L’avvocato nominato in calce al ricorso è pienamente legittimato ad impugnare la sentenza contumaciale

In tema di impugnazione del contumace, il gravame proposto da un difensore la cui nomina sia stata conferita con dichiarazione posta in calce all’atto di impugnazione, consuma pienamente il diritto d’impugnazione in quanto l’imputato, chiedendo un’assistenza tecnica nella successiva fase del giudizio, si dimostra pienamente consapevole della propria posizione processuale, e l’atto vale dunque come impugnazione personale dell’imputato.

Lo afferma la Corte di Cassazione con la sentenza n. 12999/15 depositata il 27 marzo. Il fatto. La Corte d’appello di Venezia pronunciava sentenza di non doversi procedere nei confronti di tre soggetti indagati che venivano considerati però responsabili per atti di induzione alla prostituzione, continuati e commessi in concorso tra loro. Per l’annullamento della pronuncia propongono ricorso per cassazione tramite i rispettivi difensori. La legittimazione ad impugnare la sentenza contumaciale. L’unico motivo di ricorso presentato personalmente da uno dei condannati, avente natura squisitamente processuale, risulta infondato. La doglianza lamenta la nullità assoluta della notifica della richiesta di rinvio a giudizio e dei conseguenti atti procedimentali, compresa la notifica dell’estratto contumaciale, in quanto le notificazioni sarebbero avvenute presso lo studio di un avvocato che, a seguito di revoca dell’incarico, non era più difensore di fiducia dell’imputato. Il motivo così articolato risulta essere infondato in quanto il ricorrente ha nominato con atto depositato presso la cancelleria proprio l’avvocato destinatario delle notifiche degli atti processuali di cui si lamenta la nullità. Il ricorrente ha successivamente nominato, con procura in calce al ricorso per cassazione, altro avvocato. La Cassazione afferma dunque che, in tema di impugnazione del contumace, qualora il gravame sia proposto da un difensore la cui nomina sia stata conferita con dichiarazione posta in calce all’atto di impugnazione, si ha un duplice effetto e cioè, da un lato, la nomina è considerata equivalente allo specifico mandato di cui all’art. 571, comma 3, c.p.p., in quanto l’imputato, chiedendo un’assistenza tecnica nella successiva fase del giudizio, si dimostra pienamente consapevole della propria posizione processuale e, dall’altro, vale come impugnazione personale. Il divieto di reformatio in peius opera anche per le misure di sicurezza. Risulta invece fondata la doglianza relativa alla violazione del principio del divieto di reformatio in peius . Ai sensi dell’art. 538 c.p. deve essere disposta l’applicazione obbligatoria o facoltativa, a seconda dei casi,di una misura di sicurezza detentiva quando i reati contemplati dalla medesima norma corrispondano alle fattispecie incriminatrici disciplinate dalla l. c.d. Merlin. Tuttavia, al giudice d’appello è preclusa la possibilità di disporre la misura ove il p.m. non abbia impugnato la sentenza di primo grado e ciò anche quando la misura di sicurezza sia obbligatoria e sia stata illegittimamente esclusa o non ritenuta applicabile. Tale conclusione è imposta dal principio del divieto di reformatio in peius che deve trovare applicazione non solo in riferimento all’applicazione delle pene e alla revoca di benefici, bensì anche alle misure di sicurezza. Per questi motivi e limitatamente alla misura di sicurezza, la Corte di Cassazione annulla senza rinvio la sentenza, eliminando la misura di sicurezza disposta con il provvedimento impugnato.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 12 novembre 2014- 27 marzo 2015, n. 12999 Presidente Fiale – Relatore Di Nicola Ritenuto in fatto 1. È impugnata la sentenza indicata in epigrafe con la quale la Corte di appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza emessa dal Gup presso il Tribunale di Verona, ha dichiarato, per quanto qui interessa, non doversi procedere nei confronti di B.A. , V.C. e G.D. , valutate le già concesse attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti contestate, in ordine al reato di cui al capo b perché estinto per prescrizione e, conseguentemente, ha rideterminato la pena per il reato di cui al capo c in anni due di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa ciascuno, applicando, tra l'altro, nei confronti dei ricorrenti la pena accessoria dell'interdizione dall'esercizio della tutela e della curatela per anni uno e la misura di sicurezza della casa di lavoro per anni uno, confermando nel resto l'impugnata sentenza. Per effetto delle predette statuizioni B.A. , V.C. e G.D. rispondono del delitto previsto dagli art. 81 cpv., 110 cod. pen. e 3 nn. 4 , 5 , 6 , 7 , 8 , nonché art. 4 n. 7 della legge 20 febbraio 1958 n. 75, perché, in concorso tra loro e con X.A. , nei cui confronti si è proceduto separatamente, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, reclutavano più persone e inducevano cittadine extracomunitarie provenienti dagli Stati dell'Europa dell'Est a recarsi in Italia al fine di esercitare la prostituzione, tra cui F.G. alias B.R. , N.I. , I.L. ed altre donne non compiutamente generalizzate, facendosi consegnare parte rilevante dei compensi percepiti dai clienti. In , dall' omissis fino al omissis . 2. Per l'annullamento dell'impugnata sentenza, ricorrono per cassazione, tramite i rispettivi difensori, B.A. , V.C. , con il medesimo ricorso, e G.D. , con separato atto, affidando il gravame ai seguenti motivi. 2.1. V.C. deduce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen. per mancanza di motivazione sulla ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi del delitti di reclutamento, induzione, sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione posto che, nonostante l'integrazione motivazionale del giudice d'appello, G. aveva dichiarato che C.E. e I.L. avevano già esercitato il meretricio, mentre N. giunse in Italia nell'ottobre 2000 tramite il G. e posto che la chiamata in correità della C. in relazione all'accusa di sfruttamento della prostituzione pag. 23 della sentenza impugnata, quanto al ruolo di controllare ed esattore del denaro guadagnato dalle prostitute non sarebbe sorretta da alcun riscontro come richiesto dall'art. 192 cod. proc. pen. Né la prova sarebbe desumibile dalle intercettazioni telefoniche o dalle parziali ammissioni del ricorrente, che ha negato quanto dichiarato dalla C. sul suo ruolo di esattore del denaro. 2.2. V.C. e B.A. congiuntamente deducono poi la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen. per omessa motivazione in relazione all'aggravante di cui all'art. 4 n. 7 Legge 75 del 1958. Assumono che l'aggravante del numero delle persone può sussistere nella quasi totalità delle ipotesi disciplinate all'art. 3 della legge n. 75 del 1958 ma dalla motivazione della sentenza non è esplicitato a quale delle ipotesi contestate faccia riferimento l'aggravante o se essa possa comunque ritenersi sussistente per tutte le ipotesi contestate al capo c dell'imputazione e con riferimento alla posizione di entrambi i ricorrenti nonché a quali soggetti passivi del reato possa riferirsi. 2.3. I ricorrenti infine lamentano la violazione ex art. 606, comma 1, lett. b ed e cod. proc. pen. in relazione all'art. 597 cod. proc. pen. e la mancanza di motivazione in ordine all'applicazione della misura di sicurezza da parte del giudice d'appello, misura peraltro disposta in violazione del divieto della reformatio in peius . 3. G.D. , con un unico motivo, deduce violazione dell'art. 606, comma 1, lett. c , cod. proc. pen. eccependo la nullità assoluta ex art. 179 cod. proc. pen. della notifica della richiesta di rinvio a giudizio e dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare nonché di quelle successive alla variazione di domicilio formalizzata al momento della scarcerazione la nullità a regime intermedio ex art. 180 cod. proc. pen. della notificazione dell'estratto contumaciale delle sentenze sul rilievo che tutte le notificazioni all'imputato, compresa la notifica dell'estratto contumaciale delle sentenze di primo e di secondo grado, sarebbero state eseguite presso lo studio dell'avv. Davide Sentieri, non più difensore dell'imputato a seguito di intervenuta revoca. Considerato in diritto 1. I ricorsi sono infondati. 2. Partendo dall'unico personale motivo, di natura esclusivamente processuale, presentato dal G. , l'infondatezza di esso si coglie considerando che il ricorrente peraltro non ritenuto contumace dall'intestazione delle due sentenze ha nominato, depositando l'atto di nomina alla Cancelleria dell'Ufficio Gip in data 27 gennaio 2012, proprio difensore di fiducia l'avv. Davide Del Medico al quale risulta regolarmente notificato il decreto di citazione in giudizio in grado d'appello ai sensi dell'art. 161, comma 4, cod. proc. pen. essendo divenuta impossibile la notifica presso il domicilio dei nonni del ricorrente, domicilio eletto all'atto della scarcerazione come da verbale di dichiarazione reso alla direzione della casa Circondariale di Verona del 25 marzo 2002 . Corretta la vocatio in ius , occorre poi ricordare che il ricorrente ha nominato, con procura in calce al ricorso per cassazione l'avv. Matteo Nicoli con la conseguenza che, in tema di impugnazioni del contumace, qualora il gravame venga proposto da difensore cui la nomina sia stata conferita con dichiarazione posta in calce all'atto di impugnazione, è producibile un duplice e congiunto effetto detta nomina può essere considerata equivalente allo specifico mandato di cui all'art. 571, comma 3, cod. proc. pen., in quanto rende evidente che l'imputato, ben consapevole della propria situazione processuale, chiede al difensore di assisterlo nella fase del giudizio successiva a quella in cui la contumacia è stata dichiarata Sez. 2, n. 11789 del 22/05/1998 PM in proc. Palma, Rv. 211906 e vale anche come impugnazione personale dell'imputato, dato che con la sottoscrizione questi ha fatto proprio il contenuto dell'atto nella sua interezza e dunque anche nella parte contenente i motivi di gravame Sez. U, n. 9938 del 12/10/1993, Thomas, Rv. 194998 Sez. 1, n. 37827 del 24/10/2006, Fasano, Rv. 234981 . Consumato quindi anche il diritto d'impugnazione, ne deriva, sotto entrambi gli aspetti denunciati, l'infondatezza del motivo. 3. Il primo motivo del ricorso strettamente personale a V.C. è infondato. La Corte territoriale è pervenuta alla conclusione di ritenere raggiunta la prova della responsabilità in ordine al reato di cui al capo c della rubrica sulla base del tenore delle conversazioni telefoniche i cui passaggi salienti sono riportati puntualmente nella motivazione dalle quali è emerso che il ruolo dell'imputato non fu solo quello di mero interprete di G. , quanto piuttosto quello di intermediario nei confronti dei fornitori stranieri di prostitute, approdo confermato da una duplice conforme chiamata di correo da parte di G.D. e di C.E. . Inoltre il ricorrente ha parzialmente ammesso i fatti che gli sono addebitati v. in particolare la sintesi dei suoi interrogatori a pag. 19 della sentenza di primo grado . Egli ha ammesso di aver svolto il ruolo di interprete del G. nei rapporti con GIGO , concernenti le trattative per l'ingaggio e dunque per il reclutamento di prostitute l'imputato ha anche riconosciuto che, avendo svolto in più occasioni il ruolo di interprete, era perfettamente a conoscenza del contenuto delle conversazioni in particolare, in esse si parlava di ragazze che GIGO doveva reperire in Moldavia, da avviare alla prostituzione in Italia v. interrogatorio del 26/2/2001 . Nel corso dei successivi interrogatori, l'imputato ha compiuto ammissioni sempre più rilevanti. Trattandosi dell'aspetto che il ricorrente maggiormente contesta, va chiarito che per la configurazione del delitto di reclutamento di prostitute è sufficiente porre in essere o concorrere, come nel caso di specie, nel porre in essere un'attività di ricerca, in qualsiasi modo effettuata e anche su scala molto modesta, della donna da ingaggiare e della persuasione della medesima, mediante la rappresentazione dei vantaggi realizzabili, per indurla a recarsi in un determinato luogo ed a rimanervi per un certo tempo al fine di prestarsi con continuità e regolarità alle richieste di prestazioni sessuali dei clienti, circostanze pacificamente sussistenti nel caso di ingaggio, come nella specie, di donne straniere avviate al meretricio in un paese estero e sradicate da quello di origine Sez. 3, n. 5346 del 22/02/1973, Sangalli, Rv. 124569 . Il motivo di ricorso non prende peraltro specifica posizione con riferimento alle rationes decidendi della sentenza d'appello - che con motivazione logica, adeguata e completa, come tale insuscettibile di essere censurata in sede di controllo di legittimità, ha puntualmente indicato gli elementi posti a fondamento della ritenuta responsabilità con riferimento a tutte le fasi della complessa vicenda storica dal reclutamento delle donne allo sfruttamento della loro prostituzione - con la conseguenza dell'infondatezza del motivo di gravame. 4. Infondato è anche il comune motivo di gravame sollevato da V.C. e B.A. che hanno dedotto il vizio di omessa motivazione in relazione all'aggravante di cui all'art. 4 n. 7 della legge n. 75 del 1958. Va osservato al riguardo come dalla motivazione delle sentenze di primo e di secondo grado sia di palmare evidenza che le condotte delittuose sono state realizzate ai danni di più persone, con la conseguenza che - posta la sussistenza dell'aggravante e stimata, in uno alle altre aggravanti, come equivalente alle circostanze attenuanti - la Corte distrettuale non aveva alcun obbligo di indicare se l'aggravante fosse integrata in tutti i casi o soltanto in alcuni di essi, essendo ciò del tutto irrilevante per la determinazione del trattamento sanzionatorio sia per il reato base e sia per i reati satelliti. 5. È invece fondato il motivo di ricorso, estensibile a G.D. ai sensi dell'art. 587 cod. proc. pen., con il quale V.C. e B.A. hanno denunciato la violazione del divieto di reformatio in peius . È vero che deve ritenersi tuttora in vigore la disposizione di cui all'art. 538 cod. pen. - che prevede l'applicazione obbligatoria o facoltativa, a seconda dei casi, di una misura di sicurezza detentiva - quando i reati in essa contemplati trovino corrispondenza nelle fattispecie incriminatrici disciplinate dalla legge 20 febbraio 1958, n. 75 Sez. 3, n. 10893 del 23/06/1986, Colella, Rv. 173972 . Tuttavia, nell'ipotesi in cui il pubblico ministero non abbia impugnato la sentenza di primo grado, il giudice d'appello, anche quando la misura di sicurezza sia obbligatoria e sia stata illegittimamente esclusa o non ritenuta dal primo giudice, non può disporla, modificando in danno dell'imputato la sentenza da quest'ultimo impugnata in quanto l'art. 597, terzo comma, cod. proc. pen. estende il divieto di reformatio in peius anche all'applicazione di una misura di sicurezza nuova o più grave, a differenza dell'art. 515, terzo comma, cod. proc pen. del 1930, che riferiva il divieto in esame solo all'applicazione di pene ed alla revoca di benefici e non anche alle statuizioni relative alle misure di sicurezza. Ne consegue che la sentenza impugnata va annullata senza rinvio, limitatamente alla misura di sicurezza che va eliminata, mentre i ricorsi vanno rigettati nel resto. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla misura di sicurezza che elimina. Rigetta i ricorsi nel resto.