quella del reo, che deve essere condannato

La prova dello stato di ansia e di paura può e deve essere ancorata ad elementi sintomatici che rivelino un reale turbamento psicologico, ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall’agente, nonché dalle condizioni soggettive della vittima, purché note all’agente, e come tali necessariamente rientranti nel dolo.

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 17336, depositata il 24 aprile 2015. Il caso. La Corte d’appello di Reggio Calabria condannava, per il reato di atti persecutori, un imputato, accusato di avere, tra il 2009 ed il 2012, pedinato una donna a piedi ed in auto, con cui effettuava manovre azzardate per spaventarla, di aver pronunciato espressioni ingiuriose e minacciose, lasciando anche dei biglietti sull’auto della vittima, di aver cagionato alla donna un perdurante e grave stato di ansia e di paura, generando anche un timore per la propria incolumità e costringendola a cambiare le proprie abitudini di vita. L’imputato ricorreva in Cassazione, lamentando che non risultasse provato il perdurante stato di ansia e di paura della persone offesa, così come l’alterazione delle abitudini di vita, in quanto non potevano essere rilevanti i meri asseriti stati sintomatici rappresentati dalla donna, indicativi di una momentanea esplicazione di uno stato emotivo di tensione . L’uomo contestava anche l’esclusione, operata dai giudici di merito, della necessità di un accertamento peritale, sul presupposto che il turbamento psicologico della persona offesa possa essere desunto dalla natura dei comportamenti tenuti e dalle dichiarazioni della stessa. Provato il turbamento psicologico della vittima. Il ricorso, teso ad una rilettura dei fatti, viene però giudicato inammissibile dalla Corte di Cassazione. I giudici di merito avevano riconosciuto efficacia persuasiva alle accuse formulate dalla donna per l’intrinseca coerenza logica della loro esposizione, ritenendo, anche grazie ad altre risultanze, di aver conseguito la prova di un reale turbamento psicologico, rivelatore del verificarsi degli eventi. I comportamenti del ricorrente venivano ritenuti come integranti una reiterata condotta intimidatoria, molesta, ingiuriosa una condotta che rientra nella fattispecie di reato ex art. 612 bis c.p., come figura di reato abituale, consistente nella ripetizione di condotte identiche o omogenee non tutte di per sé punibili, ma che si presentano come espressione di un habitus di vita, di un’inclinazione delittuosa. Queste condotte avevano esposto la vittima, alla luce del comune livello di sensibilità e della media capacità di percezione del pericolo , a conseguenze negative sul piano emotivo e psicologico stato di ansia e di paura o timore per l’incolumità e sul piano pratico, con il cambiamento delle abitudini di vita. Era stata anche accertata la limitazione della libertà di movimento della donna, che dinanzi all’implicito messaggio dissuasivo proveniente dall’imputato, ha finito per considerare un evento dall’esito verosimilmente traumatizzante e umiliante il lasciare la propria abitazione e affrontare i non voluti incontri con l’autore dell’assillante assedio . Non serviva una perizia. Correttamente, quindi, era stato esclusa la necessità di ricorrere alla scienza medica per poter riconoscere la destabilizzazione psicologica della vittima quale naturale, scontato e inconfutabile effetto del comportamento invasivo. A supporto di tale tesi, la Corte di Cassazione richiama anche il proprio precedente n. 14391/2012, in cui gli Ermellini avevano precisato che la prova dello stato di ansia e di paura può e deve essere ancorata ad elementi sintomatici che rivelino un reale turbamento psicologico, ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall’agente, nonché dalle condizioni soggettive della vittima, purché note all’agente, e come tali necessariamente rientranti nel dolo. Per questi motivi, la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 6 novembre 2014 – 24 aprile 2015, numero 17336 Presidente Marasca – Relatore Bevere Fatto e diritto l.Con sentenza 13.3.2014, la corte di appello di Reggio Calabria, in parziale riforma della sentenza 11.7.2013 del tribunale di Reggio Calabria, ha rideterminato nella misura di 1 anno e 8 mesi di reclusione la pena inflitta a M.D., per il reato di atti persecutori in danno di L.C.F., perché ritenuto responsabile con condotte reiterate, poste in essere in qualunque ora del giorno o della notte, di averla pedinata a piedi o con auto o motoveicolo, con i quali effettuava manovre azzardate al fine di spaventarla, di aver pronunciato espressioni ingiuriose e minacciose, di aver redatto biglietti contenenti espressioni ingiuriose, che apponeva sull'auto della donna, di aver così cagionato alla donna un perdurante e grave stato di ansia e di paura, di aver generato in lei un fondato timore per la propria incolumità, di averla costretta ad alterare le proprie abitudini di vita in Reggio Calabria dall'inizio del 2009 al 22 marzo 2012. 2. Nell'interesse dell'imputato è stato presentato ricorso per i seguenti motivi 1. violazione di legge in riferimento agli artt. 612 bis c.p., 192, 530, 546 c.p.p. la corte di merito ha fondato l'affermazione di responsabilità del M. sulle dichiarazioni della persona offesa, senza tener conto che la sua versione dei fatti è stata nettamente smentita in ordine ad un episodio specifico la donna ha dichiarato di essere stata aggredita e di essere stata strattonata dal M. , mentre i tre testi escussi hanno precisato che quest'ultimo è stato colpito dalla L.C. con uno schiaffo. Ciononostante, la corte ha riconosciuto forza persuasiva ad altre dichiarazioni accusatorie della medesima fonte , in base al criterio della valutazione frazionata. Tale criterio è inconciliabile con l'orientamento interpretativo, secondo cui le dichiarazioni della persona offesa possono contribuire alla formazione del convincimento del giudice a condizione che quest'ultimo ne dimostri la credibilità attraverso un rigoroso vaglio soggettivo e oggettivo. Nel caso di specie, questo controllo, alla luce della smentita ricevuta in ordine al predetto episodio, non può non sfociare in un disconoscimento della credibilità della donna. Inoltre non risulta provato un perdurante stato d'ansia e di paura della persona offesa né un'alterazione delle sue abitudini di vita, in quanto non possono avere rilievo solo gli asseriti stati sintomatici rappresentati dalla stessa, indicativi di una momentanea esplicazione di uno stato emotivo di tensione. La corte ha messo in luce solo tre occasionali incontri, che non sono dimostrativi della ricerca ossessiva da parte' del M. della donna . Insieme alla reiterazione delle condotte, per la consumazione del reato è necessario arrecare un nocumento apprezzabile alle condizioni psicologiche di un soggetto, senza che lo squilibrio possa ritenersi qualificabile come mera percezione del soggetto passivo. La motivazione della sentenza esclude superficialmente la necessità di un accertamento peritale, ritenendo di non dover verificare l'insorgenza di una patologia psichica, sul presupposto che il turbamento psicologico della persona offesa possa essere desunto dalla natura dei comportamenti tenuti e dalle dichiarazioni della stessa In realtà un siffatto modo di argomentare si scontra con le considerazioni sopra espresse in tema di valutazione delle dichiarazioni della L.C La necessità di una perizia invece, era assolutamente necessaria al fine di escludere un'illegittima valutazione sull'evento di reato . La corte di appello, per superare il vuoto probatorio sull'accertamento di una condotta lesiva ha sostenuto che il reato di atti persecutori non è una duplicazione del reato di lesioni, dato che la patologia non deve essere accertata . In ogni caso, deve essere accertato in modo rigoroso una menomazione individuale per evitare di giungere a illegittime valutazioni fondate solo su percezioni individuali. In assenza di questo accertamento, la difesa pone il problema di una qualificazione dei comportamenti del M. nel diverso e meno grave reato di molestie. La delicatezza del problema della qualificazione giuridica dei fatti contestati è dimostrata dalla recente sentenza della corte Costituzionale numero 172 del 2014. Sul piano soggettivo, è evidente come la condotta del M. non fosse finalizzata a causare un danno alla L.C., quanto piuttosto a incitarla ad eliminare gli ostacoli alla ripresa del loro rapporto. 2. violazione di legge in riferimento agli artt. 132,133,62 bis c.p. la corte non ha dato adeguata giustificazione al rigetto della richiesta di concessione delle attenuanti generiche. Tale concessione è ampiamente giustificata dalla giovane età del M. e dalla mancanza di precedenti penali , nonché dalla particolare tenuità della sua condotta. Inoltre la corte di appello ha disatteso senza giustificazione le censure sulla eccessività della pena. Quanto alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena , il giudice ha esercitato il suo potere discrezionale senza indicare le condizioni oggettive e soggettive legittimanti il rigetto della richiesta , incorrendo in un sostanziale difetto di motivazione che comporta l'annullamento della sentenza. 3.11 ricorso è manifestamente infondato, in quanto i motivi propongono, in chiave critica, valutazioni fattuali , sprovviste di specifici e persuasivi addentellati storici, e contengono una serie di censure prive di spessore tecnico idoneo a smentire la lineare razionalità, che ha guidato le conclusioni della corte di merito, e a soverchiare i consolidati orientamenti giurisprudenziali ,seguiti dalla corte territoriale . Con esse, in realtà, il ricorrente pretende la rilettura del quadro probatorio e, contestualmente , il sostanziale riesame nel merito. Questa pretesa è tanto più inammissibile nel caso in esame la struttura razionale della motivazione facendo proprie , nella ricostruzione e valutazione dei comportamenti dell'imputato, le analisi della sentenza di primo grado ha determinato un organico e inscindibile accertamento giudiziale, saldamente ancorato ai risultati dell'istruttoria dibattimentale incentrata sulle dichiarazioni della L.C. sulle dichiarazioni di altri testimoni ,sugli scritti provenienti dall'imputato. 3.a I giudici di merito hanno riconosciuto efficacia persuasiva alle accuse formulate dalla persona offesa per l'intrinseca coerenza logica della loro esposizione e hanno ritenuto razionalmente, grazie anche alle altre risultanze, di aver conseguito la prova di un reale turbamento psicologico ,rivelatore del verificarsi degli eventi indicati nel capo di imputazione perdurante e grave stato di ansia e di paura fondato timore per la propria incolumità, necessitata modifica delle proprie abitudini di vita .Sono giunti a questo insindacabile convincimento mettendo in chiara evidenza lo stato di sofferenza e prostrazione immediatamente percepibili nella cronistoria dei comportamenti persecutori ricostruita nella pubblica udienza dalla vittima, nei suoi comportamenti determinati dalla condotta vessatoria posta in essere continuativamente e consapevolmente dell'altro protagonista, nello spessore emotivamente incisivo di tale condotta . I giudici hanno acquisito la dimostrazione che dagli inizi del 2009 ai giorni di poco antecedenti la deposizione testimoniale avvenuta all'udienza 23.1.2013, il M. a ha effettuato continui pedinamenti e inseguimenti a piedi , a bordo di un'auto, a bordo di un motoveicolo, b. ha posto in pericolo l'incolumità della donna , manovrando questi veicoli in maniera imprudentemente irregolare c. si è appostato nei pressi dell'abitazione della donna d. l'ha ingiuriata direttamente nel corso degli incontri,oppure per telefono o con espressioni scritte su bigliettini anonimi che, sottoposti a perizia grafica, si sono rivelati prevenire dal M A queste risultanze processuali è stata riconosciuta dai giudici piena capacità persuasiva in ordine alla sussistenza di una reiterata condotta intimidatoria, molesta, ingiuriosa posta in essere dall'imputato condotta che rientra nell'ipotesi delittuosa prevista e punita dall'art. 612 bis c.p., quale figura di reato abituale , consistente cioè nella ripetizione di condotte identiche o omogenee non tutte in sé punibili,ma che si presentano come espressione di un habitus di vita, di un'inclinazione delittuosa . E' stata quindi correttamente ritenuta realizzata la violazione della norma dell'articolo 612 bis c.p., che è stata inserita nel nostro ordinamento a tutela della libertà morale della persona da intrusioni moleste e assillanti. La forza dimostrativa di questo complesso e coerente materiale probatorio non è stata razionalmente considerata smentita da uno specifico episodio di uno schiaffo che sarebbe stato inferto dalla donna al suo persecutore. 3.b. Queste condotte di per sé rilevanti ex artt. 612, 660,594 c.p. sono state realizzate in modo reiterato abituale tanto da integrare una persecuzione , caratterizzata dall'atteggiamento predatorio nei confronti della vittima, bene espresso dal termine inglese stalking , con cui viene solitamente descritto questo comportamento criminale. Le suindicate peculiarità del comportamento minaccioso, molesto ingiurioso del M. hanno esposto la vittima alla luce del comune livello di sensibilità e della media capacità di percezione del pericolo a conseguenze negative sul piano emotivo e psicologico stato di ansia e di paura ovvero timore per l'incolumità e sul piano pratico cambiamento delle abitudini di vita , che rappresentano eventi individuati dal legislatore proprio al fine di meglio circoscrivere la nuova area di illecito, caratterizzata da un aggravato disvalore rispetto alle suindicate ipotesi criminose e che, pertanto,giustificano una più severa reazione penale. Le risultanze processuali hanno quindi accertato la limitazione della libertà di movimento della donna , che dinanzi all'implicito messaggio dissuasivo proveniente dall'imputato ha finito per considerare un evento dall'esito verosimilmente traumatizzante e umiliante il lasciare la propria abitazione e affrontare i non voluti incontri con l'autore dell' assillante assedio . La corte di merito ha correttamente escluso la necessità di ricorrere alla scienza medica per poter riconoscere la destabilizzazione psicologica della vittima quale naturale,scontato e inconfutabile effetto di questo ben descritto comportamento invasivo. Questo grave e perdurante stato di turbamento emotivo comunque è stato ragionevolmente ritenuto idoneo a essere inquadrato negli altri due eventi di cui al capo di imputazione ., la cui sussistenza non dipende dall'accertamento di una stato patologico,che sarebbe idoneo se fosse stato contemplato dalla pubblica accusa a costituire l' evento dell'ulteriore delitto di lesioni in concorso formale con il delitto ex art. 612 bis c.p. La giurisprudenza ha già affermato che la nuova tipologia non può essere ricondotta ad una ripetizione del reato ex art. 582 c.p. e che per la sua consumazione è sufficiente che gli atti ritenuti persecutori abbiano un effetto destabilizzante della serenità, dell'equilibrio psicologico della vittima, a prescindere dall'accertamento di una malattia mentale o psichiatrica sez.5 numero 16864 del 10/01/2011 Rv.250158 . La sentenza della Corte costituzionale numero 172/2014 massima numero 38019 , impropriamente citata dal ricorrente, non prevede alcun accertamento tecnico-scientifico di questi eventi perdurante e grave stato di ansia e di paura , fondato timore per l'incolumità , trattandosi di eventi che riguardano la vita emotiva e psicologica, che debbono essere accertati attraverso un'accurata osservazione di segni e indizi comportamentali, desumibili dal confronto tra la situazione pregressa e quella conseguente alle condotte dell'agente, che denotino una apprezzabile destabilizzazione della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima. A questo proposito, del resto, anche la giurisprudenza di legittimità ex plurimis, Corte di cassazione, sezione quinta penale, sentenza numero 14391 del 2012 ha precisato che la prova dello stato di ansia e di paura può e deve essere ancorata ad elementi sintomatici che rivelino un reale turbamento psicologico, ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente, nonché dalle condizioni soggettive della vittima, purché note all'agente, e come tali necessariamente rientranti nell'oggetto del dolo . Come già rilevato , la corte di merito ha fedelmente e accuratamente seguito il percorso storico valutativo tracciato dalla giurisprudenza di legittimità ordinaria e costituzionale. 3.c. Quanto alle censure sul trattamento sanzionatorio, esse si pongono, senza proporre alcun convincente argomento critico, in contrasto con il consolidato e condivisibile orientamento interpretativo,secondo cui il trattamento sanzionatorio in generale, e la concessione, il giudizio di comparazione o il diniego delle attenuanti generiche, in particolare, rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito e quindi non richiedono un'analitica valutazione di tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli, indicati dalle parti o desunti dalle risultanze processuali , essendo sufficiente l'indicazione degli elementi ritenuti decisivi e rilevanti. Nel caso in esame,non è quindi censurabile la motivazione della sentenza impugnata, laddove ,confermando quanto ritenuto dal primo giudice, fa riferimento alla gravità del fatto ex art. 133 co. 1 numero 1 cp, desunta dal perdurare nel tempo del comportamento persecutorio, durato circa quattro anni, tanto da determinare la modifica del capo di imputazione sotto il profilo della protrazione della condotta. La corte di merito ha rigettato la richiesta del beneficio delle sospensione condizionale della pena , avendo razionalmente ritenuto impossibile una prognosi positiva sui futuri comportamenti del M., avuto riguardo non solo al prolungato arco di tempo in cui ha manifestato il suo habitus di vita, la sua inclinazione delittuosa , ma anche e soprattutto alle reiterate violazioni della misura cautelare dei divieto di avvicinamento alla persona offesa, violazioni che hanno reso necessaria la sua sostituzione con la misura degli arresti domiciliari. . Alla manifesta infondatezza dei motivi sopra esaminati consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000, 00, in favore della Cassa delle Ammende. In caso di diffusione della presente sentenza, vanno omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 del decreto legislativo 196/2003 P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000, 00, in favore della Cassa delle Ammende.