Possibile disporre la confisca del prezzo del reato nonostante questo sia dichiarato prescritto?

La giurisprudenza distingue a seconda che si tratti di confisca diretta o di confisca per equivalente se, da un lato, nel caso di confisca per equivalente, la giurisprudenza sembra uniforme nel ritenere precluso il provvedimento ablatorio in presenza di un reato prescritto, in quanto attribuisce a tale tipo di confisca natura sostanzialmente sanzionatoria dall’altro, invece, nel caso di confisca diretta qualificabile come misura di sicurezza, sussiste un chiaro contrasto all’interno della Corte di legittimità, con decisioni opposte relativamente alla confiscabilità dei beni costituenti il prezzo o il profitto del reato prescritto. Da qui la necessità di rimettere la questione alle Sezioni Unite.

Lo ha deciso la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 12924, depositata il 26 marzo 2015. Il caso. La Corte di Appello di Roma, in riforma della sentenza di prime cure , dichiarava non doversi procedere nei confronti di C.L. in ordine al reato di cui all’art. 319 c.p. – così riqualificata l’ipotesi delittuosa originariamente contestata ex art. 317 c.p. – perché estinto per intervenuta prescrizione. L’imputato, funzionario comunale, era stato originariamente accusato – unitamente ad altri suoi colleghi – di concussione, per avere costretto il titolare di una ditta a consegnargli del denaro dietro la minaccia che laddove non avesse provveduto alla dazione richiesta non avrebbe più svolto l’attività di manutenzione degli immobili comunali. La Corte escludeva tuttavia l’ipotesi della concussione, rilevando che tra i funzionari ed il titolare della ditta vi era stato un vero e proprio accordo corruttivo in cui il pagamento delle tangenti costituiva la remunerazione per la garanzia offerta all’imprenditore di lavorare in subappalto e conseguire lucrosi guadagni senza subire controlli. La Corte disponeva anche la confisca delle somme preventivamente sequestrate sui conti correnti dei funzionari, ritenendo trattarsi del prezzo del reato di corruzione, confiscabile obbligatoriamente – ex artt. 322- ter e 240, comma 2, n. 1, c.p. – anche in caso di estinzione del reato per prescrizione. Avverso tale pronuncia l’imputato ricorreva per Cassazione. Tra gli altri motivi censurava la sentenza in relazione al capo con cui è stata disposta la confisca ex art. 322- ter c.p. delle somme sequestrate infatti, dopo aver richiamato la giurisprudenza della Cedu e della Cassazione, rilevava che l’art. 322- ter c.p. non consente la confisca del profitto o del prezzo del reato fuori dai casi di condanna o di patteggiamento e, nella specie, la dichiarazione di estinzione del reato per avvenuta prescrizione avrebbe dovuto impedire ai giudici di disporre il definitivo provvedimento ablatorio. La Sesta Sezione della Corte di Cassazione, rilevata la sussistenza di un contrasto giurisprudenziale relativamente alla problematica processuale sollevata dalla difesa, ha ritenuto necessario rimettere il ricorso alle Sezioni Unite. Confiscabilità del prezzo del reato prescritto due diversi orientamenti. La prima questione attiene alla possibilità di disporre la confisca del prezzo del reato nonostante questo sia dichiarato prescritto ovvero quando manchi una sentenza di condanna o di patteggiamento in questo caso il contrasto è interno all’orientamento che ritiene che in tali casi la confisca debba essere disposta in via diretta. In effetti, la giurisprudenza distingue a seconda che si tratti di confisca diretta o di confisca per equivalente se, da un lato, nel caso di confisca per equivalente la giurisprudenza sembra uniforme nel ritenere precluso il provvedimento ablatorio in presenza di un reato prescritto, in quanto attribuisce a tale tipo di confisca natura sostanzialmente sanzionatoria dall’altro, invece, nel caso di confisca diretta qualificabile come misura di sicurezza sussiste un chiaro contrasto all’interno della Corte di legittimità, con decisioni opposte relativamente alla confiscabilità dei beni costituenti il prezzo o il profitto del reato prescritto. Un primo e più risalente orientamento sostiene che l’estinzione del reato preclude la confisca delle cose che ne costituiscono il prezzo, prevista come obbligatoria dall’art. 240, comma 2, n. 1, c.p., e mette in evidenza come la misura di sicurezza patrimoniale presupponga necessariamente la condanna. L’orientamento opposto, più recente, riconosce invece la possibilità della confisca in relazione ad un reato prescritto, ma purché vi sia l’effettività di un accertamento dei profili di responsabilità al contrario, deve ritenersi preclusa la misura di sicurezza nei casi in cui l’estinzione del reato per prescrizione maturi prima del promovimento dell’azione penale, ovvero quando l’estinzione sia dichiarata nell’udienza preliminare o con sentenza emessa ai sensi dell’art. 129 c.p.p., tutte ipotesi in cui difetta ogni tipo di accertamento in ordine alla responsabilità dell’imputato. Confisca del denaro depositato sul conto corrente altro contrasto. L’altra questione, collegata alla prima, è relativa alle modalità da osservare in caso di confisca di somme di denaro depositate sul conto corrente, se cioè debba disporsi la confisca per equivalente ovvero quella diretta e, in quest’ultimo caso, se debba o meno ricercarsi e in che limiti il nesso pertinenziale tra denaro e reato.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, ordinanza 19 novembre 2014 – 26 marzo 2015, n. 12924 Presidente Milo – Relatore Fidelbo Ritenuto in fatto 1. Con la decisione in epigrafe indicata la Corte d'appello di Roma, in riforma della sentenza emessa il 16 dicembre 2009 dal Tribunale in sede, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di L.C. in ordine al reato di cui agli artt. 110, 81 cpv. e 319 c.p., così riqualificata l'originaria contestazione di concussione, perché estinto per prescrizione. Con la stessa sentenza i giudici d'appello hanno disposto, ai sensi degli artt. 240 comma 2 e 322-ter c.p., la confisca delle somme in sequestro preventivo fino alla concorrenza di Euro 23.000,00. L'imputato, funzionario del Comune di Roma presso il settore manutenzione edilizia dei fabbricati, era stato originariamente accusato, assieme al suo dirigente I.F. e a M.M. , di avere costretto C.G. , titolare della ditta Euroterm, a consegnargli somme di denaro per un ammontare complessivo di circa 400-500 milioni di lire, con la minaccia che in mancanza del pagamento di tali tangenti periodiche non avrebbe più svolto l'attività di manutenzione degli immobili comunali. Dalla sentenza si apprende che l'indagine è iniziata a seguito della denuncia di un impiegato comunale, R.D. , il quale lavorando assieme al L. si era accorto che i lavori per la manutenzione degli immobili assegnati a ditte diverse, venivano subappaltati sempre alla ditta di C. , il quale spesso certificava lavori in realtà mai eseguiti. Inizialmente C. veniva indagato per corruzione, ma dopo le sue dichiarazioni, raccolte al termine dell'udienza preliminare in incidente probatorio, si era proceduto per concussione nei confronti dei tre impiegati comunali. La Corte d'appello, ritenuta provata la percezione delle somme di denaro da parte di L. e I. in base alle dichiarazioni del C. , riscontrate dalle spontanee dichiarazioni rese dal M. e dalla documentazione contabile così come ricostruita dal consulente tecnico, ha tuttavia escluso l'ipotesi della concussione, rilevando come tra i funzionari pubblici e il C. vi sia stato un vero e proprio accordo corruttivo in cui il pagamento delle tangenti costituiva la remunerazione per la garanzia offerta all'imprenditore di lavorare in subappalto e conseguire guadagni lucrosi senza nemmeno rischiare fastidiosi controlli. Tale rapporto corruttivo sarebbe cessato nel gennaio 2004 per cui i giudici hanno ritenuto prescritto il reato di cui all'art. 319 c.p. alla data del 30 giugno 2012. Come si è anticipato, la sentenza ha anche disposto la confisca delle somme sequestrate nei conti correnti di I. e di L. . I giudici hanno ritenuto trattarsi del prezzo del reato di corruzione, confiscabile obbligatoriamente ai sensi del combinato disposto degli artt. 322-ter e 240 comma 2 n. 1 c.p., anche in caso di estinzione del reato per prescrizione. Tuttavia, la confisca è stata limitata alla somma di Euro 23.000,00, in quanto solo tale tangente è risultata adeguatamente provata. 2. L'avvocato Luigi Chiappero, difensore di L.C. , ha presentato ricorso per cassazione, deducendo quattro motivi. Con il primo motivo denuncia la violazione dell'art. 414 c.p.p., in quanto per il reato di corruzione, così come riqualificati i fatti in sede di appello, risulta emesso in data 24.5.2006 un decreto di archiviazione del G.i.p. del Tribunale di Roma, per cui in mancanza dell'autorizzazione alla riapertura delle indagini per tale reato la Corte d'appello non avrebbe potuto procedere alla riqualificazione e conseguente dichiarazione di estinzione per prescrizione. Con il secondo motivo deduce la violazione degli artt. 111 Cost. e 6, par. 3, lett. a e b , della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali CEDU . Richiamando la giurisprudenza della Corte EDU, in particolare la sentenza Drassich c. Italia dell'11.12.2007, il ricorrente sostiene che la riqualificazione giuridica del reato operata dai giudici in appello è avvenuta d'ufficio, senza che vi sia stata una richiesta in tal senso del pubblico ministero, con la conseguenza che l'imputato non ha potuto esercitare il proprio diritto di difesa in maniera effettiva per il reato di corruzione. Con il terzo motivo lamenta il vizio di motivazione e la violazione dell'art. 192, comma 3, c.p.p. In primo luogo evidenzia come i giudici di merito non abbiano verificato con la dovuta cautela e attenzione le dichiarazioni rese da C.G. , ritenuto la principale fonte di accusa dell'imputato, senza considerare le diverse posizioni giuridiche dallo stesso assunte, prima indagato assieme agli altri imputati e allo stesso L. di associazione per delinquere e corruzione, poi diventato vittima di concussione e, a seguito della riqualificazione, nuovamente corruttore. Le dichiarazioni, che sono state ritenute fondamentali, il C. le avrebbe rese in sede di incidente probatorio, all'epoca in cui rivestiva lo status di imputato di reato connesso, sicché i giudici avrebbero dovuto valutare le sue accuse ai sensi dell'art. 192 c.p.p., valutazione che invece non vi è stata, non potendosi neppure ritenere come riscontri né le dichiarazioni del coimputato M.M. , né la documentazione acquisita. Pertanto, in mancanza di riscontri oggettivi alle accuse di C. i giudici di appello avrebbero dovuto assolvere l'imputato dal reato contestato ai sensi dell'art. 129, comma 2, c.p. essendo evidente la prova che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso. Con il quarto e ultimo motivo il ricorrente censura la sentenza in relazione al capo con cui è stata disposta la confisca ex art. 322-ter c.p. delle somme sequestrate. Richiamata la giurisprudenza della Corte EDU e alcune decisioni della Corte di cassazione, assume che l'articolo 322-ter c.p. non consente la confisca del profitto o del prezzo del reato fuori dai casi di condanna o di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'art. 444 c.p.p Nella specie, la dichiarazione di estinzione del reato per avvenuta prescrizione avrebbe dovuto impedire ai giudici di disporre il definitivo provvedimento ablatorio. Considerato in diritto 3. Il Collegio ritiene che l'ultimo motivo dedotto riguardi una problematica su cui la giurisprudenza di questa Corte ha fornito risposte non sempre univoche, prospettando differenti soluzioni spesso contrastanti tra loro. Il tema generale attiene alla possibilità di disporre la confisca in presenza di un reato dichiarato estinto per intervenuta prescrizione in particolare, la questione oggetto del ricorso concerne la confisca di una somma di denaro, sequestrata sul conto corrente dell'imputato, costituente il prezzo del reato di corruzione, reato dichiarato estinto ai sensi dell'art. 157 c.p La Corte d'appello, con la sentenza impugnata, dopo aver premesso che le somme di denaro corrisposte dal C. al L. , a seguito del patto corruttivo, rappresentano la remunerazione illecita del pubblico ufficiale e sono perciò definibili come prezzo del reato , ha disposto la confisca ex art. 240, comma 2, n. 1, c.p. di Euro 23.000,00 ritenendo che solo tale tangente fosse stata adeguatamente provata. Per giungere ad affermare che la confisca obbligatoria del prezzo della corruzione può essere disposta anche in caso di intervenuta prescrizione del reato, i giudici si sono richiamati a quello che hanno definito un recente orientamento della giurisprudenza di questa Corte secondo cui l'estinzione del reato non preclude la confisca delle cose che ne costituiscono il prezzo, prevista come obbligatoria dall'art. 240 comma 2 n. 1 c.p. in conseguenza della condanna, poiché il riferimento a quest'ultima non evoca la categoria del giudicato formale, ma implica unicamente la necessità di un accertamento incidentale, equivalente rispetto all'accertamento definitivo del reato, della responsabilità e del nesso pertinenziale che i beni oggetto di confisca devono presentare rispetto al reato stesso, a prescindere dalla formula con la quale il giudizio viene ad essere formalmente definito Sez. II, 5 ottobre 2001, n. 39756, Ciancimino Sez. V, 23 ottobre 2012, n. 48680, Abdelkhalki . 4. Invero, si deve sottolineare che la giurisprudenza distingue a seconda che si tratti di confisca diretta ovvero di confisca per equivalente, ammettendo, non senza contrasti, la confiscabilità dei beni costituenti il prezzo o il profitto del reato prescritto solo nel primo caso, cioè solo in presenza di una confisca qualificabile come misura di sicurezza mentre, nel caso di confisca per equivalente la giurisprudenza tende a ritenere precluso il provvedimento ablatorio in presenza di un reato prescritto, in quanto attribuisce a tale tipo di confisca natura sostanzialmente sanzionatoria. 4.1. Come è noto quella per equivalente è una forma di confisca che trova il suo fondamento e limite nel vantaggio tratto dal reato e prescinde dalla pericolosità derivante dalla res, in quanto non è commisurata né alla colpevolezza dell'autore del reato, né alla gravità della condotta, avendo come obiettivo quello di impedire al colpevole di garantirsi le utilità ottenute attraverso la sua condotta criminosa. Ne consegue che nonostante la definizione codicistica dell'istituto come misura di sicurezza patrimoniale, l'effettiva ratio di questo tipo di confisca consiste in un ampliamento oggettivo delle cose confiscabili per finalità prevalentemente sanzionatore. Proprio l'inadeguatezza del modello tradizionale di confisca - che deve riguardare necessariamente gli stessi beni su cui ha avuto incidenza il reato e che richiede, quindi, la sussistenza del nesso di pertinenzialità tra bene e reato - ha determinato il legislatore ad introdurre l'ipotesi della confisca cd. di valore, che può essere disposta solo quando non è possibile procedere alla confisca ordinaria . La giurisprudenza ha evidenziato come scopo di questo istituto è quello di superare le angustie della confisca tradizionale , rispetto alla quale si pone in un rapporto di alternatività - sussidiarietà, per la sua attitudine a costituire un rimedio alle difficoltà di apprensione dei beni coinvolti nella vicenda criminale, cioè a supplire agli ostacoli connessi alla individuazione del bene in cui si incorpora il profitto e di consentire la confisca anche nel caso in cui l'apprensione del prezzo o del profitto derivante dal reato non sia più possibile in conseguenza dell'avvenuta cessione a terzi oppure a causa di forme di occultamento o, semplicemente, perché i beni sono stati consumati. In questi casi la confisca per equivalente consente di aggredire ugualmente il profitto illecito perché si riferisce al valore illecitamente acquisito. È evidente, quindi, come il nesso eziologico tra i beni oggetto di confisca e il fatto-reato dimostri una tendenza ad allentarsi fino a scomparire, in quanto il provvedimento ablatorio colpisce i beni indipendentemente dal loro collegamento, diretto o mediato, con il reato. Allora, la provenienza dei beni da reato non rappresenta più oggetto di prova, dal momento che scompare ogni relazione di tipo causale. Ed è proprio in base a queste caratteristiche della confisca per equivalente che la giurisprudenza - sostenuta dalla dottrina - ne valorizza la natura sanzionatoria Sez. III, 24 settembre 2008, n. 39172, Canisto Sez. III, 24 settembre 2008, n. 39173, Tiraboschi Sez. VI, 18 febbraio 2009, n. 13098, Molon Sez. V, 26 ottobre 2010, n. 11288, Natali, tutte riferite all'art. 322-ter c.p. in materia tributaria v., inoltre, Sez. I, 28 febbraio 2012, n. 11768, Barilari Sez. II, 13 maggio 2010, n. 21027, Ferretti Sez. II, 29 gennaio 2009, n. 11912, Minardi, nonché Sez. un., 27 marzo 2008, n. 26654, Fisia Italimpianti, quest'ultima con riferimento alla confisca di cui all'art. 19 d.lgs. 231 del 2001 . La stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 97 del 2009, richiamandosi alla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo sentenza n. 307A/1995, Welch c. Regno Unito , ha ritenuto che la confisca per equivalente non abbia natura di misura di sicurezza, negando che potesse essere applicata in via retroattiva ai sensi dell'art. 200 c.p. e affermando, invece, il ricorso agli artt. 25 Cost. e 2 c.p Ebbene, secondo le decisioni citate la natura sanzionatoria è desumibile dalla confiscabilità di beni che, oltre a non avere alcun rapporto con la pericolosità individuale del reo, non hanno un collegamento diretto neppure con il singolo reato e la cui ratio è quella di privare il reo di un qualunque beneficio economico dell'attività criminosa, anche di fronte all'impossibilità di aggredire l'oggetto principale, nella convinzione della capacità dissuasiva e disincentivante di tale strumento. Ne consegue che proprio la natura sanzionatoria impedisce che la confisca per equivalente possa trovare applicazione anche in relazione al prezzo o al profitto di reato derivante da un reato estinto per prescrizione una volta che questo tipo di confisca viene accostata ad una sanzione di natura penale è indispensabile che sia preceduta da una pronuncia di condanna, dovendo escludersi che possa trovare applicazione il regime sulle misure di sicurezza patrimoniale, come gli artt. 200, 210 e 236 c.p. che, come si è visto, derogano ai principi penalistici della irrevocabilità e della inapplicabilità della sanzione penale in caso di estinzione del reato. Del resto appare difficile offrire una diversa lettura delle specifiche disposizioni contenute nell'art. 322-ter c.p. che appunto subordina la confisca, anche quella di valore, alla condanna o all'applicazione della pena su richiesta delle parti la confisca per equivalente può essere applicata, al pari delle sanzioni penali, solo a seguito dell'accertamento della responsabilità dell'autore del reato Sez. VI, 6 dicembre 2012, n. 18799, Attianese Sez. VI, 25 gennaio 2013, n. 21192, Barla . 4.2. Meno omogeneo è il quadro offerto dalla giurisprudenza con riferimento al medesimo tema, riferito però alla confisca-misura di sicurezza. Infatti, se la giurisprudenza appare tendenzialmente compatta nell'escludere la confiscabilità del prezzo o profitto del reato in presenza dell'intervenuta prescrizione nel caso di confisca per equivalente, sussiste un contrasto nella diversa ipotesi di confisca intesa come misura di sicurezza, dal momento che le sentenze più recenti sembrano aver superato l'insegnamento delle Sezioni unite De Maio. 4.2.1. Come puntualmente ricordato dalla sentenza impugnata, un primo e più risalente orientamento sostiene che l'estinzione del reato preclude la confisca delle cose che ne costituiscono il prezzo, prevista come obbligatoria dall'art. 240 comma 2, n. 1 c.p. e mette in evidenza come la misura di sicurezza patrimoniale presupponga necessariamente la condanna Sez. un., 10 luglio 2008, n. 38834, De Maio Sez. II, 4 marzo 2010, n. 12325, Dragone Sez. VI, 9 febbraio 2011, n. 8382, Ferone stesso principio era già stato affermato da Sez. un., 25 marzo 1993, n. 5, Carlea . Più precisamente, si assume che l'estinzione del reato per prescrizione impedisce la confisca, anche se obbligatoria, delle cose che ne costituiscono il prezzo, perché la misura ablativa è prevista non in ragione dell'intrinseca illiceità delle stesse, bensì in forza del loro peculiare collegamento con il reato, il cui positivo accertamento è necessario presupposto in questi termini, Sez. VI, 9 febbraio 2011, n. 8382, Ferone . 4.2.2. Un diverso orientamento riconosce, invece, la possibilità di applicazione della confisca obbligatoria a norma dell'art. 240, comma 2, n. 1, c.p. nell'ipotesi di estinzione del reato facendo leva sul combinato disposto degli artt. 210 e 236 c.p., cioè su norme specificamente dedicate alle misure di sicurezza e che, in relazione alla confisca, prevedono una deroga al principio stabilito dal citato art. 210 c.p., secondo cui l'estinzione del reato impedisce l'applicazione delle misure di sicurezza. Invero, le ragioni in base alle quali questo filone interpretativo giustifica il ricorso alla confisca nonostante l'intervenuta estinzione del reato sono più articolate, insistendo, da un lato, sul fatto che la misura di sicurezza della confisca obbligatoria risponde ad una duplice finalità, cioè colpire il soggetto che ha acquisito i beni illecitamente ed eliminare in maniera definitiva dal mondo giuridico e dai traffici commerciali valori patrimoniali la cui origine risale all'attività criminale posta in essere, essendo il provvedimento ablativo correlato ad una precisa connotazione obiettiva di illiceità che investe la res determinandone la pericolosità in sé dall'altro, sulla circostanza che anche la dichiarazione di estinzione del reato può essere preceduta da una pronuncia di condanna che riconosca la sussistenza del reato cui la confisca è collegata. In questo senso, Sez. II, 25 maggio 2010, n. 32273, Pastore e Sez. I, 4 dicembre 2008, n. 2453, Squillante, cui può aggiungersi anche Sez. II, 5 ottobre 2011, n. 39756, Ciancimino, tutte in tema di confisca obbligatoria prevista dall'art. 240 c.p In alcune di queste decisioni, si è messo in evidenza come la condanna cui si riferisce l'art. 240 c.p. funge da presupposto quale termine evocativo proprio di quell'accertamento che ontologicamente giustifica, sul piano normativo, la sottrazione definitiva del bene, in quanto proveniente dal reato e da ciò si è desunto che ciò che viene posto a fulcro della disciplina codicistica, non è il rinvio ad un concetto di condanna evocativo della categoria del giudicato formale, ma - più concretamente - il richiamo ad un termine che intende esprimere un valore di equivalenza rispetto all'accertamento definitivo del reato, della responsabilità e del nesso di pertinenzialità che i beni oggetto di confisca devono presentare rispetto al reato stesso a prescindere, evidentemente, dalla formula con la quale il giudizio viene ad essere formalmente definito . In altri termini, può esservi un ambito in cui residui la possibilità di disporre la confisca in relazione ad un reato prescritto, purché vi sia l'effettività di un accertamento dei profili di responsabilità mentre deve ritenersi preclusa la misura di sicurezza nei casi in cui la estinzione del reato per prescrizione maturi prima del promovimento dell'azione penale, ovvero quando l'estinzione sia dichiarata nell'udienza preliminare o con sentenza emessa ai sensi dell'art. 129 c.p.p., ipotesi in cui difetta ogni tipo di accertamento in ordine alla responsabilità dell'imputato. 5. Peraltro, tenendo presente questo assetto giurisprudenziale deve rilevarsi un ulteriore e collegato problema relativo alle modalità della confisca del denaro sequestrato sul conto corrente e costituente il prezzo del reato. 5.1. Un primo e più recente orientamento è nel senso di ritenere che nel caso in cui il prezzo o il profitto tratto da uno dei reati indicati nell'art. 322-ter c.p. sia costituito dal denaro, il giudice deve disporre la confisca obbligatoria del profitto in forma diretta, ai sensi della prima parte del comma 1 del citato art. 322-ter cit., e non la confisca per equivalente ai sensi della seconda parte del predetto comma, attesa la fungibilità del bene in questione Sez. VI, 14 giugno 2007, n. 30966, Puliga Sez. VI, 26 novembre 2009, n. 14274, Canalia Sez. VII, 12 novembre 2014, n. 50482, Castellani . Secondo queste decisioni quando il prezzo o il profitto del reato è costituito da numerario la confisca può essere disposta in via diretta trattandosi di sottoporre a sequestro le disponibilità di conto corrente dell'imputato, cioè cose fungibili. Si tratta di un orientamento che ha ricevuto l'avallo anche delle Sezioni unite che, in una recente decisione, hanno ribadito che quando il profitto del reato è costituito da somme di denaro è legittima la confisca diretta disposta ai sensi della prima parte dell'art. 322-ter, comma 1, c.p. sul conto corrente nella disponibilità dell'imputato Sez. un., 30 gennaio 2014, n. 10561, Gubert . Questa sentenza propone un deciso ampliamento dei casi di confisca diretta, sostenendo che quando il profitto sia costituito da denaro l'adozione del sequestro - e della successiva confisca - non è subordinato alla verifica che le somme provengano dal delitto e siano confluite nella effettiva disponibilità dell'indagato, in quanto il denaro oggetto di ablazione deve solo equivalere all'importo che corrisponde per valore al prezzo o al profitto del reato, non sussistendo alcun nesso pertinenziale tra il reato e il bene da confiscare . In questo modo, anche nella confisca diretta avente ad oggetto il denaro, che sia prezzo o profitto del reato, diventa del tutto indifferente l'accertamento del collegamento pertinenziale tra bene e reato, così come avviene nel caso di confisca per equivalente, determinando, sotto questo profilo, una sostanziale identità funzionale delle due tipologie di provvedimenti ablatori. Tuttavia, come si è visto, a tale identità funzionale finiscono per corrispondere conseguenze diverse proprio in materia di possibilità di disporre la confisca in presenza di reati prescritti. 5.2. Una diversa impostazione, precedente alla sentenza Gubert, sottolinea invece - sempre in materia di sequestro/confisca di somme di denaro - l'esigenza di una diretta derivazione causale dall'attività del reo, intesa quale stretta relazione con la condotta illecita, al fine di evitare un'estensione indiscriminata ed una dilatazione indefinita ad ogni e qualsiasi vantaggio patrimoniale, indiretto o mediato, che possa scaturire da un reato Sez. un., 24 maggio 2004, n. 29951, Focarelli . Affermazione quest'ultima contraddetta dalla citata sentenza Gubert che, invece, contiene l'affermazione secondo cui il concetto di profitto o provento di reato legittimante la confisca comprende non solo i beni appresi per effetto diretto ed immediato dall'illecito, ma ogni altra utilità che sia conseguenza anche indiretta o mediata dell'attività criminosa posta in essere. L'indirizzo tradizionale sostenuto dalla sentenza Focarelli è stato in parte ripreso, recentemente, da Sez. V, 4 giugno 2014, n. 27523, Argento, che ha sostenuto che il sequestro preventivo del profitto del reato, qualora quest'ultimo sia costituito da un mancato esborso di denaro, può avvenire esclusivamente nelle forme del sequestro per equivalente, in quanto tale vantaggio consiste in una immateriale entità contabile che non si è mai incorporata in moneta contante. In questo caso si è ritenuto che quando la illecita locupletazione si sostanzia in un mancato esborso, il sequestro dovrà necessariamente avvenire per equivalente e ciò, non solo perché il denaro è bene assolutamente fungibile di talché non avrebbe senso, come è ovvio, il vincolo apposto su quelle specifiche banconote , ma principalmente perché, in tal caso, esso non ha mai avuto una sua dimensione fisica, ma è consistito in una immateriale entità contabile che, proprio perché non ha dato luogo a un esborso, non si è mai incorporata in moneta contante in senso analogo, Sez. V, 26 gennaio 2010, n. 11288, Natali, secondo cui il sequestro preventivo di somme di denaro depositate presso banche comporta la previa individuazione del rapporto di pertinenza con i reati per i quali si procede, nel senso che deve trattarsi di denaro che costituisca il prodotto, il profitto o il prezzo del reato oppure che sia servito a commetterlo o, comunque, concretamente destinato alla commissione del medesimo, sicché l'astratta possibilità di destinare il denaro a tale fine non è sufficiente a farlo ritenere cosa pertinente al reato . Nell'ambito dello stesso indirizzo sembra porsi anche Sez. II, 12 marzo 2014, n. 14600, Ber Banca, che ha affermato che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del denaro, costituente il profitto del reato, può colpire sia la somma che si identifica proprio in quella che è stata acquisita attraverso l'attività criminosa sia la somma corrispondente al valore nominale, ovunque sia stata rinvenuta e comunque sia stata investita. In particolare, la Corte ha precisato che in relazione al sequestro di somme di denaro è necessario che la somma sia pertinente al reato contestato, sicché una somma di denaro che non abbia alcuna pertinenza con il reato non può essere sequestrata tuttavia, una volta dimostrata la pertinenza, il sequestro può colpire sia quelle somme che si identifichino proprio in quelle che sono state acquisite attraverso l'attività criminosa ossia il denaro fisicamente uguale a quello ricevuto dall'agente , sia la somma corrispondente al valore nominale, ovunque sia stata rinvenuta e comunque sia stata investita. In quest'ultimo caso, la sentenza spiega che, proprio in ragione della fungibilità del danaro e della sua funzione di mezzo di pagamento, il sequestro non deve necessariamente colpire le medesime specie monetarie illegalmente percepite, bensì una somma corrispondente al loro valore nominale ovunque sia stata rinvenuta, purché sia attribuibile all'indagato. 6. In conclusione, si rileva come in questa materia, in continua evoluzione, vi sono orientamenti contraddittori su aspetti particolarmente rilevanti e delicati in cui si fronteggiano decisioni che si richiamano a principi affermati dalle Sezioni unite, ma in ambiti diversi, situazione questa che giustifica un intervento chiarificatore del Supremo consesso. Una prima questione, che emerge da quanto esposto in precedenza, attiene alla possibilità di disporre la confisca del prezzo del reato nonostante questo sia dichiarato prescritto ovvero quando manchi una sentenza di condanna o di applicazione concordata della pena in questo caso, il contrasto è interno all'orientamento che ritiene che in tali casi la confisca debba essere disposta in via diretta. Inoltre, vi è anche un'altra questione, collegata alla prima, relativa alle modalità da osservare in caso di confisca di somme di denaro depositate sul conto corrente, se cioè debba disporsi la confisca per equivalente ovvero quella diretta, e in quest'ultimo caso se debba o meno ricercarsi e in che limiti il nesso pertinenziale tra denaro e reato. Pertanto, il Collegio ritiene di rimettere il ricorso alle Sezioni unite ai sensi dell'art. 618 c.p.p P.Q.M. Rimette il ricorso alle Sezioni unite.