Sì alla procedibilità d’ufficio per il delitto di violenza sessuale commesso dal medico ospedaliero

Risulta procedibile d’ufficio, ai sensi dell’art. 609-septies, comma 4, n. 3 c.p., il reato di violenza sessuale commesso all’interno della struttura sanitaria ai danni di una paziente da un medico ospedaliero, rimanendo irrilevante che questi, per il rapporto di fiducia instauratosi con la paziente, abbia fissato le visite senza seguire il normale iter burocratico per l’accettazione, in quanto tale circostanza non modifica la natura pubblicistica del rapporto intercorso tra medico e vittima.

Delitti sessuali e procedibilità d’ufficio. Con la sentenza n. 14247, depositata il 9 aprile 2015, la sez. III Penale della Corte di Cassazione interviene in materia di reati sessuali offrendo alcune precisazioni in merito alla procedibilità d’ufficio. In particolare, si conferma un orientamento ribadito anche recentemente, in base al quale i reati di violenza sessuale sono procedibili senza necessità di querela anche nell’ipotesi di collegamento investigativo rilevante a norma dell’art. 371, comma 2, c.p.p. con altra fattispecie procedibile d’ufficio. Ciò in quanto – come si legge nella sentenza in commento – la ragione della perseguibilità d’ufficio dei delitti contro la libertà sessuale non risiede nel disinteresse dello Stato al perseguimento degli stessi, ma nella necessità di bilanciare l’esigenza del perseguimento dei colpevoli con l’esigenza della riservatezza delle persone offese, data la particolarissima natura di tali reati. Questa esigenza viene meno nel caso in cui le indagini su fatti perseguibili d’ufficio abbiano attinto alla riservatezza delle persone offese per connessi reati sessuali, nel caso in cui questi siano stati commessi in occasione di altri, o per conseguirne o assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il prezzo, il prodotto o l’impunità, ovvero se la prova di un reato o di una circostanza influisce sulla prova di un altro reato o di un’altra circostanza o se la prova di più reati deriva anche parzialmente dalla stessa fonte. In buona sostanza per gli Ermellini, venutasi a configurare una delle due fattispecie contestate, risulta del tutto indifferente se i reati siano stati commessi a danno di una stessa parte offesa o di persone offese diverse. Medico ospedaliero incaricato di pubblico servizio. Per comprendere meglio la posizione dei giudici della Suprema Corte è necessario ricordare che nel caso di specie il ricorrente contesta la sentenza della Corte di appello territoriale, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, con cui viene rideterminata la pena inflittagli in 6 anni e 6 mesi di reclusione per i reati previsti dagli artt. 609 bis , commi 1 e 2, e 609 ter , comma 1 n. 3 c.p., perché con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso costringeva mediante abuso di autorità e comunque induceva a subire atti sessuali anche abusando delle condizioni di inferiorità fisica e psichica al momento del fatto le nove persone offese. I fatti venivano commessi anche nella rivestita qualità di medico specialista in pneumologia, quindi quale incaricato di pubblico servizio nell’esercizio delle sue funzioni presso il locale ospedale. Il ricorrente contesta in primo luogo il fatto di aver rivestito al momento dei fatti la qualità di incaricato di pubblico servizio, in quanto detta qualità non può essere attribuita al medico che esegua le visite in regime cosiddetto di intramoenia con la conseguenza che i reati contestati in relazione alle visite effettuate nei confronti di tre delle persone offese dovevano ritenersi procedibili a querela di parte, nella specie mai presentata. Sul punto, tuttavia, i giudici di Piazza Cavour respingono l’interpretazione del ricorrente, in quanto non risulta alcun dubbio, come logicamente argomentato dai giudici di merito, che la funzione svolta dal ricorrente, in qualità di medico ospedaliero e quindi di incaricato di pubblico servizio, avesse agevolato la commissione dei reati anche quando egli agiva come medico intramoenia , qualifica spesso nemmeno percepita dalle persone offese. Caratteristiche del rapporto in regime di intramoenia. Il giudice di legittimità ricorda che, quanto al medico che operi in regime di intramoenia , il rapporto instauratosi tra medico e paziente è di natura pubblicistica quando il secondo si rivolge al primo non per ragioni professionali, che riguardino lo specifico professionista, ma alla struttura ospedaliera nell’ambito della quale il sanitario opera. Da ciò la Corte di Cassazione ritiene che risulta procedibile d’ufficio, ai sensi dell’art. 609- septies , comma 4, n. 3 c.p., il reato di violenza sessuale commesso all’interno della struttura sanitaria ai danni di una paziente da un medico ospedaliero, rimanendo irrilevante che questi, per il rapporto di fiducia instauratosi con la paziente, abbia fissato le visite senza seguire il normale iter burocratico per l’accettazione, in quanto tale circostanza non modifica la natura pubblicistica del rapporto intercorso tra medico e vittima. Infine, i giudici di Piazza Cavour ribadiscono che la procedibilità d’ufficio del delitto di violenza sessuale commesso dall’incaricato di pubblico servizio non richiede l’abuso delle funzioni pubblicistiche svolte, essendo sufficiente il semplice collegamento tra le condotte illecite e le predette funzioni. Da qui il rigetto del ricorso e la condanna al pagamento delle spese processuali nonché a quelle sostenute dalle parti civili.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 3 dicembre 2014 – 9 aprile 2015, n. 14247 Presidente Squassoni – Relatore Di Nicola Ritenuto in fatto 1. M.R. ricorre per cassazione avverso la sentenza del 26 novembre 2013 con la quale la Corte di appello di Torino, in parziale riforma della sentenza emessa dal tribunale della medesima città, ha rideterminato in anni sette e mesi sei di reclusione la pena infintagli per i reati previsti dagli articoli 609 bis, commi 1 e 2, 609 ter, comma 1 n. 3, codice penale perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso costringeva mediante abuso di autorità e comunque induceva - in determinati casi ed anche in distinte occasioni R.T. capo a , D.A. capo b , Z.M. capo c , C.A. capo d , P.O. capo e , Ca.Fe. capo f , M.D. capo g , Po.Ca.An. capo h e B.F. capo i - a subire atti sessuali anche abusando delle condizioni di inferiorità fisica e psichica al momento del fatto nel quale versavano le persone offese e commettendo i fatti nel corso degli anni omissis anche nella rivestita qualità di medico specialista in pneumologia operante presso l'ospedale omissis , e quindi quale incaricato di pubblico servizio nell'esercizio delle sue funzioni. 2. Per la cassazione dell'impugnata sentenza M.R. articola, tramite il difensore, tre motivi di gravame, qui enunciati, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen., nei limiti strettamente necessari per la motivazione. 2.1. Con il primo motivo deduce violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b e c , cod. proc. pen. con riferimento alla violazione e falsa applicazione dell'articolo 609 septies, comma 4 n. 4, codice penale in relazione agli articoli 12 e 371 codice di procedura penale con conseguente improcedibilità per tardività e/o inesistenza della querela relativamente ai capi e , h ed f , dolendosi del fatto che i giudici del merito hanno erroneamente ritenuto che il ricorrente rivestisse, per le funzioni esercitate all'interno dell'ospedale, la qualità di incaricato di pubblico servizio, laddove detta qualità non è attribuibile al medico che esegua le visite in regime cosiddetto intramoenia con la conseguenza che i reati contestati in relazione alle visite effettuate nei confronti delle parti offese P. , Po. e C. dovevano ritenersi procedibili a querela, nella specie mai presentata. Né poteva ritenersi applicabile al caso di specie l'articolo 12 del codice di procedura penale che non contempla la connessione tra reati a querela tardiva o inesistente e reati perseguibili d'ufficio, posto che la connessione che i giudici del merito hanno ritenuto applicabile è quella speciale di cui all'articolo 609 septies, comma 4 n. 4, del codice penale. Detta connessione sussisterebbe però solo per i reati commessi a danno di una stessa parte offesa ed è definita quale connessione apparente oppure laddove siano soddisfatti i requisiti di cui all'articolo 371 del codice di procedura penale quale connessione investigativa . 2.2. Con il secondo motivo deduce l'inosservanza o erronea applicazione della legge penale nonché la mancanza della motivazione su punti decisivi del giudizio art. 606, comma 1, lett. b ed e , cod. proc. pen. con riferimento alla alla mancata assoluzione ai sensi dell'articolo 530 cpv. codice di procedura penale per i singoli episodi visite . Sostiene che, in relazione alle visite specificate a pagina 2 del ricorso nei confronti delle parti offese ivi indicate, la condotta, così come ricostruita, non appare configurare alcuna rilevanza penale, con conseguente richiesta di assoluzione ai sensi dell'articolo 530, secondo comma, codice di procedura penale per i singoli episodi come sopra identificati, assoluzione disattesa dalla Corte di appello con motivazione erronea perché illogica, se non addirittura omessa . 2.3. Con il terzo motivo denuncia difetto o manifesta illogicità della motivazione quanto al mancato riconoscimento dell'attenuante di cui all'articolo 609 bis, ultimo comma, codice penale per i singoli episodi e del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche prevalenti e nella massima espansione art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen. . Sostiene che, per gli episodi contestati, si dovesse applicare l'attenuante della minore gravità, erroneamente disattesa dalla Corte di appello di Torino con motivazione illogica e comunque apparente, con difetto di argomentazioni specifiche in ordine alla medesima censura contenuta nei motivi di appello . Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. 2. Quanto al primo motivo, con logica ed adeguata motivazione, come tale sottratta al sindacato di legittimità, la Corte piemontese è giunta a ritenere che i fatti di cui ai capi e , h ed f furono commessi dal ricorrente nella sua qualità di medico ospedaliero, pervenendo a tale conclusione sulla base del fatto, incontroverso e neppure contestato, che, nel caso in esame, le persone offese P. , C. e Po. si fossero rivolte in prima battuta all'imputato, per come emerso da tutte le testimonianze raccolte, perché incardinato presso l'ospedale OMISSIS dove le stesse erano state sottoposte alle visite mediche de quibus e senza conoscere lo specialista personalmente, per poi continuare con lui nelle visite di controllo successive. Neanche vi era dubbio che la funzione del M. di medico ospedaliero e quindi incaricato di pubblico servizio avesse agevolato la commissione dei reati anche quando egli agiva come medico intramoenia , qualifica spesso nemmeno percepita dalle persone offese. Perciò, quanto al medico che operi in regime di intramoenia , va ricordato che il rapporto instauratosi tra medico e paziente è di natura pubblicistica quando il secondo si rivolge al primo non per ragioni professionali, che riguardino lo specifico professionista, ma alla struttura ospedaliera nell'ambito della quale il sanitario opera, con la conseguenza che, a tal proposito, questa Corte ha già avuto modo di affermare che è procedibile d'ufficio, ai sensi dell'art. 609-septies, comma quarto, n. 3, cod. pen., il reato di violenza sessuale commesso all'interno della struttura sanitaria ai danni di una paziente da un medico ospedaliero, rimanendo irrilevante che questi, per il rapporto di fiducia instauratosi con la paziente, abbia fissato le visite senza seguire il normale iter burocratico per l'accettazione, in quanto tale circostanza non modifica la natura pubblicistica del rapporto intercorso tra medico e vittima Sez. 3, n. 28839 del 28/05/2008, Giuliano ed altro, Rv. 241010 . Fuori discussione, dunque, che il ricorrente agì nella qualità di medico ospedaliero, va poi ribadito che la procedibilità d'ufficio del delitto di violenza sessuale commesso dall'incaricato di pubblico servizio non richiede l'abuso delle funzioni pubblicistiche svolte, essendo sufficiente il semplice collegamento tra le condotte illecite e le predette funzioni Sez. 3, n. 50299 del 18/09/2014, S., Rv. 261388 . Par altro verso, in ordine alla procedibilità d'ufficio del reato di violenza sessuale, questa Corte ha affermato che, in materia di delitti di violenza sessuale, la procedibilità d'ufficio determinata dalla ipotesi di connessione prevista dall'art. 609 septies, comma quarto, n. 4 cod. pen. si verifica non solo quando vi è connessione in senso processuale art. 12 cod. proc. pen. , ma anche quando v'è connessione in senso materiale, cioè ogni qualvolta l'indagine sul reato perseguibile di ufficio comporti necessariamente l'accertamento di quello punibile a querela, in quanto siano investigati fatti commessi l'uno in occasione dell'altro, oppure l'uno per occultare l'altro oppure ancora in uno degli altri collegamenti investigativi indicati nell'art. 371 cod. proc. pen. Sez. 3, n. 2876 del 21/12/2006, dep. 25/01/2007, P.G. in proc. Crudele, Rv. 236098 . Si tratta di un orientamento del tutto condivisibile e recentemente ribadito da questa Sezione Sez. 3, n. 2856 del 16/10/2013, dep. 22/01/2014, B., Rv. 258583 , la quale ha precisato che i reati di violenza sessuale sono procedibili senza necessità di querela anche nell'ipotesi di collegamento investigativo rilevante a norma dell'art. 371, comma secondo, cod. proc. pen. con altra fattispecie procedibile di ufficio sul rilievo che la ragione della perseguibilità d'ufficio dei delitti contro la libertà sessuale non risiede nel disinteresse dello Stato al perseguimento degli stessi, ma nella necessità di bilanciare l'esigenza del perseguimento dei colpevoli con l'esigenza della riservatezza delle persone offese, data la particolarissima natura di tali reati, in relazione ai molteplici contesti socioculturali nei quali gli stessi possono essere commessi. Tale esigenza viene meno proprio nel caso in cui le indagini su fatti perseguibili d'ufficio abbiano attinto alla riservatezza delle persone offese per connessi reati sessuali, nel caso in cui questi siano stati commessi in occasione degli altri, o per conseguirne o assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il prezzo, il prodotto o l'impunità, ovvero - e questo è il caso più frequente - se la prova di un reato o di una circostanza influisce sulla prova di un altro reato o di un'altra circostanza o se la prova di più reati deriva anche parzialmente dalla stessa fonte . Ne consegue che, realizzatasi una delle fattispecie indicate nell'art. 12 o 371 cod. proc. pen., sia del tutto indifferente se i reati stati commessi a danno di una stessa parte offesa o di persone offese diverse. Consegue l'infondatezza del motivo. 3. Il secondo ed il terzo motivo di gravame sono inammissibili per aspecificità posto che la Corte territoriale ha fornito adeguate risposte pagg. 21 e 23 della sentenza impugnata alle doglianze formulate dal ricorrente con i motivi di appello e le ragioni della decisione non sono state oggetto, come si ricava dal tenore letterale dei motivi v. sub. 2.2 e 2.3. del ritenuto in fatto , di specifica critica come esige l'art. 581, comma 1, lett. c , cod. proc. pen. per il quale ogni impugnazione deve contenere i motivi con l'indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono la richiesta. Nella specie, la Corte territoriale, quanto alla generica richiesta di assoluzione in relazione a talune persone offese, ha spiegato che la doglianza, oltre ad essere connotata da estrema genericità già con i motivi di appello, fosse del tutto priva di fondamento posto che le visite mediche tra il ricorrente e le persone offese altro non erano che occasioni colte dall'imputato per compiere atti sessuali, specificando l'esito degli accertamenti processuali diretti a comprovare tale affermazione, esiti in alcun modo specificamente criticati con il motivo di ricorso. Quanto poi al mancato riconoscimento della diminuente del fatto di minore gravità, la Corte torinese ha posto in rilievo come il diniego fosse giustificato dall'invasività dei reiterati atti sessuali realizzati dal ricorrente, che aveva più volte infilato le dita nella vagina e nel retto delle persone offese, che non esitava a spaventare dicendo falsamente che era obbligato a effettuare tali manovre per escludere tali patologie, commettendo i fatti alla luce della qualifica rivestita e del contesto pubblico nel quale operava. Rispetto a tali affermazioni e in presenza comunque della concessione della attenuanti generiche, il ricorrente nulla ha specificamente indicato per supportare la richiesta di ribaltamento delle corrette e logiche valutazioni operate dalla Corte d'appello. Segue il rigetto del ricorso con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di quelle sostenute nel grado dalle parti civili indicate nel pedissequo dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed a quelle sostenute nel grado dalle parti civili C.A. e P.O. liquidate nella complessiva somma di Euro 3.600, Z.M. liquidate in Euro 2.200, ASL di Torino n. 2 liquidate in Euro 3.000 oltre accessori di legge e spese generali, per tutte. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 d.lgs. n. 196 del 2003 in quanto imposto dalla legge.