Il regolamento di competenza non incide sul computo dei termini massimi della custodia cautelare

Con la proposizione del regolamento di competenza non si verifica una sospensione del processo, ma il procedimento versa semplicemente in uno stato di quiescenza in cui è inibita al giudice qualsiasi attività processuale valutativa, anche per quanto riguarda l’istanza di scarcerazione, in quanto il provvedimento invocato non potrebbe limitarsi alla constatazione dell’avvenuta decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare ma dovrebbe comunque rivalutare le ragioni che stanno alla base dell’ordinanza sospensiva dei termini cautelari, con valutazione di circostanze inerenti al procedimento stesso inibita appunto dalla sospensione.

È quanto risulta dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 13038/15 depositata il 27 marzo. Il caso. In sede di riesame, il Tribunale di Napoli rigettava l’appello proposto avverso il rigetto dell’istanza di scarcerazione, per decorrenza del termine massimo di custodia cautelare in carcere, avanzata nell’interesse di un indagato nel delitto di partecipazione ad associazione di stampo camorristico pluriaggravato. Il giudice aveva applicato l’art. 303, comma 1, lett. d , ultima parte, c.p.p. che impone di considerare il solo termine massimo di custodia stabilito dal comma 4 della medesima norma. Avverso tale pronuncia l’indagato propone ricorso per cassazione, sostenendo l’erronea applicazione del meccanismo di sospensione dei termini di fase della custodia cautelare per complessità della causa, ex art. 303, comma 2, c.p.p., applicabile per il giudizio di competenza proposto dalla Cassazione e risolto a favore di altra sezione della Corte d’appello d’assise. La sospensione del procedimento per complessità del dibattimento. La Suprema Corte ribadisce che la sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare disposta ai sensi della norma invocata dal ricorrente per i dibattimenti particolarmente complessi relativi ai reati indicati nell’art. 407 c.p.p., comma 2, lett. a , opera non solo per i termini intermedi e di fase, ma anche per il termine di durata massima della custodia cautelare. Infatti, il comma 2 dell’art. 303, c.p.p., fa riferimento in modo generico alla sospensione dei termini previsti dall’art. 303 c.p.p. con l’inciso durante i tempi in cui sono tenute le udienze o si delibera la sentenza e attiene alla durata della sospensione ma non alla limitazione della stessa alla fase in cui si è verificata. Inoltre il comma 6, ai sensi del quale la durata della custodia cautelare non può comunque superare il doppio dei termini previsti dai primi 3 commi acquista significato solo considerando tale disposizione come una norma di chiusura che pone un limite invalicabile al protrarsi della custodia cautelare . Di conseguenza la sospensione dei termini di custodia cautelare per complessità del dibattimento è legittimamente disposta solo se non sono ancora scaduti i termini di fase e una volta deliberata è immediatamente operativa. Il regolamento di competenza non incide sui termini di custodia cautelare. La proposizione del regolamento di competenza, con le conseguenti riassegnazioni del procedimento, non ha alcuna incidenza sulla sospensione dei termini della custodia cautelare, come invece sostiene il ricorrente. Il principio è già stata affermato dalla medesima Cassazione con riferimento al diverso caso della sospensione obbligatoria del processo per la pendenza di una questione di legittimità costituzionale e può dunque applicarsi anche in riferimento al caso di specie. Con la proposizione del regolamento di competenza non si verifica dunque una sospensione del processo, ma il procedimento versa semplicemente in uno stato di quiescenza in cui è inibita al giudice qualsiasi attività processuale valutativa. E ciò anche per quanto riguarda l’istanza di scarcerazione, in quanto il provvedimento invocato non potrebbe limitarsi alla constatazione dell’avvenuta decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare ma dovrebbe comunque rivalutare le ragioni che stanno alla base dell’ordinanza sospensiva dei termini cautelari, con valutazione di circostanze inerenti al procedimento stesso, inibite appunto dalla sospensione del procedimento. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 3 dicembre 2014. 27 marzo 2015, n. 13038 Presidente Cortese – Relatore Casa Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza resa in data 18.8.2014, il Tribunale di Napoli, in funzione di giudice del riesame, rigettava l'appello proposto ex art. 310 c.p.p. avverso il provvedimento del 22.7.2014 con il quale la Corte di Assise di Appello di Napoli aveva rigettato l'istanza di scarcerazione per decorrenza del termine massimo di custodia cautelare avanzata nell'interesse di L.A.R. . 1.1. Premetteva il Tribunale che l'imputato, sottoposto a custodia cautelare in carcere dal 23.2.2009, era stato ritenuto responsabile dalla Corte di Assise di S. Maria Capua Vetere, in data 20.12.2012, del delitto di partecipazione ad associazione di stampo camorristico pluriaggravato, con esclusione dell'aggravante di cui al comma 6 dell'art. 416 bis c.p La condanna alla pena detentiva di nove anni di reclusione era stata confermata dalla decisione di secondo grado, resa in data 25.2.2014. 1.1.1. Secondo il Collegio, trattandosi di una duplice condanna c.d. doppia conforme , a ragione nel provvedimento reiettivo impugnato era stata fatta applicazione del disposto di cui all'art. 303, comma 1, lett. d , u. parte, c.p.p., che impone di considerare il solo termine massimo di custodia stabilito dal comma 4 dello stesso articolo. Rilevava che detto comma, nel prevedere tre distinti livelli a seconda della gravità dell'imputazione, fissa, alla lett. b , in quattro anni la durata massima complessiva della custodia cautelare allorché si proceda, come nel caso del L. , per un delitto per il quale la legge fissa la pena della reclusione non superiore nel massimo a venti anni, dovendosi, a tal proposito, considerare, in forza dell'inequivoco dato normativo, la pena edittale stabilita dalla legge per il reato contestato o per quello, eventualmente diverso, ritenuto in sentenza e non quella irrogata in concreto. La Corte di Assise di Appello aveva, dunque, correttamente assunto a base di calcolo il termine di quattro anni, in relazione alla pena edittale prevista per il reato ritenuto in sentenza. 1.1.2. Quanto alle cause sospensive, idonee a determinare l'aumento del detto termine fino alla metà, il Tribunale osservava quanto segue. Anzitutto, la Corte aveva tenuto conto della sospensione disposta dalla Corte di Assise di S. Maria Capua Vetere con ordinanza del 20.1.2011 per la particolare complessità del dibattimento, relativo a reati compresi nell'elenco indicato dall'art. 407, comma 2 lett. a c.p.p., sospensione che risultava essere stata reiterata il 18.7.2012 e, stando al calcolo impugnato, si sarebbe protratta fino alla data della pronuncia di primo grado 20.12.2012 . Doveva essere disattesa la prospettazione difensiva secondo cui la causa sospensiva sarebbe venuta meno con la trasmissione degli atti, per competenza, al Tribunale di S. Maria Capua Vetere, disposta in data 14.10.2011. Il Giudice a quo riteneva di aderire all'orientamento secondo il quale l'ordinanza che disponga la sospensione ex art. 304, comma 2, c.p.p. non è automaticamente caducata nelle ipotesi di trasmigrazione del processo innanzi ad altra A.G., trattandosi di provvedimento esprimente una valutazione prognostica agganciata a parametri oggettivi, di talché, se non appellato nei termini ex art. 310 e.p.p. o non revocato, è destinato a cristallizzare i suoi effetti almeno fino alla pronuncia conclusiva del grado di giudizio cita Sez. 6, n. 22887/2012 Sez. 2, n. 3106/2008 . Pertanto, contrariamente a quanto argomentato dalla difesa, la proposizione del conflitto di competenza e le successive riassegnazioni del procedimento non avevano inciso sulla disposta sospensione. Invero, la devoluzione della questione sul rito alla cognizione della Corte di Cassazione non aveva determinato alcuna apprezzabile discontinuità logica nella celebrazione del giudizio di merito né, in tal senso appariva conferente il richiamo della difesa al disposto dell'art. 30, comma 3, c.p.p., laddove stabilisce che la pronuncia dell'ordinanza di rimessione o la denuncia del conflitto non hanno effetti sospensivi sui procedimenti in corso, atteso che tale espressione se, per un verso, vuoi significare che l'effetto sospensivo dei termini di prescrizione e di durata delle misure cautelari non scaturisce ex se dalla proposizione del conflitto - incidente di natura tecnica implicante una dilatazione dei tempi del processo non imputabile al giudicabile e quindi insuscettibile di arrecargli pregiudizio - per altro verso, interpretata in conformità al suo tenore letterale e secondo i criteri della logica comune, non può essere intesa nel senso che i medesimi provvedimenti siano idonei a porre nel nulla gli effetti di una sospensione già dichiarata sulla base di differenti presupposti. Ancora, poiché, all'esito della decisione assunta dalla Corte regolatrice, gli atti erano stati rimessi alla Corte di Assise di S. Maria Capua Vetere, innanzi alla quale il giudizio era ancora pendente, non poteva affermarsi che il procedimento fosse stato rinviato ad altra A.G., né che fosse regredito ad una fase o ad un grado di giudizio diversi, con decorrenza ex novo dei termini di fase della custodia cautelare, ai sensi dell'art. 303, comma 2, c.p.p Né poteva ipotizzarsi che il termine di fase fosse iniziato ex novo per effetto della sopravvenuta assegnazione del processo, conseguita all'astensione del Giudice a latere, ad altra sezione di Corte d'Assise, trattandosi di differente articolazione della medesima A.G D'altro canto, non poteva condividersi l'assunto difensivo secondo cui la sospensione ex art. 304, comma 2, c.p.p. avrebbe effetto dalla scadenza del termine di fase ordinario. Atteso il significato letterale e giuridico della locuzione, la sospensione introduce una parentesi di quiescenza dei termini di fase, che non corrono finché dura la causa che l'ha determinata e non si vede in base a quali argomenti se ne dovrebbe differire l'operatività al momento della scadenza del termine di fase. In base a tutte le esposte considerazioni, ad avviso del Tribunale, la durata dei termini di custodia era stata correttamente calcolata nel provvedimento impugnato, tenendo conto di 700 giorni di sospensione per complessità del dibattimento dal 20.1.2011 al 20.12.2012 , cui dovevano aggiungersi 90 giorni per il deposito della motivazione di primo grado, nonché ulteriori 45 giorni per il deposito della motivazione della sentenza di appello, per un totale di 835 giorni. Poiché la sommatoria dei periodi così determinati eccedeva il limite dei due anni, avuto riguardo allo sbarramento posto dall'art. 303, comma 4, c.p.p., la Corte correttamente aveva ritenuto di determinare in sei anni la durata complessiva della custodia cautelare. 2. Ha proposto ricorso per cassazione L.A.R. , per il tramite dei suoi difensori di fiducia, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 303 comma 2 e 304 c.p.p Il Tribunale non aveva operato una corretta applicazione del meccanismo della sospensione dei termini di fase della custodia cautelare per complessità ex art. 304, comma 2, c.p.p., ritenendo che l'ordinanza conservasse la sua efficacia anche dopo una sentenza di incompetenza con trasmissione degli atti dalla Corte di Assise di S. Maria Capua Vetere al Tribunale in composizione collegiale di quella stessa sede. La giurisprudenza di legittimità citata dal Giudice a quo era inconferente rispetto al caso di specie. La motivazione del provvedimento impugnato doveva ritenersi apparente e non rispettosa del chiaro disposto normativo dell'art. 303, comma 2, c.p.p., in forza del quale dalla data della sentenza di incompetenza citata avrebbe dovuto iniziare a decorrere di nuovo il termine di custodia cautelare, sempre con il limite di cui all'art. 304, comma 6, c.p.p Erroneamente il Tribunale affermava che il processo era rimasto sempre incardinato presso la medesima A.G. e considerato sospeso tutto il periodo intercorso tra l'ordinanza ex art. 304, comma 2, c.p.p. e la sentenza di primo grado, ignorando le vicissitudini che avevano influito sul provvedimento di sospensione e sul decorso dei termini. Altrettanto erroneamente il Collegio affermava l'immediata operatività dell'ordinanza di sospensione anziché il suo differimento al momento di naturale scadenza dei termini di fase. Evidenziava, inoltre, il ricorrente che anche a seguito della definizione del conflitto di competenza, posto che al momento della proposizione del conflitto il processo pendeva davanti al Tribunale e non alla Corte d'Assise, il termine di fase avrebbe dovuto iniziare nuovamente a decorrere ex art. 303, comma 2, c.p.p. e l'ordinanza di sospensione per complessità del dibattimento non avrebbe avuto ragion d'essere atteso che il processo era stato definito nei sei mesi successivi dicembre 2012 e quindi durante la decorrenza dei termini di fase. In conclusione, se si fosse correttamente considerata operante la sospensione del termine ordinario di fase, che veniva superato solo per il periodo che andava dal 18.7.2011 al 14.10.2011, dovendosi ritenere operante il disposto del comma 2 art. 303 c.p.p. - sia in relazione al rinvio del processo per competenza dal Tribunale collegiale che in relazione al rinvio operato dalla Suprema Corte, in sede di risoluzione del conflitto di competenza, alla Corte d'Assise di S. Maria Capua Vetere, altro giudice rispetto al Tribunale presso cui pendeva il processo in fase di istruttoria - sommati gli ulteriori periodi di sospensione per il deposito delle sentenze di primo e secondo grado, doveva disporsi la scarcerazione dell'imputato, essendo decorso il termine massimo di custodia cautelare previsto dall'art. 303, comma 4, c.p.p. pari a quattro anni aumentato dei periodi di sospensione fino a cinque anni, cinque mesi e ventiquattro giorni in data 16.8.2014 rispetto al 23.2.2015 computato dal Giudice a quo . Considerato in diritto 1. Il ricorso va rigettato, in quanto infondato. 2. La giurisprudenza di questa Corte ha costantemente evidenziato che la sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare disposta, ai sensi dell'art. 304 c.p.p., comma 2, per i dibattimenti particolarmente complessi relativi ai reati indicati nell'art. 407 c.p.p., comma 2, lett. a , opera non solo per i termini intermedi e di fase, ma anche per il termine di durata massima della custodia cautelare Sez. 5, 18.11.1996 n. 4998 Sez. 1, 3.5.1996 n. 2989 Sez. 2, 18.12.2007, dep. 21.1.2008, n. 3106 . E ciò - osserva il Collegio - in considerazione sia del fatto che il predetto comma 2 fa riferimento generico alla sospensione dei termini previsti dall'art. 303 c.p.p. , laddove l'ulteriore inciso durante il tempo in cui sono tenute le udienze o si delibera la sentenza , attiene alla durata della sospensione ma non certamente alla limitazione della stessa alla fase in cui si è verificata sia del fatto che la norma di cui al successivo comma 6, secondo la quale la durata della custodia cautelare non può comunque superare il doppio dei termini previsti dall'art. 303 c.p.p., commi 1, 2 e 3 , acquista significato solo considerando tale disposizione come una norma di chiusura che pone un limite invalicabile al protrarsi della custodia cautelare nei casi di sospensione dei termini previsti dai commi precedenti. 2. Va, poi, ribadito il principio secondo il quale, contrariamente a quanto asserito dalla difesa ricorrente, la sospensione dei termini di custodia cautelare per la particolare complessità del dibattimento a norma dell'art. 304, comma 2, c.p.p., è legittimamente disposta solo se non sono ancora scaduti i termini di fase e, una volta deliberata, è immediatamente operativa, non potendone essere differita la decorrenza al momento di naturale scadenza dei termini stessi Sez. 1, n. 3346 del 10/10/2000. dep. 29/1/2001, Macrì, Rv. 218176 . Invero, in difetto di una particolare disciplina, la sospensione dei termini della custodia cautelare per complessità del dibattimento prevista al comma 2 dell'art. 304 c.p.p. segue le regole generali dell'istituto e vale quindi a neutralizzare, durante il tempo previsto dalla norma e specificato nell'ordinanza emessa ai sensi del comma successivo, il decorso dei termini in questione. Questi, quindi, non possono continuare a decorrere fino alla naturale scadenza, per essere solo in tale momento differiti per il tempo residuo occorrente alla conclusione del dibattimento o alla deliberazione della sentenza, come vorrebbe il ricorrente la pendenza del termine è infatti presupposto indefettibile della sospensione, né questa può concretamente operare se non prima che esso sia scaduto. In presenza dell'ordinanza ex art. 304, comma 3, c.p.p., correlata ad una valutazione allo stato della situazione processuale complessiva, la naturale scadenza rimane, quindi, irrilevante, e non è neppure consentito riesaminare ex post la detta situazione, sicché la sospensione produrrà fra l'altro i suoi effetti, indipendentemente dalle personali posizioni degli imputati, anche nei confronti di coloro che, in ipotesi, fossero stati privati della libertà solo in tempi prossimi alla conclusione del dibattimento e alla pronuncia della sentenza Sez. I, 14.7.1998, Rumbo . La censura dedotta al riguardo dal ricorrente va, perciò, disattesa. 3. È parimenti infondato il motivo secondo il quale la proposizione del conflitto di competenza e le successive riassegnazioni del procedimento avrebbero inciso sulla disposta sospensione. In materia di sospensione dei termini della custodia cautelare, ogni decisione sulla applicazione della causa di sospensione assume autorità di giudicato allo stato degli atti , nel senso che ha effetto fin tanto che non intervenga un nuovo elemento che possa incidere sulla valutazione precedentemente espressa Sez. 6, n. 3504 del 3.11.1999, dep. 12.1.2000 . Deve trattarsi, all'evidenza, di un nuovo elemento che comporti una rinnovata espressione discrezionale valutativa del Giudice, ciò che, conseguentemente, conduce ad escludere l'individuazione di tale novità in un incidente processuale come il conflitto di competenza e le implicate successive riassegnazioni. Il principio è stato affermato da questa Corte con riferimento al diverso caso della sospensione obbligatoria del processo in pendenza di una questione di legittimità costituzionale Sez. 6, Sentenza n. 24137 del 18/4/2001, Adelfio, Rv. 219364 , ma può essere esteso, per analogia di ratio , anche al caso in esame, comunque ascrivibile agli incidenti di carattere processuale che determinano la sospensione del processo principale. Nella menzionata decisione, che il Collegio condivide, si è statuito che la sospensione del processo in pendenza di una questione di legittimità costituzionale non determina la caducazione dell'ordinanza di sospensione dei termini di custodia cautelare per complessità del dibattimento, precedentemente pronunciata, ai sensi dell'art. 304, comma 2, c.p.p., in quanto il procedimento versa in uno stato di quiescenza in cui è inibita al giudice qualsiasi attività processuale valutativa, come quella richiesta per la verifica della efficacia della predetta ordinanza. Proprio in virtù dell'avvenuta sospensione del procedimento - che si tratti di rimessione degli atti alla Corte costituzionale ovvero, come nella specie, della proposizione del conflitto di competenza - il giudice eventualmente competente a pronunciare l'invocato provvedimento di decadenza o di revoca della propria precedente ordinanza di sospensione dei termini custodiali, è paralizzato dall'avvenuta sospensione del procedimento. Un nuovo provvedimento non potrebbe limitarsi alla constatazione dell'avvenuta decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare - il che certamente è consentito in omaggio al principio del favor libertatis - ma dovrebbe rivalutare le ragioni che stanno a monte dell'ordinanza sospensiva dei termini cautelari il che comporterebbe una valutazione di circostanze inerenti al procedimento stesso, in ordine alle quali la sospensione del procedimento inibisce qualunque attività da parte dell'organo procedente. Non può invocarsi, come vorrebbe la difesa ricorrente, una sorta di automatismo fra sospensione del procedimento per incidente di competenza e caducazione dell'ordinanza pronunciata ex art. 304 c.p.p., in quanto esso non trova fondamento in alcuna norma procedurale. Al contrario, la sospensione del procedimento principale nella sua interezza consente esclusivamente quei provvedimenti come la scarcerazione per decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare che non comportano alcuna attività valutativa da parte del giudice procedente. Il pretendere che il giudice procedente riverifichi l'attualità del provvedimento sospensivo dei termini massimi di custodia cautelare significa costringere il giudice stesso ad una verifica di situazioni all'interno del procedimento sospeso che per definizione lo stato di quiescenza del procedimento inibisce. Ciò posto sul piano dei principi, correttamente il Giudice a quo ha confutato le censure difensive escludendo che nel caso in questione, a seguito del conflitto di competenza proposto, si versasse in una regressione di fase o di grado di giudizio o che la sopravvenuta assegnazione ad altra Sezione di Corte d'Assise, a seguito dell'astensione di un Giudice, determinasse la decorrenza ex novo del termine di fase. Esattamente, pertanto, è stato calcolato il termine di custodia nel provvedimento impugnato, secondo quanto indicato nella superiore esposizione in fatto. 4. Il ricorso va, in conclusione, respinto e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali. Seguono le disposizioni di cui all'art. 94, comma 1-ter, disp. att. c.p.p P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell'istituto penitenziario, ai sensi dell'art. 94, comma 1-ter, disp. att. c.p.p