L’inammissibilità del ricorso impedisce l’annullamento della sentenza che applica una pena illegale?

La Corte di Cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite la risoluzione del contrasto giurisprudenziale in ordine alla rilevabilità d’ufficio dell’illegalità della pena in caso di inammissibilità del ricorso.

L’importanza della questione sollevata è notevole, non solo dal punto di vista teorico ma anche da quello pratico, in quanto si pone un delicato problema in merito all’inquadramento di una invalidità che dovrebbe valere quale che sia la causa di inammissibilità del ricorso. Per ben comprendere il tutto conviene considerare brevemente il caso di specie Cass., sent. n. 15233/15, depositata il 14 aprile scorso . Il caso. E’ accaduto che il Tribunale, prima, e la Corte di appello, poi, abbiano condannato gli imputati, per reati di chiara competenza del giudice di pace, alla pena della reclusione sospendendola condizionalmente. I ricorsi di legittimità presentati avverso la decisione della Corte distrettuale erano e sono palesemente inammissibili, non solo per la loro manifesta infondatezza ma anche perché l’atto di ricorso è stato presentato oltre il termine di legge . Se non che la Corte di Cassazione si è accorta che la pena inflitta agli imputati è illegale, in quanto non è ammissibile per i reati di competenza del giudice di pace applicare la reclusione ma solo una delle sanzioni previste dal d.lgs. n. 274/2000. Secondo una impostazione tradizionale” il punto in questione sarebbe irrilevante, posto che l’inammissibilità del ricorso implicherebbe il passaggio in giudicato della sentenza e, quindi, la prevalenza della declaratoria di inammissibilità sulla declaratoria d’ufficio , posto che la violazione del principio di legalità della pena è rilevabile d’ufficio anche nel giudizio di cassazione a condizione che il ricorso non sia inammissibile e l’esame della questione rappresentata non comporti accertamenti in fatto o valutazioni di merito incompatibili con il giudizio di legittimità Cass., Sez. II Pen., sent. n. 44667/2013 . Secondo altra e più equa considerazione, invece, - a cui sembra aderire la Corte con la decisione in questione – l’inammissibilità del ricorso non può impedire il necessario annullamento della sentenza impugnata nella parte in cui abbia provveduto ad irrogare una pena illegale . Infatti, il principio della funzione rieducativa della pena è fra quelli che devono essere rispettati anche dopo il passaggio in giudicato, di modo che la sentenza che applichi una pena divenuta illegale, sia pure successivamente al giudicato, deve ritenersi illegittima sia costituzionalmente sia sotto il profilo delle garanzie CEDU vedi sul punto Cass., Sez. Unite Pen., sent. n. 18821/2013 e va pertanto sostituita con quella legale. Se così è – ha continuato la Corte - non vi è motivo per escludere che la illegalità della pena inflitta, dipendente da una statuizione ad origine contraria all’assetto normativo vigente al momento della consumazione del reato, possa e debba essere rilevata, prima della formazione del giudicato ed a prescindere dalla articolazione di un corrispondente motivo di impugnazione, pure in presenza di un ricorso caratterizzato da inammissibilità Cass., Sez. I Pen., sent. n. 15944/2013 . Da qui l’esigenza di un rinvio alle Sezioni Unite per definire la questione. Considerazioni. Non si può in questa sede prognosticare il contenuto della decisione delle Sezioni Unite. Tuttavia non può non manifestarsi la posta in gioco”. Ciò che rileva, infatti, è la possibilità che il giudice penale possa non essere soggetto alla legge o, per meglio dire, possa in materia penale vincere il principio di legalità. Sul punto antica dottrina, ha sempre espresso che ogni qual volta il giudice penale crea” norme penali viene esercitata una funzione legislativa e, quindi, vi è uno straripamento dei poteri, che rende la decisione in questione ex se invalida e, quindi, incapace di passare in giudicato e, dunque, di costituire titolo esecutivo, con la conseguenza che una simile invalidità può essere rilevata d’ufficio ed in ogni tempo a nulla rilevando puri rilievi formali. La novità della questione non sta, tuttavia, nella invocazione dei principi astratti, ma nell’aver definito il concetto di norma penale concretamente, nel senso che è tale quella vigente al momento della decisione ed avente come riferimento il particolare impianto sanzionatorio previsto dalla legge per la specifica fattispecie penale oggetto di accertamento. Insomma, così come il giudice non può, neppure per analogia, creare fattispecie penali, così non si può applicare una pena non prevista per il reato accertato, ancorché astrattamente contemplata dall’ordinamento, poiché in tal modo si viola non solo il principio di legalità della pena artt. 13, comma 2, e 25 Cost. ma anche la stessa funzione rieducatrice della pena art. 27, comma 3, Cost. la quale non ha senso di essere valorizzata se il giudice può in qualche modo – violando la legge – applicare al reo e contra reum una pena che il legislatore ritiene non necessaria. Se le Sezioni Unite dovessero – come francamente si auspica – accogliere la tesi progressista”, non vi sarebbero terremoti” all’interno della configurazioni classiche del processo, poiché in fondo si tratterebbe di accettare l’idea semplice ma sempre piena di significato che, nel nostro ordinamento ed in qualunque ordinamento civile”, il giudice è sempre soggetto alla legge e la nostra legge non può che accettare se non un giusto processo” art. 111 cost. . Giusto processo che non potrebbe mai esserci se al di là del rispetto delle forme il giudice potesse non già ius dicere ma ius facere .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 27 marzo – 14 aprile 2015, n. 15233 Presidente Lombardi – Relatore Caputo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza deliberata il 05/03/2014, la Corte di appello di Palermo ha confermato la sentenza in data 19/02/2013 con la quale il Tribunale di Agrigento aveva dichiarato U. B. e A. M. colpevoli del. reato, di concorso in lesioni personali in danno di D. B., nonché il primo dei reato di minacce in danno di L. C. e di D. B. con esclusione dell'affermazione di responsabilità in ordine alla frase riferita a bruciare la casa , condannandoli alla pena condizionalmente sospesa di tre mesi di reclusione, il primo, e di due mesi di reclusione, la seconda, nonchè al risarcimento dei danni in favore delle parti civili. 2. Avverso l'indicata sentenza della Corte di appello di Palermo hanno proposto ricorso per cassazione, con un unico atto, U. B. e A. M., per il tramite dei difensore avv. F. T., denunciando inosservanza ed erronea applicazione della legge, nonché vizi di motivazione attraverso cinque motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. Pen Il primo motivo denuncia l'omessa valutazione, con il necessario rigore, delle testimonianze delle parti civili operata dalla Corte di appello, che non ha considerato le macroscopiche contraddizioni dei racconti dei coniugi C. B. il primo ha negato in dibattimento qualsiasi contatto fisico con M., mentre il giorno dei fatti aveva riferito alla polizia giudiziaria di essersi limitato ad allontanarla i coniugi hanno negato precedenti episodi di lite con gli imputati, ma sono smentiti dall'esposto presentato da B. nell'aprile del 2008 e da quanto dichiarato da Francesco B. la spinta verso la porta dell'androne che D. B. avrebbe subìto alle spalle è incompatibile con la morfologia dei luoghi, rilievo, questo, non valutato dalla Corte di appello che si è limitata a ribadire la versione delle parti civili mentre secondo le dichiarazioni rese nell'immediatezza dei fatti alla polizia giudiziaria C. si era limitato essenzialmente a difendersi dalle accuse dei coniugi B. M., la querela proposta da B. riferisce di due frasi minacciose attribuite al primo e le dichiarazioni dibattimentali delle due parti civili riferiscono di frasi minacciose pronunciate anche dalla seconda l'atto di appello aveva evidenziato ulteriori incongruenze nella versione dei fatti prospettata dalle parti civili non esaminate dalla sentenza impugnata. Il secondo motivo denuncia che la minaccia imputata a B. deve essere considerata semplice, tenuto conto della provenienza da un soggetto anziano e innocuo, del contesto in cui sono state pronunciate e dell'inidoneità a cagionare un vero timore ai destinatari. Il terzo motivo denuncia l'inammissibilità della costituzione di parte civile di Coltura nei confronti di M., riguardando la condotta ascritta a quest'ultima solo B., e nei confronti di B. per il reato di lesioni, sempre perché relativo alla sola B., e per il reato di minaccia, previa derubricazione in minaccia semplice, per mancanza di querela. Il quarto motivo invoca la carenza dell'elemento soggettivo e dell'elemento materiale, chiedendo l'assoluzione ex art. 530, comma 2, cod. proc. pen. Il quinto motivo deduce che la pena irrogata agli imputati è eccessiva e dovrebbe essere ridotta al minimo edittale. C onsiderato in diritto 1. I ricorsi devono essere rimessi alle Sezioni unite per le ragioni di seguito indicate. 2. Rileva il Collegio che i ricorsi risultano inammissibili per plurime ragioni. 2.1. Il primo motivo è, sotto diversi profili, inammissibile. Alcune doglianze risultano dei tutto carenti della necessaria correlazione con le argomentazioni della decisione impugnata Sez. 4, n. 18826 dei 09/02/2012 dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849 , che, ad esempio, con riferimento a quanto riferito da C., ha evidenziato, a parte i limiti di inutilizzabilità delle dichiarazioni raccolte dalla polizia giudiziaria nell'immediatezza dei fatti, l'irrilevanza del rilievo difensivo in considerazione del carattere frammentario delle informazioni raccolte dai carabinieri, mentre, con riguardo alla pregresse liti, ha sottolineato come sia risultato chiaramente il conflittuale contesto di rapporti tra le parti. Sotto un diverso profilo, le diverse censure basate sulla ricostruzione delle dichiarazioni delle due persone offese sono inammissibili in quanto oltre, nuovamente, ad omettere il puntuale confronto con le argomentazione della Corte di merito che, in particolare, ha sottolineato l'inverosimiglianza della versione degli imputati secondo cui sarebbe stato C. a spingere la moglie, in stato di gravidanza risultano aspecifiche infatti, lungi dall'offrire un quadro esaustivo delle testimonianze prese in considerazione dai giudici di merito e svolgere, in riferimento a tale analitico e completo quadro di riferimento, le critiche alla decisione impugnata, il ricorso si limita a segnalare, in modo del tutto frammentario, alcuni profili di tali testimonianze, così rimettendo, in buona sostanza, al giudice di legittimità una inammissibile rivalutazione generale e complessiva del materiale probatorio esaminato dai giudici di merito il ricorso si è quindi sottratto all'onere di completa e specifica individuazione degli atti processuali che intende far valere, non essendo sufficiente, per l'apprezzamento del vizio dedotto, la citazione di alcuni brani dei medesimi atti Sez. 6, n. 9923 del 05/12/2011 dep. 14/03/2012, S., Rv. 252349 . Il secondo motivo è del pari inammissibile perché sostanzialmente deduce questioni di merito, sollecitando una rivisitazione, esorbitante -dai. compiti del. giudice di legittimità, della valutazione del materiale probatorio che la Corte distrettuale ha operato richiamando non solo il tenore letterale delle frasi minacciose, ma anche il contesto nel quale sono state pronunciate, caratterizzato dall'aggressività, collegata a motivazioni banali e pretestuose, manifestata anche nei confronti di una donna in avanzato stato di gravidanza , sostenendola con motivazione coerente con i dati probatori richiamati e immune da vizi logici. Il terzo motivo è inammissibile in quanto privo della necessaria correlazione con le argomentazioni della decisione impugnata che, sul punto, ha richiamato il danno subito da C. in quanto coniuge della persona offesa . Il quarto motivo è manifestamente infondato, in quanto, sulla base dell'argomentata ricostruzione dei fatti, la Corte di merito ha ritenuto del tutto evidente e provata la volontarietà delle condotte poste in essere dagli imputati. Il quinto motivo è inammissibile in quanto del tutto generico sul punto, la Corte di merito aveva rilevato la genericità dell'analogo motivo di gravame, osservando, comunque, che la pena irrogata, davvero contenuta e accompagnata all'applicazione delle circostanze attenuanti generiche in ragione dell'incensuratezza e dell'età degli imputati , trovava giustificazione in ragione, soprattutto, dello stato di gravidanza di D. B A fronte della motivazione della Corte di appello, il motivo di ricorso ribadisce i riferimenti all'età e all'incensuratezza degli imputati valorizzati, come si è visto dai giudici di merito al fine dell'applicazione delle circostanze attenuanti generiche , omettendo il confronto con le ulteriori argomentazioni della sentenza impugnata. 2.2. Rileva, inoltre, il Collegio che l'atto di ricorso è stato presentato oltre il termine di legge. La sentenza della Corte di appello di Palermo è stata deliberata il 05/03/2014, con l'indicazione in dispositivo, ex art. 544, comma 3, cod. proc. pen., del termine di trenta giorni per il deposito della motivazione, deposito intervenuto il 04/04/2014. La notificazione dell'avviso di deposito con l'estratto del provvedimento agli imputati contumaci è stata effettuata il 07/05/2014, termine che scadeva per ultimo a norma dell'art. 585 comma 3, cod. proc. pen. Il termine per la presentazione del ricorso è scaduto in data 21/06/2014 sabato , laddove il ricorso è stato presentato il 23/06/2014. 3. Deve, inoltre, rilevarsi che la pena irrogata ad A. M. è illegale l'imputata è stata condannata per il solo reato di lesioni, relativo, come si evince dal capo di imputazione e dalla sentenza di primo grado, a malattia di durata inferiore ai venti giorni, ossia per un reato rientrante nella competenza del giudice di pace. Ad avviso del Collegio, è illegale anche la pena inflitta a U. B., che è stato condannato per il medesimo reato ascritto a M. e per il reato di minaccia grave infatti, per un verso, la sentenza di primo grado, confermata da quella di appello, ritenuta la continuazione tra i due reati, ha considerato più grave il reato di lesioni, mentre, per altro verso, rispetto a quest'ultimo reato, ha operato sulla base della comminatoria edittale codicistica e non di quella prevista dal d. lgs. n. 274 del 2000 la riduzione per l'applicazione dell'art. 62 bis cod. pen. e, quindi, l'aumento per la continuazione con il reato di minaccia. 4. Con riferimento alla riconducibilità del reato di lesioni nell'ambito di quelli rientranti nella competenza dei giudice di pace, osserva altresì il Collegio che, secondo l'orientamento di gran lunga maggioritario nella giurisprudenza di questa Corte, la disciplina dettata dall'art. 48 d. lgs. n. 274 del 2000 non incide sul disposto di cui all'art. 23 c.p.p., comma 2, che disciplina il potere della parte di eccepire l'incompetenza per materia, allorché la stessa appartiene ad un giudice inferiore, ancorandola, a pena di decadenza, al termine stabilito dall'art. 491 c.p.p., comma 1 dei codice di rito Sez. 5, n. 15727 dei 22/01/2014 dep. 08/04/2014, P.G. in proc. Bartolo, Rv. 260560 infatti, l'incompetenza dei tribunale a conoscere di reati appartenenti alla competenza del giudice di pace va eccepita, a pena di decadenza, entro il termine stabilito dall'art. 491, comma primo cod. proc. pen., come richiamato dall'art. 23, comma secondo, cod. proc. pen. Sez. 3, n. 31484 dei 12/06/2008 dep. 29/07/2008, Infante, Rv. 240752 . La disciplina dettata dall'art. 48 cit., dunque, deve essere interpretata nel senso che essa non deroga al regime della non rilevabilità d'ufficio dell'incompetenza per materia dei tribunale a favore del giudice di pace, ma stabilisce semplicemente che, qualora il giudice, secondo le regole fissate nel codice di procedura penale, debba dichiarare l'incompetenza per materia a favore dei giudice pace, lo fa con sentenza e trasmettendo gli atti al pubblico ministero e non direttamente al giudice di pace Sez. 3, n. 21257 del 05/02/2014 dep. 26/05/2014, C, Rv. 259655 contra, isolatamente, Sez. 3, n. 12636 del 02/03/2010 dep. 01/04/2010, Ding e altro, Rv. 246816 . Nel caso di specie, l'incompetenza del tribunale a conoscere dei reati in questione non è stata rilevata né risulta eccepita. 5. Alla luce di quanto fin qui esposto, rileva il Collegio l'esistenza di un contrasto, nella giurisprudenza di legittimità, in ordine alla rilevabilità d'ufficio dell'illegalità della pena in caso di inammissibilità del ricorso, contrasto la cui risoluzione deve essere rimessa alle Sezioni unite. 5.1. Un primo orientamento esclude detta rilevabilità. Richiamando l'elaborazione della giurisprudenza di legittimità Sez. U, n. 11493 del 24/06/1998 dep. 03/1.1/1998, Verga, Rv. 211469 Sez. U, . n. 32 del 22/11/2000 dep. 21/12/2000, De Luca, Rv. 217266, elaborazione, può aggiungersi, proseguita con Sez. U, n. 23428 del 22/03/2005 dep. 22/06/2005, Bracale, Rv. 231164 che ha parificato agli effetti giuridici processuali tutte le cause di inammissibilità che precludono la formazione di una valido rapporto di impugnazione e impediscono l'esercizio del potere di cognizione del giudice ad quem anche per le questioni rilevabili ex officio , Sez. 5, n. 24926 del 03/12/2003 dep. 01/06/2004, Marullo, Rv. 229812 ha affermato che la regola della rilevabilità d'ufficio della pena illegale incontra un limite, anche nel caso di ius superveniens, nella inammissibilità dell'impugnazione, che preclude l'esercizio del potere di cognizione e decisione di qualsiasi questione . Nella medesima prospettiva, Sez. 5, n. 36293 del 09/07/2004 dep. 14/09/2004, Raimo, Rv. 230636 poi richiamata da Sez. U, n. 8413 del 20/12/2007 dep. 26/02/2008, Rv. 238467 ha affermato il principio di diritto in forza del quale l'inammissibilità del ricorso non consente l'esercizio del potere-dovere di decidere la questione, rilevabile d'ufficio, concernente la violazione del principio di legalità della pena e, in applicazione di tale principio, pur rilevando l'illegittimità della pena applicata dal giudice di appello per il reato di lesioni lievissime che rientra nella competenza del giudice di pace ed è punito con la multa e non con la reclusione, anche nel caso in cui il processo sia celebrato davanti a giudice diverso e pur ritenendo, in assenza di specifiche doglianze al riguardo da parte del ricorrente, che si tratti di questione rilevabile d'ufficio, ha affermato la prevalenza della declaratoria di inammissibilità sulla declaratoria d'ufficio. Più di recente, Sez. 2, n. 44667 del 08/07/2013 dep. 06/11/2013, Aversano e altri, Rv. 257612 ha affermato che la violazione del principio di legalità della pena è rilevabile d'ufficio anche nel giudizio di cassazione a condizione che il ricorso non sia inammissibile e l'esame della questione rappresentata non comporti accertamenti in fatto o valutazioni di merito incompatibili con il giudizio di legittimità. 5.2. Secondo un diverso indirizzo, l'inammissibilità del ricorso non impedisce alla Corte di Cassazione di procedere al necessario annullamento della sentenza impugnata nella parte in cui abbia provveduto ad irrogare una pena illegale in un caso di inammissibilità del ricorso per genericità o manifesta infondatezza dei motivi, Sez. 5, n. 24128 del 27/04/2012 dep. 18/06/2012, Di Cristo, Rv. 253763 ha infatti sottolineato che il principio di legalità ex art. 1 cod. pen. e la funzione costituzionale della pena ex art. 27 Cost. non appaiono conciliabili con la applicazione di una sanzione non prevista dall'ordinamento . In, linea con l'impostazione appena richiamata, Sez. 5, n. 46122 del 13/06/2014 dep. 07/11/2014, Oguekemma, Rv. 262108 ha affermato che l'illegalità della pena, dipendente da una statuizione ab origine contraria all'assetto normativo. vigente al momento consumativo del reato, è rilevabile d'ufficio nel giudizio di cassazione anche nel caso in cui il ricorso è inammissibile in questa prospettiva, si è osservato che il principio della funzione rieducativa della pena, imposta dall'art. 27, comma terzo, è fra quelli che, di recente, ed in ossequio alla evoluzione interpretativa determinata dai principi della Cedu, le Sezioni unite di questa Corte hanno riconosciuto essere in opposizione all'esecuzione di una sanzione penale rivelatasi, pure successivamente al giudicato, convenzionalmente e costituzionalmente illegittima Sez. U, Sentenza n. 18821 del 24/10/2013 Cc. dep. 07/05/2014 Rv. 258651 . Non vi è motivo, a maggior ragione, per escludere che la illegalità della pena inflitta, dipendente da una statuizione ab origine contraria all'assetto normativo vigente al momento di consumazione dei reato, possa e debba essere rilevata, prima della formazione dei giudicato ed a prescindere dalla articolazione di un corrispondente motivo di impugnazione, pure in presenza di un ricorso caratterizzato da inammissibilità, nella specie, non originaria . Nel solco del medesimo orientamento, Sez. 1, n. 15944 dei 21/03/2013 dep. 08/04/2013, Aida, Rv. 255684 ha affermato che l'inammissibilità dei ricorso per cassazione non impedisce alla Suprema Corte di procedere al necessario annullamento della sentenza impugnata nella parte in cui abbia provveduto ad irrogare una pena illegale. 6. Alla luce delle considerazioni svolte, i ricorsi devono essere rimessi alle Sezioni unite a norma dell'art. 618 cod. proc. pen. P.Q.M. Rimette i ricorsi alle Sezioni Unite.