Il possesso antecedente e legittimo del bene oggetto di appropriazione è elemento differenziale tra peculato e truffa

Il curatore dell’eredità che utilizza due volte lo stesso mandato di pagamento compie il reato di truffa e non di peculato. La differenza tra i due reati consiste nella temporalità rispetto alla condotta fraudolenta del possesso dell’oggetto materiale. Mentre nel reato di peculato il possesso è legittimo e antecedente logico-giuridico dell’illecito, nel reato di truffa il possesso indebito costituisce effetto della condotta illecita.

In questo senso si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 13800 depositata il 31 marzo 2015. È truffa, non peculato. Nella sentenza in commento, i giudici di legittimità accolgono il ricorso presentato dalla difesa in punto di riqualificazione del fatto. La condotta del curatore dell’eredità, in qualità di pubblico ufficiale, appropriandosi della disponibilità liquida sui conti delle giacenze ereditarie curande, non costituisce peculato, essendo caratterizzato il fatto, sul piano della condotta materiale, dai tratti costitutivi tipici della truffa l’esecuzione di artifizi o raggiri finalizzati all’acquisto del profitto illecito. Nel caso di specie, l’artifizio/raggiro si riscontrava nell’utilizzo ripetuto del mandato di pagamento da parte del curatore dell’eredità. La libera disponibilità. Riprendendo un costante orientamento giurisprudenziale, la Corte di Cassazione precisa che il peculato è configurabile allorquando il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio ponga in essere la condotta fraudolenta nel possesso o nella disponibilità, per ragioni del suo ufficio, del bene appropriando. Viceversa, quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio non è in possesso o nella libera disponibilità del bene oggetto di appropriazione, la condotta fraudolenta integra il reato di truffa, e non già il reato di peculato ex multiis Cass. n. 15795/2014 . La differenza tra i due reati, dunque, consiste nella temporalità del possesso dell’utilità nel caso del peculato, il possesso del bene oggetto di appropriazione è un antecedente della condotta materiale finalizzata all’illecito nel reato di truffa, il possesso costituisce, di contro, effetto della condotta illecita. Il possesso antecedente e legittimo. Ciò che, pertanto, rileva ai fini della configurazione del reato come peculato o come truffa non è la precedenza cronologica o la contestualità della frode rispetto alla condotta illecita, ma il modo attraverso cui il pubblico ufficiale si appropria dell’oggetto materiale del reato. La truffa si consuma nel momento del possesso a seguito di inganno il peculato nel momento in cui il possesso dell’oggetto materiale, già legittimo ex lege in ragione degli uffici pubblici, diventa appropriazione. L’errore compiuto dai giudici di merito risiede nell’aver identificato l’accesso alla liquidità della giacenza ereditaria da parte del curatore come civilistica e giuridica”. In realtà, il curatore avrebbe dovuto ottenere di volta in volta la preventiva autorizzazione del Giudice all’uopo delegato per l’accesso ai conti delle eredità. Tale autorizzazione costituisce il presupposto del possesso legittimo, antecedente logico-giuridico del peculato. In mancanza, come nel caso di specie, l’utilizzo più volte ed indebitamente del mandato di pagamento fonda il raggiro e, pertanto, la qualificazione del fatto come truffa aggravata.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 29 gennaio – 31 marzo 2015, n. 13800 Presidente Citterio – Relatore Paternò Raddusa Ritenuto in fatto 1. R.G. , tramite il fiduciario, impugna per cassazione la sentenza della Corte di Appello di Milano con la quale è stata data conferma alla sentenza del Tribunale di Milano di condanna del ricorrente alla pena di giustizia, alla confisca ex art. 322 ter cod.pen. ed al risarcimento del danno in favore della parte civile Eredità Giacente P. . Tanto per più ipotesi di peculato unificate dal vincolo della continuazione commesse a far data dal marzo del 2009. 2. In particolare il ricorrente, nella sua qualità di curatore di due diverse eredità giacenti, una volta ricevuti due autonomi mandati di pagamento, regolarmente emessi su autorizzazione del giudice delegato alle due procedure perché inerenti somme dovute al ricorrente per compensi e altri incombenti, ha provveduto ad incassare, presso la banca sulla quale risultavano accesi i conti correnti intestati alle procedure stesse, più volte l'importo recato dai citati mandati, in più occasioni presentati all'incasso, così appropriandosi di una somma complessivamente di poco inferiore ai 54.000 Euro. 3. Con il ricorso, ferma la ricostruzione della vicenda in fatto siccome cristallizzata nelle due sentenze di merito, si contesta la qualificazione del fatto, ricondotto all'ipotesi del peculato quando, per contro, si trattava di truffa resa in danno della banca, effettiva proprietaria dei fondi accesi sul conto intestato alle procedure e tratta in inganno dalla plurima indebita presentazione dei due mandati, con conseguente improcedibilità dell'azione per la mancanza della querela, o comunque di truffa posta in danno delle due procedure, con conseguenti effetti in punto di rideterminazione della pena la determinazione della pena, ampiamente superiore al minimo edittale, sproporzionata considerando la occasionalità del fatto e la assenza di pericolosità del convenuto il mancato riconoscimento delle generiche, giustificate dalla resipiscenza dell'imputato, dall'intenzione di risarcire il danno, dalla incensuratezza del ricorrente, tutti dati pretermessi nella valutazione della Corte il denegato riconoscimento dell'attenuante di cui al nr 6 dell'art. 62 cod.pen., considerata la offerta formale di cessione dei beni rivolta ai creditori, pretestuosamente rifiutata dalle due originarie parti civili e ingiustificatamente denegata dalla Corte sul presupposto della tardività e della incapienza della offerta stessa. Considerato in diritto 1. È fondato il motivo di ricorso inerente la qualificazione giuridica ascritta dai Giudici del merito ai fatti in giudizio, aderendo la Corte alla diversa prospettazione offerta dalla difesa per la quale, nella specie, le condotte ascritte al ricorrente vanno riportate all'egida della truffa, aggravata dalla qualifica soggettiva del R. , e non del ritenuto peculato. 2. Sia la difesa come, del resto, la stessa sentenza impugnata muovono da una considerazione condivisa quanto ai tratti differenzianti l'ipotesi del peculato da quella della truffa laddove, come nel caso, l'appropriazione del denaro le disponibilità liquide presenti sui conti correnti accesi in favore della due procedure di eredità giacente resa dal pubblico ufficiale il curatore delle due eredità finisca per intersecarsi, sul piano della condotta materiale riscontrata, con i tratti costitutivi tipici della truffa l'esecuzione di artifizi o raggiri funzionalizzati all'acquisizione del profitto illecito, qui la ripetuta utilizzazione del medesimo mandato di pagamento . 2.1. In linea con il costante orientamento espresso in materia da questa Corte, le valutazioni, contrastanti nel risultato, inerenti la corretta qualificazione delle condotte in processo, si ancorano alla considerazione, che questo Collegio condivide, in forza alla quale è configurabile il peculato quando il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio pone in essere la condotta fraudolenta al solo fine di occultare l'illecito commesso, avendo egli già il possesso o comunque la disponibilità del bene oggetto di appropriazione, per ragione del suo ufficio o servizio se, invece, la medesima condotta fraudolenta è finalizzata all'impossessamento del denaro o di altra utilità, di cui egli non ha la libera disponibilità, risulta integrato il delitto di truffa, aggravato ai sensi dell'art. 61 n. 9 cod. pen. in termini da ultimo Sez. 6, n. 15795 del 06/02/2014 Campanile, Rv. 260154 cfr. ancora gli ulteriori arresti conformi N. 32863 del 2011 Rv. 250901, N. 5494 del 2013 Rv. 259070, N. 39010 del 2013 Rv. 256595, N. 41093 del 2013 Rv. 256681, N. 41599 del 2013 Rv. 256867, N. 5087 del 2014 Rv. 258051 . Nel delitto di peculato il possesso e la disponibilità del denaro per determinati fini istituzionali è un antecedente della condotta incriminata per contro, nella truffa l'impossessamento della cosa è l'effetto della condotta illecita. Ed è al rapporto tra possesso, da una parte, ed artifizi e raggiri, dall'altra, che deve aversi riguardo, nel senso che, qualora questi ultimi siano finalizzati a mascherare l'illecita appropriazione da parte dell'agente del denaro o della res di cui già aveva legittimamente la disponibilità per ragione del suo ufficio o servizio, ricorrerà lo schema del peculato qualora, invece, la condotta fraudolenta sia posta in essere proprio per conseguire il possesso del denaro o della cosa mobile altrui, sarà integrato il paradigma della truffa aggravata. A differenziare le due figure criminose, conclusivamente, non rileva tanto la precedenza cronologica o la contestualità della frode rispetto alla condotta appropriativa, bensì il modo col quale il funzionario infedele acquista il possesso del denaro o del bene costituente l'oggetto materiale del reato il momento consumativo della truffa coincide con il conseguimento del possesso a cagione dell'inganno e quale diretta conseguenza di esso, il che significa appropriazione immediata e definitiva del denaro o della res a vantaggio personale dell'agente il peculato presuppone il legittimo possesso disponibilità materiale o giuridica , per ragione dell'ufficio o del servizio, del denaro o della res, che l'agente successivamente fa propri, condotta quest'ultima che, anche se eventualmente caratterizzata da aspetti di fraudolenza, non esclude la configurabilità del delitto di cui all'art. 314 c.p., fatte salve le ulteriori ipotesi di reato eventualmente concorrenti in termini, pedissequamente riportati, avuto riguardo all'ipotesi, analoga nei tratti, dell'appropriazione posta in essere dal curatore fallimentare, cfr Sez. 6, n. 5447 del 04/11/2009 - dep. 11/02/2010, Donti e altri, Rv. 246070 . 2.2. Si è detto che i giudici del merito e la difesa muovono da tale, comune, assunto di principio. La dove la valutazione offerta dalla difesa finisce per disallinearsi rispetto alle considerazioni esposte sul tema, da ultimo, dalla Corte distrettuale è in punto alla affermata disponibilità, in capo all'odierno ricorrente, delle somme in questione disponibilità che la corte distrettuale definisce civilistica e giuridica e che viene ascritta al R. sul presupposto in forza al quale lo stesso poteva operare sui conti accesi in favore delle due procedure pur dovendo ottenere al fine la preventiva autorizzazione in tal senso resa dal Giudice all'uopo delegato. 2.3. Questo ultimo riferimento in fatto, pacifico nella ricostruzione della vicenda in processo, inficia radicalmente la valutazione resa sul punto nella sentenza impugnata perché da luogo ad una contraddizione logica insanabile ed a conclusioni giuridiche distoniche rispetto alla linea interpretativa, tracciata da questa Corte, cui i giudici di merito hanno inteso, solo teoricamente, aderire. 2.3.1. La circostanza che sul conto poteva operare il Curatore quale interfaccia esclusivo della procedura con la banca presso la quale si trovava allocata - con la forma negoziale del deposito o del conto corrente bancario la distinzione non fa gioco per quel che qui interessa - la liquidità di pertinenza dell'eredità giacente è un dato ininfluente rispetto alla disponibilità, materiale e giuridica, delle somme stesse. Una volta che si dia per scontato il fatto in forza al quale, per accedere alle disponibilità del conto, altrimenti vincolato, occorreva attenersi alla sequela procedurale che vedeva il suo presupposto indefettibile nel mandato ad operare sul rapporto bancario, elaborato, in esito alla autorizzazione alla spesa resa dal Giudice, dalla Cancelleria di volta in volta e per causali determinate, è poi di tutta evidenza che non vi era alcuna disponibilità, sia essa materiale o giuridica, dei fondi della procedura, non potendo il Curatore maneggiare il denaro legato alle due eredità giacenti senza il preventivo svincolo disposto dall'autorità giudiziaria. In questo quadro di riferimento, il raggiro rappresentato dall'uso, ripetuto, del medesimo mandato di pagamento per appropriarsi, più volte, indebitamente, dello stesso importo portato dal titolo, ha costituito, dunque, per il Curatore, la chiave di accesso alla disponibilità immediata dei fondi delle due procedure, altrimenti preclusagli dal vincolo di operatività apposto ai due conti correnti di riferimento. Ne viene, alla luce di quanto sopra evidenziato, che l'imputato si è reso responsabile, in relazione ai corrispondenti episodi, di truffa aggravata ai sensi dell'art. 61 c.p., nn 9 e non di peculato, non essendo stato riscontrato il preventivo possesso legittimo o disponibilità delle somme di denaro, il cui impossessamento truffaldino, invece, ha coinciso con l'appropriazione per profitto personale. E in tali termini, in linea con le sollecitazioni in tal senso rese dalla difesa sin dall'appello, vanno riqualificate le condotte in giudizio, avvinte dalla continuazione, imponendosi, per l'effetto, l'annullamento della sentenza con rinvio ad altra sezione della Corte distrettuale competente perché, ferma la responsabilità definitivamente acclarata, si proceda alla rideterminazione della pena in ragione della diversa configurazione giuridica ascritta ai fatti. 3. La diversa qualificazione delle condotte porta con sé tutta una serie di corollari destinati ad incidere sulla presente vicenda processuale nell'ulteriore corso della stessa siccome imposto dall'annullamento con rinvio. 3.1. In primo luogo, la riqualificazione dei fatti in termini di truffa aggravata ai sensi del nr 9 dell'art. 61 cod.pen. depriva radicalmente di consistenza il tema della improcedibilità dell'azione per mancanza di querela, sollevato in ricorso sul presupposto che la persona offesa della truffa andrebbe individuata nella banca che svolgeva il compito di tesoriera in forza dei conti correnti bancari e non nelle due procedure di eredità giacente argomento, questo, che, a prescindere da quanto si dirà da qui a poco sulla puntuale individuazione della persona offesa, è travolto dalla procedibilità d'ufficio del reato così configurato giusta il comma III dell'art. 640 cod.pen 3.2. Giova inoltre evidenziare che con la condanna, sul presupposto dei ritenuti peculati, venne disposta anche la confisca ai sensi del comma I dell'art. 322 ter cod.pen In esito alla diversa configurazione delle condotte in processo, il giudice del rinvio, al momento della rideterminazione della pena, sarà dunque anche tenuto a rivalutare l'attualità della confisca alla luce del disposto di cui all'art. 640 quater cod.pen. che letteralmente non richiama, ai fini della applicabilità dell'art. 322 ter per l'ipotesi della truffa, il comma III dell'art. 640 cod.pen 3.3. La diversa qualificazione della condotta in termini di peculato è destinata a rifluire anche in punto alle statuizioni civili. 3.3.1. Con la sentenza di primo grado il ricorrente è stato condannato anche al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile, Eredità Giacente P. la pretesa dell'altra procedura, pure costituita, non venne presa in considerazione per la implicita rinunzia desunta dal mancato deposito delle conclusioni scritte . Tanto in coincidenza con gli importi indebitamente prelevati dal conto di riferimento, maggiorati da interessi e rivalutazione. 3.3.2. Secondo l'impostazione sottesa al ricorso, la persona offesa dal reato non sarebbe la curatela della eredità giacente bensì la banca chiamata al servizio di cassa in favore della stessa in forza al rapporto di conto. Ciò in ragione del fatto che, acceso il conto, le disponibilità riversate sullo stesso dal correntista entrano nella titolarità esclusiva della banca, chiamata solo ad adempiere, in coincidenza con il quantum portato dalla provvista di riferimento, all'obbligazione sottesa alla stipula del contratto bancario, quale mandataria laddove l'imput di adempimento, nelle forme assentite dal relativo regolamento negoziale, sia rivolto dal correntista in favore di un terzo estraneo al contratto di conto corrente. Secondo questa ricostruzione, persona offesa dal reato ma anche danneggiata dall'illecito sarebbe sempre, solo e comunque la banca rispetto alla quale, esclusivamente, finiscono per riverberarsi gli effetti nocivi della truffa. 3.3.3. L'assunto, corretto nei suoi presupposti di partenza, non è condivisibile nelle conseguenze in diritto che se ne traggono. Vero è che, acceso il rapporto di conto corrente e versate nello stesso le relative disponibilità liquide, il correntista perde l'immediata titolarità delle stesse ed acquisisce, in ragione dei rapporti di cassa e di mandato sottesi al conto corrente bancario, il diritto a che la banca, nei limiti delle disponibilità presenti sul conto, proceda ai pagamenti nei confronti, oltre che dello stesso correntista, anche di terzi secondo le forme previste dal contratto. Tanto, tuttavia, non rende, come ritenuto dalla difesa, la banca persona offesa dalla truffa posta in essere dal terzo con condotte immediatamente incidenti sui fondi corrispondenti alle disponibilità presenti sul conto giacché una siffatta conclusione muove da una confusione di ruoli tra il titolare dell'interesse protetto dalla norma violata, che, a fronte di una condotta siffatta, resta sempre e comunque il correntista, portatore sostanziale della situazione finanziaria destinatala della condotta illecita, con quello dell'eventuale danneggiato dal reato, id est del soggetto in ultima battuta economicamente pregiudicato dal reato e, che, con riferimento alla fattispecie in disamina, potrebbe anche essere la banca tesoriera in virtù del rapporto di conto. La truffa che sia realizzata da un soggetto terzo al rapporto di conto corrente ma che abbia quale oggetto mirato le disponibilità sottese al conto, è immediatamente rivolta alla posizione del correntista e solo eventualmente può produrre effetti pregiudizievoli per la banca. Quest'ultima, infatti, nel rapporto con il terzo interloquisce quale mero mandatario del correntista e si interfaccia con il terzo solo in ragione della presenza del conto e del mandato ad esso correlato, giacché, diversamente, le due posizioni, quella del terzo e della banca, non avrebbero modo di intersecarsi. L'interesse protetto resta dunque quello del correntista mandante mentre la posizione del mandatario potrebbe assumere rilievo solo sul piano del nocumento patrimoniale correlato alla condotta truffaldina quale corollario della diversa imputazione del costo del reato in conseguenza di una non puntuale attuazione degli obblighi di esecuzione del mandato. Ferma, dunque, la posizione di persona offesa dalla truffa, sempre riferibile al correntista, con tutte le derivazioni che ne conseguono, prima tra tutte la legittimazione alla querela giusta l'art. 120 cod.pen., nulla esclude che, nelle dinamiche interne correlate alla gestione del rapporto di conto, il nocumento patrimoniale conseguenziale alla riscontrata condotta illecita possa ricadere esclusivamente sulla banca. Tanto accade in particolare quando, seppur tratta in inganno dalla truffa, la banca abbia comunque dato esecuzione con negligenza al mandato finendo per patire, in ultima battuta, il costo dell'altrui azione illecita, procedendo al pagamento in favore del creditore apparente in siffatti casi nulla esclude che la banca non abbia addebitato al correntista il quantum della provvista intaccato dal pagamento effettuato indebitamente, finendo per assumersi le conseguenze nocive dell'adempimento sfalsato dalla condotta truffaldina del terzo. 3.4. Riportando il discorso all'interno dei binari propri della fattispecie in disamina, osserva la Corte come, alla luce delle superiori considerazioni in linea di principio, la diversa configurazione delle condotte da peculato in truffa, non incide nella specie sulla individuazione della persona offesa dal reato potrebbe, piuttosto, influire sulla individuazione del titolare effettivo della pretesa risarcitoria da far valere tramite la costituzione di parte civile, laddove emergano elementi in fatto che possano portare a ritenere che il danno eziologicamente correlato alla condotta di truffa non sia ricaduto nella sfera patrimoniale della persona offesa bensì esclusivamente in quella della banca mandataria. E nel corso del giudizio di rinvio il giudice del merito, con valutazione in fatto di sua esclusiva pertinenza, sarà chiamato a rivisitare la pretesa risarcitoria articolata dalla parte civile costituita filtrando la relativa richiesta di risarcimento del danno, quanto alla effettiva titolarità del nocumento patito, attraverso i principi in diritto sopra enunziati. 4. Soluzione opposta meritano i temi afferenti la denegata applicazione delle attenuanti ex artt. 62 bis e 62 nr 6 cod.pen., sollevati con gli ultimi due motivi di ricorso. 4.1. La diversa qualificazione delle condotte impone, infatti, una rivisitazione delle valutazioni rese nel denegare le generiche, dovendosi riconoscere al giudice del merito in sede di rinvio, a fronte del diverso titolo di reato riscontrato, di procedere ad una nuova considerazione degli elementi a sua disposizione da filtrare, oggi, attraverso il portato del diverso reato definitivamente ascritto al ricorrente. La doglianza sulla mancata applicazione delle generiche resta, dunque, assorbita dalla diversa configurazione delle condotte ed il relativo tema, in uno a quello afferente la rideterminazione della pena, costituirà oggetto di nuovo esame in sede di rinvio. 4.2. Per contro, le questioni afferenti la corretta qualificazione della condotta ed alla coerente individuazione del titolare sostanziale della pretesa risarcitoria correlata all'illecito riscontrato sono indifferenti alle ragioni ostative all'applicazione, nella specie, della attenuante di cui all'art. 62 nr 6 cod.pen Ciò non tanto e solo per la inadeguatezza formale dell'offerta rivota al soggetto ritenuto titolare della pretesa risarcitoria che, per quanto sostenuto da questa Corte, avrebbe dovuto rivestire le forme imposte dall'art. 1209 cc cfr Sez. 2, sentenza n. 36037 del 06/07/2011, Ruvolo, Rv. 251073 quanto, ancor più decisamente, per la inadeguatezza sostanziale della offerta stessa, risultando subordinato il risultato della integrale soddisfazione del danno alla dismissione di un cespite e dunque ad una mera eventualità, resa peraltro ancor più incerta, nel fine, dalla presenza di un peso ipotecario acceso sul bene da vendere. Tanto impone la conferma della sentenza impugnata in parte qua. P.Q.M. Riqualificati i fatti come truffa continuata aggravata dalla circostanza di cui all'art. 61 nr 9 cod.pen., annulla la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione della pena, alla confisca ed alle statuizioni civili e rinvia per nuovo giudizio su tali punti ad altra sezione della Corte di appello di Milano. Rigetta il ricorso nel resto.