La sentenza di non luogo a procedere fra esame nel merito e natura processuale, per la Cassazione prevale la seconda

Il giudice per l’udienza preliminare non è il giudice dibattimentale, è il giudice della prospettiva dibattimentale. La Cassazione pone l’accento sulla natura processuale della sentenza ex art. 425 c.p.p

Così per la Cassazione, Quinta Sez. Penale, n. 15639/2015, depositata il 15 aprile. Il fatto. Noto calciatore, più volte nazionale, fu suo malgrado coinvolto in un giro di scommesse clandestine tenuto da una diffusa organizzazione criminale. Un quotidiano nazionale titolò additandolo in posizione ibrida nel ricettacolo criminale anziché quale persona offesa estranea ai fatti, in tal modo infangandone la reputazione, sulla scorta dell’ipotesi della preesistenza di debiti di gioco a carico del calciatore. Il giudice per l’udienza preliminare prosciolse ex art. 425 c.p.p. l’articolista ed il direttore responsabile dall’accusa di aver diffamato il calciatore, con laconico motivare in punto di verità della notizia ed assoluta inconsistenza degli elementi probatori a carico, ritenuta integrata l’esimente del diritto di critica su fatti noti al pubblico sportivo. Il calciatore, costituitosi parte civile, ricorre in Cassazione, contestando la verità della notizia come dedotta dal contenuto articolistico e la velata insinuazione a carico del calciatore di aver fatto parte di un giro di scommesse clandestine. La Cassazione annulla la sentenza, accogliendo i motivi. La natura processuale della sentenza di non luogo a procedere l’esame della sostenibilità dell’accusa in giudizio. Di fatto il giudice per l’udienza preliminare aveva motivato in punto di innocenza degli imputati nel merito anziché in senso processuale , quale insostenibilità dell’accusa al vaglio dibattimentale. La Cassazione rileva la distonia rispetto al consolidato orientamento giurisprudenziale - rimasto immutato successivamente alla novella del 1999 - che ravvisa nell’udienza preliminare il luogo di filtro di quanto è probatoriamente irrilevante da quanto merita cura ed approfondimento dibattimentale, evidenziando la natura processuale della sentenza di non luogo a procedere. La Cassazione pare allontanarsi da quel meno rigoroso orientamento – avvalorato dalla Corte costituzionale - che consente al giudice un seppur minimale vaglio sul merito – sulla scorta del primo e del secondo comma dell’art. 425 c.p.p. - consentendo un motivare più sostanziale sulle accuse mosse agli indagati. Nel caso in questione, il giudice è apparso eccessivamente licenzioso in punto di diritto e di consistenza dell’accusa anziché adottare una più marcata visione prospettiva sulla sostenibilità dell’accusa in giudizio, che avrebbe potuto condurre ad un miglior approfondimento sulle circostanze che hanno fatto ritenere integrata l’esimente del diritto di critica , verificata positivamente dal giudice dell’udienza preliminare nonostante una parziale e stringata conoscenza dei fatti. Il diritto di critica i requisiti. Il calciatore venne dipinto come esperto di scommesse clandestine, nel quadro di una organizzazione camorristica. Il giudice per l’udienza preliminare, assai sommariamente, etichettò fondata l’esimente del diritto di critica la quale, per poter operare, deve seguire i noti criteri di verità della notizia, di interesse pubblico alla divulgazione e di continenza dei modi e delle forme di divulgazione della notizia. Nel caso in esame, il riferimento al calcio scommesse frequentato dal calciatore – si tratta di condotte passibili di censura morale e penale ai sensi dell’art. 4 della legge n. 410 del 1989 - non fu adeguatamente fondato dai giornalisti su fatti e valutazioni che avessero esulato dalla mera diceria nel mondo professionistico. Il giudice non con adeguato motivare ravvisò fondata la notizia diffusa nel contenitore editoriale. Si dedusse una insinuazione di riprovevolezza morale a carico del calciatore, nonostante l’assenza di personali precedenti specifici licenziati dalla giustizia sportiva e l’assenza di ulteriori elementi di fatto che confortassero un coinvolgimento del calciatore nel mondo delle scommesse clandestine. La Cassazione ha annullato rinviando al tribunale per un nuovo esame.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 16 febbraio – 15 aprile 2015, n. 15639 Presidente Lapalorcia – Relatore Guardiano Fatto e diritto 1. Con sentenza pronunciata il 6.12.2013 il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma, all'esito dell'udienza preliminare, pronunciava sentenza di non luogo a procedere nei confronti di M.S. perché il fatto non costituisce reato e di O.M. perché il fatto non sussiste , imputata, la prima, in qualità di autrice, del reato di cui agli artt. 595, co. 1, 2 e 3, c.p., 13, l. n. 47/48, il secondo, in qualità di direttore responsabile, del reato di cui agli artt. 57, c.p., 595, co. 3, c.p., 13, l. n. 47/48, in relazione all'articolo pubblicato sul quotidiano OMISSIS , in data OMISSIS , che, secondo l'ipotesi accusatoria, conteneva affermazioni lesive della reputazione di N.P. . Ciò in quanto, come si evince dal capo d'imputazione, il titolo dell'articolo riportato in prima pagina era del seguente tenore L'ex N. ricattato dalla camorra. Portaci qualcuno della Lazio , mentre nelle pagine interne l'articolo, a firma di M.S. , faceva riferimento ad un coinvolgimento di N.P. , ex calciatore di serie A delle società sportive S.S. Lazio e A.C. Siena, alla vicenda del calcioscommesse e a rapporti con la criminalità organizzata . Riteneva, tuttavia, il giudice, da un lato che dal titolo attribuito all'articolo nelle pagine interne del quotidiano Indagine su N. , ex Lazio la camorra mi ricattava , si evince che il cronista non presenta N. quale indagato, come assunto dalla parte civile, bensì come persona offesa dall'altro che dal testo dell'articolo risulta chiaro che N. era ricattato, ma, soprattutto, che ha denunciato i fatti e che ha collaborato con gli inquirenti in modo esaustivo , concludendo che le parole di cui al capo d'imputazione, lette alla luce dell'articolo nel suo complesso, tenuto conto dell'interesse della pubblica opinione alla vicenda giudiziaria, non leda l'onore e il decoro professionale della parte civile. Ad avviso del giudice procedente, infatti, non può considerarsi lesiva l'affermazione, presentata, peraltro, come una mera ipotesi, che l'indagato avesse debiti di gioco essendo il gioco attività lecita né che fosse amico del gestore di una ricevitoria di scommesse, anch'essa attività lecita . Al tempo stesso il giudice per le indagini preliminari evidenzia come, anche a voler ritenere diffamatorie le suddette espressioni, esse appaiono scriminate dal diritto di cronaca , avendo la giornalista riportato una notizia assolutamente vera nei connotati essenziali, del resto confermata dallo stesso querelante, relativa all'indagine attinente all'estorsione subita dal N. e di interesse sociale perché attinente a un ex giocatore di una squadra di calcio molto nota , abbia usato espressioni nei limiti della continenza, poiché non hanno inteso aggredire gratuitamente l'altrui reputazione e per nulla offensive . 2. Avverso tale decisione, di cui chiede l'annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione il N. , parte civile costituita, a mezzo del suo difensore di fiducia, avv. Stefano Greco, lamentando l'erronea applicazione della legge penale, sia in relazione alla riconosciuta esimente del diritto di cronaca, di cui, ad avviso del ricorrente non sussistono i presupposti, sia con riferimento all'art. 425, co. 1 e 3, c.p.p., in quanto con il provvedimento impugnato il giudice è entrato nel merito della vicenda per cui si procede, operando una valutazione sulla colpevolezza degli imputati, che non gli era consentita, in considerazione del carattere meramente processuale della sentenza di non luogo a procedere prevista dall'art. 425, c.p.p. 3. Il ricorso è fondato. Ed invero, nel pronunciare la sentenza di proscioglimento nei confronti della M. e dell'O. , il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Roma ha oltrepassato i limiti entro i quali è consentita l'adozione di una pronuncia ai sensi dell'art. 425 c.p.p., come da tempo fissati dalla giurisprudenza di legittimità. Il giudice dell'udienza preliminare, infatti, ha il potere di pronunziare la sentenza di non luogo a procedere non quando effettui un giudizio prognostico in esito al quale pervenga ad una valutazione di innocenza dell'imputato, ma in tutti quei casi nei quali non esista una prevedibile possibilità che il dibattimento possa invece pervenire ad una diversa soluzione, in quanto il criterio di valutazione al quale egli deve attenersi non è, per l'appunto, l'innocenza dell'imputato, ma l'inutilità del dibattimento, anche in presenza di elementi di prova contraddittori od insufficienti cfr., ex plurimis, Cass., sez. IV, 10/01/2012, n. 8912, S.A. e altro Cass., sez. VI, 12/01/2012, n. 10849, B.V. e altro Cass., sez. VI, 17/07/2012, n. 33921, rv. 253127 . In altri termini solo una valutazione di assoluta inutilità del dibattimento può legittimare una sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 c.p.p. per una interessante applicazione di tale principio in materia di diffamazione a mezzo stampa, cfr. Cass., sez. V, 11/10/2011, n. 3721, P.B. e altro, in cui la Corte ha annullato con rinvio la sentenza di non luogo a procedere emessa nei confronti del direttore di un giornale e del giornalista responsabile di un articolo accusati del delitto di diffamazione, per aver pubblicato a corredo del suddetto articolo una fotografia della parte lesa con la didascalia che la dipingeva come una questuante all'opera . Orbene nel caso in esame, non può certo parlarsi di assoluta inutilità del dibattimento, che, invece, appare necessario proprio allo scopo di verificare se nella condotta contestata alla M. ed all'O. siano ravvisabili o meno gli elementi costitutivi dei reati oggetto di contestazione, in relazione al contenuto dell'articolo incriminato , potenzialmente idoneo, per il suo contenuto, come si vedrà in prosieguo, a ledere la reputazione del N. . Verifica dibattimentale che si appalesa necessaria anche perché le motivazioni addotte a sostegno della sua decisione dal giudice per le indagini preliminari appaiono oggettivamente viziate da un'erronea applicazione dei principi in materia di efficacia scriminate dell'esercizio del diritto di cronaca nel reato di diffamazione a mezzo stampa. Va, infatti, ribadito un principio da tempo affermato dalla giurisprudenza di legittimità, condiviso dal Collegio, secondo cui in tema di diffamazione a mezzo stampa, condizioni indispensabili per il corretto esercizio del diritto di critica sono a la verità del fatto attribuito e assunto a presupposto delle espressioni di critica, in quanto - fermo restando che la realtà può essere percepita in modo differente e che due narrazioni dello stesso fatto possono perciò stesso rivelare divergenze anche marcate - non può essere consentito attribuire a un soggetto specifici comportamenti dallo stesso non tenuti o espressioni mai pronunciate, per poi esporlo a critica come se quei fatti o quelle espressioni fossero effettivamente a lui riferibili mentre, qualora il fatto risulti obiettivamente falso, la possibilità di applicare la scriminante, sotto il profilo putativo ai sensi dell'art. 59 c.p., presuppone che il giornalista abbia assolto all'onere di controllare accuratamente la notizia risalendo alla fonte originaria e che l'errore circa la verità del fatto non costituisca espressione di negligenza, imperizia o, comunque, di colpa non scusabile, come nel caso in cui il fatto non sia stato sottoposto alle opportune verifiche e ai doverosi controlli b l'interesse pubblico alla conoscenza dei fatti e la continenza, che deve ritenersi superata quando le espressioni adottate risultino pretestuosamente denigratorie e sovrabbondanti rispetto al fine della cronaca del fatto e della sua critica la verifica circa l'adeguatezza del linguaggio alle esigenze del diritto del giornalista alla cronaca e alla critica impone l'accertamento della verità del fatto riportato e la proporzionalità dei termini adoperati in rapporto all'esigenza di evidenziare la gravità dell'accaduto, quando questo presenti oggettivi profili di interesse pubblico con la precisazione che, pur essendo consentita una polemica anche intensa su temi di rilievo sociale e politico, esula comunque dalla critica il gratuito attacco morale alla persona cfr. Cass., ex plurimis, sez. I, 04/07/2008, n. 35646, G. e altro . Ciò implica a carico del giornalista, anche ai fini della eventuale sussistenza della scriminante putativa dell'esercizio del diritto di cronaca, l'obbligo di esaminare, controllare e verifica re quanto oggetto della sua narrativa, al fine di vincere ogni dubbio sulla verità della notizia, che va riportata in modo completo, in quanto l'intreccio del dovere del giornalista di informare e del diritto del cittadino di essere informato merita rilevanza e tutela costituzionale se ha come base e come finalità la verità e la sua diffusione cfr. Cass., sez. V, 17/07/2009, n. 45051, V. e altro Cass., sez. V, 26/09/2012, n. 41249, S.A. Cass., sez. V, 04/11/2010, n. 44024, rv. 249126 . Appare, dunque, evidente, l'omissione in cui è caduto il giudice per le indagini preliminari, che non ha svolto alcuna valutazione in ordine al fatto narrato, perché la notizia, della cui verità si discute ed in relazione alla quale era posto a carico del giornalista e del direttore in sede di controllo l'obbligo violato di procedere ad un compiuto esame, controllo e verifica di quanto sarebbe stato pubblicato, è l'esistenza di pregressi e stretti rapporti tra il N. ed il mondo delle scommesse clandestine gestito dalla criminalità organizzata campana. Il N. , infatti, viene dipinto, nel corpo dell'articolo di cui si discute, come un soggetto da sempre affetto dal vizio per il gioco d'azzardo , tanto da insinuare il dubbio che persino alcune sue giocate, durante i dodici anni in cui ha calcato i campi della serie A, sembravano disegnate apposta per far piacere a qualche scommettitore potente gravato da debiti, derivanti dalle sue scommesse clandestine , con alcuni scommettitori provenienti dalla criminalità organizzata campana , che lo avrebbero ricattato proprio minacciandolo di far venire fuori l'intera storia delle sue giocate clandestine , se non si fosse piegato ai loro voleri. Nell'articolo si evidenzia, altresì, come, una volta scelto di collaborare con gli inquirenti, il N. abbia rivelato che il giro di scommesse sulle partite truccate passerebbe per una ricevitoria sulla Cassia, gestita da un suo amico, ex giocatore di serie A pure lui, ma questa volta della Roma . Appare, dunque, evidente, che l'immagine del N. , quale emerge dall'articolo in questione, non è solo quella di vittima dell'azione ricattatoria altrui e di fattivo collaboratore degli inquirenti, ma anche quella, potenzialmente lesiva per la sua reputazione, di soggetto, da un lato dedito in maniera continuativa ad un'attività non lecita, ma, moralmente riprovevole e penalmente illecita ai sensi dell'art. 4, l. 13/12/1989 n. 401 , consistente nella partecipazione alle scommesse clandestine gestite dalla criminalità organizzata campana, in ricevitorie come quella che sarebbe stata gestita da un amico della stessa parte civile anch'egli, dunque, a differenza di quanto affermato dal g.i.p., non rappresentato certamente come semplice gestore di una lecita attività commerciale , dall'altro nei confronti del quale si adombra anche il sospetto che abbia falsato il risultato di alcune partite per favorire gli interessi degli scommettitori. 4. Il mancato rispetto delle regole di giudizio ex art. 425 c.p.p., e l'indicato vizio motivazionale impongono, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio al tribunale di Roma per nuovo esame. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio al tribunale di Roma per nuovo esame.