La proposta dell’avvocato per il pagamento delle spese non piace alla cliente, ma l’insulto non è giustificabile

In tema di ingiuria, per la configurabilità della scriminante ex art. 599, comma 2, c.p. si intende come fatto ingiusto altrui la condotta connotata dal carattere dell’ingiustizia obiettiva, da interpretarsi come un’effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali, reputate tali nell’ambito di una determinata collettività in un dato momento storico e non con riferimento alle convinzioni dell’imputato ed alla sua sensibilità personale.

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 15614, depositata il 15 aprile 2015. Il caso. Il tribunale di Lecce condannava un’imputata per il delitto di ingiuria nei confronti di un avvocato, costituitosi parte civile nel processo. La donna ricorreva in Cassazione, lamentando il mancato riconoscimento dell’esimente prevista dall’art. 599, comma 2, c.p. fatto ingiusto altrui l’espressione ingiuriosa rivolta all’avvocato era stata determinata dal fatto che quest’ultimo, dopo aver ricevuto da una compagnia assicuratrice un assegno intestato alla ricorrente a titolo di risarcimento danni per una somma che comprendeva anche il pagamento delle spese legali in favore dell’avvocato, si era rifiutato di consegnarlo alla donna. Essendo la donna priva di conto corrente bancario, il legale aveva preteso che l’assegno venisse versato sul suo conto personale, per consentirgli di ottenere quanto dovutogli. Condotta oggettivamente ingiusta. La Corte di Cassazione ricorda che per la configurabilità della scriminante ex art. 599, comma 2, c.p. si intende come fatto ingiusto altrui la condotta connotata dal carattere dell’ingiustizia obiettiva, da interpretarsi come un’effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali, reputate tali nell’ambito di una determinata collettività in un dato momento storico e non con riferimento alle convinzioni dell’imputato ed alla sua sensibilità personale. Perciò, esso può essere costituito non solo da un comportamento antigiuridico in senso stretto, ma anche dall’inosservanza di norme sociali o di costume regolanti l’ordinaria e civile convivenza. Nel caso di specie, i giudici di legittimità non ritengono ingiusta la richiesta dell’avvocato di ottenere il pagamento degli emolumenti relativi all’attività professionale da lui prestata in favore della ricorrente. La pretesa del legale di versare sul proprio conto corrente, essendone la donna priva, l’importo dell’assegno, per trattenere per sé solo quanto dovutogli per la prestazione, appariva una semplice proposta per rendere più semplici le modalità di pagamento delle proprie spettanze. Tale condotta non poteva quindi integrare gli estremi di un comportamento antigiuridico o dell’inosservanza di norme sociali o di costume regolanti l’ordinaria e civile convivenza. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 5 dicembre 2014 – 15 aprile 2015, n. 15614 Presidente Dubolino – Relatore Guardiano Fatto e diritto 1. Con sentenza pronunciata il 30.4.2013 tribunale Lecce confermava la sentenza con cui, il giudice di pace di Lecce, in data 19.4.2010, aveva condannato B. G. alla pena ritenuta di giustizia ed al risarcimento del danno derivante da reato in favore della parte civile costituita, in relazione al delitto di cui all'art. 594, c.p. commesso in danno di S. F 2. Avverso tale decisione, di cui chiede l'annullamento, ha proposto ricorso per cassazione l'imputata, a mezzo del suo difensore di fiducia, lamentando violazione di legge e vizio di motivazione in ordine 1 al mancato riconoscimento dell'esimente di cui all'art. 599, co. 2, c.p., ad avviso della ricorrente configurabile in quanto l'espressione ingiuriosa rivolta dall'imputata all'avv. S. sarebbe stata determinata dal fatto ingiusto di quest'ultimo, il quale, ottenuto dalla compagnia assicuratrice Toro un assegno intestato alla B. a titolo di risarcimento danni per una somma che comprendeva anche il pagamento delle spese legali in favore del suddetto avvocato, si rifiutava di consegnarlo alla B., pretendendo che, essendo quest'ultima priva di un conto corrente bancario, l'assegno venisse versato sul conto del suddetto S., per consentirgli di ottenere quanto dovutogli 2 alla inattendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, portatrice di un motivo di astio nei confronti dell'imputata per non avere ottenuto quanto pretendeva, la cui narrazione, pertanto, avrebbe richiesto puntuali riscontri estrinseci, nel caso in esame mancanti, non potendo ritenersi tali le dichiarazioni di C. L., che, anzi, nel riferire che i fatti sono avvenuti a Lecce per strada e che le minacce sarebbero state proferite telefonicamente, smentisce il S., secondo cui il litigio avvenne nel suo studio. 3. Il ricorso va rigettato. 4. Infondato appare il primo motivo di ricorso. Come è noto, infatti, ai fini della configurabilità della scriminante di cui all'art. 599, co. 2, c.p., per fatto ingiusto altrui deve intendersi la condotta connotata dal carattere della ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali, reputate tali nell'ambito di una determinata collettività in un dato momento storico e non con riferimento alle convinzioni dell'imputato e alla sua sensibilità personale cfr. Cass., sez. I, 14.11.2013, n. 47840, rv. 258454 esso, pertanto, può essere costituito non solo da un comportamento antigiuridico in senso stretto, ma anche dall'inosservanza di norme sociali o di costume regolanti l'ordinaria, civile convivenza, per cui possono rientrarvi, oltre ai comportamenti sprezzanti o costituenti manifestazione di iattanza, anche quelli sconvenienti o, nelle particolari circostanze, inappropriati cfr. Cass., sez. I, 8.11.2011, n. 5056, rv. 251833 . Orbene, non appare revocabile in dubbio che la condotta della persona offesa non possa qualificarsi in termini di fatto ingiusto , tale da scriminare l'ingiuria proferita nei suoi confronti dall'imputata. Non può, infatti, considerarsi ingiusta la pretesa dell'avv. S. di ottenere il pagamento doveroso degli emolumenti relativi all'attività professionale da lui prestata in favore della B., apparendo, come correttamente rilevato dal giudice di secondo grado, la pretesa del S. di versare sul proprio conto corrente essendone l'imputata priva l'importo di un assegno bancario ottenuto da una compagnia assicuratrice a titolo di ristoro di un danno patito dalla B., allo scopo di trattenere per sé solo quanto dovutogli per la propria prestazione professionale, una semplice proposta per rendere più semplici le modalità di pagamento delle proprie spettanze, in quanto tale non integrante, in tutta evidenza, gli estremi di un comportamento antigiuridico ovvero dell'inosservanza di norme sociali o di costume regolanti l'ordinaria, civile convivenza. 5. Del pari infondato deve ritenersi anche il secondo motivo di ricorso. Come è noto, infatti, secondo quanto affermato dal Supremo Collegio nella sua espressione più autorevole, le regole dettate dall'art. 192, comma 3, c.p.p. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previo controllo, corredato da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone cfr. Cass., sez. un., 19/07/2012, n. 41461, P.M., rv. 253214 . Peraltro il principio, pure affermato nel medesimo arresto, secondo cui, ove la persona offesa si sia altresì costituita parte civile, può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi, non configura un vero e proprio obbligo a carico del giudice di merito, che rimane libero di valutare se la narrazione della persona offesa abbisogni o meno di elementi di riscontro estrinseci risultando del tutto ragionevole escluderne la necessità in caso di giudizio positivo sulla credibilità personale della parte civile e della attendibilità intrinseca delle sue dichiarazioni ed in mancanza di elementi di segno opposto. A tali principi si è puntualmente attenuto il giudice di secondo grado, evidenziando come la deposizione dibattimentale della persona offesa sia caratterizzata da precisione puntualità, dall'assoluta assenza di elementi contraddittori o comunque idonei a far sorgere il dubbio della sua genuinità, nonché dalla sobrietà dei toni, tali da allontanare ogni sospetto di intenti rancorosi i vendicativi . Il tribunale, inoltre, pur non essendovi tenuto, ha, altresì, individuato un riscontro estrinseco al narrato del S., con particolare riferimento alla situazione conflittuale venutasi a creare con l'imputata, nel contenuto della deposizione del teste C. L., il quale, pur non avendo udito le frasi ingiuriose, ha dichiarato, tra l'altro, di avere assistito ad una discussione sorta per strada tra la B., in compagnia di un'altra persona, ed il S. proprio in ordine al pagamento delle spettanze di quest'ultimo, in relazione all'assegno innanzi menzionato, percependo la frase Ti mando la finanza , rivolta al professionista, nonché ad una telefonata con cui l'avvocato aveva sollecitato il pagamento delle proprie spettanze, ricevendo, nell'occasione, come da quest'ultimo riferitogli, delle minacce dal proprio interlocutore telefonico. A fronte di tale esaustivo argomentare, le doglianze difensive non colgono nel segno, sia perché generiche, sia perché, nel dedurre l'inattendibilità delle dichiarazioni del S. secondo cui la frase ingiuriosa venne pronunciata all'interno del suo studio , dalle dichiarazioni del C., che non riferisce di un litigio sorto all'interno dello studio dei professionista, omette di considerare che tali dichiarazioni danno conto dell'esistenza di un contrasto tra il S. e la B. proprio per le ragioni indicate dalla persona offesa e non sono di per sé decisive per escludere che la frase ingiuriosa sia stata pronunciata dall'imputata nello studio dei professionista. 6. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso di cui in premessa va, dunque, rigettato, con condanna della ricorrente, ai sensi dell'art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.