Come hanno potuto due aspiranti avvocati copiare se all’esame erano in plessi diversi?

Ai sensi dell’art. 1, l. n. 475/1925, chiunque in esami o concorsi pubblici per il conferimento di lauree o di ogni altro grado o titolo scolastico o accademico, per l’abilitazione all’insegnamento e all’esercizio di una professioni presenti, come propri lavori che siano in realtà opera di altri, è punito con la reclusione da 3 mesi ad 1 anno. La pena non può essere inferiore a 6 mesi qualora l’intento sia conseguito. Si tratta di un reato di mera condotta, punibile anche a titolo di concorso di persona, ex art. 110 c.p

E’ quanto chiarito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 15445/15 depositata il 15 aprile. Il caso. La Corte d’appello di Lecce confermava la condanna di due imputati per aver, in concorso tra loro con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, nel corso della sessione di esame di avvocato del 2005, presentato come propri elaborati in realtà frutto di elaborazione altrui, risultando identiche le prove scritte redatte dai due. Avverso la sentenza entrambi gli imputati propongono ricorso in Cassazione, a mezzo dei rispettivi difensori. La notifica dell’impugnazione in appello. Uno dei ricorrenti solleva un censura di ordine processuale, lamentando la mancata notifica ad ognuno dei due imputati dall’atto di impugnazione proposto dall’altro, atteso che con le argomentazioni difensive ognuno dei due rivendicava la paternità e l’autenticità del proprio elaborato. A giudizio della Cassazione la doglianza è priva di fondamento in quanto la vicenda processuale si è svolta conformemente al principio giurisprudenziale per cui la disposizione processuale che si assume violata – art. 584 c.p. – è dettata dall’intento di garantire alla parte che non abbia proposto nei termini l’impugnazione, la possibilità di avvalersi del gravame incidentale, per contrastare la pretesa principale che nei suoi confronti sia stata avanzata da altra rispetto a lei contendente . La norma incriminatrice. L’altro ricorrente lamenta invece il merito della decisione. La Cassazione coglie l’occasione per ripercorrere il quadro normativo di riferimento rinvenibile nell’art. 1, l. n. 475/1925 che testualmente dispone Chiunque in esami o concorsi, prescritti o richiesti da autorità o pubbliche amministrazioni per il conferimento di lauree o di ogni altro grado o titolo scolastico o accademico, per l’abilitazione all’insegnamento e all’esercizio di una professione, per il rilascio di diplomi o patenti, presenti, come propri, dissertazioni, studi, pubblicazioni, progetti tecnici e, in genere, lavori che siano opera di altri, è punito con la reclusione da tre mesi ad un anno. La pena della reclusione non può essere inferiore a sei mesi qualora l’intento sia conseguito . Si aggiunga che per falsa attribuzione di lavoro altrui si intende non solo la presentazione di un elaborato materialmente eseguito da altri, ma anche di quello redatto dal candidato copiando da altri lavori. Si tratta di un reato di mera condotta punibile anche a titolo di concorso di persona, ex art. 110 c.p La contraddittorietà della sentenza impugnata. La motivazione della sentenza impugnata, correttamente, si fonda sull’incontestabile identità degli elaborati presentati dai due imputati, ma non dà adeguatamente conto di come i due possano aver collaborato tra loro o copiato i rispetti elaborati essendo collocati in plessi diversi, finitimi ma non comunicanti, come dichiarato da un testimone. In ciò si rileva una manifesta illogicità e contraddittorietà, avendo i giudici di merito ritenuto responsabili gli imputati sulla base di mere affermazioni assertive ed aprioristiche, contrastanti con la realtà fattuale riferita dal teste. Per questi motivi, la Corte di Cassazione annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 10 dicembre 2014 – 15 aprile 2015, n. 15445 Presidente Squassoni – Relatore Grillo Ritenuto in fatto 1.1 Con sentenza del 5 marzo 2014 la Corte di Lecce confermava la sentenza emessa dal Tribunale di quella città in data 24 gennaio 2013 nei confronti di G.S.G. e S.F. i quali erano stati condannati, ciascuno, alla pena di mesi tre di reclusione con i doppi benefici di legge per il reato di cui agli artt. 81 cod. pen. e 1 della L. 475/25, commesso tra il 13 ed il 15 dicembre 2005. 1.2 Ricorrono avverso la detta sentenza entrambi gli imputati a mezzo dei rispettivi difensori. Il ricorrente G. , come primo motivo lamenta l'inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 584 cod. proc. pen. con riferimento alla mancata notifica ad ognuno dei due imputati dell'atto di impugnazione proposto dall'altro attese le posizioni processuali dei due imputati i quali avevano sostenuto nelle rispettive difese la paternità ed autenticità degli elaborati di ciascuno di essi attribuendo la responsabilità ad una abusiva ed inconsapevole appropriazione altrui dello scritto. Subordinatamente - nell'ambito dello stesso motivo - il ricorrente eccepisce l'illegittimità costituzionale della norma processuale violata in relazione agli artt. 24 e 111 commi 2, 3 e 4 Cost., ritenendo detta questione, oltre che fondata, rilevante in relazione alla lesione dei diritti difensivi ed in specie di quelli propri del contraddittorio. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta il vizio di manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione per avere la Corte distrettuale confermato il giudizio di colpevolezza del G. , in contrasto con quanto riferito dal teste GA. che aveva evidenziato l'impossibilità di un contatto tra i due candidati, odierni ricorrenti, attesa la dislocazione di costoro in plessi tra loro distanti anche se vicini e non comunicanti. 1.3 A sua volta il ricorrente S.F. deduce, quale unico motivo, carenza della motivazione per mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà oltre che per travisamento della prova, rilevando che la Corte distrettuale non ha dato risposta alle specifiche censure sollevate con l'atto di impugnazione con specifico riferimento alla circostanza che l'appropriazione dell'altrui opera intellettuale presuppone necessariamente la prova della fonte da cui proviene l'opera intellettuale usurpata. Secondo la tesi del ricorrente, infatti, la Corte di merito ha ritenuto scontata - visti i risultati che si erano verificati assoluta identità degli elaborati di ciascuno dei due candidati - la collaborazione materiale tra di essi senza nemmeno provare a spiegare se non come una mera petizione di principio quali fossero state le forme di comunicazione reciproca idonee a consentire la copiatura reciproca degli elaborati. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato nei termini e per le considerazioni che seguono. 1.1. Va premesso, in punto di fatto, che a ciascuno dei ricorrenti è contestato il reato di cui agli artt. 81 cod. pen. e 1 L. 475/25 perché in concorso con G.S. S.F. con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, nel corso della sessione di esame di avvocato relativa all'anno 2005, presentavano come propri elaborati in realtà frutto dell'elaborazione di altri, risultando identiche le prove scritte dai medesimi redatte, concernenti l'elaborazione di un parere in materia penale e nella redazione di un atto giudiziario [reato accertato tra il 13 ed il 15 dicembre 2005]. 1.2 Prima di esaminare il profilo attinente al merito della vicenda con stretto riferimento alla logicità e coerenza della motivazione offerta dalla Corte di merito, va affrontato il profilo processuale sollevato dal ricorrente G. nel primo motivo di ricorso esso si riferisce alla pretesa violazione della norma processuale di cui all'art. 584 cod. proc. pen. per effetto del quale l'atto di impugnazione è comunicato a cura della cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, al pubblico ministero presso il medesimo giudice ed è notificato alle parti private senza ritardo. Sostiene il ricorrente che i motivi di impugnazione proposti da ciascuno dei due imputati involgevano profili attinenti alla responsabilità altrui e non attenevano a ragioni esclusivamente personali da qui la dedotta inosservanza della legge processuale per avere la Corte ritenuto non necessaria la notifica di ciascuno dei due atti di appello all'altra parte, avendo affermato che ciascuno dei due imputati non poteva considerarsi parte avversa dell'altro, avendo ognuno di essi proposto un autonomo atto di impugnazione principale. Tale decisione, assunta dalla Corte territoriale all'udienza del 5 marzo 2014 con apposita ordinanza contestata dal ricorrente , a giudizio del Collegio è pienamente condivisibile in quanto conforme al principio affermato da questa Suprema Corte secondo il quale la disposizione processuale in parola è dettata nell'intento di garantire alla parte che non abbia proposto nei termini l'impugnazione, la possibilità di avvalersi del gravame incidentale, per contrastare la pretesa principale che nei suoi confronti sia stata avanzata da altra rispetto a lei contendente, con la conseguenza che l'impugnazione presentata dal coimputato, diretta ad ottenere la modificazione della sentenza per ragioni personali, non va notificata agli altri coimputati Sez. 3^ 15.7.1994 n. 9344, Bertino e altri, Rv. 198803 conforme Sez. 4^ 20.1.2002 n. 4006, Kalb, Rv. 223431 . 1.3 Nel caso in esame, in effetti, ognuno dei due imputati era ed è portatore di un proprio interesse autonomo tanto da proporre un appello principale in cui venivano esposte ragioni del tutto personali volte ad escludere la propria responsabilità senza alcuna attribuzione all'altro, di guisa che non poteva sorgere - come invece erroneamente sostenuto dal ricorrente G. - un antagonismo in termini di contrapposizione tra i due imputati. 1.4 Tali considerazioni fanno si che la subordinata questione di legittimità costituzionale per asserita violazione degli artt. 24 e 111 commi 3 4 e 5 Cost. non ha alcuna ragion d'essere profilandosi come manifestamente infondata. 1.5 Tanto detto e ritornando al merito della vicenda in esame, va rilevato che si tratta di due condotte autonome poste in essere da ciascuno degli odierni ricorrenti che ha indotto la Corte distrettuale a ritenere le stesse il frutto di una reciproca collaborazione tra i due candidati attraverso forme di comunicazioni diverse, ancorché non specificate né specificabili , a nulla rilevando la circostanza - pacifica in atti - che i due candidati fossero posizionati in plessi diversi, ancorché viciniori, ben potendo essere accaduto che i due candidati si fossero allontanati dalle rispettive sedi per ritrovarsi in un luogo comune anche grazie all'ausilio di addetti al controllo. L'assoluta identità dei due elaborati per ciascuno dei giorni interessati non poteva avere - a detta del giudice distrettuale - alternative spiegazioni, oltre quella sopradetta, in quanto era da escludere che i due candidati, ad insaputa l'uno dell'altro, si fossero potuti appropriare, separatamente, dell'opera intellettuale di una terza persona, peraltro non individuata né individuabile. 1.3 Il quadro normativo di riferimento, assai risalente nel tempo ma tuttora vigente, è costituito dalla L. 19.4.1925 n. 475 in particolare l'art. 1 prevede che Chiunque in esami o concorsi, prescritti o richiesti da autorità o pubbliche amministrazioni per il conferimento di lauree o di ogni altro grado o titolo scolastico o accademico, per l'abilitazione all'insegnamento ed all'esercizio di una professione, per il rilascio di diplomi o patenti, presenta, come proprii, dissertazioni, studi, pubblicazioni, progetti tecnici e, in genere, lavori che siano opera di altri, è punito con la reclusione da tre mesi ad un anno. La pena della reclusione non può essere inferiore a sei mesi qualora l'intento sia conseguito . 1.4 La fattispecie regolata dalla legge in esame ha lo scopo di tutelare l'interesse alla genuinità degli elaborati presentati alla commissione incaricata di procedere alla valutazione dei candidati v. in proposito Sez. 5^, 22.2.1989, Mazzocca, n. 626, Rv. 181973 Sez. 3^, 4.6.1984, Pilade, n. 9673, Rv. 166535 e, secondo l'interpretazione corrente della giurisprudenza di questa Corte Suprema, per falsa attribuzione del lavoro altrui s'intende non solo la presentazione di un elaborato materialmente redatto da terzi, ma anche quello redatto dal candidato che lo abbia, a sua volta, copiato da altri lavori Sez. I3A 20.12.1978,n. 2139, Dell'Anno, Rv. 142419 . Sotto l'aspetto strutturale il reato si configura di mera condotta vds. Sez. 3^ 9673/84 cit. , punibile -laddove ne ricorrano le condizioni - a titolo di concorso di persone ex art. 110 cod. pen. v. Sez. 5^ 9.5.2008 n. 36625, Venturato, Rv. 241639 secondo cui integra l'ipotesi concorsuale la diretta collaborazione di due o più persone nella realizzazione di opere in comune, sia pure in parte di altri, ovvero nella realizzazione da parte di uno di essi di un lavoro originale nello stesso contesto in cui il concorrente, d'intesa con il primo, ne faccia uso mediante copiatura e presentazione per la successiva valutazione. Fattispecie relativa a elaborati presentati negli esami per l'abilitazione all'esercizio della professione forense . 1.5 Tale essendo il quadro normativo di riferimento, nel caso de quo la motivazione offerta dalla Corte di merito, attraverso il richiamo per relationem alla condivisa sentenza di primo grado, non pare a giudizio del Collegio aver soddisfatto i requisiti di completezza, logicità e coerenza richiesti dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema. 1.6 La Corte distrettuale, nel confermare il giudizio di colpevolezza, ha tenuto conto di due dati non contestati a l'assoluta identità degli elaborati dei due candidati b la dislocazione in plessi diversi, ancorché finitimi, dei due candidati in ciascun giorno di esami. 1.7 Ora se è certamente fuori discussione il dato della assoluta identità dei due elaborati, ciò non esime né esimeva la Corte di merito dal verificare in che modo i due imputati potessero avere collaborato nella copiatura, tanto più che, altrettanto incontestabilmente, è risultato che i due candidati si trovavano in due plessi diversi e non erano quindi in grado di comunicare tra loro. In ciò risiede la manifesta illogicità della motivazione e la sua contraddittorietà, posto che della testimonianza GA. la Corte di merito non fa cenno alcuno se non per confermare che i due plessi erano distanti tra loro , limitandosi ad asserire in termini apodittici che i due imputati potrebbero essere entrati in contatto durante lo svolgimento delle due prove, comunicando tra loro con l'ausilio di strumenti di comunicazione telefoni cellulari o con l'ausilio di terze persone legittimate a spostarsi da un'aula all'altra così pagg. 4 e 5 della sentenza impugnata . 1.8 Si tratta, ad evidenza, di affermazioni assertive del tutto sganciate dalla realtà fattuale come riferita dal teste GA. , sicché sarebbe stato necessario che la Corte non solo approfondisse tale tema, ma soprattutto individuasse la fonte da cui proveniva l'opera intellettuale. Ed anche su tale punto le affermazioni della Corte sono frutto di un ragionamento deduttivo di tipo aprioristico vds. pag. 3 della sentenza gravata , tanto più che non sono state indicate in concreto, ma solo ipotizzate, le possibili forme di comunicazione che hanno poi consentito ai due imputati di elaborare due scritti identici. 1.9 Tali incertezze non sono state colmate dalla Corte di merito, con la conseguenza che la sentenza deve essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Lecce per nuovo esame sui punti controversi uniformandosi ai rilievi ed ai principi di diritto enunciati da questa Corte Suprema. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Lecce.