La multa tra vigili e carabinieri porta tutti fuori pista

Gli agenti di polizia locale che applicano le regole stradali fermando l’auto civetta dei carabinieri e contestando ai trasportati il mancato uso delle cinture di sicurezza non commettono alcun abuso di natura penale.

Anche se da controllori municipali diventano controllati, omettendo di fornire la patente agli operatori in borghese. Lo ha evidenziato la Corte d’appello di Venezia con la sentenza n. 43 del 15 gennaio 2015. In occasione di un normale controllo stradale, due agenti della polizia locale hanno intercettato un veicolo senza insegne condotto da carabinieri che si sono subito qualificati. A seguito della redazione del verbale per mancato uso delle cinture di sicurezza, i toni tra controllori e controllati si sono subito scaldati e i carabinieri hanno richiesto ai vigili di fornire la propria patente di guida, senza successo. Per questo motivo, i militari hanno denunciato gli agenti per interruzione di pubblico servizio e rifiuto di indicazione delle proprie generalità. Contro la conseguente condanna pronunciata dal Tribunale di Pieve di Cadore, gli interessati hanno proposto con successo doglianze fino ai giudici del Palazzaccio raccogliendo alla fine una assoluzione con formula piena. Innanzitutto non è reato omettere di presentare un documento di identità. Le generalità dei vigili, specifica il Collegio, erano invece ben evidenti nel testo della multa e quindi non possono ritenersi rifiutate dagli agenti. Ma non sussiste neppure il reato di interruzione di pubblico servizio non essendo stato provato alcun pregiudizio all’attività svolta dagli agenti in borghese, prosegue la sentenza. Anche se i militari erano impegnati in delicati compiti di polizia giudiziaria, non vi è prova di alcuna alterazione del pubblico servizio oggettivamente apprezzabile, nel tempo strettamente necessario ad elevare contravvenzioni .

Corte di appello di Venezia, sez. I Penale, sentenza 12 – 15 gennaio 2015, numero 43 Presidente Napolitano – Relatore Balletti Motivi della decisione A. e DG , agenti di Polizia Municipale del Comune di , sono stati ritenuti responsabili dei reati di cui agli art. 651, 61 numero 9 c.p. e 340 , 61 numero 9 c.p. dal Tribunale di Belluno sezione distaccata di Pieve di Cadore , con sentenza del 29.10 2003, che li ha condannati alla pena di mesi 4 di reclusione ciascuno oltre al pagamento delle spese processuali, previo riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati, riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti e riduzione per il rito abbreviato, con concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena e D applicazione della pena accessoria dell'interdizione temporanea dal pubblico ufficio. Fatti commessi nel 2002. Il Giudice è pervenuto a formulare un giudizio di responsabilità penale sulla base degli atti, rilevando che il 15.10.2002 i due agenti di Polizia Municipale hanno fermato un auto, in quanto i passeggeri viaggiavano senza indossare le cinture di sicurezza nell'auto viaggiavano due agenti dei Carabinieri, che avevano proceduto al sequestro di armi in esecuzione di un ordine della Procura della Repubblica di Belluno, in borghese, a bordo di un veicolo con targa di copertura e senza contrassegni, proprio in ragione del servizio che stavano eseguendo . Durante il controllo è stato accertato che l'auto era di proprietà del Ministero della Difesa e che le persone a bordo erano Carabinieri, come da documenti identificativi esibiti, gli stessi avrebbero dichiarato anche di essere in servizio ed in esecuzione di un operazione di polizia giudiziaria. Il Giudice ha sottolineato che i due agenti di Polizia Municipale hanno ritenuto opportuno trattenere l'auto per elevare la contravvenzione, nonostante i Carabinieri avessero spiegato che avevano armi a bordo e per tale ragione non erano state indossate le cinture di sicurezza. I Carabinieri hanno, a loro volta, contestato la sosta irregolare del veicolo dei due agenti e avrebbero chiesto loro di fornire i documenti di circolazione senza ottenere alcuna risposta in merito. II Giudice ha ritenuto che la condotta tenuta dai due agenti di Polizia Municipale realizzasse i reati contestati sul presupposto che, pur sapendo la veste assunta dai Carabinieri impegnati in una operazione delicata, gli imputati hanno trattenuto la vettura per elevare la contravvenzione, interrompendo o turbando il servizio di intervento per sequestro penale di armi ed hanno rifiutato di fornire le proprie generalità al Mar. S , che intendeva contestare una violazione del codice della strada, in quanto la vettura di servizio degli agenti era parcheggiata in modo irregolare. Proponeva appello il difensore degli imputati rilevando che gli ergenti di Polizia Municipale hanno compiuto un atto doveroso fermando un auto, avendo notato che conducente e passeggero, entrambi in borghese, non indossavano le cinture di sicurezza. I Carabinieri si sono identificati e non avrebbero detto di essere pieni di armi , secondo la versione invece data dai Carabinieri, ma si sarebbero limitati a qualificarsi. Nessun riferimento allo specifico servizio in cui erano impegnati, né alla delicatezza dell'operazione sarebbe stato effettuato secondo il difensore, non vi sono motivi per ritenere che ai Carabinieri non si dovesse applicare l'art. 172 C.d.S., né risulta che i Carabinieri fossero stati trattenuti, potendo andarsene senza attendere il verbale di contravvenzione ed essendosi poi volontariamente attardati a contestare il divieto di sosta dell'auto di servizio della Polizia Municipale, a conferma della mancanza di una condizione di particolare urgenza ed emergenza. Precisava il difensore che il Mar. S ha richiesto la patente di guida all'agente D e non già un documento identificativo ad entrambi, la cui mancata esibizione comporterebbe solo sanzione amministrativa e per il solo D, . Peraltro, l'art. 651 c.p prevede l'obbligo di fornire indicazioni sulla propria identità personale e non anche di documentarla. Si aggiunga che i Carabinieri erano impegnati nell'esecuzione di un ordine della Procura e non già in un servizio di vigilanza del rispetto delle norme di circolazione stradale e quindi la richiesta era da considerare illegittima, in quanto il pubblico ufficiale stava era impegnato in funzioni diverse. In ordine al capo b , rilevava che non vi è stata alcuna costrizione dei Carabinieri a fermarsi, i quali si sono attardati per formulare a loro volta contestazioni peraltro, non vi sarebbe stato alcun pregiudizio o turbamento del servizio, dato che il sequestro è stato regolarmente portato a termine, senza alcuna compromissione dell'operazione, come documentato dalla relazione di servizio. Per quanto riguarda l'elemento soggettivo, i due vigili non avevano consapevolezza dell'attività di sequestro effettuata, né che a bordo vi fossero armi, né che la sosta avrebbe potuto recare eventualmente pregiudizio all'esito delle operazioni. I due vigili hanno adempiuto quindi ad un proprio dovere, di contestazione immediata in tutti i casi in cui è possibile, sussistendo di conseguenza la scriminante ex art. 51 c.p. L’eventuale eccesso colposo dei limiti del dovere avrebbe come effetto la non punibilità ex art. 55 e 51 c.p., attesa la natura dolosa del reato previsto dall'art. 340 c. p. Chiedeva l'assoluzione degli imputati dai reati loro ascritti perché il fatto non sussiste, in subordine, per il capo A quanto a Giuseppe R per non aver commesso il fatto e, in ulteriore subordine, per entrambi, perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato. Su appello degli imputati, la Corte d'Appello di Venezia in data 25.3.2009, ha riformato la sentenza di primo grado dichiarando de plano non doversi procedere nei confronti degli imputati per essere i reati ascritti estinti per prescrizione. Il difensore degli imputati ha presentato ricorso in Cassazione avverso la sentenza della Corte d'Appello di Venezia, rilevando che è stata emessa senza contraddittorio, omettendo gli adempimenti preliminari di citazione degli imputati, senza la presenza delle parti e dei loro difensori rilevava la nullità della sentenza della Corte d'Appello ex art. 178 e 179 c.p.p., nonché la violazione degli art. 127 e 601 c.p.p in relazione all'art. 606 co. 1 lett.c c.p.p Lamentava, inoltre, che non vi è stata alcuna valutazione e motivazione sulle domande assolutorie formulate in atto di appello. Chiedeva l'annullamento della sentenza impugnata e la trasmissione degli atti alla Corte d'Appello di Venezia per il giudizio di merito. La Suprema Corte di Cassazione ha annullato la sentenza della Corte d'Appello accogliendo i motivi di nullità, ritenendo che il rinvio di cui all'art. 598 c.p.p. alle norme sul giudizio di primo grado non comprende l'eccezionale procedura prevista dall'art. 469 c.p.p. La Suprema Corte di Cassazione annullava la sentenza impugnata e trasmetteva gli atti ad altra sezione della Corte d'Appello di Venezia per il giudizio di appello. Il difensore dell'imputato depositava infine una memoria, a sostegno della evidenza probatoria ai fini dell'assoluzione ex art. 129 co. 2 c.p.p., secondo l'orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte di Cassazione anche a Sezioni Unite. In udienza, gli imputati non comparivano e le parti concludevano come in atti. Secondo pacifica giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, il precetto di cui all’art. 651 cod. pen, è adempiuto quando il soggetto richiesto indichi al pubblico ufficiale le proprie generalità ed eventuali qualità personali. Tale obbligo non si estende all'esibizione dei documenti di identità, non essendo il soggetto richiesto tenuto a documentare la propria identità personale . Cass. Civ. Sez. 1, Sentenza numero 2261 del 27/11/1991 . Osserva la Corte che i Carabinieri non hanno chiesto agli agenti le loro generalità, né queste sono state rifiutate peraltro, tale richiesta appariva superflua, dato che le generalità degli agenti risultano indicate nel verbale di accertamento di violazione alle norme di circolazione stradale, in atti, sottoscritto dagli accertatori, i cui nomi sono chiaramente indicati in intestazione. La mancata ottemperanza alla richiesta di esibire la patente di guida e i documenti di circolazione non rientra invece nella nozione dell'art. 651 c.p. In ordine alla contestata violazione dell'art. 340 c.p., la giurisprudenza di legittimità è nel senso di ritenere che il reato di interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di pubblica necessità, di cui all'art. 340 cod. penumero , è reato di evento la cui consumazione richiede un pregiudizio effettivo della continuità o della regolarità di un servizio pubblico o di pubblica necessità . Cass. Penumero Sez. 6, Sentenza numero 29351 del 03/05/2006 Ed ancora Integra il reato di interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di pubblica necessità anche la condotta che determini una temporanea alterazione, oggettivamente apprezzabile, della regolarità dell'ufficio o del servizio, coinvolgendone solamente un settore e non la totalità delle attività . Cass. Pen Sez. 6, Sentenza numero 36253 del 22/09/2011. Anche la giurisprudenza più recente è nel senso di ritenere che per la configurabilità del reato di interruzione di un ufficio ovvero di un servizio pubblico o di pubblica necessità, è necessario che il turbamento della regolarità abbia comportato e causato un'alterazione del funzionamento dell'ufficio o del servizio, ancorché temporanea, ma apprezzata nel suo complesso ed espressa con modalità tali da incidere sulla concreta operatività dell'attività in questione . Vedi Cass. Penumero Sez. 6, Sentenza numero 19676 del 16/04/2014. Nello specifico, è emerso che l'operazione eseguita per ordine della Procura, non ha subito alcuna compromissione ed è stata portata a termine come da incarico né è risultato in alcun modo che vi sia stata una alterazione del pubblico servizio oggettivamente apprezzabile, nel tempo strettamente necessario ad elevare contravvenzione, essendosi peraltro i Carabinieri attardati poi a contestare la sosta irregolare del veicolo della Polizia Municipale e a discutere in ordine alla contravvenzione per la violazione dell'art. 172 c.d.s., questione che avrebbe potuto essere posta e risolta anche in altra sede. Nello specifico, la fattispecie di reato non può ritenersi realizzata dalla condotta contestata. Gli imputati devono essere assolti dai reati loro ascritti per la mancanza dell'elemento materiale, pronuncia che prevale sulla causa estintiva dei reati per intervenuta prescrizione. P.Q.M. Visto l'art. 605 c.p.p. In riforma della sentenza del Tribunale di Belluno sez. distaccata di Pieve di Cadore del 29.10.2003 appellata da D A. e D GG. assolve gli imputati dai reati a loro ascritti perché il fatto non sussiste . Motivazione a 30 giorni.