Il comportamento mafioso rileva anche se l’imputato agisce isolatamente

Per la configurabilità dell’aggravante dell’utilizzo del c.d. metodo mafioso”, prevista dall’art. 7, d.l. n. 152/1991, non è necessario che sia dimostrata l’appartenenza dall’imputato ad un’associazione a delinquere, essendo al contrario sufficiente che la violenza o la minaccia assuma veste tipicamente mafiosa anche se perpetrata individualmente.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 16053/15 depositata il 17 aprile. Il fatto. Il Tribunale di Potenza confermava la misura della custodia cautelare in carcere per un imputato al quale venivano contestati una serie di reati, tra cui concorso in tentata estorsione continuata, furto, incendio e concorso nella violazione della legge sulle armi. Il difensore dell’indagato propone ricorso per la cassazione del provvedimento lamentando unicamente il riconoscimento della circostanza aggravante del c.d. metodo mafioso”. Sostiene la difesa che la pronuncia impugnata avrebbe erroneamente riconosciuto la sussistenza della predetta aggravante facendo leva sulla serietà delle minacce e sul ricorso a strumenti di notevole impatto intimidatorio, nonché sulla reiterazione delle condotte, ponendosi in tal modo in contrasto con le più recenti pronunce di legittimità sul tema. La configurabilità del metodo mafioso. Le doglianze così prospettate vengono completamente disattese dalla Cassazione che ritiene infondato il ricorso. Il Tribunale del riesame ha correttamente applicato il consolidato orientamento giurisprudenziale che ritiene configurabile la circostanza aggravante del c.d. metodo mafioso” anche a carico di soggetti che non siano parte di un’associazione di tipo mafioso, ma pongano comunque in essere comportamenti minacciosi tali da richiamare alla mente ed alla sensibilità del soggetto passivo quello comunemente ritenuto proprio di chi appartenga ad un sodalizio del genere anzidetto . Ne consegue che per la configurabilità dell’aggravante non è necessario che sia dimostrata l’appartenenza dall’imputato ad un’associazione a delinquere, essendo al contrario sufficiente che la violenza o la minaccia assuma veste tipicamente mafiosa anche se perpetrata individualmente, nel senso che la violenza risulti concretamente caratterizzata dalla forza intimidatrice tipica del vincolo associativo. In tal senso, la Cassazione ribadisce che la ratio della circostanza in commento non è solo quella di punire più severamente chi commetta reati col fine di agevolare le associazioni mafiose, ma essenzialmente quella di contrastare in maniera più decisiva, data la loro maggiore pericolosità e determinazione criminosa, l’atteggiamento di coloro che, partecipi o non di reati associativi, utilizzino metodi mafiosi, cioè si comportino come mafiosi oppure ostentino, in maniera evidente e provocatoria, una condotta idonea ad esercitare sui soggetti passivi quella particolare coartazione e quella conseguente intimidazione caratteristica delle organizzazioni mafiose. Nel caso di specie il giudice di merito ha dunque correttamente ravvisato il metodo mafioso nelle condotte perpetrate dall’indagato, nonostante egli non appartenga ad un’associazione criminale. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 25 marzo – 17 aprile 2015, n. 16053 Presidente Petti – Relatore Alma Ritenuto in fatto Con ordinanza in data 20/11/2014, a seguito di giudizio di riesame, il Tribunale di Potenza ha confermato l'ordinanza in data 28/10/2014 del Giudice per le indagini preliminari presso il locale Tribunale con la quale era stata applicata a C.C.D. la misura cautelare personale della custodia in carcere. Il C. risulta indagato unitamente a P.C. per una serie di reati ed in particolare a per il reato di concorso in tentata estorsione continuata e pluriaggravata artt. 110, 81 cpv., 56 e 629 cod. pen., 7 l. 203/91 ai danni di D.S.M. e D.S.G. b per il reato di concorso nella violazione della legge sulle armi continuata ed aggravata artt. 81 cpv. 110, 61 n. 2, cod. pen., 2 e 4 l. 895767, 7 l. 203/91 riguardante la detenzione ed il porto in luogo pubblico di una mitraglietta tipo UZI e del relativo munizionamento da guerra c per i reati di furto ed incendio pluriaggravati artt. 81 cpv. 110, 61 n. 2, 423, 624 e 625 cod. pen., 7 l. 203/91 consumati ai danni di G.M. d per il reato di tentata estorsione continuata e pluriaggravata artt. 110, 81 cpv., 56 e 629 cod. pen., 7 I. 203/91 ai danni di L.A. e per il reato di concorso nella violazione della legge sulle armi continuata ed aggravata artt. 81 cpv. 110, 61 n. 2, cod. pen., 2 e 4 l. 895767, 7 l. 203/91 riguardante la detenzione ed il porto in luogo pubblico di una mitraglietta tipo UZI e di una pistola cal. 9x21 nonché del relativo munizionamento delle predette armi. Ricorre per Cassazione avverso la predetta ordinanza il difensore dell'indagato, deducendo con motivo unico la violazione di legge per violazione ed erronea interpretazione degli artt. 273 cod. proc. pen. e 7 l. 203/91. Si duole la difesa del ricorrente, dopo avere riassunto le criticità che - a suo giudizio - riguardavano l'ordinanza genetica impositiva del provvedimento cautelare, del fatto che erroneamente il Tribunale del riesame avrebbe ritenuto la sussistenza della contestata circostanza aggravante di cui all'art. 7 della l. 203/91. In particolare il Tribunale avrebbe riconosciuto detta circostanza aggravante dalla serietà delle minacce e dal ricorso a strumenti di notevole impatto intimidatorio, nonché dalla reiterazione degli attentati. Ancora per il riconoscimento dell'aggravante è stato sottolineato l'utilizzo di un modus operandi tipico delle organizzazioni mafiose con la creazione di un clima omertoso e di assoggettamento tale da richiamare alla mente delle persone offese i comportamenti tipici delle organizzazioni mafiose. Al riguardo evidenzia la difesa del ricorrente che tale ratio decidendi del Tribunale del riesame si pone in contrasto con le più recenti pronunce in materia di questa Corte Suprema secondo le quali il metodo mafioso non può essere desunto dalla stessa natura dell'intimidazione e della minaccia formulata, essendo necessario per la configurabilità della aggravante de qua la presenza di condotte specificamente evocative di forza intimidatrice derivante dal vincolo associativo e non dalle mere caratteristiche soggettive di chi agisce idonee a determinare una condizione di assoggettamento e di omertà. Rileva, inoltre, la difesa del ricorrente come anche nell'unico contatto avutosi tra estorsore e vittima il primo non abbia evocato la presenza di consorterie mafiose e che il richiamo alternativo fatto ad ambienti di o omissis luoghi ed ambienti completamente diversi confligge a livello concettuale con la fenomenologia mafiosa come ontologicamente ravvisabile in un sodalizio ben individuato ed individuabile. Considerato in diritto Il ricorso non è fondato. La questione posta dalla difesa si riconduce esclusivamente alla valutazione della sussistenza dell'aggravante prevista dall'art. 7 del d.l. 152/91 conv. nella l. 203/91 . Risulta dal provvedimento impugnato che l'indagato unitamente al complice P.C. ha posto in essere reiterati tentativi di estorsione ai danni delle aziende gestite nell'un caso da D.S.M. e D.S.G. e nell'altro da L.A. . Le azioni intimidatorie sono consistite nell'esplosione anche in occasioni diverse di colpi di mitragliatore e di altra arma da guerra verso i cancelli di ingresso delle predette aziende. Nel caso dell'estorsione ai danni dei D.S. era poi stata effettuata anche una telefonata nel corso della quale l'interlocutore diceva al titolare dell'azienda prepara i soldi se no la prossima volta ti sparo in testa, rivolgiti a omissis o ad . Quanto, poi, all'imprenditore L. era stato fatto chiaramente intendere allo stesso che per evitare altri atti intimidatori o violenti avrebbe dovuto corrispondere una somma di denaro. Va detto subito che, come correttamente evidenziato anche dal Tribunale del riesame nell'ordinanza impugnata, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte Suprema la circostanza aggravante del cosiddetto metodo mafioso è configurabile anche a carico di soggetto che non faccia parte di un'associazione di tipo mafioso, ma ponga in essere, nella commissione del fatto a lui addebitato, un comportamento minaccioso tale da richiamare alla mente ed alla sensibilità del soggetto passivo quello comunemente ritenuto proprio di chi appartenga ad un sodalizio del genere anzidetto Cass. Sez. 2, sent. n. 38094 del 05/06/2013, dep. 17/09/2013, Rv. 257065 . Infatti per la configurabilita dell'aggravante dell'utilizzazione del metodo mafioso , prevista dall'art. 7 D.L. 13 maggio 1991, n. 152 conv. in I. 12 luglio 1991, n. 203 , non è necessario che sia stata dimostrata o contestata l'esistenza di un'associazione per delinquere, essendo sufficiente che la violenza o la minaccia assumano veste tipicamente mafiosa Cass. Sez. 2, sent. n. 322 del 02/10/2013, dep. 08/01/2014, Rv. 258103 . La funzione dell'aggravante de qua è quella di reprimere il metodo delinquenziale mafioso, utilizzato anche dal delinquente individuale sul presupposto dell'esistenza in una data zona di associazioni mafiose. Ne consegue che la tipicità dell'atto intimidatorio necessario per la configurabilità di detta circostanza aggravante è ricollegabile non già alla natura ed alle caratteristiche dell'atto violento in sé considerato, bensì al metodo utilizzato, nel senso che la violenza con cui esso è compiuto risulti concretamente collegata alla forza intimidatrice del vincolo associativo. Proprio in applicazione di tale principio questa Corte Suprema ha, già nel passato, ritenuto immune da censure la qualificazione di atti intimidatori di tipo mafioso con riguardo a quelli compiuti nella esecuzione di un tentativo di estorsione, mediante telefonate minatorie alla vittima designata e sparando colpi d'arma da fuoco contro la facciata del negozio e l'autovettura di quest'ultima cfr. al riguardo Cass. Sez. 6, sent. n. 30246 del 17/05/2002, dep. 05/09/2002, Rv. 222427 . I principi sui quali si è fondata la decisione da ultimo indicata non possono che essere ribaditi in questa sede in quanto la ratio sottostante al citato art. 7 non è solo quella di punire più severamente coloro che commettono reati con il fine di agevolare le associazioni mafiose, ma essenzialmente quella di contrastare in maniera più decisa, data la loro maggiore pericolosità e determinazione criminosa, l'atteggiamento di coloro che, partecipi o non di reati associativi, utilizzino metodi mafiosi, cioè si comportino come mafiosi oppure ostentino, in maniera evidente e provocatoria, una condotta idonea ad esercitare sui soggetti passivi quella particolare coartazione e quella conseguente intimidazione che sono proprie delle organizzazioni della specie considerata. Ora, traslando detti principi nel caso in esame appare di tutta evidenza che le modalità delle azioni descritte - poste in essere in aree del territorio tipicamente permeate dalla presenza di organizzazioni di tipo mafioso, reiterate e realizzate con l'uso di armi di guerra ad altissimo potenziale costituenti notoria dotazione di tali consorterie criminali e di fatto utilizzate mediante l'esplosione di decine colpi - unitamente ad una minaccia consistita non solo nella richiesta di versamento di denaro pena il compimento di ulteriori gravissime azioni questa volta contro la persona ma anche in un neanche troppo velato riferimento al fatto che gli autori delle azioni operavano in un più ampio contesto rivolgiti a omissis o ad , certamente consentono di configurare il metodo mafioso di cui alla circostanza aggravante in esame, metodo indubbiamente percepibile dalle vittime ed obiettivamente caratterizzato da una forza intimidatoria di particolare cogenza al punto da instillare nelle stesse quelle situazioni di assoggettamento ed omertà tipici di chi è vittima di attività estorsive poste direttamente in essere dalle organizzazioni mafiose. A conforto di quanto detto risulta estremamente rilevante quanto evidenziato testualmente a pag. 13 dell'ordinanza impugnata laddove il Tribunale ha rilevato che il reale effetto di assoggettamento e di timore omertoso provocato alle vittime veniva manifestamente dimostrato in occasione delle sommarie informazioni rese dal L. , il quale non offriva mai alcuno spunto interessante preferendo al contrario - per quanto è dato dedurre dalle intercettazioni acquisite - cercare una soluzione diretta con i suoi estorsori . Da quanto sopra consegue il rigetto del ricorso in esame, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94 disp. att. c.p.p