Alla guida per incontrarsi con lo spacciatore travolgono un bambino: è concorso in omicidio colposo, ma non aggravato

La cooperazione nel delitto colposo si contraddistingue per la reciproca consapevolezza della convergenza dei rispettivi contributi alla condotta comune in corso, ove il coinvolgimento integrato di più soggetti sia imposto dalla legge o da esigenze organizzative connesse alla gestione del rischio. Per quanto riguarda invece l’aggravante dell’aver commesso il fatto sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope, il giudice deve accertare la sussistenza in concreto degli effetti dell’assunzione della sostanza al momento del fatto, non potendo applicare l’aggravante sulla base del semplice stato di astinenza.

E’ quanto afferma la Corte di Cassazione con la sentenza n. 14053/15 depositata il 7 aprile. Il fatto. La Corte d’appello di Torino confermava la condanna pronunciata in primo grado per omicidio colposo e lesioni personali gravissime, nei confronti di due imputati ai quali veniva addebitato di aver cagionato, in cooperazione tra loro - in quanto il primo era proprietario dell’auto sulla quale era trasportato come passeggero e il secondo era alla guida della medesima vettura -, per colpa e in violazione di norme del codice della strada la morte di un bambino di 7 anni e le lesioni gravissime riportate dai genitori del minore. Dalle emergenze probatorie era risultato che, mentre la famiglia impegnava un attraversamento pedonale, veniva travolta dall’auto guidata dai due soggetti che procedevano in modo assolutamente imprudente e a velocità elevata, in quanto intenzionati a raggiungere rapidamente il luogo d’incontro con il loro spacciatore di eroina. I due imputati propongono ricorso in Cassazione. La cooperazione nel delitto colposo. Tra i motivi di ricorso, assume in primo luogo rilevanza la doglianza avanzata dal proprietario dell’auto, trasportato come passeggero, circa la ritenuta cooperazione nel reato di omicidio colposo, materialmente commesso dal conducente. La censura è infondata. Afferma la Suprema Corte che è principio consolidato quello per cui la cooperazione nel delitto colposo si distingue dal concorso di cause colpose indipendenti, per la necessaria reciproca consapevolezza dei cooperanti della convergenza dei rispettivi contributi nell’incedere di una comune procedura in corso, senza che, peraltro, sia necessaria la consapevolezza del carattere colposo dell’altrui condotta in tutti quei casi in cui il coinvolgimento integrato di più soggetti sia imposto dalla legge ovvero da esigenze organizzative connesse alla gestione del rischio o, quantomeno, sia contingenza oggettivamente definita della quale gli stessi soggetti risultino pienamente consapevoli . In altre parole, la rilevanza penale della condotta è giustificata dall’ intreccio cooperativo di condotte atipiche, incomplete, di semplice partecipazione che si integrino con altre condotte tipiche, poiché nelle medesime ciascun agente è tenuto ad agire tenendo conto del ruolo e della condotta altrui , non solo sul piano dell’azione ma anche su quello cautelare nella gestione preventiva del rischio. Quando il fatto è commesso sotto l’effetto di stupefacenti. Un motivo di ricorso comune ai due imputati riguarda invece l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’aggravante prevista dall’art. 589, comma 3, n. 2, c.p. per i soggetti che commettono i reati sotto l’effetto di sostanza stupefacenti o psicotrope . Secondo i ricorrenti l’aggravante in commento non potrebbe essere applicata in presenza della prova di una mera assunzione di sostanze stupefacenti pregressa, occorrendo invece la specifica dimostrazione che tali sostanze abbiano avuto un concreto effetto sull’organismo dell’agente al momento del fatto. Erroneamente dunque i giudici di merito avrebbero disposto il computo dell’aggravante basandosi sullo stato di carenza o astinenza da stupefacenti, conseguente al non uso della sostanza. La doglianza si presenta fondata. La Cassazione ribadisce che, ai fini dell’accertamento dell’ipotesi aggravata, è necessaria la verifica della sussistenza degli effetti concreti dell’assunzione della sostanza stupefacente al momento del fatto, quale modificazione sensibile e deviante della condotta, non assimilabile al mero stato di tossicodipendenza. Nella motivazione della sentenza impugnata manca un’adeguata verifica della condizione manifestata dal conducente alla guida dell’auto al momento del fatto apoditticamente ricondotta, in mancanza dell’indicazione di elementi univoci [] allo stato di carenza, stimolo alla guida spericolata . Per poter legittimamente applicare la circostanza aggravante in commento, il raffronto puntuale delle risultanze probatorie deve fornire un’adeguata argomentazione in ordine all’alterazione conseguente all’assunzione della sostanza stupefacente o, in alternativa, alla sensibile modifica dell’abituale controllo delle proprie azioni dovuta allo stato di astinenza. Posto che l’esclusione della circostanza aggravante pare idonea ad incidere sull’intero quadro sanzionatorio, la Cassazione annulla la sentenza impugnata limitatamente ai punti concernenti l’aggravante ex art. 589, comma 3, n. 2, c.p. e alla determinazione della pena, con rinvio alla Corte d’appello per un nuovo esame. Rigetta nel resto i ricorsi.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 18 settembre 2014 – 7 aprile 2015, n. 14053 Presidente Bianchi – Relatore Esposito Ritenuto in fatto 1. La Corte d'Appello di Torino, con sentenza del 9/7/2013, assolvendo gli imputati dal reato di cui all'art. 187 c 1 e 1 bis c.d.s., nonché escludendo la recidiva contestata al primo imputato, ritenuti unificati gli addebiti dal vincolo della continuazione, confermava nel resto la sentenza di primo grado che, all'esito di giudizio abbreviato, aveva ritenuto G.F. e C.A. responsabili dei reati di cui agli artt. 113 e 589 e. 1, 2, 3 n. 2 e 4 c.p. e 189 comma 6 e 7 c.d.s. Agli stessi era addebitato, in cooperazione tra loro, il primo quale proprietario dell'auto Renault Clio targata sulla quale era trasportato come passeggero, il secondo quale conducente della medesima autovettura, di aver cagionato per colpa, consistita in negligenza, imprudenza, imperizia e violazione delle norme sulla circolazione stradale, la morte di S.A. , di sette anni, nonché lesioni personali gravissime a S.C. e lesioni personali gravi a D.R.S. i quali avevano impegnato un attraversamento pedonale , con le aggravanti di aver commesso il fatto con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale e da parte di soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti, nonché di aver provocato la morte di una persona e lesioni di altre due. Agli imputati era addebitato, inoltre, di non aver ottemperato all'obbligo di fermarsi e di prestare assistenza alle persone ferite dopo aver provocato l'incidente di cui sopra fatti del omissis . Entrambi erano condannati alla pena di undici anni di reclusione, con applicazione della sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida. 2. In fatto era stato accertato che, alle 17 circa del omissis , sulla corsia maggiormente prossima alla linea di mezzeria della carreggiata centrale del c.so omissis nel centro abitato di , era sopraggiunta l'autovettura condotta dal C. , sulla quale era trasportato il G. . In prossimità dell'attraversamento pedonale ove era avvenuto l'incidente l'autovettura procedeva a velocità elevata 75 km/h , eccessiva in relazione al limite imposto di 50 km/h, nonché in relazione alla situazione concreta ed alle circostanze di tempo e di luogo, trattandosi di centro abitato ed essendo presenti intersezioni con vari attraversamenti pedonali e regolazione semaforica, ora serale e condizioni di crepuscolo invernale dalle dichiarazioni rese dagli interessati era risultato che gli stessi avevano l'intenzione di giungere rapidamente al programmato incontro con uno spacciatore, presso il quale intendevano rifornirsi di eroina per il loro uso personale. L'auto non concedeva la dovuta precedenza ai pedoni che stavano impegnando l'attraversamento pedonale, travolgendoli a elevata velocità, con le conseguenze rilevate. Era accertato, altresì, che il conducente l'autovettura non solo aveva mantenuto una velocità elevata, ma aveva effettuato plurime violazioni del codice della strada, superando a destra i veicoli che lo precedevano nella marcia per spostarsi con repentini e non segnalati cambi di corsia sulla sinistra, in modo da superare velocemente i rallentamenti dovuti al traffico presente. Le indagini svolte, a seguito dell'esame accurato delle parti dell'automobile Z rinvenute sul luogo del sinistro, consentivano di rinvenire l'autovettura investitrice, che presentava vistosi danni perfettamente congruenti con il sinistro, nel corso di una perquisizione presso la residenza del G. in . Durante la perquisizione presso l'abitazione del C. venivano rinvenute, altresì, una siringa e sostanza stupefacente eroina . Seguivano le confessioni degli imputati. Il C. , in particolare, dichiarava che al momento del fatto era in crisi di astinenza e che a causa di ciò procedeva quel giorno alla velocità riscontrata, aggiungendo che in condizioni normali non avrebbe guidato in tal modo. 3. Riteneva la Corte territoriale che l'impossibilità di sottoporre ad esami clinici il conducente non consentiva di acquisire la prova certa che costui si fosse posto alla guida in stato di alterazione psicofisica dovuta all'assunzione di sostanza stupefacente, come richiesto per la contestazione del reato contravvenzionale. 4. Quanto alla cooperazione del G. nel reato di omicidio colposo materialmente commesso dal C. , rilevava la Corte che la finalità di arrivare presto all'appuntamento fissato per l'approvvigionamento della droga era un'esigenza comune, conosciuta e conoscibile da entrambi e, quindi, anche da colui che aveva affidato l'autovettura al C. per poter arrivare più celermente, essendo quest'ultimo più abile nel traffico, come era dimostrato dal succedersi delle telefonate del pusher. Riteneva la Corte che entrambi gli imputati avessero posto in essere l'evento con ruoli diversi, ciascuno con la chiara consapevolezza della inosservanza della regola cautelare da parte dell'altro, così ravvisandosi l'ipotesi di cooperazione nel delitto colposo. 5. Avverso la sentenza propongono ricorso per cassazione, con distinti atti, gli imputati. 6. Il G. deduce 1 inosservanza e erronea applicazione della legge penale con riferimento all'art. 589 comma 3 n. 2 c.p., con riferimento alla sussumibilità della condotta contestata al capo a nell'alveo della fattispecie aggravata da soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope e insanabile contrasto tra le conclusioni assunte in relazione al capo c - insussistenza della condotta di guida in stato di alterazione a seguito di sostanze stupefacenti - e le conclusioni assunte in relazione al capo A - ritenuta sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 589 comma 3 n. 2 c.p. 2 omessa o carente motivazione della sentenza impugnata in ordine ai motivi di appello concernenti la valutazione delle dichiarazioni degli imputati e, in particolare, del chiamante in reità C. con riferimento allo stato di alterazione in cui lo stesso si trovava al momento dell'evento, omessa o carente manifestazione nella sentenza impugnata delle ragioni esposte dall'attuale ricorrente in sede di appello e delle specifiche ragioni del loro rigetto - mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla valutazione della prova dell'aggravante di cui all'art. 589 comma 3 n. 2 c.p. 3 erronea interpretazione e applicazione della legge penale - violazione dell'art. 113 c.p. - sulla sussumibilità della condotta del proprietario - trasportato nella fattispecie di cooperazione colposa in omicidio colposo aggravato a seguito di sinistro stradale materialmente commesso dal conducente - illogicità manifesta e contraddittorietà della motivazione nella parte in cui si ritiene raggiunta la prova della cooperazione colposa in capo al proprietario/trasportato, manifesta illogicità della motivazione per travisamento della prova 4 violazione e erronea applicazione dell'art. 110 c.p. in relazione all'art. 189 comma 6 e 7 C.d.S., omessa e carente motivazione della sentenza impugnata in ordine ai motivi d'appello concernenti la sussistenza in capo all'imputato del dolo - omessa o carente manifestazione nella sentenza impugnata delle ragioni esposte dall'attuale ricorrente in sede di appello e delle specifiche ragioni del loro rigetto - manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato e da altri atti specificamente indicati nei motivi di gravame, per travisamento delle risultanze della consulenza tecnica psichiatrica di parte 5 inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 89 c.p., mancata sussunzione del disturbo di personalità diagnosticato all'imputato nella consulenza tecnica nel vizio parziale di mente in relazione alla specifica condotta al medesimo contestata - contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sul punto, travisamento della prova risultante dal testo del provvedimento impugnato in ordine all'apprezzamento del disturbo di personalità dipendente quale disturbo di personalità rilevante 6 inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 27 comma 1 e 3 Cost., 132, 133, 62 bis e 81 c.p., 442 c.p.p. con riferimento alla determinazione della pena base, alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, alla erronea riduzione della pena a seguito della scelta del rito e al malgoverno della normativa in tema di inflizione della sanzione - mancanza e illogicità della motivazione sui punti predetti nonché sulla mancata assunzione di prove decisive richieste dalla parte nell'atto di appello 7 illegalità della pena, poiché applicando correttamente la disposizione di cui all'art. 442 comma 3 c.p.p. si sarebbe dovuta effettuare la riduzione di un terzo. 7. Il C. , a sua volta, deduce 1 inosservanza ed erronea applicazione della legge penale nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 589 comma 3 n. 2 c.p. a fronte dell'assoluzione relativamente al capo C dell'imputazione art. 187 comma della strada 2 mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche 3 mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione all'eccessività della pena inflitta. Considerato in diritto 1. Va esaminato per primo, nell'ordine logico, il motivo svolto sub 3 nel ricorso proposto dal G. . Con esso si denuncia violazione di legge e correlato vizio motivazionale in punto di sussumibilità della condotta del proprietario/trasportato nella fattispecie di cooperazione nel reato di omicidio colposo materialmente commesso dal conducente. 2. Rileva in proposito il ricorrente che la Corte territoriale - a fronte di una imputazione di omicidio, contestata al C. a titolo di colpa e al G. , proprietario/trasportato, a titolo di cooperazione colposa nel delitto colposo, senza la contestazione formale dell'aggravante della colpa con previsione di cui all'art. 61 n. 3 c.p. - richiama erroneamente la nozione del dolo eventuale, imputando a entrambi i ricorrenti l'avvenuta accettazione del rischio di verificazione dell'evento. Osserva che in tal modo il ragionamento dei giudici non solo si pone in contrasto con i generali canoni di imputazione soggettiva del reato e, in particolare, del dolo e della colpa, ma evidenzia un vizio di illogicità manifesta della motivazione laddove, richiamando acriticamente le argomentazioni della sentenza di primo grado, tratta alla stessa stregua la posizione del G. e quella del C. . Evidenzia il ricorrente che, secondo la giurisprudenza maggioritaria, la norma di cui all'art. 113 c.p. disciplina un'autonoma e autentica ipotesi di concorso di persone nel delitto colposo, la quale presenta peculiari caratteri legati alla natura colposa dello stesso. Conseguentemente, ciò che deve essere accertato in capo ai concorrenti ai fini dell'applicazione dell'art. 113 c.p. è la coscienza e volontà di concorrere alla condotta violatrice delle norme cautelari, condotta in cui si concretizza il reato. Osserva, inoltre, che è ius receptum, proprio con riferimento al settore della circolazione stradale, che l'affidamento incauto di un veicolo non pone senz'altro e automaticamente in essere una cooperazione colposa nel reato colposo derivante dalla guida del veicolo affidato, in quanto la responsabilità ricorre solo quando il fatto colposo è derivato da imperizia alla guida con la conseguenza che - stante le comprovate modalità di affidamento del veicolo da parte del G. , nonché le modalità del sinistro dovuto a una manovra imprudente e in violazione del codice della strada posta in essere dal conducente e in assenza della prova di qualunque condotta di interferenza da parte del G. - non poteva essere imputato a quest'ultimo alcun contributo causale alla condotta colposa materialmente commessa dal conducente. Evidenzia un ulteriore vizio di motivazione, consistente nel travisamento della prova, laddove tenta di superare la specifica censura contenuta nell'atto d'impugnazione secondo cui non si poteva attribuire al proprietario-trasportato alcuna condotta di incitamento a superare i limiti di velocità e compiere comportamenti imprudenti al fine di assecondare le asserite richieste del pusher, effettuate sull'utenza telefonica del conducente dato, questo, che sarebbe stato travisato dalla Corte . Rileva che il G. , al di là dell'obbligo di affidare la propria auto a persona idonea, in assenza di alcuna condotta istigatrice, non aveva l'obbligo di vigilare sulla condotta imprudente o in violazione delle regole del codice della strada eventualmente posta in essere dal conducente al fine di impedire il verificarsi del sinistro. Rileva, altresì, che nessun contributo causale del G. nella condotta del C. era ravvisabile, anche alla luce dell'orientamento giurisprudenziale che esclude la cooperazione colposa in capo al trasportato per il fatto che egli accetti di salire a bordo di un veicolo pur in mancanza di condizioni di sicurezza. 2. La censura è infondata. Va premesso che il richiamo contenuto in sentenza alla nozione di dolo eventuale è funzionale esclusivamente alla valutazione della colpa, ritenuta connotata da grave negligenza e imprudenza al limite col dolo eventuale . Si tratta di argomentazione che non si pone in contrasto con i generali canoni di imputazione soggettiva del reato, né con l'affermazione della responsabilità dell'imputato a titolo di cooperazioe colposa. Quanto al rilievo attinente al travisamento della prova, dedotto con riferimento alla circostanza che le telefonate erano ricevute sull'utenza del conducente e non su quella del G. , si evidenzia l'irrilevanza dello stesso ai fini della decisione, poiché correttamente i giudici del merito hanno affermato che, quale che fosse il soggetto che ricevesse personalmente le telefonate, ciò che assumeva rilievo era la finalità comune e condivisa, che era la ragione stessa della guida spericolata, materialmente posta in essere dal C. , ma consentita e stimolata dal proprietario della vettura presente . I giudici del merito, infatti, hanno posto in evidenza che G. era presente sull'auto condotta dal C. e quindi poteva in ogni momento apprezzare e verificare la condotta di guida dell'amico ove avesse ritenuto tale condotta non condivisibile perché imprudente o impropria, avrebbe potuto facilmente dissociarsi chiedendo al conducente di non guidare più e sostituendolo alla guida della sua auto. 2.2. Correttamente, pertanto, sono stati ritenuti sussistenti nel caso in disamina i caratteri propri della cooperazione colposa. Va richiamato al riguardo il principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità in forza del quale la cooperazione nel delitto colposo si distingue dal concorso di cause colpose indipendenti per la necessaria reciproca consapevolezza dei cooperanti della convergenza dei rispettivi contributi all'incedere di una comune procedura in corso, senza che, peraltro, sia necessaria la consapevolezza del carattere colposo dell'altrui condotta in tutti quei casi in cui il coinvolgimento integrato di più soggetti sia imposto dalla legge ovvero da esigenze organizzative connesse alla gestione del rischio o, quantomeno, sia contingenza oggettivamente definita della quale gli stessi soggetti risultino pienamente consapevoli Sez. 4, Sentenza n. 26239 del 19/03/2013 Rv. 255696 . In tali situazioni - tra le quali rientra, in ragione della comune finalità condivisa dell'azione di cui si è detto, quella in disamina - si ritiene che l'intreccio cooperativo, il comune coinvolgimento nella gestione del rischio giustifichi la penale rilevanza di condotte che, sebbene atipiche, incomplete, di semplice partecipazione, si coniugano, si compenetrano con altre condotte tipiche, poiché nelle medesime ciascun agente è tenuto ad agire tenendo conto del ruolo e della condotta altrui. Si genera così un legame ed un'integrazione tra le condotte che opera non solo sul piano dell'azione, ma anche sul regime cautelare, richiedendo a ciascuno di rapportarsi, preoccupandosene, alla condotta degli altri soggetti coinvolti nel contesto. Nel caso in esame non solo è ravvisabile la necessaria reciproca consapevolezza dei cooperanti della convergenza dei rispettivi contributi all'incedere di una comune procedura in corso, ma, in ragione delle connotazioni del fatto e della gravità della colpa, deve assumersi sussistente anche la consapevolezza del carattere colposo dell'altrui condotta. Alla luce delle considerazioni svolte, deve ritenersi che il caso in esame esuli dall'ambito della responsabilità per l'affidamento del mezzo e differisca, altresì, dal caso del trasportato che accetti di salire su un mezzo sfornito delle condizioni di sicurezza, con la conseguenza che risultano ininfluenti i parallelismi enunciati in ricorso con riguardo alle predette ipotesi. 3. Va di seguito esaminato il motivo di ricorso avanzato dal G. sub 4 . Con esso il ricorrente osserva che il reato di fuga è reato proprio, talché deve sussistere la prova di un contributo causale del proprietario del mezzo con dolo di concorso che la decisione di fermarsi era stata solo del C. e che il G. si sarebbe limitato ad assecondarlo, senza concorrere nel reato in mancanza di rafforzamento del proposito che la motivazione del giudice di secondo grado sul punto non darebbe convincente risposta alle specifiche doglianze contenute nei motivi d'appello, traducendosi tale mancata considerazione in un vizio di motivazione idoneo a indurre all'annullamento della sentenza impugnata. 3.1. La censura non merita accoglimento. Correttamente, infatti, la Corte territoriale ha ritenuto che le giustificazioni fornite dall'imputato al fine di ridimensionare il proprio apporto causale appaiono non credibili, perché il dissociarsi dall'intento di fuga del conducente l'autovettura avrebbe motivato quanto meno una richiesta telefonica di aiuto al 118, richiesta che il C. non avrebbe potuto impedire, ma che il G. non ha mai formulato. Con motivazione logica e adeguata, pertanto, è pervenuta alla conclusione che l'intento di fuga era stato comune, anche in forza del comportamento successivamente tenuto dal G. e descritto dal coimputato abbiamo deciso di non dire niente e tornare a casa . A fronte delle argomentazioni richiamate ogni questione in ordine alla mancanza di un contributo causale dell'imputato rispetto all'evento, per come argomentata nei motivi d'appello, deve ritenersi destituita di fondamento. 4. Vengono di seguito in considerazione le questioni poste dal G. con i motivi sub 1 , 2 e con il motivo sub 1 dal C. . Entrambi i ricorrenti si dolgono, in primo luogo motivi sub 1 di entrambi i ricorsi dell'inosservanza ed erronea applicazione dell'aggravante di cui all'art. 589 comma 3 n. 2 c.p., viepiù a fronte dell'assoluzione relativa al capo C dell'imputazione. Il G. deduce, altresì, omessa e carente motivazione della sentenza in relazione ai motivi d'appello concernenti la valutazione delle dichiarazioni degli imputati e, in particolare, del chiamante in reità C. con riferimento allo stato in cui lo stesso si trovava al momento dell'omicidio colposo. Osservano entrambi i ricorrenti che la locuzione di soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope contenuta nell'art. 589 c.p. non differisce sostanzialmente da quella di stato di alterazione psicofisica per uso di sostanze stupefacenti di cui all'art. 187 cod. str., non essendo supportata da alcun elemento l'interpretazione sottesa nella sentenza impugnata per cui la condizione prevista dalla circostanza aggravante sarebbe una sorta di minus rispetto a quella prevista dalla contravvenzione del Codice della Strada. Il ragionamento della Corte territoriale, pertanto, sarebbe incongruo nel momento in cui afferma che il tenore normativo della norma sull'omicidio colposo sarebbe ben diverso, autonomo e più ampio rispetto a quanto previsto in tema di guida in stato di ebbrezza dal Codice Stradale . Affermano i ricorrenti che perché l'agente si trovi sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope non basta la prova di una pregressa assunzione di sostanze stupefacenti, ma occorre la specifica dimostrazione che tali sostanze, al momento del fatto, abbiano avuto un concreto effetto stupefacente sull'organismo del conducente. Osservano che la locuzione sotto l'effetto non può che indicare l'alterazione conseguente all'assunzione attuale della sostanza in tale nozione, pertanto, non potrebbe rientrare lo stato di carenza o astinenza che è uno stato conseguente al non uso della sostanza. Con il motivo sub 2 il G. deduce, altresì, che erroneamente e contraddittoriamente era stato ritenuto provato lo stato di carenza da sostanza stupefacente sulla base delle dichiarazioni degli imputati e, in particolare, di quelle del C. , conducente l'autovettura investitrice. Rileva che tali dichiarazioni non erano state sottoposte ad adeguato vaglio critico, evidenziando che non era stata data risposta ai motivi d'appello che avevano posto in luce l'attendibilità del G. a fronte dell'inattendibilità del C. , valutate le numerose menzogne da quest'ultimo riferite sui punti fondamentali del narrato, nonché la forte e insanabile divergenza fra le versioni dallo stesso rese in sede di indagini preliminari e l'assenza di riscontri esterni che ne confermino l'attendibilità, anzi la presenza di elementi che la smentiscono. Rileva che nei motivi d'appello era stato evidenziato che il primo giudice non era stato in grado di stabilire se fosse provato lo stato di alterazione da sostanza stupefacente per uso di eroina o per stato di astinenza. Evidenzia, altresì, che nell'atto di appello si censurava la circostanza, valevole quale riscontro negativo dell'asserito stato di astinenza dichiarato dal coimputato chiamante in reità che, oltre alle modalità di guida tenute da a , al più violatrici delle norme del codice della strada, risultava che il C. , prima dell'impatto, si era avveduto dell'ostacolo, poiché non solo aveva frenato, ma aveva iniziato una manovra di deviazione della propria traiettoria verso destra evidenzia che, contrariamente a quanto normalmente si verifica in caso di sinistri stradali determinati da soggetti in stato di alterazione, il C. aveva ricordato l'incidente sin dal primo interrogatorio, descrivendolo nei dettagli. 5. Le doglianze degli imputati sono fondate, nei limiti di seguito precisati. Va premesso che, anche ad attribuire alla previsione normativa di cui all'art. 589 c.p. un ambito operativo più ampio di quello riconducibile all'ipotesi contravvenzionale 187 c.d.s. , spetta in ogni caso al giudice, ai fini dell'accertamento dell'ipotesi aggravata, la verifica in ordine alla sussistenza in concreto degli effetti della sostanza stupefacente al momento del fatto, nel senso che tali effetti devono concretarsi in una modificazione sensibile e deviante della condotta non assimilabile al mero stato di tossicodipendenza. In tale ottica si rivela incongruo il richiamo, contenuto nella motivazione, al principio enunciato in tutt'altro ambito da Cass. Sez. 1, Sentenza n. 20564 del 23/04/2012, Rv. 253343 Nella valutazione delle istanze di affidamento in prova al servizio sociale in casi particolari, l'attualità dello stato di tossicodipendenza, con conseguente necessità di un idoneo programma di recupero, deve essere apprezzato anche in riferimento alla sola dipendenza psichica, non potendo essere sufficiente, per l'esclusione del requisito, il fatto che l'interessato non assuma più sostanze stupefacenti da un determinato periodo se permane l'esigenza di un mantenimento terapeutico e di un supporto psicologico , posto che l'applicazione del medesimo nella specie finisce per assimilare la condizione di aver agito sotto l'effetto di sostanze stupefacenti alla semplice condizione di dipendenza, anche psicologica, derivante dall'uso di stupefacenti. 5.1. Ciò posto, si rileva che manca nel ragionamento della Corte territoriale una adeguata verifica, mediante il raffronto puntuale degli elementi di indagine, in ordine alla condizione manifestata dal conducente alla guida al momento del fatto apoditticamente ricondotta, in mancanza dell'indicazione di elementi univoci, ora all'avvenuta assunzione, ora allo stato di carenza, stimolo alla guida spericolata , e ciò tanto in termini di alterazione conseguente all'assunzione, quanto di sensibile modifica dell'abituale controllo delle azioni propria dello stato di astinenza. La lacuna è tanto più evidente ove si consideri che i rilievi indicati erano stati evidenziati con i motivi d'appello mediante riferimento alle connotazioni dell'agire del C. , ritenute dimostrative di una condizione di lucidità, quali, specificamente, la prontezza di riflessi manifestata al momento del fatto e la dettagliata rievocazione dello svolgimento degli accadimenti, elementi tutti non confutati adeguatamente. 6. A fronte del rilevato vizio motivazionale s'impone l'annullamento della sentenza in punto di affermazione della sussistenza della suindicata aggravante, con rinvio al giudice competente affinché provveda a emendare le individuate incompiutezze e incongruenze dell'iter argomentativo svolto a fondamento del riconoscimento dell'aggravante. 7. Restano assorbite nella pronuncia tutte le altre doglianze formulate, posto che l'eventuale esclusione dell'aggravante sarebbe idonea a incidere sulla valutazione in ordine alle medesime e importerebbe la necessità di rideterminare l'intero quadro sanzionatorio. L'annullamento rende superflua, altresì, la valutazione dell'istanza di produzione documentale avanzata dalla difesa. P.Q.M. La Corte annulla la sentenza impugnata limitatamente ai punti concernenti l'aggravante ex art. 589 co. 3 n. 2 c.p. e alla determinazione della pena, con nuovo esame ad altra sezione della Corte d'Appello di Torino. Rigetta nel resto i ricorsi.